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Liturgia e sacramenti - BastaBugie.it

Author: BastaBugie

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Gesù Cristo, unico salvatore del Mondo, continua ad agire oggi attraverso la sua Santa Chiesa
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7752CATTOLICI ERRANTI IN CERCA DI PARROCCHIANon è obbligatorio frequentare la parrocchia dove si risiede, ma non si deve passare di chiesa in chiesa senza sentire l'appartenenza ad una specifica comunitàdi Don Stefano Bimbi«La parrocchia è una determinata comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell'àmbito di una Chiesa particolare, la cui cura pastorale è affidata, sotto l'autorità del Vescovo diocesano, ad un parroco quale suo proprio pastore». Così recita il canone 515 §1 del Codice di Diritto Canonico. La domanda che molti fedeli si fanno è se devono frequentare la parrocchia nel cui territorio si trovano ad abitare oppure se possono andare nella parrocchia che preferiscono.Aldo Maria Valli nel suo sito ha pubblicato il 7 luglio 2017 un articolo che parla di una nuova figura di cristiano che l'autore definisce "il cattolico errante": «Si tratta di un bravo cattolico, un po' di tutte le età e le condizioni sociali, che vaga di chiesa in chiesa, di parrocchia in parrocchia. Perché lo fa? Perché, stanco di liturgie sciatte e di chiese brutte, di preti iperattivi o apatici, di parrocchiani sovreccitati o depressi, cerca una chiesa che sia semplicemente normale, con un prete che sia semplicemente prete, una liturgia semplicemente dignitosa, un edificio semplicemente rispettoso del sacro, fedeli semplicemente beneducati». Purtroppo questo tipo di cattolico non si sente più il benvenuto nella sua parrocchia, come spiega ancora Aldo Maria Valli: «Non ne può più di musica per nulla sacra, cori stonati, altoparlanti da discoteca, licenze assurde nella celebrazione. Non sopporta più fedeli chiassosi e sbracati. Non ne può più di chiese orrende, preti che celebrano con le scarpe da ginnastica, tazebao appesi tra una Madonna e un San Giuseppe. Non accetta più di subire omelie irrimediabilmente scontate o troppo immaginifiche. Non gli va più di fare i conti con parroci che sbrigano la messa come fosse una pratica amministrativa o che la trasformano in spettacolo. Ed è anche stanco di essere guardato come un provocatore ogni volta che osa dire come la pensa. Così si mette in viaggio e diventa un cattolico errante».IL CATTOLICO ERRANTEMa è giusto essere un cattolico errante? Va bene passare di chiesa in chiesa senza sentire l'appartenenza ad una specifica comunità? La risposta è no. Far parte di una comunità di fede è necessario per la propria crescita spirituale e per sentirsi parte della Chiesa. Come ci insegna il Nuovo Testamento gli apostoli annunciavano sì il Vangelo, ma subito dopo formavano delle comunità e vi mettevano a capo uno o più presbiteri per garantire il modello gerarchico voluto da Gesù, ma anche la comunione di fede tra i membri di quella specifica comunità. Non si può essere cristiani isolati da ogni contesto ecclesiale. Né si può crescere nella fede e mantenersi nella retta dottrina senza una comunità di riferimento e un sacerdote che ci guida.Torniamo quindi alla domanda iniziale e cioè se possiamo scegliere la parrocchia che si preferisce. Innanzitutto va detto che non è per nulla obbligatorio frequentare la parrocchia nel cui territorio si risiede. Ciascuno nella Chiesa è libero di andare dove si sente più accolto e soprattutto dove meglio può fare un cammino di fede adeguato alla sua sensibilità e al suo cammino. Certamente per ottenere il certificato di battesimo si deve andare nella parrocchia dove si è ricevuto il battesimo. Chi ha da iniziare la pratica per il matrimonio deve andare dal parroco della parrocchia dove risiede uno dei nubendi. Così per avere la benedizione della casa ci si dovrà rivolgere al parroco del territorio dove è la casa. Invece per tutto il resto, cioè dove andare alla Messa, agli incontri di formazione, al catechismo dei figli, ai ritiri spirituali, ma anche ai pranzi e alle feste, insomma per tutto quello che è vivere in una comunità di fede, senz'altro si può scegliere la parrocchia più adatta.UNO SFORZO DA FAREOvviamente può darsi che qualcuno si trovi meglio in una parrocchia e altri in un'altra senza che per questo qualcuno faccia la scelta giusta in assoluto, ma semplicemente per lui è la scelta migliore. Quindi se uno si trova bene nella parrocchia che può raggiungere a piedi, buon per lui. Come andrebbe bene se per andare nella parrocchia adatta ci volesse mezz'ora di auto. È uno sforzo che sempre più dobbiamo mettere in conto di fare se vogliamo dare a noi e ai nostri figli una corretta educazione cristiana e umana.A proposito dell'educazione dei propri figli, spesso i genitori scelgono di fargli frequentare la parrocchia dove questi socializzano meglio. Eppure non bisogna dimenticare che lo scopo del catechismo è di imparare la dottrina cristiana. Infatti un tempo il catechismo si chiamava proprio "dottrina". Si diceva "vado a dottrina" intendendo che si frequentava il catechismo. Purtroppo oggi sempre più troviamo impegnata l'ora di catechismo a fare di tutto eccetto che imparare i comandamenti, i sacramenti e le preghiere. Cartelloni, canti, argomenti di attualità... insomma di tutto fuorché la dottrina cristiana. Cosa fare in questa situazione così disastrosa? Direi che non resta che portare i figli in un'altra parrocchia, più adeguata, più fedele alla dottrina, in poche parole... più cattolica. E non solo mandarci i figli, bensì farla diventare la parrocchia di tutta la famiglia e andare lì alla Messa.In conclusione, basta trovare un parroco che possa guidare spiritualmente la propria famiglia nel solco della Tradizione vivente della Chiesa e impartisca validamente e lecitamente i sacramenti in comunione con il Vescovo e il Papa. Se vuoi l'acqua fresca e pura, fare dei chilometri per raggiungere questa oasi non sarà fatica sprecata. L'alternativa è morire di sete.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7714PORTARE I FIGLI PICCOLI ALLA MESSA PUO' ESSERE CONTROPRODUCENTE di Don Stefano BimbiPortare i figli piccoli alla Messa va sempre bene oppure può essere opportuno che rimangano a casa per permettere ai genitori di vivere appieno la celebrazione liturgica? Questa domanda se la sono posta almeno una volta nella vita tutti i genitori cristiani e ciascuno ha pensato di risolverla secondo il proprio giudizio. E non è detto che fosse lo stesso degli altri fedeli o del sacerdote.Molti genitori sono contenti di poter condividere con il coniuge e i figli la Messa domenicale, fieri e gioiosi del loro essere famiglia e del vivere insieme l’incontro con Cristo. Se qualcuno li guarda storto perché i bambini piccoli non stanno in perfetto silenzio questi genitori pensano che gli altri siano degli intolleranti. Ovviamente i bambini, con la loro tenerezza, magari strappano a qualcuno un sorriso di comprensione. In questo caso i genitori si sentono rasserenati e rafforzati nella loro scelta di portarli in chiesa.Se i figli esagerano nel fare confusione, alcuni genitori li portano fuori, ma così si perdono parte della celebrazione. Altri invece restano, facendo finta di nulla, per non darla vinta al figlio, che non ne può più di rimanere perché si annoia, e non si curano delle signore che si girano lanciando delle occhiatacce minacciose e scocciate. Altri genitori portano giocattoli ai bambini in modo che non si annoino e non disturbino, anche se in realtà spesso disturbano lo stesso anche perché "giocare" e "silenzio" non sempre riescono a convivere allo stesso tempo. Tutte queste apparenti soluzioni fanno emergere una prima considerazione: ai bambini piccoli la Messa non serve, né gli interessa. Disturbano le persone circostanti e anche quando non fosse così, almeno il genitore non vive appieno la celebrazione del santo Sacrificio in quanto ha comunque il pensiero sul proprio figlio.QUESTIONE SPINOSASi capisce come mai la questione sia spinosa e lasci alcuni genitori con un senso di inadeguatezza: pensano di dover trovare a tutti i costi un modo per poter vivere bene la Messa, riuscendo a partecipare adeguatamente con tutta la famiglia. Ma quando si rendono conto che non sono capaci di gestire la situazione possono arrivare a pensare che sia un loro difetto.Alcuni per avvalorare la loro opinione che i bambini vanno sempre e comunque portati alla Messa, citano le famose parole di Gesù "Lasciate che i bambini vengano a me" (Mc 10,14) dimenticando che questa frase è stata pronunciata fuori dal tempio ed inoltre quando Gesù non stava pregando. Quando invece Gesù voleva pregare se ne stava "tutto solo", spesso di notte, oppure era nel tempio con gli altri, ma senza bambini. Tra l’altro quando il vangelo racconta di Gesù che nell’ultima cena istituisce il santo Sacrificio della Messa, non ci parla della presenza di bambini. Citare quindi il vangelo per avvalorare l’ipotesi che i bambini, anche se rumorosi, vadano comunque e sempre portati alla Messa non ha alcun fondamento. Inoltre non si può considerare la questione solo dal punto di vista dei bambini, ma anche dei fedeli che sono presenti alla Messa. Sacrificare un’intera assemblea in preghiera per il pianto di un solo bambino, magari al momento della consacrazione, non è giustificabile. Bisogna ricordare che un conto è venire in chiesa, un altro è partecipare alla Messa. Il silenzio è più benefico di tanti canti e di tante parole. Toglierglielo con i pianti e le scorrerie dei bambini non è un atto di carità e impedisce a molti di pregare.LA GIUSTA SOLUZIONEPer trovare la giusta soluzione a questo problema occorre riflettere su cosa sia la Messa. Si sente dire che è il ritrovo della comunità. Qualcuno si spinge ad affermare che è una festa. Se la Messa fosse davvero un modo per socializzare e magari far festa allora bisognerebbe concludere che è bene che la famiglia partecipi tutta insieme, bambini piccoli inclusi. Ma invece la Messa consiste primariamente nel santo Sacrificio, attualizza cioè la morte in croce di Cristo. Ci rende partecipi dell’evento salvifico come l’hanno vissuto sotto la croce Maria e Giovanni, la Maddalena e Longino. Ebbene, per vivere bene la Messa occorre quindi prendere esempio dalla Madre di Dio che non viveva certo un clima di festa, bensì di "attiva partecipazione" alle sofferenze del Divin Figlio con un silenzio pieno di amore. Ecco che si inizia a intravedere il modo corretto di vivere la Messa e, di conseguenza, anche la soluzione al problema dei bambini piccoli. La Messa non è un pranzo parrocchiale dove ovviamente sono invitati tutti i membri della famiglia. L’idea di partecipare marito e moglie insieme alla Messa risente del clima romantico e fiabesco del "vissero insieme felici e contenti". Per partecipare fruttuosamente alla Messa non sarebbe meglio tornare a separare gli uomini dalle donne? Quando San Bernardino da Siena predicava nelle piazze c’era questa separazione in modo che non ci fossero distrazioni nell’ascoltare i suoi discorsi. Del resto nella società contadina le massaie andavano alla Messa all’alba, mentre i mariti con i figli più grandi partecipavano alle funzioni successive, quando a casa si preparava il pranzo. Non è uno scandalo se marito e moglie vanno separati alla Messa, né se i figli più piccoli, cioè quelli che non riescono a stare in silenzio dall’inizio alla fine, restano a casa con l’altro coniuge. È invece scandaloso che i cristiani non abbiano rispetto del centro della vita cristiana: la santa Messa. Il silenzio è necessario per la preghiera e non si deve tollerare che venga sprecato quello che per molti è l’unico momento della settimana per incontrare Gesù, per ascoltare la sua Parola e vivere la sua passione, morte e risurrezione. I bambini possono e devono apprendere la preghiera in altri momenti. Anzi, forse per loro sono più adeguati. Ad esempio la preghiera prima dei pasti e prima di andare a letto, imparare il segno di croce e magari il rosario in famiglia.GESÙ AL PRIMO POSTOC’è chi dice che è portando i bambini a Messa fin da subito che li si può abituare ad andarci ogni domenica. In realtà non è così. Non potendo per il momento partecipare alla Messa i bambini imparano che per i genitori questa è una cosa seria, come il lavoro o un colloquio importante, e che pur amandoli tanto, babbo e mamma mettono al primo posto Gesù. Così i figli ne sono un po’ incuriositi, fanno domande e quando potranno venire anche loro, ad esempio quando inizieranno a frequentare il catechismo, prenderanno la partecipazione alla Messa come un regalo.Per le mamme alle prese con un neonato vanno dette due cose importanti. Innanzitutto che in chiesa è lecito allattare il figlio, anche durante le celebrazioni. Non è pensabile che a quell’età la poppata sia rimandabile. Inoltre il catechismo della Chiesa Cattolica ricorda al n. 2181 che la cura dei lattanti costituisce un serio motivo per essere dispensati dal precetto della Messa festiva.In conclusione è bene precisare che tutto quanto detto non può, e nemmeno vuole, istituire la legge di non portare assolutamente mai i bambini alla Messa, ma solo che bisogna rispettare i loro tempi di crescita. I bambini si possono portare a condizione che non disturbino la preghiera dei genitori ed anche quella degli altri. Che poi questo vale per tutti. Anche un adulto che chiacchiera con il vicino disturba sé stesso e gli altri.E questo gli si può far educatamente notare, come anche ai genitori che nonostante i figli disturbino non li portano fuori. Non si può pretendere che sia sempre il sacerdote a recitare la parte del "cattivo". Tutti i fedeli sono corresponsabili di quello che accade in chiesa. Del resto a un concerto di musica classica chi fa confusione viene accompagnato all’uscita. La santa Messa non è forse più importante di un concerto di musica classica?
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7613L'ABUSO DELLA MESSA PREFESTIVA PER AVERE LA DOMENICA LIBERA di Fabio AmicosanteQuella di prender parte alla messa vespertina, comunemente chiamata "prefestiva", in sostituzione di quella domenicale, è una tendenza di cui molti fedeli tendono ad abusare. Per capire meglio questo concetto, bisogna tornare alle motivazioni per cui questa è stata introdotta e, soprattutto, riscoprire le effettive circostanze per cui venne data questa opportunità.PAPA PIO XIILa Messa vespertina fu introdotta dal Pontefice Pio XII attraverso due decreti: La Costituzione Christus Dominus del 6 gennaio 1953 e il Motu porprio Sacram Communionem del 19 marzo 1957. Attraverso questi due decreti, l'allora Pontefice introdusse anche un'altra importante novità: la riduzione del digiuno eucaristico a tre ore. Come ci ricorda Toscana Oggi, qualche anno più tardi, nel 1972, i Vescovi italiani, durante il pontificato di Paolo VI, stabilirono che si potesse anticipare la Messa domenicale e festiva al giorno precedente.Ma, in tal senso, bisogna tener presente, con estrema attenzione, alle raccomandazioni che i Vescovi dettarono in quell'anno. Il Collegio Episcopale raccomandò infatti di non far ricorso alla Celebrazione prefestiva a meno che non vi fossero "seri motivi familiari o professionali". Dunque, è bene fare uso di questa possibilità concessa, solo in caso di seri motivi e impegni improrogabili, che rendono impossibile la partecipazione domenicale.Tuttavia, sembrano essere sempre più numerose le famiglie che scelgono di prender parte alla Messa vespertina per avere tempo libero la domenica. Abusando di questa opportunità concessa, molti giustificano questa scelta con "impegni" quali sport, svago o turismo. Il direttore di Toscana oggi, in tal senso ha lanciato anche un appello molto importante: "Credo che i Parroci e i consigli pastorali dovrebbero affrontare queste tematiche". C'è infatti, da questo punto di vista, un'estrema necessità di riscoprire il vero significato del "Giorno del Signore" che, per l'appunto, è la domenica.PAPA BENEDETTO XVIQuesta necessità di riscoprire l'effettivo significato del Giorno del Signore è una tematica venuta alla luce già qualche anno fa, durante il Congresso Eucaristico di Bari. In quell'occasione fu l'allora Pontefice Benedetto XVI a ricalcare questa tematica durante la sua omelia: «Abbiamo bisogno di questo Pane per affrontare le fatiche e le stanchezze del viaggio. La Domenica, Giorno del Signore, è l'occasione propizia per attingere forza da Lui, che è il Signore della vita. Il precetto festivo non è quindi un dovere imposto dall'esterno, un peso sulle nostre spalle. Al contrario, partecipare alla Celebrazione domenicale, cibarsi del Pane eucaristico e sperimentare la comunione dei fratelli e delle sorelle in Cristo è un bisogno per il cristiano, è una gioia, così il cristiano può trovare l'energia necessaria per il cammino che dobbiamo percorrere ogni settimana. Questo Congresso Eucaristico, che oggi giunge alla sua conclusione, ha inteso ripresentare la domenica come "Pasqua settimanale", espressione dell'identità della comunità cristiana e centro della sua vita e della sua missione. [...]Il tema scelto - "Senza la domenica non possiamo vivere" - ci riporta all'anno 304, quando l'imperatore Diocleziano proibì ai cristiani, sotto pena di morte, di possedere le Scritture, di riunirsi la domenica per celebrare l'Eucaristia e di costruire luoghi per le loro assemblee. Ad Abitene, una piccola località nell'attuale Tunisia, 49 cristiani furono sorpresi una domenica mentre, riuniti in casa di Ottavio Felice, celebravano l'Eucaristia sfidando così i divieti imperiali. Arrestati, vennero condotti a Cartagine per essere interrogati dal Proconsole Anulino. Significativa, tra le altre, la risposta che un certo Emerito diede al Proconsole che gli chiedeva perché mai avessero trasgredito l'ordine severo dell'imperatore. Egli rispose: "Sine dominico non possumus": cioè senza riunirci in assemblea la domenica per celebrare l'Eucaristia non possiamo vivere. Ci mancherebbero le forze per affrontare le difficoltà quotidiane e non soccombere. Dopo atroci torture, questi 49 martiri di Abitene furono uccisi. Confermarono così, con l'effusione del sangue, la loro fede. Morirono, ma vinsero: noi ora li ricordiamo nella gloria del Cristo risorto.È un'esperienza, quella dei martiri di Abitene, sulla quale dobbiamo riflettere anche noi, cristiani del ventunesimo secolo. Neppure per noi è facile vivere da cristiani, anche se non ci sono questi divieti dell'imperatore. Ma da un punto di vista spirituale, il mondo in cui ci troviamo, segnato spesso dal consumismo sfrenato, dall'indifferenza religiosa, da un secolarismo chiuso alla trascendenza, può apparire un deserto non meno aspro».
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7605NON SI PUO' BENEDIRE PER SDOGANARE IL MALE di Don Stefano BimbiNella Bibbia il Popolo eletto benedice Dio, cioè lo loda per le sue opere e lo ringrazia per i suoi benefici: soprattutto per la creazione e per la liberazione dall'Egitto operata attraverso Mosè. In questo senso tutta la creazione loda il Signore del cielo e della terra attraverso la preghiera dell'uomo. Significativo in tal senso è il cantico di Sadrac, Mesac e Abdènego, meglio conosciuti come Anania, Azaria e Misaele. Essendosi rifiutati di adorare gli idoli, vengono gettati nella fornace ardente dal re Nabucodonosor. Interessante notare che al re dicono che il loro Dio può liberarli dalle fiamme, ma se anche non lo farà loro gli resteranno fedeli comunque. Per dimostrare la loro fede nel momento della prova benedicono il Signore chiamando tutto il creato ad unirsi a loro: «benedite, sole e luna, il Signore», «benedite, stelle del cielo, il Signore», ecc. (cfr. Dn 3,57-88)Nella Sacra Scrittura però troviamo che anche Dio benedice. Anzi, la prima volta che si parla di benedizione è proprio in riferimento a Dio che benedice gli esseri viventi che ha appena creato: «Dio li benedisse: Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra» (Gn 1,22).La benedizione è legata alla trasmissione della vita. Poiché essa è un dono, la benedizione la moltiplica. Anche gli sposi vengono benedetti da Dio con il dono dei figli. Questa è l'altissima vocazione dell'uomo: partecipare dell'opera creatrice di Dio. Chi blocca la nascita di nuove creature di Dio con qualunque mezzo, contraccettivo o naturale che sia, offende Dio e gli dovrà rendere conto visto che il giorno del matrimonio si era impegnato solennemente ad accettare i figli che Dio voleva donargli. Da notare che quando Dio benedice non loda le sue opere, né loda se stesso, ma effonde sulle sue opere protezione e moltiplicazione.Simbolo privilegiato della benedizione è l'acqua, indispensabile per la vita. Quando gli ebrei vagavano nel deserto avevano il problema della sete. Allora Dio fa sgorgare l'acqua dalla roccia dimostrando così la sua benedizione. Ecco il motivo per cui in genere la benedizione viene data aspergendo con l'acqua. L'acqua benedetta effonde vita, doni, grazie.UNA PAROLA EFFICACELa benedizione data da Dio o anche da parte dei ministri di Dio è una parola efficace. Basta pensare alla benedizione data da Melchisedek, sacerdote del Dio altissimo e re di Salem, ad Abramo. La benedizione ad Abramo e al popolo discendente da lui, cioè gli ebrei, è irrevocabile. Se ci si pensa infatti è l'unico popolo dell'antichità che è arrivato ai nostri giorni. Tutti gli altri popoli sembravano più potenti, tanto che si studiano ancora a scuola, ma sono tutti scomparsi: assiri, babilonesi, fenici, egiziani, ecc. L'unico popolo che è ancora esistente con la sua lingua, cultura e religione (ad esempio gli egiziani di oggi non hanno nulla in comune con gli antichi egizi) è il popolo nato da Abramo proprio perché Dio gli ha dato la sua benedizione e questa è irrevocabile.L'efficacia e l'irrevocabilità delle benedizioni che Dio fa attraverso gli uomini è riconosciuta da Isacco quando si accorge che Giacobbe gli ha estorto la benedizione al posto di Esaù: «Io l'ho benedetto e benedetto resterà» (Gn 27,33).Nel Vangelo Gesù benedice i bambini, e cioè effonde loro salute, protezione, favori divini. Il Signore benedice il pane prima di moltiplicarlo e poi il pane e il vino nell'ultima cena prima di consacrarli nel suo corpo e nel suo sangue. Ascendendo al cielo benedice gli apostoli.Gesù ha comandato agli apostoli di portare pace nelle case, e cioè di benedirle con i suoi favori e la sua protezione. La Chiesa ha quindi continuato il ministero apostolico moltiplicando le occasioni in cui si elargiscono le benedizioni. Le formule di benedizione un tempo erano contenute nel Rituale Romano, mentre oggi sono oggi raccolte in un libro che hanno tutti i sacerdoti chiamato Benedizionale. Oltre alle persone vengono benedette anche le cose, come le abitazioni, le automobili, il sale, l'olio, le uova pasquali, le corone del rosario, ecc. Attraverso la benedizione si conferisce a queste realtà il potere di tener lontano gli influssi del Maligno e di attuare la benevolenza di Dio.Tuttavia questo potere è legato allo stato di grazia e all'uso di quelle realtà secondo il disegno santificante di Dio. Infatti la benedizione non è un sacramento, che opera ex opere operato, cioè per il fatto stesso di aver fatto la cosa, ma un sacramentale. Questo significa che non ha un potere immediato, ma dipende dalla grazia e dalla devozione dei soggetti che ne usano. Ecco perché alcune benedizioni appaiono inappropriate, se non addirittura scandalose e immorali.BENEDIZIONI INAPPROPRIATE, SCANDALOSE E IMMORALIIn Italia c'è la bella tradizione della benedizione delle case. Il sacerdote oltre alle case benedice anche i luoghi dove le persone lavorano e vivono anche fuori casa, ad esempio le scuole. Questo è previsto dalla legge italiana ed è sufficiente il consenso del preside e degli organi scolastici per poter procedere con la benedizioni delle classi. Come parroco io ad esempio benedico tutti gli edifici scolastici esistenti nella mia parrocchia: sia quelli comunali che quelli tenuti dalle suore. Oltre alle case e alle scuole si benedicono ovviamente anche i negozi e le ditte. Un episodio accaduto a un mio amico sacerdote ci fa riprendere il discorso sulle benedizioni inopportune. Mentre faceva la benedizione dei negozi che si trovavano in una via del suo paese entrò anche in un nuovo negozio non accorgendosi che era un negozio "particolare": era infatti un sexy shop. Quando se ne è reso conto era troppo tardi perché aveva iniziato la benedizione come al solito. La benedizione in questo caso era in contrasto con la finalità del negozio in questione che invita al peccato e vende tutto ciò che conduce al peccato. Benedizione e peccato sono in contrasto perché Dio non può benedire ciò che contemporaneamente maledice.Situazione analoga si riscontra nel caso in cui si voglia benedire una sede della Massoneria. Questa è l'associazione che ha collezionato più documenti di condanna da parte della Chiesa. Di nuovo, non può un ministro della Chiesa benedire ciò che la Chiesa ha così costantemente e chiaramente condannato in quanto portatrice di una visione del mondo antitetica alla dottrina cattolica.LA BENEDIZIONE DELLE COPPIE OMOSESSUALIUltimo esempio di benedizione contraria alla morale cattolica è quella di cui si parla tanto in questi ultimi decenni e cioè la benedizione delle coppie omosessuali.La giusta condotta da tenere da parte dei sacerdoti è stata ribadita per l'ennesima volta nel 2021 da un Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede ad un dubium circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso.La sacra congregazione ha ribadito che «non è lecito impartire una benedizione a relazioni, o a partenariati anche stabili, che implicano una prassi sessuale fuori dal matrimonio (vale a dire, fuori dell'unione indissolubile di un uomo e una donna aperta di per sé alla trasmissione della vita), come è il caso delle unioni fra persone dello stesso sesso. La presenza in tali relazioni di elementi positivi, che in sé sono pur da apprezzare e valorizzare, non è comunque in grado di coonestarle e renderle quindi legittimamente oggetto di una benedizione ecclesiale, poiché tali elementi si trovano al servizio di una unione non ordinata al disegno del Creatore».«Inoltre, poiché le benedizioni sulle persone sono in relazione con i sacramenti, la benedizione delle unioni omosessuali non può essere considerata lecita, in quanto costituirebbe in certo qual modo una imitazione o un rimando di analogia con la benedizione nuziale, invocata sull'uomo e la donna che si uniscono nel sacramento del Matrimonio, dato che non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppur remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. La dichiarazione di illiceità delle benedizioni di unioni tra persone dello stesso sesso non è quindi, e non intende essere, un'ingiusta discriminazione, quanto invece richiamare la verità del rito liturgico e di quanto corrisponde profondamente all'essenza dei sacramentali, così come la Chiesa li intende».La risposta al dubium rammenta che la Chiesa «non benedice né può benedire il peccato: benedice l'uomo peccatore, affinché riconosca di essere parte del suo disegno d'amore e si lasci cambiare da Lui. Egli infatti ci prende come siamo, ma non ci lascia mai come siamo».Alla fine il documento conclude che «per i suddetti motivi, la Chiesa non dispone, né può disporre, del potere di benedire unioni di persone dello stesso sesso nel senso sopra inteso».A scanso di equivoci occorre ricordare che Papa Francesco ha dato il suo assenso alla pubblicazione del Responsum ad dubium della Congregazione della Dott
VIDEO: Riassuntone di questi tre anni ➜ https://www.youtube.com/watch?v=ZMwI61VIYAY&list=PLolpIV2TSebVtj34zS7A0AabuQ9cf1UxpTESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7406FINE PANDEMIA: LO HA CAPITO (IN RITARDO) ANCHE LA CEI di Stefano ChiappaloneDopo tre anni la pandemia è ufficialmente terminata anche per i vescovi italiani. La lettera della Cei è stata pubblicata l'8 maggio, a tre giorni dal pronunciamento dell'Oms (del 5 maggio), così come a suo tempo la sospensione dei riti religiosi in tutto il territorio nazionale era stata decretata il 9 marzo, all'indomani del primo di una lunga serie di DPCM che da Palazzo Chigi scandivano ciò che di volta in volta era proibito, concesso o «fortemente raccomandato». In Lombardia lo "stop" liturgico fu anticipato al 23 febbraio (e sempre, dichiarava l'arcidiocesi ambrosiana, «in ragione dell'ordinanza emanata dal presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, di concerto con il ministro della Salute, Roberto Speranza»).Per cominciare non si può che rallegrarsi del dichiarato ritorno alla normalità, quando tutto il resto della società vi è tornato da un pezzo. Avevamo ormai dimenticato le autocertificazioni e persino il green pass; andiamo al bar o al ristorante come prima e più di prima, affolliamo le corsie del supermercato o gli eventi sociali e culturali. Ora che «il direttore generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, condividendo l'indicazione dell'apposito Comitato tecnico, ha annunciato lo scorso 5 maggio che il Covid-19 non costituisce più un'emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale», finalmente sappiamo una volta per tutte che banchi e inginocchiatoi non sono più pericolosi di altri luoghi.La Cei rievoca il «tempo difficile in cui le nostre comunità cristiane sono state prossime con la preghiera e le opere di carità a chi ha sofferto la malattia e le conseguenze della difficile fase economica». Esprime gratitudine al «personale sanitario» e a «tutti coloro che, in qualsiasi maniera, hanno dato il loro contributo per alleviare i disagi e affrontare la crisi». E ricorda «le tante persone che hanno perso la vita, tra cui centinaia di sacerdoti, che hanno contratto l'infezione adoperandosi per il proprio ministero». Ministero tanto più degno di riconoscimento, aggiungiamo, in quei tre mesi di lockdown in cui i sacramenti erano divenuti una rarità.LA CEI: "GRAZIE OMS!"«Accogliendo la comunicazione dell'OMS», ripetono ancora i vescovi, «segnaliamo che tutte le attività ecclesiali, liturgiche, pie devozioni, possono tornare a essere vissute nelle modalità consuete precedenti all'emergenza sanitaria». Insomma, si torna in chiesa e in presenza, segnalando l'opportunità «che cessino, o quantomeno siano diminuite nel loro numero, le celebrazioni trasmesse in streaming». «Tutte» e «nelle modalità consuete precedenti» sono parole che finalmente danno "speranza" (con la minuscola!), per esempio laddove si continua ad aver timore delle processioni oppure - caso frequente e segnalatoci anche dai nostri lettori - ci si ostina a imporre la comunione sulle mani anche a chi preferisce riceverla in bocca, secondo la forma tradizionale, e nonostante tale obbligo sia decaduto almeno dal 1° aprile 2022. Oppure dove ancora si grida al sacrilegio per omessa mascherina. O dove ancora si raccomanda ("non si sa mai") di non inginocchiarsi al momento della consacrazione. E si intuisce, benché non detto esplicitamente, che sia tornato anche il precetto festivo, rimasto indefinito anche dopo la riapertura.Dovremmo poter tornare a scandire la vita della Chiesa tra a.C. e d.C. nel senso tradizionale di "avanti Cristo / dopo Cristo" e non più in quello di "avanti il Covid / dopo il Covid". Con qualche eccezione a discrezione dei vescovi diocesani, che possono «disporre o suggerire alcune norme prudenziali come l'igienizzazione delle mani prima della distribuzione della Comunione o l'uso della mascherina per la visita ai malati fragili, anziani o immunodepressi». Circostanze specifiche e ben delimitate, che speriamo nessuno voglia estendere per giustificare l'ulteriore protrarsi di uno "stato di emergenza liturgico" che perdura da più di tre anni. E creando un precedente non poco significativo, prima lasciando che l'autorità civile dicesse se andare o meno in chiesa; poi che si intromettesse anche nel modo di amministrare i sacramenti, senza battere ciglio - mentre gli ortodossi lo hanno battuto eccome (si vedano i due differenti protocolli).UNA RIFLESSIONE SUL PASSATO E UNA SUL FUTUROSi impone una riflessione sul passato e una sul futuro. A tre anni di distanza, perché non chiedersi anche con una sana autocritica, cosa poteva offrire (e non ha offerto) la Chiesa in quel frangente? E in quanto Chiesa, al di là dei casi pur numerosi di singoli sacerdoti sopra ricordati o di singole voci isolate come quella di mons. Giovanni d'Ercole (vox clamantis in deserto). Non si può certo tacere l'impressione che, talora, la preoccupazione per la salute dei corpi sia stata superiore a quella per la salus animarum; che le mani di troppi sacerdoti fossero più impegnate a igienizzarsi che a benedire ed assolvere. Che nel momento di maggiore sofferenza, non solo fisica, ma anche psicologica e spirituale, a un numero troppo grande di anime, pressoché vicino al totale, la Chiesa che pur si vanta di essere "ospedale da campo" abbia detto: restate a casa e curatevi da soli. È il senso del cartello apposto sulla porta di un santuario: «Confessioni e messe sospese. Pregate in casa». Forse che ci si può assolvere da soli? Se il precetto festivo può essere modificabile per disciplina ecclesiastica, la confessione sacramentale non lo è, per diritto divino.Sul futuro, già nell'aprile 2020 mons. d'Ercole scriveva: «Vedremo nel tempo quale effetto abbia causato questa quarantena con l'assenza delle celebrazioni, dei funerali, dei battesimi e del contatto diretto tra pastori e fedeli». L'effetto lo si è visto sin dalla riapertura delle celebrazioni pubbliche: tanti i posti vuoti tra i banchi, lasciati dalle vittime dell'allarmismo o semplicemente dell'inerzia. Posti lasciati vuoti da una pastorale che nei tre mesi precedenti aveva proclamato quale sommo comandamento dell'amore: "Non contagerai il prossimo tuo" (anche se magari eri perfettamente sano). Torna alla mente un libro del cardinal Giacomo Biffi intitolato Il quinto Evangelo, in cui, con la consueta ironia immaginava il ritrovamento di testi "originali" che avallavano finalmente le parole d'ordine più alla moda. Biffi morì nel 2015, ma se fosse vissuto ancora qualche anno avrebbe potuto fare lo stesso con gli Atti degli Apostoli, descrivendo così i cristiani al tempo della pandemia: «Erano assidui nell'ascoltare la conferenza stampa del premier e nel distanziamento fraterno e nel seguire in tv la frazione del pane...».
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7390L'UNZIONE DEGLI INFERMI E' OBBLIGATORIA di Gelsomino Del GuercioPrima di morire [...] non è una formalità garantire un sacramento a una persona. Ma dovrebbe essere dovere di ogni cristiano. E vi spieghiamo perché.Come si legge in "Le più efficaci preghiere in suffragio dei defunti" a cura di Don Marcello Stanzione (edizioni Segno), la morte non è qualcosa di spaventoso per il cristiano. "Vita mutatur non tallitura" (la vita è cambiata non è tolta) ci fa recitare la Liturgia (Prefazio della messa dei defunti); dopo la morte la nostra anima continua a vivere, per chi muore in stato di grazia; essa entra in una vita migliore, nell'attesa di ritrovare il suo corpo il giorno del giudizio universale per farlo partecipare alla felicità eterna.Un tempo, si legge nel libro di Stanzione, riguardo ai deceduti si diceva: "Ha ricevuto i sacramenti? Si è confessato? Ha perdonato?". Oggi invece si dice: "Ha sofferto?". Così spesso si nasconde ai malati la vicinanza della morte o per ignoranza (perché non si conoscono gli effetti dei sacramenti) o per mancanza di fede e di spirito cristiano. Purtroppo non si ha una concezione cristiana della morte e si pensa: "come reagirà il malato se si fa venire il sacerdote? Avrà paura, si dispererà?". Queste obiezioni purtroppo sono correnti.Per confutarle Stanzione cita, il dottor Pierre Barbet, che fece il resoconto di una lunga esperienza: «Vi sono nella malattia, nelle sofferenze, delle grazie particolari delle quali noi medici constatiamo gli effetti, esse mettono per bontà divina i malati gravi e moribondi in uno stato migliore che non si può supporre e al quale non pensano ordinariamente le loro famiglie. E' un fatto sul quale occorre insistere perché è poco conosciuto e il fatto di non conoscerlo comporta ad ogni istante dei malintesi spaventosi, mentre facilita moltissimo tutti gli interventi dei parenti: il malato grave, il morente ha quasi sempre un desiderio segreto del sacerdote e dei soccorsi della religione».QUANDO DARE L'UNZIONE DEGLI INFERMIL'autore del libro fa una sollecitazione ai lettori: domandate fin da adesso ai vostri cari che abbiano il coraggio di avvertirvi quando la morte sarà vicina o di farvi avvertire da un sacerdote. Certamente occorrerà farlo sempre con delicatezza e prudenza. Va ricordato che a Chiesa raccomanda di ricevere i sacramenti quando si è ancora sani di mente e con qualche speranza di vita. Infatti il Catechismo del Concilio di Trento, al paragrafo 269, afferma: "Ricordiamo che cadono in grave colpa coloro i quali sogliono ungere i malati solo quando, svanita ogni speranza di guarigione, cominciano a perdere i sensi e la vita. Invece è certo che a conseguire più abbondante la grazia sacramentale, giova moltissimo che al malato sia applicato l'olio santo quando ancora conserva lucide l'intelligenza, pronta la ragione e pia la volontà".Quanti malati gravi, purtroppo si lasciano nelle angosce e nelle prove, nascondendo loro che la morte si avvicina, privandoli così dei conforti della religione.L'Unzione degli infermi, che in passato era nota con il nome di «Estrema Unzione», si riceve mediante l'unzione con olio di oliva consacrato e la preghiera del sacerdote, la salute dell'anima e spesso anche quella del corpo.Ora cerchiamo di capire perché è così importante.Questo sacramento manifesta quanto è grande la bontà di Dio nei nostri riguardi, infatti con esso l'anima viene fortificata, perché col conferimento della grazia sacramentale, essa riceve le grazie attuali che l'aiutano a perseverare nel bene fino alla morte, rimette i peccati mortali che l'infermo pentito non potesse più confessare (purché l'infermo abbia almeno l'attrizione, cioè il dolore imperfetto dei propri peccati), e le pene dovute ai peccati; e se ciò è utile all'anima ottiene pure la guarigione del corpo.CHI DEVE E CHI NON DEVE RICEVERLE QUESTO SACRAMENTOAnche Roberti e Palazzini nel loro Dizionario di Teologia morale, come tutti gli altri buoni testi, ci confermano che: "È evidente che l'estrema unzione non può essere amministrata a coloro che sono già morti. Siccome però non è da escludere la possibilità di uno stato di vita latente che, almeno in certi casi, si protrarrebbe per qualche tempo, dopo cessate le pulsazioni del cuore e la respirazione, la Chiesa, quale pia madre, permette di amministrare entro breve tempo da questa cessazione, sotto condizione, l'estrema unzione a coloro che ci appaiono morti, ed entro un tempo ancor più lungo, se sono stati colpiti da morte improvvisa".Il Codice di Diritto Canonico del 1917 al can. 940§1 riporta che per ricevere validamente l'Estrema Unzione è necessario che il soggetto sia in stato di viatore (cioè essere ancora in vita), sia stato battezzato abbia raggiunto l'uso di ragione, sia in pericolo di vita per causa di malattia o di debolezza senile e infine abbia l'intenzione di riceverla.Oggi, scrive ancora Stanzione in "Le più efficaci preghiere in suffragio dei defunti" vi è l'abitudine di amministrare questo sacramento alle persone anziane di una certa età, anche se sane. Dobbiamo però precisare che: "può ricevere l'estrema unzione il battezzato che ha raggiunto l'età della discrezione e che si trova in pericolo di vita a cagione di malattia, non colui il quale benché prossimo alla morte è ancora in buona salute. (can. 940 §I)". [...]
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7330SAN FRANCESCO DI SALES E IL TRIBUNALE DELLA PENITENZA di Cristiana de MagistrisLa quaresima è il tempo penitenziale per antonomasia, e la penitenza per antonomasia è la penitenza sacramentale, la quale soltanto - a differenza delle altre pratiche penitenziali, per quanto austere - ha il potere di ripristinare nell'anima di ogni battezzato la grazia santificante, cioè la vita di Dio, se avesse avuto la disgrazia di perderla col peccato mortale.L'abbé Barthe, in un recente articolo, dopo aver giustamente sottolineato la crisi che attraversa questo Sacramento a partire dal Vaticano II, auspica una "risalita", conseguente all'ecatombe degli ultimi cinquant'anni.A questa risalita potrà forse contribuire un opuscolo - non molto conosciuto - che san Francesco di Sales scrisse ai suoi sacerdoti per erudirli sull'amministrazione del Sacramento della penitenza.In tale scritto il Santo - come si legge nella sua Vita composta dal curato di san Sulpizio (Torino 1922, pp. 195-199) - incomincia con il raccomandare ai sacerdoti di andare sempre al sacro tribunale con una profonda purità di coscienza ed un'ardente desiderio di salvare le anime; poi aggiunge: «Ricordatevi che i poveri penitenti vi chiamano loro Padre, e che perciò dovete avere per essi un cuore tutto paterno, riceverli con dolcezza, sopportare con pazienza la loro rusticità, la loro ignoranza e tutti i loro difetti, ad imitazione del padre del figliuol prodigo, che non si lascia respingere dallo stato stomachevole di nudità e di sordidezza in cui vede ridotto il figlio, ma lo abbraccia, lo bacia con trasporto d'amore perché è padre, ed il cuor di padre è tenero verso i figli».IL SACERDOTE CONOSCE L'UMANA DEBOLEZZAIn base a questo principio, vuole che si incoraggino quelli i cui peccati rendono vergognosi e timidi, dicendo ad essi che il sacerdote conosce troppo bene l'umana debolezza, perché si meravigli che gli uomini pecchino; che l'uomo più si onora con il pentimento e con la confessione delle proprie colpe, di quello che si sia disonorato con gli stessi suoi falli, e che la penitenza è una seconda innocenza. Se, all'opposto, i penitenti sembrano senza timore, vuole che si rammenti loro che sono alla presenza di quel Dio che li giudicherà, e non già di un uomo; che per essi in quel momento si tratta di una eternità felice o infelice, e che con una confessione mal fatta si macchierebbero di un nuovo delitto. Quanto a coloro che mancano di confidenza, inculca di rappresentare loro la misericordia di Dio, che è più grande delle nostre miserie; la bontà di Gesù Cristo, il Quale pregando per i Suoi carnefici ci fa intendere che, se lo avessimo crocifisso anche con le nostre proprie mani, ci perdonerebbe ugualmente, se ci vedesse pentiti; che il minimo pentimento, purché sia sincero e accompagnato dal Sacramento, dinanzi a Dio ha la virtù di cancellare tutti i peccati; che i dannati e i demoni stessi sarebbero giustificati se potessero confessarsi con sentimento di contrizione; che i più grandi Santi spesso sono stati grandi peccatori, come Davide, san Pietro, san Matteo, santa Maria Maddalena, sant'Agostino; che la più grave ingiuria che si possa fare alla divina Bontà e alla Passione e Morte di Gesù Cristo è il non sperare di ottenere il perdono dei propri falli; e che, infine, la remissione dei peccati è un articolo di Fede.I PECCATI VERGOGNOSIIl Santo suggerisce poi le sante industrie con le quali conviene strappare la tanto difficile accusa dei peccati vergognosi, e condurre, come egli dice, pian piano e destramente le belle anime dei penitenti a fare una buona confessione, aiutandoli, lasciandoli parlare senza trovar di che dire sul loro modo di esprimersi, animandoli con queste o altre simili parole: «Quale grande grazia vi fa Dio di ben confessarvi! Conosco che lo Spirito Santo vi muove per farvi fare una buona confessione. Abbiate coraggio: dite francamente... ben presto avrete un sommo contento di esservi ben confessato, e nessuna cosa di questo mondo vi sembrerà da paragonarsi con la felicità di avere interamente sgravata la vostra coscienza; quale consolazione per voi nell'ora della morte di aver fatta questa buona confessione!».Quindi il santo Vescovo passa alle interrogazioni da farsi ai penitenti, dopo che hanno finito l'accusa; per conoscere tanto il numero dei peccati, con le circostanze che ne mutano la specie, li aggravano o li diminuiscono, e spesso anche li moltiplicano in un solo atto, quanto i peccati di pensiero e di desiderio, che molte volte non si confessano, e anche quelli che si sono fatti commettere al prossimo.Tanta sapienza unita a tanta prudenza mostra con chiarezza che il Sacramento della penitenza richiede una specialissima diligenza nei confessori, i quali nell'atto di assolvere amministrano il Sangue di Cristo. Occorre dirlo con chiarezza: si tratta di un tribunale in cui si incontrano un reo confesso (il penitente) e un giudice (il confessore). Non si può ridurre la confessione ad uno sterile elenco di mancanze e neppure ad una conversazione, per quanto spirituale. Non è questa la natura del Sacramento. Il Confessore non è un accompagnatore, e tantomeno un amico spirituale: nell'atto in cui confessa egli siede come padre ma soprattutto come giudice, e perciò ha tutti i diritti, e talvolta il dovere, di fare domande prima di emettere la sentenza dell'assoluzione, che può anche negare, qualora lo giudichi necessario.LE REGOLE PER L'ASSOLUZIONEL'Autore tratta poi delle regole per l'assoluzione e dei casi riservati, quindi della penitenza da imporre, che vuole sia tale che il penitente la faccia volentieri e sia un preservativo contro le ricadute. Infine, esorta i Confessori a raccomandare ai loro penitenti di confessarsi e comunicarsi spesso, di assistere alle prediche e istruzioni, di leggere buoni e devoti libri, di fuggire le cattive compagnie e frequentare le buone, di pregare spesso, di fare ogni sera l'esame di coscienza, di pensare ai quattro Novissimi, e di avere un Crocifisso e delle sante immagini da baciare spesso.Tali sono le regole che prescriveva il santo Prelato al suo clero. Ed era il primo a metterle in pratica. Nel processo di canonizzazione del Santo, i sacerdoti e religiosi di Annecy deposero con giuramento che il pio Vescovo aveva ordinato a tutti loro di mandare al suo confessionale i più poveri e miserabili, come pure le persone affette da mali ripugnanti e nauseabondi perché, diceva, quantunque siano le più bisognose, sono in genere le più abbandonate. Alcuni anni prima, nel 1593, quando si trovava nello Chablais, il Santo - dopo averli istruiti - confessò alcuni soldati, uno dei quali cadde in profondo abbattimento dopo aver udito un sermone di Francesco sull'orrore del peccato. Il Santo ne prese una scura speciale, alloggiandolo nella propria abitazione, mangiando con lui e istruendolo sulla confessione, che il soldato fece a più riprese. Il Santo, commosso dalla sua contrizione, gli impose per penitenza solo un Pater e un'Ave. Il soldato protestò, sembrandogli quella penitenza sproporzionata all'enormità dei suoi delitti, ma il Santo rispose: «No, confidate nella divina misericordia, che è assai maggiore delle vostre iniquità, e in quanto alla penitenza farò io il resto». In quest'occasione il santo Vescovo non solo pregò per il suo penitente, ma spinse la sua sconfinata carità fino ad una sorta di "soddisfazione vicaria", come faceva, in tempi più recenti, padre Pio di Pietrelcina. Un eroismo non imposto né richiesto a tutti i confessori, ma certamente lodevole e raccomandabile.IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITIMa l'opuscolo sulla confessione prosegue. Siccome non di rado accadono delle illusioni, ed i Confessori sono esposti a prendere nei loro penitenti per ispirazioni dello Spirito Santo i suggerimenti dell'amor proprio, i traviamenti di un'immaginazione esaltata o le suggestioni dello spirito delle tenebre, il santo Vescovo credette dover aggiungere nel suo scritto alcune regole per il discernimento degli spiriti.Secondo questo sperimentato maestro, i contrassegni dello Spirito di Dio sono:1. l'umiltà, che insegna all'uomo a conoscere la propria debolezza, a tremare considerando sé stesso, ma a sperare mirando Dio;2. la dolcezza e la carità nel tollerare i difetti del prossimo;3. l'amore ai patimenti e alla pazienza;4. l'obbedienza, che ama lasciarsi guidare.Al contrario, i contrassegni dello spirito di menzogna sono:1. l'amor proprio che conta sopra la sua virtù, che stima il suo giudizio ed il suo modo di intendere, cerca di comparire e di farsi conoscere, è schizzinoso e facile ad offendersi;2. lo zelo amaro e senza compassione per i difetti altrui;3. l'impazienza, che si lagna nei patimenti e si disanima nelle difficoltà;4. l'orgoglio e l'ostinazione, che mai non sanno sottomettersi.Tutti questi saggi consigli furono accompagnati da una lettera dedicatoria, ben degna di essere riportata.«Miei carissimi fratelli - così scrisse il Santo al suo clero - l'ufficio che esercitate è eccellente, giacché Dio vi ha scelti per giudicare le anime con tanta autorità che le giuste sentenze che pronunziate sulla terra vengono confermate in Cielo, e le vostre labbra sono i canali per i quali la pace scorre dal cielo in
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7100LO SCANDALO DELLA MESSA SUL MATERASSINOUn sacerdote celebra in costume nel mare di Crotone: la procura indaga per offesa alla religione, poi il sacerdote chiede scusa sul sito della parrocchia, ma precisa ''una signora mi ha ringraziato dicendomi che si era sentita raggiunta dalla Chiesa anche in spiaggia''di Giuliano GuzzoLa vicenda di don Mattia Bernasconi, il sacerdote milanese che domenica scorsa ha celebrato l'eucaristia in mare - su un materassino - in località Alfieri (Crotone), nelle scorse ore ha conosciuto almeno due elementi di sviluppo. Il primo è dovuto ad una iniziativa della procura crotonese che, dimostrando più tempestività delle autorità ecclesiali, ha deciso indagare il sacerdote della parrocchia di San Luigi Gonzaga di Milano per offesa ad una confessione religiosa. Il secondo dato di novità sono invece le scuse del sacerdote in questione che, sul sito della parrocchia, ha pubblicato una lettera in tal senso.«Carissimo Arcivescovo Mario, carissimi vicari episcopali, carissimi confratelli, carissimi fratelli e sorelle nella Fede», è l'esordio della nota, «vi scrivo poche ma sentite righe per chiedere scusa per la celebrazione di domenica 24 mattina nelle acque del mare di Capo Colonna». Tutto bene, dunque? Non proprio, e non solo perché, come si diceva poc'anzi, l'episodio rischia di avere conseguenze giudiziarie. Infatti, il sacerdote, formulando le sue scuse, ha da una parte derubricato tutto ad una leggerezza («mi rimprovero forse un po' di ingenuità») - quasi avesse posteggiato l'auto in doppia fila, anziché mancare gravemente di rispetto alla Presenza reale di Gesù nell'eucaristia - e, dall'altra, ha aggiunto una considerazione spiazzante.«Però una signora mi ha ringraziato», ha replicato don Mattia, «dicendomi che si era sentita raggiunta dalla Chiesa anche in spiaggia». Un pensiero che andrebbe benissimo se di mezzo ci fosse l'attività di vendita di birra o di cocco fresco; ma un sacerdote - anche se forse il concetto non è forse più così chiaro - è qualcosa di leggermente diverso dall'uomo del «cocco bello». Soprattutto, la Santa messa è qualcosa di anni luce diverso da un semplice intrattenimento in salsa religiosa, da allestirsi dove capita. Peccato, pure qui, che però il significato originale della celebrazione della liturgia si sia perso spesso di vista in favore di degenerazioni sconcertanti.Dinnanzi a tutto questo, amareggia ancora più un fatto: il debutto della messa sul materassino gonfiabile era stato in qualche modo previsto. E non l'anno scorso, ma decenni or sono quando l'allora cardinale Joseph Ratzinger, intervistato da Vittorio Messori in un libro che fece epoca - Rapporto sulla fede (1985) - ebbe a rammentare: «La liturgia non è uno show, uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di attori di talento. La liturgia non vive di sorprese " simpatiche ", di trovate " accattivanti ", ma di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l'attualità e il suo effimero ma il mistero del Sacro». Ora, perché sono significative tali valutazioni?Per un motivo semplice: pur togliendo le parole, tanto è grave, il caso del sacerdote che arriva a dire messa sul materassino gonfiabile non è il problema, bensì la più estrema conseguenza di un problema. Che è quello di celebrazioni improvvisate, disordinate e, in definitiva, della totale mancanza di consapevolezza di che cosa sia l'eucaristia, anzi di Chi sia. A non saperlo, non è una novità, sono anzitutto milioni di fedeli ogni domenica, non c'è dubbio. Il punto è che, se ad istruire e a formare questi stessi fedeli, sono poi pastori che a loro volta preferiscono il mare all'altare, stiamo freschi; e in tutti i sensi, anche se purtroppo la cosa è ben poco consolante.Nota di BastaBugie: Stefano Chiappalone nell'articolo seguente dal titolo "La liturgia annega nel mare di Crotone" spiega che la Messa celebrata in acqua, con il celebrante in costume e usando un materassino come altare, è il culmine di decenni di sperimentazioni in cui ciascuno si sente padre-padrone del culto, da manipolare a piacere, nell'indifferenza di una gerarchia che sanziona soltanto la TradizioneEcco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 26 luglio 2022:Le foto che stanno facendo il giro del web parlano da sole: una Messa in mare utilizzando un materassino come altare, con tutti i presenti in costume, compreso (ovviamente) il celebrante. A che pro? Nel corso dei decenni le hanno tentate tutte per mostrare una Chiesa "accattivante" (o semplicemente modaiola), ma a don Mattia Bernasconi va riconosciuto senz'altro il "merito" di aver superato tutti gli altri, buttando - letteralmente - a mare quel che resta della sacralità del culto cattolico ma anche del buon senso.La bizzarra liturgia è avvenuta al termine di un campo di volontariato a Crotone, organizzato da Libera (l'associazione fondata da don Luigi Ciotti). Qui il giovane sacerdote ambrosiano, viceparroco della Comunità Pastorale San Luigi Gonzaga di Milano, ha portato i suoi ragazzi a trascorrere alcuni giorni tra escursioni e incontri sulla legalità, al termine dei quali, essendo domenica, si doveva pur onorare il giorno del Signore. Ma dove? In chiesa sarebbe parso troppo scontato: «Avevamo scelto una pineta di un campeggio ma era occupata da un'altra iniziativa. Faceva molto caldo e così ci siamo detti: perché non fare la Messa in acqua? Una famiglia che si trovava nei pressi ci ha sentito parlare ed ha messo a disposizione il loro materassino che abbiamo trasformato in altare. È stato bellissimo anche se ci siamo scottati», riferisce il sacerdote.Il diritto canonico sembrerebbe pensarla diversamente: «La celebrazione eucaristica venga compiuta nel luogo sacro [cioè, in chiesa], a meno che in un caso particolare la necessità non richieda altro; nel qual caso la celebrazione deve essere compiuta in un luogo decoroso» (Can. 932 §1). Ci sarebbe da dire sia sul luogo «decoroso» (che dovrebbe significare anche: adatto all'azione sacra), sia sulla «necessità»: possibile che non ci siano chiese a Crotone? Immaginiamo che non fossero raggiungibili facilmente dall'allegra brigata costringendola a "improvvisare"... però «il sacrificio eucaristico si deve compiere sopra un altare dedicato o benedetto; fuori del luogo sacro può essere usato un tavolo adatto, purché sempre ricoperto di una tovaglia e del corporale» (ivi, §2). Almeno un tavolo, non un materassino! E perché in mezzo all'acqua invece che sulla riva, non avranno mica naufragato? La mobilità dell'altare "aquatico" non avrà forse favorito la dispersione di frammenti? E come sarà andata per la comunione? La sacra particola avrà cominciato a sciogliersi sulle mani probabilmente bagnate... Senza contare la possibilità che un'onda anomala travolgesse l'anomalo altare con tutto il Corpo e Sangue.Se in contesti drammatici sacerdoti e fedeli sono stati costretti a celebrare con mezzi di fortuna, qui non siamo in un campo di concentramento, né in guerra, per cui l'unica «necessità» ipotizzabile è l'insopprimibile smania di protagonismo che da decenni spinge il clero a escogitare infinite variazioni di quella lex orandi che dicono sia e debba essere unica, ma invece si rivela di fatto una, nessuna, centomila.La "Missa aquatica" di Crotone è la vetta (o l'abisso?) di una liturgia concepita come campo di battaglia in cui "vince" chi la inventa più grossa, annegando - è il caso di dirlo - l'unico vero Protagonista.Ancora una considerazione, sul piano più laico: immaginereste un giudice che, spinto dalla calura e dal desiderio di mostrarsi cool, decidesse di tenere un processo in spiaggia, col costume invece della toga? O un giornalista che trasmettesse il telegiornale a bordo piscina? Qualunque sia l'ambito, nell'esercizio delle proprie funzioni ciascuno tende a presentarsi in modo professionale. Ne va della serietà di ciò che sta compiendo. Non dovrebbe valere, a maggior ragione, per chi compie la più elevata delle funzioni, la più sacra delle azioni? A meno di non ridurre la Messa a un gioco di società... Il tutto con un sottinteso senso di "impunità", sapendo di poter stravolgere il mistero affidato loro, ben sapendo di non rischiare nulla (curioso paradosso, dopo un campo sulla "legalità": vale solo per le norme civili, mentre il Corpo di Cristo si può manipolare a piacimento?). Di certo il comunicato della diocesi di Crotone («è necessario mantenere quel minimo di decoro e di attenzione ai simboli richiesti dalla natura stesse delle celebrazioni liturgiche») non basterà a dissuadere il don Mattia di turno dal presentare il proprio numero sulla scena del cabaret liturgico, mentre gli unici a subire sanzioni concrete sono quei sacerdoti che celebrano con pietà e riverenza secondo un rito usato per secoli nella Chiesa.La Messa di don Mattia è in realtà l'epifania della "pastorale della spoliazione", che credeva di togliere orpelli e ha finito per perdere di vista la sostanza. Pur di "avvicinare" la gente (che non si è avvicinata affatto) alcuni chierici hanno iniziato spogliando gli altari. Poi hanno ridotto i paramenti, limitandosi a camice e stola, talvolta soltanto la stola. Infine, sono rimasti in mutande, pardon, in costume. Sarà stato, almeno quello, del colore liturgico giusto?
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3631NON LASCIAMO CHE LA QUARESIMA PASSI INVANODigiuno, preghiera, carità: alcuni consigli pratici per rinunce e propositi per vivere bene questo momento di graziadi don Stefano BimbiSe a un fedele che va alla Messa o a un ragazzo che frequenta il catechismo chiediamo di dire, magari nell'ordine, i dieci comandamenti probabilmente avrà qualche difficoltà. Eppure in confessione dobbiamo accusarci dei peccati mortali e allora ci si chiede come possa farlo chi non sa nemmeno elencare i comandamenti. Se poi chiediamo a chi va a confessarsi se conosce i precetti generali della Chiesa, forse avremo delle brutte sorprese. Può darsi che nemmeno sappia che sono cinque. Eppure anche questi sono obbligatori per tutti sotto pena di peccato mortale e quindi, al pari dei comandamenti, da confessare in caso di mancato adempimento.Eccoli dunque così come sono formulati nel Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica: partecipare alla Messa la domenica e le altre feste comandate [per l'assoluzione del precetto vale anche la Messa del sabato pomeriggio, anche se è meglio partecipare la domenica, giorno del Signore, n.d.A.] e rimanere liberi da lavori e da attività che potrebbero impedire la santificazione di tali giorni; confessare i propri peccati almeno una volta all'anno; ricevere la Comunione almeno a Pasqua; astenersi dal mangiare carne e osservare il digiuno nei giorni stabiliti dalla Chiesa; sovvenire alle necessità materiali della Chiesa, secondo le proprie possibilità.DIGIUNO E ASTINENZAIn vista della quaresima vediamo di approfondire almeno il quarto precetto il quale afferma che il cristiano deve "astenersi dal mangiare carne e osservare il digiuno nei giorni stabiliti dalla Chiesa". Appare innanzitutto opportuno precisare il contenuto di questo precetto alla luce del documento del 1994 della Conferenza Episcopale Italiana "Il senso cristiano del digiuno e dell'astinenza" che contiene al numero 13 alcune disposizioni normative, tuttora vigenti.La legge del digiuno "obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po' di cibo al mattino e alla sera". Ovviamente questa è la forma minima di digiuno. Come però è obbligatorio confessarsi una volta all'anno, ma ovviamente ciascuno capisce bene che è molto salutare ricevere l'assoluzione dai peccati molto più spesso, così anche il digiuno può e deve essere adeguato al cammino spirituale e alla salute del penitente. Insomma fare digiuno totale dal cibo nei giorni previsti è possibile a tutte le persone adulte e in buona salute fisica.La legge del digiuno obbliga dai diciotto ai sessanta anni e deve essere osservata il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo (facoltativamente estendibile anche al Sabato Santo). Per il rito ambrosiano il digiuno il primo venerdì di quaresima sostituisce quello del Mercoledì delle Ceneri.La legge dell'astinenza, che obbliga dai quattordici anni in poi, "proibisce l'uso delle carni, come pure dei cibi e delle bevande che (...) sono da considerarsi come particolarmente ricercati e costosi".L'astinenza "deve essere osservata in tutti e singoli i venerdì di quaresima, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità" (ad esempio: il 19 marzo, San Giuseppe e il 25 marzo, solennità dell'Annunciazione). Inoltre l'astinenza dalle carni e dai cibi ricercati e costosi deve essere osservata tutti i venerdì dell'anno, ma fuori dalla quaresima può essere sostituita da altra rinuncia a scelta del fedele.Il documento CEI ricorda infine che "dall'osservanza dell'obbligo della legge del digiuno e dell'astinenza può scusare una ragione giusta, come ad es. la salute". Quindi i malati o coloro che devono fare lavori estremamente faticosi possono essere dispensati dalle penitenze. Infatti, a norma del canone 1245 del Codice di Diritto Canonico "il parroco, per una giusta causa, (...) può concedere la dispensa dall'obbligo di osservare il giorno di penitenza, oppure commutare in altre opere pie".In passato i matrimoni erano vietati in quaresima, ma questo divieto non è più in vigore. Questa proibizione risultava dai precetti generali della Chiesa e, quindi, la Chiesa come ha il potere (datole da Cristo) di introdurre dei precetti, ha anche il potere di modificarli o cancellarli. Invece la Chiesa non può cambiare i dieci comandamenti che sono stabiliti da Dio stesso. Nessun Papa potrà, ad esempio, rendere lecita l'uccisione dell'innocente o modificare l'indissolubilità del matrimonio.RINUNCE E BUONI PROPOSITIInfine occorre ricordare che in quaresima siamo invitati a fare delle rinunce e dei buoni propositi. Perché? Ci basti pensare all'anno scorso: la quaresima è stato un periodo speciale oppure ci è capitato di arrivare a Pasqua fiaccamente e, soprattutto, senza che questo periodo abbia minimamente influito nella nostra vita?Spesso ci poniamo un obiettivo (ad esempio: dimagrire oppure ottenere un risultato lavorativo, scolastico o sportivo) e facciamo degli sforzi per riuscire in ciò che ci preme realizzare. Perché quando si parla di Dio o del cammino di santità lasciamo al caso o all'improvvisazione?Per coloro ai quali interessa davvero fare qualche passo avanti ci viene incontro la Chiesa con i suoi materni consigli per questo periodo: digiuno, preghiera, opere di carità. Nulla di nuovo, visto che già i Padri della Chiesa nei primi secoli avevano caro questo trinomio.Innanzitutto il digiuno. Nella società dove il superfluo appare necessario va senza dubbio recuperata una libertà interiore con una maggiore sobrietà di vita. Perché allora non rinunciare a qualcosa che ci piace, ma che non è assolutamente necessario? Non pensiamo solo al consumo esagerato di cibo, ma anche, a titolo di esempio, a forme smodate e non rilassanti di divertimento, acquisti di indumenti e cianfrusaglie superflue, uso eccessivo di cellulare, televisione o internet, ecc. Magari lasciare un giorno alla settimana il cellulare a casa può sembrare impossibile da attuare, ma passato l'iniziale smarrimento ci accorgeremo che possiamo anche farne a meno. Del resto per quanto tempo gli uomini sono vissuti senza cellulare? E stiamo parlando di appena una ventina di anni fa...C'è da precisare che la rinuncia va fatta per qualcosa di lecito, non di illecito (bisogna smettere di bestemmiare sempre non solo in quaresima) e inoltre si sospende la domenica in quanto la domenica è il giorno del Signore e si ricorda la risurrezione di Gesù: è quindi un giorno di festa (anche in quaresima) e non si può fare penitenza in un giorno di festa. Ecco quindi perché la quaresima deriva il nome dal numero quaranta, ma questi sono i giorni di penitenza, non la durata totale (che comprendendo le domeniche è dunque più lunga di quaranta giorni).Ovviamente quanto risparmiato con la rinuncia va poi destinato ai poveri, altrimenti rischia di diventare ascetismo autocompiacente; insomma non vale evitare la cioccolata o il caffè in quaresima pensando: "Almeno dimagrisco oppure economizzo dei soldi per poi andare a cena fuori quando voglio!".PREGHIERA E OPERE DI CARITÀIl secondo impegno quaresimale è la preghiera. Quante volte ci capita di dire di non avere tempo per pregare! Eppure, come in tutte le cose che ci interessano veramente, basta fare un po' di spazio nella giornata. Perché non riscoprire il rosario, l'angelus a mezzogiorno o la Santa Messa, magari quotidiana? Oppure perché non leggere ogni sera, o almeno un giorno alla settimana, un libro di un santo oppure sulla vita di un santo? Un buon libro di meditazione è ad esempio "La filotea" di s. Francesco di Sales. Oppure perché non suggerire in famiglia, se non si fa già ordinariamente, la preghiera prima di ogni pasto unita alla proposta di spengere la televisione mentre si mangia per poter parlare in tutta calma?Infine il terzo impegno da prendere con serietà sono le opere di carità. Non si tratta di fare l'elemosina, ma di amare. Le sempre valide opere di misericordia corporali e spirituali possono darci molte indicazioni. E non bisogna per forza pensare alle persone sfortunate che stanno a migliaia di chilometri da noi; impariamo a vedere i bisogni materiali e morali di chi soffre intorno a noi. E poi perché non dedicare più tempo ai figli? Oppure perché non andare a trovare persone anziane o sole?Ovviamente le rinunce quaresimali vanno concordate con il padre spirituale il quale, conoscendoci, saprà indirizzarci meglio di noi stessi nel cammino di purificazione necessario alla nostra anima per liberarci dalla zavorra del peccato e dei vizi che si sono radicati in noi.Lasciamoci guidare dal Signore e mettiamoci tutto il nostro impegno affinché non accada che, anche quest'anno, la quaresima passi invano!Nota di BastaBugie: ecco un elenco di rinunce quaresimali tra le quali puoi scegliere quelle più adatte alla tua condizione di vita.Qualunque cosa farai durante questa Quaresima falla nel segreto perché tu non perda la tua ricompensa. Gesù ci ha insegnato infatti che se gli altri la sapranno, perderemo la nostra ricompensa, mentre se la faremo nel nascondimento il Padre Nostro che vede nel segreto ci ricompenserà.Rinunce per tutti:- Lavarsi le mani con l'acqua fredda- Rispettare con l'auto i limiti di velocità- Non salare il proprio cibo- Mangiare il pasto freddo (basta metterlo in frigo 1 minuto)- Non lamentarsi mai della qualità e della quantità del cibo che ci è stato preparato- Dormire senza guanciale- Quando la sera si torna a casa, parcheggiare l'auto distante almeno 500 metri da casa- Non mettere piede nel proprio locale preferito (pub, bar, negozio di vestiti, ecc)- Non ascoltare musica in casa (oppure in auto)- Alzarsi sempre ad una certa ora prestabilita (es. alle 7.00, o alle 7.30 o alle 6.30) anche se non si ha niente da fare (e quindi si potrebbe dormire di più) o anche se la sera si è fatto tardi
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6739A DIO PUOI CHIEDERE TUTTO, MA NON PUOI PRETENDERE NULLA di Pierfrancesco NardiniC'è una specie di cortocircuito che colpisce alcuni nel momento del bisogno (fisico, lavorativo, famigliare, di qualunque tipo).Senza voler entrare nel foro interno delle persone, c'è chi prega Dio solo in quei momenti e sembra che lo faccia quasi pretendendo da Lui quel che si chiede.Per capirci meglio: si chiede a Dio una cosa (ad esempio di essere liberati da una situazione dolorosa) non solo dando per scontato che sia la soluzione giusta per loro, ma pretendendo che Lui gliela dia, altrimenti... "Dio è cattivo" [leggi la nota in fondo a questo articolo].Due premesse, intanto.Prima: è ovvio che sia cosa buona pregare in determinate situazioni (c'è anche chi, nella stessa condizione, bestemmia o non si rivolge a Dio); pregare però Dio, ricordarsi di Lui, solo nel momento del bisogno, fa sì che Lo si trasformi in una "macchinetta automatica di grazie"...Seconda premessa: pregare senza affidarsi, ma addirittura pretendendo, non è esattamente un "buon metodo".Dalle premesse si arriva velocemente alla nota dolente (sempre rimanendo, sia chiaro, nel foro esterno delle persone): si scorge in questo una mancanza di fiducia in Dio, una non reale volontà di chiedere aiuto a Dio. Sembra più una pretesa verso di Lui.Se chiedo aiuto ad un amico, senza però essere aperto ad un suo eventuale parere sulla validità della cosa, non sto realmente chiedendo aiuto, piuttosto sto solo chiedendo una "mano" materiale nel fare quel che voglio.Così, se mi rivolgo a Dio pretendendo che Lui mi mandi quel che voglio, non sto realmente chiedendo aiuto.Se l'amico potrebbe rendersi conto dell'inefficacia di una soluzione, Dio, onnisciente, sa per certo quel che per noi è davvero salutare. E questo non necessariamente coincide con quel che vogliamo...Il cortocircuito sopra accennato è quindi chiedere aiuto a Dio e poi prendersela con Lui se non ha fatto esattamente quel che abbiamo chiesto (proprio come prendere a pugni una macchinetta che non ha fatto uscire il prodotto richiesto).L'uomo, nella suo essere finito, ha una visione limitata della realtà, anche delle questioni che lo riguardano (a volte non si è lucidi, perché coinvolti, e non si indovina la scelta delle cose da fare).Quel che vogliamo per noi stessi non è sempre il reale bene (spesso perché ne vediamo solo l'effetto immediato, ma non quello futuro).Dio conosce invece tutto, anche e soprattutto ciò che accadrà in futuro e le conseguenze di ogni scelta, fatta o ipotizzata.Non si deve mai dimenticare, tra l'altro, che per Dio l'unico vero male è quello morale, ossia il peccato, e il bene supremo è la salvezza delle anime.Potrebbe dunque sembrarci che non ci aiuti, non accolga le nostre preghiere, quando invece avrà fatto per noi molto di più (perché ad esempio sa che a fronte di un disagio attuale il bene maggiore lo otterremo più in là, in altro modo).Sant'Agostino ha scritto che "chi con fede prega per le necessità della vita presente, con uguale misericordia può essere esaudito e non esaudito. Poiché il medico sa meglio del malato quello che fa bene all'infermo" (In libro Senten. Prosperi).Affidiamoci dunque realmente e sinceramente a Dio, combattendo ogni giorno per rimanere il stato di grazia. Abbiamo la certezza che Lui ci aiuterà.Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Piefrancesco Nardini, nell'articolo seguente dal titolo "Perché ce la prendiamo con Dio, se fa tutto per il nostro bene?" spiega perché Dio non è mai cattivo, nemmeno quando non fa quello che a noi sembra necessario.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 27 maggio 2021:"Mala tempora currunt". Quante volte abbiamo sentito questa esclamazione! A volte anche in riferimento a cose non relative alla Chiesa.Nella norma però è oramai frase strettamente legata alla crisi nella Chiesa e agli episodi frutto di questa.Si può però ben estendere anche ad altre situazioni, come ad esempio al modo in cui molte persone ai nostri giorni reagiscono alle vicissitudini della vita.C'è un'altra frase che mi è sembrata sempre efficace per far pensare: "Te la prendi con Dio per il male che ti capita e non lo ringrazi mai per il bene?".Purtroppo è proprio così. Sempre più spesso. Quante volte abbiamo sentito di chi ha "protestato" (eufemismo!) con Dio per qualche evento negativo, come se Dio stesso glielo avesse mandato, e mai è capitato invece di sentire quella stessa persona ringraziarlo per qualche cosa bella? E quante volte abbiamo sentito persone dire che "ce l'hanno con Dio" per una disgrazia, un male?Se ci pensiamo un attimo, questa cosa (l'avercela con Dio) è una soluzione facile e comoda.Sì, facile e comoda.In questo modo, infatti, non ci si deve sforzare ad esempio a cercare proprie eventuali responsabilità o a perdonare o a cambiare la propria vita o il proprio modo di pensare (e tanti altri esempi), ma, anche, si trova il capo espiatorio per tutto... Se la colpa è di Dio...Per questo possiamo usare la frase "mala tempora currunt" in questo contesto. Non possono essere che "mala tempora" quelli in cui sempre più persone assumono questo atteggiamento verso Dio...Eppure la Sacra Scrittura ci insegna a prevenire simili pensieri.La sempre più diffusa ignoranza delle nozioni della fede e l'indifferenza dilagante verso Dio, però, nascondono agli occhi del mondo quelle verità e quegli insegnamenti tanto semplici quanto fondamentali.Il salmo 18, 7 è uno di questi.Analizziamo velocemente le sue parole e ci renderemo conto della sua chiarezza.Nella sua semplicità questo salmo ci ricorda che Dio è in ascolto. Se il Figlio ci ha raccomandato di chiedere perché solo così ci sarà dato (Lc 11, 9), volete che non sia così?Quale atteggiamento deve avere, dunque, l'uomo verso Dio? Soprattutto in situazioni difficili?Quello della fiducia, dell'affidamento, del confidare.In un momento di angoscia (per un dolore, per un problema, per una malattia, per qualsiasi cosa) bisogna subito invocare Dio, gridare al Signore non parole di rabbia e di odio, ma richieste di aiuto, di grazie, di sostegno.Lui è sempre in ascolto, dal suo "tempio" ascolta la nostra voce, alle sue orecchie le nostre grida arrivano sempre.Non dubitiamo mai di questo.Formarsi è importante. Nel Catechismo di San Pio X leggiamo che «Dio non può fare il male, perché non può volerlo» in quanto Bontà infinita. Significa quindi comprendere la differenza tra male morale (il peccato, ossia il vero male, intollerabile da Dio) e male fisico (frutto del peccato originale), che quest'ultimo Dio lo può tollerare o volere "indirettamente" «per lasciar libere le sue creature», in quanto Dio stesso «ricava il bene anche dal male» (cit. n. 11 Catechismo) e quindi che, se mai il Signore tollera un male che ci capita, lo fa perché sa che da quel male ci arriverà un bene (altro che cattivo, quindi...). Qui rientrano anche i castighi di Dio, che sono sì possibili, ma che rientrano sempre nella prospettiva dell'amore, cioè della salvezza dell'anima.Non si può scendere nella spiegazione approfondita di questi punti, ma, per esperienza, sappiamo che, se ci si forma, li si imparano e, soprattutto, li si comprendono, con la conseguenza di non arrivare ad "avercela con Dio".Per questo preghiamo la Vergine di starci ancora più vicina nei momenti bui della nostra vita, così da evitare di rendere ancora più amari quei momenti con slanci rabbiosi verso Chi non lo merita, e di darci la forza di conoscere sempre più e sempre meglio la nostra fede, così da avere uno strumento unico nella nostra strada verso la santificazione.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6661COME VINCERE LE DISTRAZIONI NELLA PREGHIERAIl problema delle distrazioni nella preghiera non va sopravvalutato, infatti la pretesa di un raccoglimento assoluto porta allo scoraggiamento e all'inquietudine (invece bisogna perseverare come hanno fatto i santi)di Francesco CavinaMi sembra utile spendere alcune parole per presentare la specificità della preghiera cristiana. Non è possibile parlare della preghiera cristiana se non alla luce dell'incarnazione del Figlio di Dio, il quale ha voluto assumere la natura umana per dare all'uomo la possibilità di entrare nel mondo di Dio. Per Cristo, con Cristo ed in Cristo noi diventiamo creature nuove, figli adottivi di Dio, e siamo introdotti nell'intimità della Santissima Trinità. La vita cristiana, pertanto, si risolve nella comunione con le tre Persone divine: Padre, Figlio e Spirito Santo. La Chiesa, i sacramenti, la preghiera e l'esercizio della carità fraterna, che da essi sgorga, hanno lo scopo di educare "trinitariamente" la nostra anima; ci abituano a relazionarci con Dio nostro Padre; permettono a Cristo di prendere possesso della nostra esistenza; consentono alla Spirito di istruirci interiormente e di guidarci alla Verità.LA PREGHIERA È UN DONO DI DIONel cristianesimo, dunque, tutto viene dall'Alto. Anche la preghiera. Non a caso il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, parlando della preghiera in generale, afferma che "essa è sempre dono di Dio" (§534). Con questo dono Dio "nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé". (Dei Verbum, §2).Gesù parlando della preghiera ha posto l'insistenza sulla "necessità di pregare sempre, senza stancarci" (Lc 18,1; cfr. 1Tess 5,17). Non ha detto nella in merito alla perfezione della preghiera. Conoscendo la fragilità umana, Egli sa che la nostra preghiera è disturbata da pensieri, preoccupazioni, affanni. Il Catechismo della Chiesa cattolica riconosce che "la difficoltà abituale della nostra preghiera è la distrazione" (§2729). Il Signore, dunque, non pretende da noi risultati perfetti, ma chiede la perseveranza, chiede cioè di non arrenderci, coltivando il desiderio di offrire a Lui il nostro tempo ed il nostro cuore perché lo purifichi.San Luigi Maria Grignon de Montfort insegna che le distrazioni - sta parlando della preghiera del Rosario - si combattono "continuando il tuo Rosario, quantunque senza alcun gusto e consolazione sensibile: è un combattimento terribile, ma salutare all'anima fedele". Santa Teresa di Lisieux ci invita a sfruttare le distrazioni e confessa: "Anch'io ne ho molte, ma appena me ne accorgo prego per le persone il cui pensiero sta distraendo la mia attenzione, e in questo modo loro traggono beneficio dalla mia distrazione".LA PREGHIERA NON È UNA TECNICA DI CONCENTRAZIONE MENTALEIn conclusione, è bene ricordare che se la preghiera richiede attenzione, essa non va confusa con una tecnica di concentrazione mentale. La pretesa di conseguire un raccoglimento assoluto - dove sono assenti ogni forma di dispersione e distrazione - rappresenta un errore che può portare allo scoraggiamento, produrre inquietudine e abbandono della preghiera. Tale errore è oggi sempre più presente vista la diffusione di alcune pratiche, spesso provenienti dalla cultura asiatica, che non sono spiritualmente neutre.Dobbiamo, dunque, essere consapevoli della specificità della fede cristiana e della sua differenza rispetto a proposte che sono particolarmente insidiose. La vera risposta al problema delle distrazioni nella preghiera non risiede, infatti, in una maggiore concentrazione della mente, ma nel riconoscere la presenza di Dio, che nel suo infinito amore entra in dialogo con me per dirmi qualcosa che giorno dopo giorno cambierà la mia vita. Il Signore ci chiede di "rimanere" con Lui e di ricondurre a Lui, dopo ogni distrazione, il nostro spirito. Con questo combattimento, come insegna il Catechismo, noi dichiariamo la nostra scelta di amare il Signore e di donare a Lui il nostro cuore.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6659LA BELLEZZA E LA MODESTIA DEL VELO PER LE DONNE CRISTIANE di FedericaHo sempre ammirato le donne forti e semplici, come credo dovrebbe essere ogni discepola di Cristo.Il tipo di donna che vorrei essere è quella che se le si propone un comportamento nuovo, lo valuta alla luce della parola di Dio e del giudizio della Chiesa, poi decide se è buono o cattivo: se è buono lo fa suo con gioia e prontezza, se è cattivo lo scarta senza rimpianti.Ecco appunto, così vorrei essere. Nella realtà sono molto lontana da questo modello e sinceramente prima di decidermi a indossare il velo durante la Santa Messa ho passato un lungo percorso abbastanza tortuoso fatto di dubbi, ripensamenti, problemi immaginari e ogni tipo di scrupoli.Ho deciso di condividerli con voi per aiutare le altre donne che si sentano combattute interiormente su questo argomento.La verità è che ho cominciato a pensarci fin da bambina. Una domenica sentii la mia catechista redarguire un compagno di catechismo che si era presentato alla S. Messa dei ragazzi con il cappellino da baseball, ne rimasi molto stupita dato che non avevo mai fatto caso all'uso di mettere/togliere il cappello in diverse circostanze (nessuno dei miei familiari lo ha mai portato) inoltre avevo visto più volte la stessa catechista con un cappellino e le chiesi cosa ci fosse di male. Lei mi rispose di non preoccuparmi perché solo i maschi dovevano togliersi il cappello davanti a Dio allora io le chiesi "Ma come, le femmine no?" E lei mi rispose: "No, anzi, le donne si dovrebbero proprio coprire la testa".Nella mia semplicità di bimba pensai immediatamente "Che sciocchezza! Se si dovrebbe fare, perché non si fa?" e questo pensiero rimase così, inapplicato, nella mia testa per oltre un decennio.LO SAPEVO EPPURE NON LO FACEVOEro intimamente convinta che fosse meglio partecipare alla Santa Messa a capo coperto, tuttavia non lo facevo.I motivi erano vari, principalmente pensavo che, non facendolo più nessuno, se lo avessi fatto io tutti mi avrebbero guardata (e già questo mi pareva intollerabile, essendo all'epoca molto molto timida) ma pensavo anche "come può essere segno di modestia se poi io vado al centro dell'attenzione, non è piuttosto il contrario?"; "Io sono una peccatrice, sarebbe meglio che prima fossi completamente a posto nell'anima e pensassi poi all'abbigliamento esteriore" (Ma si può aspettare di diventare santi prima di fare qualsiasi opera buona? Per la serie aspetta e spera... Ora mi sembra una sciocchezza enormemente ridicola eppure ci ho messo davvero un sacco di tempo a superarla) "La gente crederà che io mi senta migliore delle altre donne" ed altre amenità.Per contro in molte occasioni consideravo i lati positivi di velarsi il capo, "In fondo, non è quello che fa anche la Madonna Santissima? E non dovremmo noi donne cristiane cercare di assomigliarle?" ed ecco gli immancabili scrupoli e sensi di colpa "Sei forse tu come la Madonna? No di certo! Che superbia!". Fatto sta che cominciai a cercare altri pareri e mi ritrovai a leggere e ascoltare varie prediche sul pudore e la modestia, così cominciai a prestare più attenzione al mio modo di vestire, soprattutto in estate, evitando abiti trasparenti, troppo aderenti e scollati.Un giorno mi trovavo con altre due amiche, di cui una cattolica e molto attiva nell'apostolato, che usò il mio abbigliamento per intavolare una discussione sulla castità. L'altra ragazza non era affatto convinta della necessità di mantenersi casti durante il fidanzamento e adduceva il pretesto che nel Vangelo non ci fosse questa indicazione, la mia amica non rispose affatto come avrei fatto io ma, tra tutti gli argomenti che si possono portare a sostegno della purezza, scelse di dire questo: "i cristiani non osservano solo ciò che è scritto nel Vangelo ma anche nelle lettere di San Paolo e S. Paolo dice che i fornicatori non entreranno nel Regno dei Cieli". Io sentii queste parole come se fossero state rivolte a me, perché sapevo bene che lo stesso Apostolo dice anche che le donne devono coprirsi il capo in chiesa.NON CI SONO PIÙ SCUSEOltre a questo, da neo sposina mi sono trovata ad organizzare un viaggio a Roma con mio marito e ho cominciato a ricercare informazioni su come partecipare all'udienza del Santo Padre (volevo capire se fosse possibile andare con i vestiti del matrimonio, nell'area vicino al Papa per ricevere la sua benedizione e farci una fotografia).Facendo qualche ricerca, mi imbattei quasi subito nel cerimoniale vaticano per le udienze private: ebbene scoprii che il protocollo prescrive alle donne abbigliamento scuro e sobrio, che copra gomiti e ginocchia, e (sorpresa!) un velo nero sul capo. Ora, se io trovo giusto che per incontrare la massima autorità esistente sulla terra si rispettino certi canoni esteriori di decoro e rispetto, non vedo perché non dovrebbe essere lo stesso in chiesa. Se sono ben disposta ad indossare il velo per incontrare il mio amatissimo Santo Padre, che è il vicario di Cristo in terra, perché non dovrei essere altrettanto felice di farlo per incontrare Gesù Cristo in persona, vivo e vero nella Santa Eucarestia?Da quel momento non ci sono più state scuse. Mi sono decisa ad acquistare un velo e indossarlo alla Messa, basta col rispetto umano! [...]Nota di BastaBugie: per antica tradizione il colore del velo è nero per le donne sposate e le vedove, bianco per le nubili. Le regine, sebbene sposate, possono portare il bianco.Per acquistare il velo muliebre, tra le tante proposte che si trovano in internet, consigliamo MONNICRAFT sia per la qualità che per il prezzo: clicca qui! https://amzn.to/3yl9tGH
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6444DOV'E' FINITA L'ELEGANZA DELLA DOMENICA?Un tempo si indossava l'abito più bello, mentre oggi della domenica rimane solo il pranzodi Corrado GnerreForse non ci si riflette abbastanza, ma il nostro mondo non solo si è capovolto in senso morale, tant'è che ciò che è normale è diventato anormale e ciò che anormale, normale. Si è capovolto anche nelle piccole cose, che poi tanto piccole non sono.Pensiamo alla Domenica. Non ci riferiamo solo al fatto che ormai la Domenica non esiste più perché i negozi sono sempre aperti (almeno fino all'epoca Covid), ma anche ad un'altra cosa che può sembrare di poco conto, ma che invece simbolicamente è importante. Ovvero che nei giorni feriali ci si veste meglio e la Domenica si è meno curati. Proprio il contrario di ciò che avveniva un tempo.Passeggiando per strada, soprattutto prima di pranzo, si nota che molti sono in tuta. Per carità, fare sport è importante. Ma poi - vai a vedere - ti accorgi che non si tratta di chi ha da poco corso o si accinge a farlo. E' proprio un vestire da diporto, insomma un look che vuole sottolineare il fatto che la Domenica è un giorno senza impegni.L'APPUNTAMENTOEppure l'impegno c'è. L'appuntamento c'è. O meglio: ci sarebbe.L'appuntamento c'è perché il centro della Domenica è la Santa Messa. E' l'appuntamento con il Fondamento di tutto e con l'Avvenimento che dà senso a tutto: la rinnovazione reale del Sacrificio del Calvario.Né valgono a riguardo tentazioni pauperistiche di sorta, visto che chi se ne intendeva di povertà, come san Francesco d'Assisi, giustamente pretendeva tale povertà per i suoi frati, ma non per le chiese, che riteneva fosse giusto perfino broccarle di oro e di argento, proprio per sottolineare la grandezza incommensurabile di ciò che in esse avviene e di ciò che in esse si celebra.E invece oggi a meritare la cravatta e il vestito ben stirato è l'appuntamento di lavoro durante la settimana, lo sportello della banca, la rappresentanza di un prodotto da vendere, non certo la preghiera della Domenica.Un tempo - come dicevamo - era il contrario. La Domenica si indossava l'abito più bello. Spesso lo si faceva cucire proprio per questo giorno. E le donne perdevano più tempo dinanzi allo specchio.Oggi della Domenica rimane solo il pranzo, che effettivamente continua ad essere più sostanzioso e sofisticato del resto della settimana. Buona cosa, anzi ottima. Ma - si sa - in questo campo è molto più difficile rinunciare allo stile domenicale.LA SERIETÀ DEL TEMPOCome dicevamo, possono sembrare, queste, cose di poca importanza. Tutt'altro. Ne va della serietà del tempo.Una delle caratteristiche che distinguono l'uomo dagli animali è la capacità di "leggere" il tempo, di saperlo discernere, di coglierlo nel suo proseguire e nel suo variare. E' la distinzione tra tempo profano e tempo sacro.Il poeta americano Ralph Waldo Emerson (1803-1882) scrive nel suo Works and Days: "(...) i grandi momenti (...) hanno importanza. Che la misura del tempo sia spirituale, non meccanica." Questo è proprio il punto, anzi: l'annosa questione. Il tempo non può essere misurato "meccanicamente", bensì "spiritualmente", cioè "umanamente". Intendendo con questo avverbio ("umanamente") ciò che è conforme all'umano. E per l'uomo non c'è, non ci può essere, mai un attimo che sia identico ad un altro. Lo scorrere del tempo non deve impedire, anzi, che esso si palesi qualitativamente diverso. Che ciò che è bello, significativo, interessante, possa e debba ciclicamente ritornare.Ma, invece, la condanna dell'uomo di oggi è proprio il leggere "meccanicamente" il tempo; e così egli fa di ogni giorno una Domenica... ne fa della Domenica un giorno qualsiasi. Titolo originale: Sta finendo anche l'eleganza della DomenicaFonte: I Tre Sentieri, 21 ottobre 2020Pubblicato su BastaBugie n. 701
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6440UNA BILANCIA FA CAPIRE CHE OGNI MESSA HA UN VALORE INFINITOSan Pio da Pietrelcina diceva: ''Se la gente sapesse cos'è la Messa, dinanzi alle chiese occorrerebbero i carabinieri per governare le folle''da I Tre SentieriOgni Messa, indipendentemente dove è detta e indipendentemente dalla santità del sacerdote, ha sempre un valore infinito. Vi spieghiamo perché.Mentre ogni preghiera - pur importante - ha un valore finito, perché è l'uomo che prega Dio e si offre a Lui, la Messa ha sempre un valore infinito perché è Dio stesso che si offre al Padre. Dunque se è Dio che si offre nella Messa, questa ha un valore infinito perché Dio ha un valore infinito.FACCIAMO UN ESEMPIOPrendiamo una bilancia, quella antica, con i classici due piatti. Su un piatto mettiamo tutte le preghiere di questo mondo e sull'altro una sola Messa. Ebbene, la bilancia penderebbe dalla parte della sola Messa. Più azioni finite formano una realtà finita, l'infinito rimane invece sempre infinito. Se queste cose si capissero la gente correrebbe continuamente per partecipare alla Messa. San Pio da Pietrelcina (1887-1968) soleva dire: "Se la gente sapesse cosa è la Messa, dinanzi alle chiese occorrerebbero i carabinieri per governare le folle." E il Santo Cappuccino diceva ancora: "È più facile che il mondo si regga senza il sole, piuttosto che senza la Messa."Un giorno di molti anni fa, in un piccolo villaggio del Lussemburgo, un capitano della Guardia Forestale stava conversando con il macellaio quando arrivò un'anziana signora. Il macellaio chiese all'anziana signora: "Cosa vi servo, signora?" La donna rispose: "Un pezzetto di carne, ma non ho soldi per pagare." Il capitano che era lì presente sorrise visibilmente pensando alla stranezza della richiesta. Il macellaio ribatté: "Solo un pezzetto di carne, ma come contraccambiate?". L'anziana signora disse allora al macellaio: "Mi dispiace di non avere soldi, ma in cambio vi prometto di assistere quest'oggi alla Messa per voi". Siccome il macellaio e il capitano erano molto scettici nei confronti della religione, cominciarono a ridere. "Molto bene - disse il macellaio - Andate pure a Messa per me, e ritornate, vi darò l'equivalente del valore della Messa".LA SORPRESALa donna in quel giorno assistette alla Messa e poi ritornò dal negoziante. Ella si avvicinò alla cassa e il macellaio le disse: "Prendete questa carta e scrivete..." E la donna scrisse: "Ho offerto la Messa per te". Il macellaio pose la carta su un piatto della bilancia e sull'altra parte un misero osso... la carta era più pesante. In seguito mise un pezzetto di carne al posto dell'osso, ma la carta era sempre più pesante... I due uomini cominciarono a meravigliarsi ma non demorsero. Fu posto un grosso pezzo di carne sulla bilancia, ma la carta era sempre più pesante. Inquieto e turbato, il macellaio esaminò la bilancia, ma questa funzionava benissimo. "Cosa vuole signora...? Dovrei darle un'intera coscia di pecora?". Egli pose la coscia di pecora sulla bilancia, ma la carta era sempre più pesante. Mise un pezzo di carne ancora più grosso, ma il peso rimaneva sempre dalla parte della carta. Ciò impressionò talmente il macellaio che questi promise alla donna di darle la carne ogni giorno in cambio di una preghiera offerta per lui durante la Messa. Egli poi si convertì. Il capitano se ne andò anche lui molto scosso e andò a Messa ogni giorno. Due dei suoi figli divennero sacerdoti, uno Gesuita e l'altro fu sacerdote del Sacro Cuore, era il famoso Padre Stanislao, grande apostolo del Sacro Cuore.Egli poi ha raccontato: "Sono un religioso del Sacro Cuore e il capitano era mio padre. Dopo questa dimostrazione, mio padre divenne un grande fervente della Messa quotidiana, e noi, suoi figli, abbiamo seguito il suo esempio. Andate a Messa ogni giorno se potete, otterrete tutto e vi trasformerete." Titolo originale: Ti raccontiamo un fatto vero che dimostra come ogni Messa ha un valore infinitoFonte: I Tre Sentieri, 26 luglio 2020Pubblicato su BastaBugie n. 700
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6419STORIA DEL CELEBERRIMO ''TU SCENDI DALLE STELLE'', SENZA IL QUALE IL NATALE NON E' NATALEIl più famoso canto natalizio fu scritto in napoletano nel 1754 dal vescovo sant'Alfonso Maria de' Liguori con il titolo ''Quanno nascette Ninno''di Antonio Tarallo"Tu scendi dalle stelle" rappresenta uno dei più famosi brani natalizi. È un canto che commuove e muove l'animo alla grotta di Gesù Bambino. Con la sua melodia così dolce e ricca di tenerezza, sembra catapultarci in uno di quei tanti tradizionali presepi che vengono realizzati nelle famiglie dei fedeli. Quella sua tipologia di nenia sembra accarezzare il Bambino. E, con Lui, anche noi siamo cullati fra i cieli stellati di cartapesta del presepe.La canzone ha origini antiche. Infatti, il testo che tutti conosciamo deriva da un motivo scritto nel dicembre 1754, dal titolo "Quanno nascette Ninno" (chiamato anche con il nome "Pastorale"), il cui autore era stato addirittura sant'Alfonso Maria de' Liguori (1696-1787). Fu scritto in lingua napoletana. E fu una grande novità per l'epoca: il primo testo di un canto religioso, scritto in lingua partenopea. Quando fu pubblicato nel 1816, il canto venne chiamato "Per la nascita di Gesù". Pare che "Quanno nascette Ninno" fu elaborata quando sant'Alfonso, ridotto allo stremo delle forze, sollecitato dai superiori trascorse un periodo di riposo nel convento di Santa Maria de' Monti a Scala, vicino Ravello.COME NACQUE ''TU SCENDI DALLE STELLE''Nel corso di una delle sue missioni, nel 1754, sant'Alfonso stava predicando a Nola, in provincia di Napoli. Era ospite di un sacerdote del luogo, don Michele Zamparelli. Il santo, proprio in quel luogo, volle comporre un nuovo inno natalizio, poche ore prima della Santa Messa di Natale. Erano loro due, in una stanza, e praticamente il nuovo canto, "Pastorale", fu scritto in presenza dello stesso don Zamparelli che fu il primo, in assoluto, ad ascoltare la poesia-canzone. Il sacerdote, emozionato dall'evento, chiese subito al santo di poterla copiare. Il santo però si oppose, volendola prima farla stampare.Poco dopo, il santo scese per celebrare la Messa di Natale, lasciando i fogli del componimento in vista. Don Michele li copiò e nascose i preziosi foglietti nelle sue tasche. Aveva raggiunto l'ambizioso traguardo. Ora poteva andare a concelebrare. E fu in questo momento che accadde un episodio assai divertente. Sant'Alfonso era proprio nel momento di cantare quel canto che aveva composto poco prima, quando gli mancarono le parole. Ma si sa, i santi conoscono tutto e, allora, mandò un chierichetto a chiedere a don Zamparelli "quei fogli che stavano nel suo taschino". La chiesa fu "riempita", finalmente, dalle note del nuovo canto sacro. Era nata quella che noi oggi cantiamo come "Tu scendi dalle stelle".MA COME È COMPOSTA QUESTA FAMOSA MELODIA?Il testo del canto è costituito da strofe di sette versi ciascuna, eccetto alcune, irregolari. La lingua usata, lo stile, la scelta delle parole davvero lasciano incantato qualsiasi ascoltatore. Quasi subito, le prime strofe ci fanno entrare nell'atmosfera:"Quanno nascette Ninno a Bettlemme / Era nott'e pareva miezo juorno. / Maje le Stelle - lustre e belle Se vedetteno accossí: / E a cchiù lucente / Jett'a chiammà li Magge all'Uriente. / De pressa se scetajeno l'aucielle / Cantanno de na forma tutta nova: / Pe 'nsí agrille - co li strille, / E zombanno a ccà e a llà; / È nato, è nato, / Decevano, lo Dio, che nc'à criato".Proviamo a tradurre questo napoletano così antico in un moderno italiano per avere meglio il quadro della scena: "Quando nacque il Bambino a Betlemme / Era notte eppure sembrava mezzogiorno. / Le stelle così belle e lucenti non si videro mai così: / E la più lucente/ andò a chiamare i Re Magi dell'Oriente. / Velocemente si svegliarono gli uccelli / cantando in nuova forma: / così anche i grilli, con le stelle, / e saltellano qui e lì; / È nato, è nato, / così dicevano, Dio che si è incarnato".È la natura che parla e che partecipa a tutta la bellezza della nascita di un bambino, anzi del Bambino. Tutti partecipano a questa Natività, con stupore e meraviglia. È la stessa che dovremmo avere noi, ogni 24 dicembre, alla Vigilia di Natale. Come? Semplicemente ritornando bambini. "Tu scendi dalle stelle" è teologia, in poesia e musica.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6346DIECI RAGIONI PER ADORARE IL SANTISSIMO SACRAMENTO da Redazione di BastaBugieL'adorazione è il rapporto tra l'uomo e Dio, della creatura con il suo Creatore. Gli uomini e gli angeli devono adorare Dio. In cielo, tutte le anime dei santi e gli angeli adorano Dio. Ogni volta che adoriamo Dio ci uniamo al cielo e portiamo il nostro piccolo cielo sulla terra.L'adorazione è il culto dovuto solo a Dio. Quando Satana cercò di tentare Gesù nel deserto pretendendo che lo adorasse Lui gli rispose: "Solo Dio adorerai e a Lui solo renderai culto".COS'È L'ADORAZIONE EUCARISTICANell'Eucaristia adoriamo Gesù Cristo che è uno con il Padre e lo Spirito Santo perché in Dio non ci sono divisioni, e come insegna il Concilio di Trento, Gesù Cristo è veramente, realmente e sostanzialmente presente nell'Eucaristia in corpo, sangue, anima e divinità. L'Eucaristia è il più grande tesoro della Chiesa. Adorare è entrare in relazione intima con il Signore.Chi adora da testimonianza dell'amore ricevuto e della propria fede cattolica. Davanti al mistero ineffabile non ci sono parole, solo silenzio adorante. È lo stupore di chi sa che Dio è qui! Veramente qui!COME FARE ADORAZIONE?Adora il tuo Signore in silenzio. Nel silenzio del cuore Dio ci ispira e in questo modo ci parla. Il silenzio da anche la possibilità di rispettare il dialogo intimo e le preghiere degli altri.Puoi trascorrere l'adorazione come desideri, ricordando sempre che sei davanti alla Presenza del tuo Signore e Salvatore.Il Signore è degno di ogni lode, onore, gloria e rendimento di grazie. Ringrazialo per i benefici ricevuti, per il dono della tua vita e per quella degli altri, e per tutti i tuoi amici, familiari, per ogni cosa e soprattutto per questa grazia immensa di poterlo adorare in chiesa. Vedrai tu stesso quante sono le cose per cui dobbiamo ringraziare e lodare nostro Dio: prova a elencarle "Ti ringrazio Signore perché ..........". Se ringraziassimo Dio per tutto ciò che ci da, non ci resterebbe tempo per pensare a ciò che ci manca.Puoi anche parlare con Lui, raccontargli i tuoi problemi (chiaro che Lui li conosce però si compiace nel vedere che tu glieli dici e cerchi in Lui la soluzione, la luce, la risposta).Sicuramente avrai molte persone per le quali pregare. Ricorda che con la tua adorazione puoi riparare i sacrilegi, le bestemmie, gli oltraggi, gli insulti contro Dio, e tutte le offese contro la Santissima Vergine e i santi.Puoi anche leggere e meditare uno o due paragrafi di un libro di spiritualità cristiana (ad esempio: L'imitazione di Cristo, La Filotea, La Passione della Beata Emmerik, Storia di un'anima di Santa Teresa di Lisieux, Le Confessioni di Sant'Agostino).Naturalmente, puoi semplicemente contemplare Gesù nel tuo silenzio, lasciandoti abbracciare dal suo amore e ricevendo la sua pace. Se può aiutarti, ripeti al ritmo del respiro: Gesù Cristo, figlio del Dio vivente, abbi pietà di me peccatore. Puoi anche recitare qualche preghiera che sai oppure il santo Rosario, che è come contemplare Gesù con gli occhi e il cuore di Maria. Ricorda sempre che il Gesù che tu contempli è lo stesso che sta realmente davanti a te. E così, per esempio, quando mediti il primo mistero gioioso, tieni presente che quel Gesù che è davanti a te è lo stesso che si incarnò nel seno della Vergine Maria. Così anche Colui che fu portato da Maria alla casa di Elisabetta o Colui che nacque a Betlemme.Il tempo che passi con il Signore non si misura in minuti ma in grazie, benedizioni, protezione, frutti, maggior intimità e conoscenza di Dio. Il Signore benedice questo tempo che hai passato con lui e la moltiplica in benefici incommensurabili.Ha detto Papa Benedetto XVI: "Adorare non è un lusso, è una priorità".QUANDO SI STA IN GINOCCHIO?ALL'INIZIO: da quando il sacerdote prende il Santissimo dal tabernacolo.DURANTE L'ADORAZIONE: possibilmente si sta sempre in ginocchio (per motivi di salute o di età si può stare anche a sedere).ALLA FINE: durante la benedizione eucaristica fino alla reposizione nel tabernacolo.E INFINE... DIECI RAGIONI PER ADORARE1) Perché solo Dio è degno di ricevere tutta la nostra lode2) Per dire grazie a Dio per tutto ciò che ci ha donato da prima che esistessimo fino ad oggi (ringraziare elencando i doni ricevuti) 3) Per entrare nel segreto dell'amore di Dio4) Per pregare per noi stessi, per i parenti vicini e lontani, per gli amici, per i conoscenti, per i benefattori, ecc.5) Per trovare riposo e lasciarci ristorare da Dio6) Per meditare leggendo qualche pagina da un libro di spiritualità cristiana7) Per pregare per la Santa Chiesa, il Papa, i vescovi, il parroco8) Per chiedere perdono per i nostri peccati e qualunque altra cosa (specialmente il dono dello Spirito Santo)9) Per pregare per i nostri nemici e per avere la forza di perdonarli10) Per guarire da ogni nostra malattia, fisica e spirituale e avere la forza per resistere al maleNota di BastaBugie: ecco a seguire le litanie della Ss. Eucaristia che possono essere recitate alla fine, prima della benedizione eucaristica, o in altro momento.LITANIE DELLA SS. EUCARISTIASignore, pietà - Signore, pietàCristo, pietà - Cristo, pietàSignore, pietà - Signore, pietàCristo, ascoltaci - Cristo, ascoltaciCristo, esaudiscici - Cristo, esaudisciciPadre celeste, che sei Dio - abbi pietà di noiFiglio redentore del mondo, che sei Dio - abbi pietà di noiSpirito Santo, che sei Dio - abbi pietà di noiSanta Trinità, unico Dio - abbi pietà di noiSantissima Eucaristia - noi ti adoriamoDono ineffabile del Padre Segno dell'amore supremo del Figlio Prodigio di carità dello Spirito SantoFrutto benedetto della Vergine Maria Sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo Sacramento che perpetua il sacrificio della Croce Sacramento della nuova ed eterna alleanza Memoriale della morte e risurrezione del Signore Memoriale della nostra salvezza Sacrificio di lode e di ringraziamento Sacrificio d'espiazione e di propiziazione Dimora di Dio con gli uomini Banchetto delle Nozze dell'Agnello Pane vivo disceso dal Cielo Manna nascosta piena di dolcezza Vero Agnello pasquale Diadema dei sacerdoti Tesoro dei fedeliViatico della Chiesa pellegrinanteRimedio delle nostre quotidiane infermitàFarmaco di immortalitàMistero della FedeSostegno della speranzaVincolo di caritàSegno di unità e di paceSorgente di gioia purissimaSacramento che germina i verginiSacramento che dà forza e vigorePregustazione del convito celestePegno della nostra risurrezionePegno della gloria futuraTantum ergo sacramentum / veneremur cernuiet antiquum documentum / novo cedat rituipraestet fides supplementum / sensuum defectui.Genitori genitoque / laus et jubilatiosalus honor virtus quoque / sit et benedictioprocedenti ab utroque / compar sit laudatio. Amen.Hai dato loro un Pane disceso dal cielo.Che porta in sé ogni delizia.Preghiamo. Signore Gesù Cristo, che nel mirabile Sacramento dell'Eucaristia ci hai lasciato il memoriale della Tua Pasqua, fa' che adoriamo con viva fede il santo mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue, per sentire sempre in noi i benefici della Redenzione. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen. Fonte: Redazione di BastaBugie, 11 novembre 2020Pubblicato su BastaBugie n. 691
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6305DIO E' L'INVENTORE DELL'UMORISMO di Aldo Maria ValliSecondo Ennio Flaiano l'umorista è «un uomo di ottimo malumore». Secondo Giovannino Guareschi «l'umorismo cammina nel sentiero del paradosso». Secondo Thomas Stearns Eliot «l'umorismo è un modo di dire qualcosa di serio». Con le definizioni si potrebbe continuare a lungo. Essenzialmente lo humor (o humour, se a quella americana preferiamo la dizione inglese) è la capacità di combinare elementi visibili e invisibili. Ed è per questo che l'inventore dell'umorismo è Dio stesso, come diceva l'arcivescovo Fulton Sheen. Ed è per lo stesso motivo che il distacco da Dio avviene quando il mondo diventa troppo serio o, meglio, quando si prende troppo sul serio. Ma se è Dio che ha inventato l'umorismo, allora anche i sacramenti c'entrano con l'umorismo? Certo che sì.La risposta affermativa arriva proprio dall'arcivescovo Sheen, che apre in questo modo il bellissimo libro I sette sacramenti (Ares, 256 pagine, euro 14,90), nel quale il Battesimo, la Confermazione, l'Eucaristia, la Penitenza, l'Unzione degli infermi, l'Ordine sacro e il Matrimonio sono presentati in modo non solo comprensibile, ma attraente.MA IN CHE SENSO I SACRAMENTI C'ENTRANO CON L'UMORISMO?Ascoltiamo Sheen: «Nessuno potrebbe mai comprendere i sacramenti senza quello che definirei un "divino senso dell'umorismo". Si dice che una persona ha senso dello humor se può "vedere oltre" le cose e che manca di senso dell'umorismo se non è capace di "vedere oltre" le cose. Nessuno ha mai riso per un gioco di parole di cui non ha colto il significato. Per il materialista questo mondo è opaco come una cortina: non si può vedere nulla attraverso di essa. Una montagna è solo una montagna, un tramonto è solo tramonto; ma per poeti, artisti e santi il mondo è trasparente come il vetro di una finestra: esso parla di qualcosa che va al di là; per esempio, una montagna parla della potenza di Dio, il tramonto della sua bellezza e il fiocco di neve della sua purezza. Quando il Signore incarnato camminava sulla terra, vi ha infuso quel "divino senso dell'umorismo". C'è solo una cosa che "ha preso sul serio", e questa è l'anima».Per spiegare i sacramenti Sheen usa similitudini inconsuete. «Una stretta di mano è, in qualche modo, un sacramento, poiché c'è qualcosa che si vede e si sente, appunto l'afferrarsi delle mani, ma anche qualcosa di invisibile e misterioso, cioè la comunicazione dell'amicizia. Un bacio è una sorta di sacramento: il lato fisico di esso è presente anche se uno bacia la propria mano, ma manca il lato spirituale perché in questo caso non c'è segno di affetto verso un altro. Una delle ragioni per cui un bacio rubato è spesso sgradito è perché non è sacramentale; c'è il lato carnale senza quello spirituale».UNA SORTA DI SACRAMENTOE ancora: «Una parola pronunciata è una sorta di sacramento, perché c'è in essa qualcosa di materiale o di udibile; ma c'è al contempo qualcosa di spirituale, cioè il suo significato. Un cavallo può ascoltare una barzelletta proprio come un uomo. Ammettiamo che il cavallo possa sentire le parole anche meglio dell'uomo, ma alla fine del racconto l'uomo riderà, mentre il cavallo non riderà affatto. Il motivo è che il cavallo coglie solo il lato materiale del "sacramento", cioè il suono, ma l'uomo ne coglie il lato invisibile o spirituale, cioè il significato».La domanda viene naturale (e va rivolta ai materialisti): vogliamo essere uomini o cavalli?L'uomo può scegliere se vivere al solo livello sensibile e intellettuale o se aprirsi anche al livello divino. Aprirsi al divino è avere una visione sacramentale. Dio salva, ma come? Appunto con i sacramenti.Ogni pagina di Sheen andrebbe citata. Mi limito alla conclusione del libro: «Cristo in quanto Dio è autore dei sacramenti. Egli solo santifica. Come capo della Chiesa ha sofferto e meritato sulla croce e ora diffonde la sua grazia e i suoi meriti attraverso il corpo e le membra. Ogni sacramento è donato per il benessere del Corpo mistico; i suoi effetti non sono solo individuali ma sociali. Benché tutti conferiscano la grazia, un sacramento sorpassa gli altri in dignità e tutti guardano a esso: si tratta dell'Eucaristia. Gli altri sacramenti donano la grazia, ma l'Eucaristia dona l'autore della grazia. Gli altri sacramenti sono fiumi di grazia, l'Eucaristia è la sorgente».Sheen scrisse queste parole nel 1964. Quasi sessant'anni dopo è legittimo chiedersi se l'attacco all'Eucaristia non nasca proprio dal fatto che è la sorgente della grazia.Nota di BastaBugie: per acquistare il libro di Fulton Sheen "I 7 sacramenti" di cui si parlava nell'articolo, clicca qui!https://www.amazon.it/I-sacramenti-Fulton-John-Sheen/dp/8881559323 Titolo originale: Fulton Sheen, i sacramenti e l'umorismo di Dio. Ovvero: vogliamo essere uomini o cavalli?Fonte: Radio Roma Libera, 28 Settembre 2020Pubblicato su BastaBugie n. 684
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6273CHI SI CONFESSA E' TENUTO AL SEGRETO SU CIO' CHE GLI HA DETTO IL SACERDOTE di Padre Angelo BellonCaro Padre Angelo,oggi mi è sorto un dubbio... sappiamo che il confessore è tenuto ad osservare una serie di leggi ecclesiali tipo il segreto del confessionale. Esistono leggi anche per il penitente? anche il penitente è tenuto al segreto? Cosa può dire e cosa no?I miei più cordiali saluti e un abbraccio forte.RISPOSTA DEL SACERDOTECarissimo,il segreto del confessionale non è soltanto un segreto naturale, ma divino.Quello che il sacerdote viene a sapere dall'accusa dei peccati lo viene a sapere in quanto è ministro di Dio e non semplicemente come un uomo. Dice San Tommaso: "Il sacerdote è a conoscenza di quei peccati non come uomo, ma come Dio" (Somma teologica, Suppl., 11, 1, ad 2). Anche nel caso che il sacerdote venisse interrogato in un tribunale o da un suo superiore deve tacere quanto ha sentito in confessione.Dice ancora san Tommaso: "Perciò, senza pregiudizio per la coscienza, un confessore può giurare di non sapere quello che sa solo come Dio" (Ib., ad 3).Come vedi, il penitente non funge da ministro di Dio.Pertanto di per sé non è tenuto al medesimo segreto cui è tenuto il sacerdote.Il sacerdote infatti è tenuto ad un segreto divino.Tuttavia, come accanto all'accusa dei peccati vi è legato anche un segreto naturale (il penitente sa che il sacerdote non ne parlerà), così il penitente è in qualche modo tenuto al medesimo segreto naturale del sacerdote. Ho detto in qualche modo perché se il penitente suggerisce un buon consiglio che gli ha dato il confessore, non viola alcun segreto naturale.Ma se dicesse qualche cosa che può mettere in cattiva luce il confessore, deve stare zitto, tanto più che il sacerdote in questo caso non può difendersi, essendo tenuto al segreto divino. Per questo Giovanni Paolo II ha detto: "Al sacerdote che riceve le confessioni sacramentali è fatto divieto, senza eccezione, di rivelare l'identità del penitente e le sue colpe". Direttamente questa totale riservatezza è a beneficio del penitente.Di conseguenza, non sussiste per lui né peccato né pena canonica, se spontaneamente e senza provocare danni a terzi rivela fuori confessione quanto ha accusato. Ma è evidente che, almeno, per un dovere di equità, e, vorrei dire, per un senso di nobiltà verso il Sacerdote confessore, egli deve a sua volta rispettare il silenzio su ciò che il confessore, confidando nella sua discrezione, gli manifesta all'interno della confessione sacramentale. [...]Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico. Titolo originale: Chi si confessa è tenuto al medesimo segreto cui è tenuto il confessore?Fonte: Amici Domenicani, 04/04/2015Pubblicato su BastaBugie n. 681
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6255I FEDELI CONCELEBRANO CON IL SACERDOTE?Solo i sacerdoti sono stati resi adatti a compiere la transustanziazione che per quanto produce non è azione umana, ma divina (VIDEO: Il velo rimosso)di Padre Angelo BellonLa Messa è lo stesso e unico sacrificio compiuto da Cristo, il quale sulla croce ha associato all'offerta di se stesso tutta la Chiesa, tutta l'umanità.La Messa non è la ripetizione del sacrificio di Cristo fatta dalla Chiesa. Ma è lo stesso sacrificio di Cristo, presentato dunque da Cristo stesso a Dio Padre a nome di tutta la Chiesa e di tutta l'umanità.Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda che "il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell'Eucaristia sono un unico sacrificio" (CCC 1367).Riprendendo un'affermazione del Concilio di Trento, il CCC dice che "si tratta infatti di una sola e identica vittima" (Ib.).Proprio perché Cristo ha associato la Chiesa al suo sacrificio è giusto dire che tutta la Chiesa offre l'Eucaristia insieme con Lui.Ma "lo offre ora per il ministero dei sacerdoti" (Ib.) i quali in mezzo all'assemblea non solo ne sono l'immagine visibile, ma agiscono "in persona Christi" così che l'azione che compiono non è la loro, ma è quella stessa di Gesù Cristo.Ecco che cosa dice Sant'Ambrogio in un passo celebre del suo De sacramentis: "Con quali parole si fa dunque la consacrazione e di chi sono le parole? Del Signore Gesù. Infatti tutto ciò che precede è detto dal sacerdote: si offrono a Dio delle lodi, si prega per il popolo, per i re, per gli altri. Appena si arriva a produrre il venerabile sacramento, il prete cessa di servirsi delle sue proprie parole, si serve delle parole di Cristo. È dunque la parola di Cristo che produce questo sacramento. Quale parola di Cristo? Ebbene, quella mediante la quale tutto è stato fatto... Tu vedi come è efficace la parola di Cristo. Se dunque vi è nella parola del Signore Gesù una così grande forza che ciò che non era ha cominciato ad essere, quanto è essa più efficace per fare che ciò che era esista e sia cambiato in altra cosa... Prima della consacrazione non era il corpo di Cristo, ma dopo la consacrazione, ti dico che è ormai il corpo di Cristo" (Libro IV, cap. 4).L'INIZIATIVA È DI CRISTOSe si guardano le cose con uno sguardo umano sembrerebbe che l'iniziativa della transustanziazione venga esclusivamente dal sacerdote.Ma se si guardano con l'occhio della fede è chiaro che la prima iniziativa della transustanziazione viene da Cristo che nel cenacolo e sulla croce non soltanto vedeva i sacerdoti ai quali avrebbe comunicato i suoi divini poteri, ma che nel momento in cui avrebbero agito nella celebrazione dei sacramenti egli stesso si sarebbe servito di loro come causa strumentale per perpetuare visibilmente sui nostri altari il suo sacrificio.Nell'Imitazione di Cristo si legge: "Il sacerdote, in verità, è il ministro di Dio, che si serve della parola di Dio, per ordine ed istituzione di Dio; ma Dio è qui il principale Autore e l'invisibile Agente, cui tutto ciò ch'egli vuole è sottomesso, e a cui tutto obbedisce quando egli comanda" (Libro IV, cap. 5).La Chiesa tramite il sacerdote durante l'azione sacramentale fa sentire la voce dello Sposo e a questa voce essa stessa risponde: "Adoriamo la tua croce Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell'attesa della tua venuta" o anche "Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell'attesa della tua venuta".Al momento della consacrazione il sacerdote è un puro strumento nelle mani di Cristo, capace di trasmettere quella forza soprannaturale che trasforma il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue del Signore.È chiaro allora che celebrare nel senso di transustanziare è potere del solo sacerdote, strumento che Cristo si è preparato appositamente per renderlo adatto a compiere quest'azione non solo soprannaturale ma divina.Nel medesimo senso a Messa concelebrano solo i sacerdoti presenti e non tutti i fedeli.In questa prospettiva, soprattutto della concelebrazione, si comprende come sia ben adatto il termine di presiedere. Perché tutti i sacerdoti consacrano nel medesimo modo. Ma uno solo ha il compito di dare il là: il celebrante principale, colui che presiede la concelebrazione.LA TRANSUSTANZIAZIONE È OPERA DI DIOQuando invece un solo sacerdote consacra alla presenza dei fedeli - se si usa il termine di presidente - in questo caso tale espressione non va intesa come quando la si usa per la concelebrazione perché il ruolo dei fedeli non è il medesimo del sacerdote.I fedeli tutti offrono la Vittima Santa, ma non la consacrano, e cioè non la rendono presente da sé soli.In questo senso nel Canone Romano troviamo la parola celebrare applicata anche ai fedeli. Il sacerdote infatti dopo la consacrazione dice: "In questo sacrificio, o Padre,
 noi tuoi ministri e il tuo popolo santo 
celebriamo il memoriale della beata passione,
 della risurrezione dai morti
 e della gloriosa ascensione al cielo
 del Cristo tuo Figlio e nostro Signore; 
e offriamo alla tua maestà divina,
 tra i doni che ci hai dato, 
la vittima pura, santa e Immacolata, 
pane santo della vita eterna e calice dell'eterna salvezza".Domandandoci se si possa dire che i fedeli a Messa concelebrano con il sacerdote si deve fare una distinzione.Se s'intende dire che i fedeli in quel momento esprimono il sacerdozio regale di cui sono stati insigniti nel momento del Battesimo e che li ha trasformati in "stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui" (1 Pt 2,9), sì, è giusto dire che concelebrano con il sacerdote perché tutta la celebrazione eucaristica è azione della Chiesa e la Chiesa tutta si offre a Dio Padre in un unico sacrifico con quello di Cristo.Se invece s'intende dire che nel medesimo modo in cui il sacerdote consacra consacrano anche i fedeli, questo evidentemente è erroneo perché solo i sacerdoti sono stati trasformati interiormente da Cristo mediante il carattere e sono stati resi adatti a compiere quell'azione della transustanziazione che per quanto produce non è azione umana, ma divina.Nota di BastaBugie: proponiamo ancora una volta la visione del seguente video (durata: 7 minuti) nel quale si può vedere il bellissimo cortometraggio dal titolo "Il velo rimosso" (The veil removed) che mostra la bellezza della transustanziazione.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6218MATRIMONI E FUNERALI CELEBRATI DAI LAICI? di Nico SpuntoniGiornali e telegiornali hanno sparato ieri titoloni sul "sì a nozze e funerali celebrati dai laici" a proposito della nuova Istruzione curata dalla Congregazione per il Clero, parlando sensazionalisticamente di "svolta". Ma è davvero così? "La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa", questo il nome del documento approvato da papa Francesco il 27 giugno 2020, nel capitolo dedicato agli "Incarichi e ministeri parrocchiali" investe il "il Vescovo, a suo prudente giudizio" della possibilità di affidare "ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici, sotto la guida e la responsabilità del parroco" alcuni compiti, tra cui "la celebrazione del rito delle esequie" e "dove mancano sacerdoti e diaconi", "previo il voto favorevole della Conferenza Episcopale e ottenuta la licenza dalla Santa Sede" la facoltà di assistere ai matrimoni.Non è corretto, però, parlare di "svolta in Vaticano": infatti, come appare evidente anche nei rimandi, già nel n.9 dei Praenotanda compresi nell'Ordo Exsequiarum del 1969 viene disposto che le "esequie nella Liturgia della Parola possono essere celebrate dal diacono" e, "se la necessità pastorale lo esige, la Conferenza Episcopale può, con il consenso della Sede Apostolica, designare anche un laico". Una circostanza confermata nel 1997 nell' "Istruzione Ecclesiae de mysterio su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti", dove si legge che "i fedeli non ordinati possono guidare le esequie ecclesiastiche solo nel caso di vera mancanza di un ministro ordinato ed osservando le norme liturgiche in merito", precisando che "a tale compito dovranno essere ben preparati, sia sotto il profilo dottrinale che liturgico".NULLA DI NUOVODando un'occhiata a quest'ultimo documento, redatto 23 anni fa dalla Congregazione per il Clero insieme ad altri 7 dicasteri della Curia romana, è possibile smontare il sensazionalismo utilizzato da buona parte dei media per commentare la nuova Istruzione anche a proposito delle nozze: infatti, nell'articolo 10 dedicato proprio al "L'assistenza ai matrimoni", ci sono due capoversi che fanno riferimento alla "possibilità di delegare fedeli non ordinati ad assistere ai Matrimoni può rivelarsi necessaria, in circostanze molto particolari di grave mancanza di ministri sacri", specificando, però, che essa "è condizionata al verificarsi di tre requisiti: Il Vescovo diocesano (...) può concedere tale delega unicamente nei casi in cui mancano sacerdoti o diaconi e soltanto dopo aver ottenuto, per la propria diocesi, il voto favorevole della Conferenza episcopale e la necessaria licenza della Santa Sede".Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, con il documento approvato lo scorso 27 giugno: questa eventualità per le nozze, infatti, è già prevista nel Codice di Diritto Canonico nei canoni 1112 e 1116 laddove si dice che, in mancanza di sacerdote e diaconi, il Vescovo diocesano può delegare a presiedere anche un "laico idoneo" che sia "capace di istruire gli sposi e preparato a compiere nel debito modo la liturgia del matrimonio".Piuttosto, va sottolineato il carattere di eccezionalità di questi casi non certo occultato nell'ultima Istruzione - differentemente da quanto fatto in molti titoli ed articoli giornalistici - con la conferma di quella che è la regola generale che, in quanto tale, può ammettere eccezioni pur col consenso della Conferenza Episcopale ed in accordo con la Santa Sede.Il documento, al contrario, sembrerebbe voler mettere un freno a certe libertà interpretative che talvolta si concedono alcuni vescovi in merito alla partecipazione dei fedeli laici alla missione della Chiesa.NO ALLA DISCREZIONEMonsignor Andrea Ripa, infatti, nella presentazione d'accompagnamento all'Istruzione, scrive che "non è raro (...) che la visione della comunità parrocchiale e della cura pastorale proposti dal Magistero ecclesiale, dal Concilio Ecumenico Vaticano II fino all'insegnamento di Papa Francesco, e di conseguenza naturalmente entrati nella normativa canonica, diventino un quid troppo soggettivo, un vero 'secondo me', a discrezione del singolo Vescovo o del singolo gruppo, con interpretazioni non di rado improprie della vita di una comunità e del ministero dei pastori".In questo stesso testo, il sotto-segretario della Congregazione per il clero ribadisce che il presente documento non contiene "novità legislative". E non a caso, in ambienti ecclesiali che potremmo semplicisticamente definire progressisti, l'uscita di "La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa" è stata accolta con grande amarezza e delusione, non senza critiche al pontefice accusato nemmeno troppo velatamente di aver esaurito definitivamente la sua spinta propulsiva riformatrice.Ma d'altra parte, l'eredità del Concilio Vaticano II sulla collaborazione del laicato al ministero dei sacerdoti è riassunta in quanto disse San Paolo VI agli Uditori laici in un discorso del 1963: "la Chiesa è articolata in persone, organi e istituti che hanno distinte funzioni".L'Istruzione divenuta pubblica ieri si colloca in questo solco, contrariamente a quanto sostenuto dai delusi. Quando denuncia il "clericalismo", molto spesso papa Francesco fa riferimento proprio alla "tentazione di clericalizzare i laici" presente in tanti preti, così come a quei "tanti laici (che) in ginocchio chiedono di essere clericalizzati". C'è da sperare che il modo fuorviante e superficiale con il quale buona parte dei media hanno annunciato novità - che in realtà non sono novità - su nozze ed esequie non esponga da domani i parroci alle richieste di chi vorrebbe farsi celebrare il matrimonio in chiesa dal migliore amico o dal capo ufficio.Nota di BastaBugie: Luisella Scrosati nell'articolo seguente dal titolo "Stare con Gesù, solo così rifioriranno le vocazioni" spiega che la recente Istruzione della Congregazione per il Clero non è rivoluzionaria ma comunque risente di un approccio pastoralista. Era molto meglio l'appello di Papa Benedetto XVI a rivalutare la figura del Santo Curato d'Ars.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 23 luglio 2020:La recente Istruzione della Congregazione per il Clero è stata lanciata dai media come una rivoluzione nella Chiesa cattolica. L'enfasi mediatica è stata portata, in particolare, sui paragrafi che semplicemente ricordano che in casi eccezionali, ove vi sia l'effettiva mancanza di sacerdoti e diaconi, un laico debitamente preparato può guidare le esequie e assistere ai matrimoni. È stato giustamente fatto notare che non di apertura si tratta, ma semmai di un chiarimento per evitare abusi in materia.Una lettura complessiva dell'Istruzione non può tuttavia non suscitare qualche perplessità, almeno a chi scrive. Il titolo - La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa - è effettivamente evocativo del contenuto: ancora una volta stiamo a parlare di "svolte pastorali" per rilanciare l'evangelizzazione. È da più di cinquant'anni che a furia di svolte e conversioni pastorali abbiamo perso l'orientamento e forse sarebbe il caso di ritrovare la stella polare di una vera evangelizzazione e di orientare la rotta secondo questo riferimento immutabile. Se non altro, per l'evidenza del fallimento di un certo orientamento "pastoralista".L'Istruzione parla soprattutto di parroci e parrocchie, di vicari foranei e unità pastorali; impossibile non pensare, per contrasto, che esattamente dieci anni fa si concludeva l'Anno sacerdotale (2009-2010), indetto da Benedetto XVI e che poneva come modello per i sacerdoti in cura d'anime il Santo Curato d'Ars. Allora, papa Benedetto proponeva una svolta cristocentrica come medicina per il nostro tempo. La vita di san Giovanni Maria Vianney altro non è stata che un immergersi in Cristo sacerdote, partecipando con la mortificazione al suo atto redentivo, per la salvezza delle anime della parrocchia a lui affidata; e molte altre giunsero a lui da tutta la Francia, senza alcuna particolare "iniziativa pastorale" per chiamarle.La ricetta di Benedetto XVI per i parroci e le parrocchie, richiamando questo grande santo dell'Ottocento, prevedeva gli ingredienti di una forte identità sacerdotale, che si forgia nella frequente e perdurante adorazione del Santissimo Sacramento; di un ministero essenziale, che si muove dall'altare al confessionale; di un'intimità con il Signore Gesù, vissuta in primis dal sacerdote e comunicata per osmosi spirituale a tutti i fedeli; di una chiarezza della missione: la conversione propria e delle anime.Durante l'Udienza generale del 5 agosto 2009, Benedetto XVI prescriveva la medicina per il nostro tempo: «L'insegnamento che a questo proposito continua a trasmetterci il Santo Curato d'Ars è che, alla base di tale impegno pastorale, il sacerdote deve porre un'intima unione personale con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno. Solo se innamorato di Cristo, il sacerdote potrà insegnare a tutti questa unione, questa amicizia intima con il divino Maestro, potrà toccare i cuori della gente ed aprirli all'amore misericordioso del Signore».Da sempre la Chiesa ha ben chiaro che la vocazione primaria di chi è chiamato al ministero episcopale e sacerdotale è quella di vivere in una particolare intimità con il Signore, ponendo così le condizioni per essere dissetati dalla grazia che emana da Lui e nel contempo segnati dal desiderio di anime che asseta il Suo Cuore. «Ne costituì Dodici - che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni» (Mc 3, 14-15); si tratta di un ordine metafisico: solo rimanendo con Lui è possibile predicare la Parola e scacciare il nemico dell'uomo.
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