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Author: Rame
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Rame è la serie podcast di una community che vuole sfatare il tabù dei soldi. Nasce all'interno di una piattaforma (www.rameplatform.com) che attraverso i suoi contenuti si pone l’obiettivo di avviare una rivoluzione culturale nella società, che trasformi la finanza personale in un argomento di conversazioni audaci e liberatorie. Annalisa Monfreda, ogni settimana, dialoga con un ospite diverso seguendo il filo della sua storia economica. Parlare di soldi può essere intimo e coinvolgente, rivelatorio ed eccitante. E si finisce sempre per svelare chi siamo e ciò in cui crediamo.
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Michele Bravi, classe 1994, vince X Factor all’età di 19 anni e da allora inizia una carriera luminosa nel mondo della musica. In questa puntata, per la prima volta parla di soldi. Racconta della sua infanzia con i nonni, per i quali «il lavoro è una necessità per sopravvivere e non una vocazione». Ma al tempo stesso «è più importante avere i soldi per il cinema che quelli per la merenda».
Nonostante il successo, Michele solo da pochi anni ha capito che col suo lavoro può vivere e se non avesse avuto il sostegno della sua famiglia non sarebbe arrivato fin qui. Perché se una volta con una canzone ti compravi tre palazzi, oggi se metti a segno la hit dell’estate al massimo stai comodo quell’anno lì.
C’è una narrazione falsata del mondo della musica. Nasce dal fatto che lo spettacolo racconta un sogno e le persone faticano a capire che, se fai un red carpet ricoperto di diamanti, non vuol dire che quei diamanti tu possa permetterteli. Il fraintendimento della ricchezza collegata al successo ha conseguenze anche sulle relazioni. «Ci sono tante persone che si avvicinano a te perché si immaginano un certo status. Io ho mantenuto molti miei ex, pensa che scemo…». Fare l’artista, in realtà, è come diventare un imprenditore. «Il guadagno per me è sempre stato un metro di misura per valutare l'efficacia del tuo lavoro». Il gioco è guadagnare per poter reinvestire nella qualità del tuo prodotto. E per non dover più pensare ai soldi.
Francesca Michielin cresce in una casa in cui lo studio è sacro. Il padre falegname e la madre ragioniera, avendo dovuto smettere di studiare presto per iniziare a lavorare, lasciano i figli liberi di approfondire le loro passioni, che siano gli studi universitari o quelli musicali. Di tutto il resto - shopping, vacanze - si può fare a meno. Tanto che la prima volta che vanno a cena fuori è quando Francesca supera gli esami di terza media e il fratello si laurea con una media molto alta. «È stata una cosa speciale: ho percepito la soddisfazione per il fatto che i sacrifici avevano portato a risultati importanti». Quando a soli 16 anni Francesca vince X Factor, con i soldi della vittoria si paga una scuola privata che le permette di arrivare alla maturità portando avanti l’attività lavorativa appena iniziata. «Non avrei potuto continuare nella scuola pubblica stando sempre in giro a lavorare e là mi sono accorta che con dei soldi riuscivo a pagarmi il diritto allo studio».In quegli anni, lei e i suoi genitori dicono No a tantissime proposte, rinunciando a molti soldi pur di tenere alta la qualità delle attività di Francesca. «Se avessi detto sì a tutte le proposte che mi sono arrivate all'epoca, non dico che sarei milionaria, però starei molto bene». Quello di poter scegliere è un lusso che Francesca riconosce di avere ancora adesso. Benché sia consapevole di dipendere sempre dalla sua prossima mossa e di non potersi permettere un disco che venda zero, Francesca non rinuncerebbe mai a quello che vuole comunicare. Il primo lusso che si concede quando le cose iniziano a girare bene è la psicologa («Perché purtroppo la salute mentale è ancora un privilegio», dice), ma anche un’assicurazione sulla casa e un buon materasso. «Mi sono resa conto che alla fine non avevo bisogno di chissà che cosa per stare bene».La musica è sempre stato un mondo maschile. Il gender gap salariale esiste anche qui. «Quando sono uscita da X Factor mi ricordo di alcuni eventi in cui i colleghi maschi prendevano quasi il doppio di me. Si pensava che gli artisti uomini portassero più pubblico, ma non è vero. Questo trend sta un pochino cambiando anche perché le donne si stanno affermando in maniera molto più poliedrica. Da un anno, forse un anno e mezzo, si iniziano a vedere line up al femminili o miste. Le donne si stanno riappropriando sempre di più di un potere economico che a loro spetta».
Teresa Ciabatti è una delle scrittrici italiane più lette. Una che ha il coraggio di essere scomoda, addirittura scorretta. Figlia di un medico chirurgo, Teresa cresce a Orbetello in una villa con piscina per poi trasferirsi a Roma, ai Parioli, in adolescenza. La perdita della piscina, verso i 14 anni, rappresenta una perdita di identità. «I miei amici romani venivano da me solo perché c'era la piscina. Nel momento in cui nella vita reale ho perso la piscina nessuno più mi ha cercata. E per me è stata una fortuna perché a quel punto io dovevo cercarmi un’identità vera. Tante volte penso che se non avessi perso niente, probabilmente non sarei diventata una scrittrice e non avrei avuto tutta la possibilità dell'Immaginazione. Perché se tu hai tutto, pensa quanto è ridotto il campo della possibilità».
Teresa capisce allora che il vero potere non sono i soldi, ma le relazioni. «Io con la piscina ero circondata da persone che poi subito sono sparite. Senza piscina, ci ho messo vent'anni, però ho trovato delle persone che sono ancora della mia vita». Per quanto è trasgressiva nella scrittura, Teresa è molto posata nella vita reale: odia fare shopping, non viaggia. Però il suo conto in banca parla di passioni bizzarre, come quella per le costose imitazioni delle bambole reborn, che possiede in ben sette esemplari
Con infinita tenacia, Teresa riesce a vivere della scrittura, sperimentando la perdita di libertà che porta con sé il successo, ma riuscendo comunque a tenere fede alla sua voce e ai suoi protagonisti sgradevoli, per i quali si rifiuta di disegnare una parabola evolutiva.
Oggi ha una figlia adolescente alle prese con la ricerca di identità. Una ricerca che, com’è stato per Teresa a 14 anni, passa attraverso il possesso e la condivisione di cose. Ma quello che Teresa vorrebbe insegnarle è che i soldi, specie alla sua età, sono una trappola. Per cui nascere ricchi è solo in apparenza un privilegio.
Stefania Auci è una delle poche scrittrici, in Italia, che potrebbe vivere del suo mestiere. I suoi romanzi, che attraverso le vicende della famiglia Florio raccontano due secoli di storia d'Italia, hanno venduto quasi due milioni di copie. Eppure Auci si tiene stretta il suo lavoro di insegnante. Perché «lo stipendio è sempre lo stipendio», dice. Ma anche perché «in Italia è difficilissimo vivere di cultura». Tanto più se sei una donna e tutti pensano che tu debba scrivere di sole, cuore e amore, piuttosto che di soldi. «Eppure la nostra vita, esattamente come quella di un uomo, è regolata dal peso e dal valore dei soldi». E così, l'aver cambiato "le regole" della scrittura femminile le ha fatto perdere la fiducia di affidarsi ad essa completamente.
Stefania Auci è la protagonista del terzo evento del tour Rituali di benessere finanziario, a Palermo. Ai nostri microfoni ha raccontato del costo che ha pagato per il fatto di essere donna, ma anche di come ha speso i primi soldi guadagnati con i suoi libri.
Rituali di benessere finanziario è un tour organizzato in collaborazione con Alleanza Assicurazioni e con il sostegno di Sardegna Ricerche.
Fin da quand'era studentessa all'Accademia di arte drammatica, Francesca Cavallo capisce che, a parità di talento, sul suo si sarebbe investito meno che su quello di un uomo. Così, oltre che artista, diviene imprenditrice, per occuparsi in prima persona della sostenibilità delle sue idee. Quando arriva in Silicon Valley, si scontra con ciò che tiene le donne lontane dal mondo delle startup: la mentalità predatoria, il mito del far succedere le cose a qualunque costo. Lo straordinario successo che ottiene con Favole della buonanotte per bambine ribelli, un bestseller che ha venduto 6 milioni di copie in oltre 50 Paesi del mondo, le offre l'opportunità di provare a cambiare il modo in cui si è sempre fatto impresa e di sperimentare un nuovo tipo di azienda. «Il successo economico mi ha permesso di non concentrarmi sullo sfondare un soffitto di cristallo. Ho cercato invece di costruire una casa nella quale non ci fossero soffitti da sfondare per nessuno», racconta. L'esperienza della ricchezza ha ripercussioni anche sul piano personale. «All'inizio mi sembrava di dover rappresentare il mio status». Così compra una villa a Los Angeles, diventando dirimpettaia di Bradley Cooper. Ma proprio in quel momento perde il lavoro. Potrebbe cercare un posto da Disney o Warner Bros per poter mantenere la casa, ma sceglie di non far decidere la sua vita a un oggetto immobile. Svende dunque la casa, perdendo molti soldi. «Tutti i soldi che ho perso, nella mia vita, sono stati il prezzo della mia libertà».Questa conversazione è avvenuta durante l'evento Rituali di benessere finanziario, il 6 marzo 2024 a Milano. Un evento organizzato in collaborazione con Alleanza Assicurazioni.
Cecilia arriva nello studio di Elena Carbone perché soffre di attacchi di panico da quando il padre è morto, 6 mesi fa. Attraverso la psicoterapia, riavvolge il nastro della sua vita e svela una dinamica di violenza economica in cui è incastrata da quando è nata la terza figlia e lei ha lasciato il lavoro. Psicosoldi è un podcast di Rame in cui entriamo nello studio di Elena Carbone per raccontarvi le storie di chi ha sperimentato, nella sua vita, un cortocircuito tra soldi e psiche. Questo podcast è realizzato in collaborazione con Bright Sky, l'app di Fondazione Vodafone contro la violenza di genere. Ecco il link per installarla: https://play.google.com/store/apps/details?id=com.vodafone.brightsky.it&hl=it&pli=1
Nata e cresciuta a Novara, Ilaria Brustia ha 45 anni, vive a Milano, ma fin da bambina ha sempre avuto un legame profondo con la campagna, assorbendo il ritmo e i valori della vita contadina. Suo nonno, infatti, possedeva 60 ettari di terreno dove coltivava riso. Negli anni ’90, nella cascina dei nonni, comincia a muoversi la seconda generazione: è Giovanni, il padre di Ilaria, a dare nuova energia all’azienda di famiglia. Già dirigente in una multinazionale a Milano, comincia a occuparsi della gestione dei terreni.Per Ilaria, però, in quegli anni la strada sembra portare altrove. Dopo l’università si trasferisce a Londra, dove rimane per sei anni, costruendo una vita lontana dalla campagna e dall’impresa di famiglia. È solo alla soglia dei trent’anni che sceglie di rientrare in Italia e affiancare il padre. Un ritorno che non è semplice: le due generazioni parlano linguaggi diversi, e i confronti, spesso accesi, segnano ogni scelta. Con il tempo, però, tra tentativi, compromessi e intuizioni, l’azienda trova un suo nuovo equilibrio. Ma nel 2019, la traiettoria si spezza: il padre si ammala e muore nel maggio del 2020. Per Ilaria, si apre una nuova fase della vita e dell’impresa, ed è proprio in quel momento di dolore che avviene il vero passaggio generazionale: Ilaria chiude alcuni progetti avviati precedentemente dal padre, investe in macchinari 4.0 e amplia la superficie coltivabile.Nella terza puntata della seconda stagione di Percorsi, Domitilla Ferrari ci porta alla scoperta di Riso Intrepido, non solo una nuova identità aziendale, ma un progetto collettivo che porta avanti i valori di famiglia con uno sguardo contemporaneo. Dalle risaie del nonno ai mercati internazionali, tra rotazioni colturali, nuovi terreni, volatilità dei prezzi e investimenti: dietro ogni scelta agronomica si nasconde un equilibrio economico da costruire. Per aiutarci a capire questa complessità c’è Eleonora Crestani, Hr Learning & Development Specialist di Banca Sella.
Per Beatrice Iaia fare impresa è sempre stato naturale. A 23 anni, dopo aver studiato giornalismo e danza urbana, apre una scuola di ballo innovativa, con ballerini provenienti da tutto il mondo. Chiede un prestito di 30 mila euro, ristruttura lo spazio e si lancia nell’avventura. Sei anni di energia, musica e passione, fino a quando due eventi segnano la fine della sua prima esperienza imprenditoriale: la scuola subisce ripetuti allagamenti e, soprattutto, sua madre si ammala gravemente, trascorrendo due anni in ospedale. Ed è proprio in quei mesi di dolore che il laboratorio del padre diventa la sua nuova aula. Fin dagli anni Novanta, infatti, il padre di Beatrice sviluppava formulazioni a base acquosa capaci di rivoluzionare la pulizia e la manutenzione degli ambienti. In un’epoca dominata dall’usa e getta, i suoi prodotti, delicati sui materiali e rispettosi dell’ambiente, anticipavano già i principi della sostenibilità. Beatrice osserva formule, esperimenti e brevetti accumulati nel tempo: scopre non solo la scienza dietro le soluzioni, ma anche la visione di un uomo capace di guardare oltre il presente. È in quel momento che capisce che il progetto del padre può diventare qualcosa di molto più grande.Nella seconda puntata della nuova stagione di Percorsi, Domitilla Ferrari ci porta alla scoperta di Biotitan, l'azienda fondata da Beatrice Iaia nel 2018, all'età di 31 anni: lei detiene il 60%, il padre il 40%. Mentre lui brevetta le sue invenzioni, lei approfitta dello stop imposto dalla pandemia per studiare senza sosta: un master in nanotecnologie, uno in sostenibilità aziendale, poi una specializzazione come tecnica ambientale in biosicurezza. Decide di crescere con il bootstrapping: niente grandi investitori, solo il capitale che lei e suo padre possono mettere insieme, reinvestendo ogni euro guadagnato.Oggi Biotitan ha un modello di business solido nel B2B, ma continua a evolversi, tra margini alti, brevetti e strategie misurate. In questa puntata, a guidarci tra sfide e successi di un modello di business come Biotitan, c’è Monica Altea, Head of Product Management di Banca Sella.
Paola Bernardotto ha 31 anni ed è incinta del suo secondo figlio quando un piccolo espediente per affrontare le notti insonni di Giuliano, il primogenito, diventa la scintilla di un’impresa. È il 2018: a Vicenza nasce Ettomio, una piccola realtà specializzata in arredi evolutivi per l’infanzia.Nella prima puntata della nuova stagione di Percorsi, Domitilla Ferrari ci conduce nel cuore dell’imprenditoria al femminile con la storia di Paola Bernardotto, fondatrice di Ettomio. La sua è la storia di un progetto nato da un bisogno reale e cresciuto attraverso scelte coraggiose e consapevoli: dallo slow design alla produzione locale, fino alla decisione, tutt’altro che semplice, di rivedere i prezzi per restare sostenibili senza tradire i propri valori.Paola, nel mondo dell’impresa, c’è cresciuta. Suo padre guida tuttora un’azienda che produce componenti per aeronautica e automotive, lavorando con materiali innovativi. Un modello di lavoro totalizzante che, per molti anni, la convince a tenersi alla larga dall’idea di seguire le sue orme. Così, Paola studia sociologia a Trento e poi si trasferisce a Londra dove si innamora del digitale. Una volta rientrata in Italia inizia a lavorare nel settore e ne esplora ogni sfumatura, tranne una: l’e-commerce.È a questo punto, in attesa del secondo figlio, che arriva il cambio di passo. Le notti senza sonno diventano l’occasione per informarsi, studiare, immergersi in forum e blog. Paola scopre presto che quel problema che stava cercando di risolvere non riguardava solo lei. Così si muove subito: trova un falegname disposto a realizzare gratuitamente il primo prototipo di letto "montessoriano", lancia un e-commerce e sfrutta i mesi della seconda maternità per far crescere il progetto.L’azienda ingrana e Paola impara a muoversi con naturalezza proprio in quell’ambiente imprenditoriale dal quale aveva cercato di prendere le distanze. Ma i dubbi da affrontare sono tanti: brevettare o no? Cercare finanziamenti? Come gestire il cash flow?A guidarci attraverso questi snodi e a trasformarli in decisioni finanziarie consapevoli c’è Livia Trazza, Head of Acquiring Pos and E-commerce di Banca Sella.
Un puzzle di storie che ci raccontano come si arriva alla violenza economica. Dal rifiuto di parlare di soldi alla perdita di autonomia nello spendere, passando per salari più bassi e esclusione dal lavoro una volta divenute madri. A commentare le storie, la nostra psicoterapeuta Elena Carbone, che ci aiuta a capire come tenersi alla larga da questa subdola forma di violenza.Cecilia arriva nello studio di Elena Carbone perché soffre di attacchi di panico da quando il padre è morto, 6 mesi fa. Attraverso la psicoterapia, riavvolge il nastro della sua vita e svela una dinamica di violenza economica in cui è incastrata da quando è nata la terza figlia e lei ha lasciato il lavoro. Questo podcast è realizzato in collaborazione con Bright Sky, l'app di Fondazione Vodafone contro la violenza di genere. Ecco il link per installarla: https://play.google.com/store/apps/details?id=com.vodafone.brightsky.it&hl=it&pli=1
Giacomo ha 42 anni e lavora in banca. Quando ha 7 anni la perdita di suo fratello in un incidente distrugge la sua famiglia. Viene lasciato solo e costretto a vivere in una famiglia in cui non c’è più vita. Crescendo impara a sopravvivere trovando nel risparmio l’unica via di uscita: non spende il denaro che guadagna e il controllo che riesce ad avere sui soldi lo portano a diventare sempre più oculato nelle spese tanto da esercitare una forte pressione finanziaria sulla sua famiglia. A partire dalla profonda ferita della trascuratezza provata da bambino, insieme a Elena Carbone, Giacomo impara a lasciarsi andare e a concedersi di desiderare qualcosa e di spendere per averlo.
Davide ha 38 anni, una compagna, Sofia, con cui sta per avere un figlio, una soddisfacente carriera nel food e una vita attiva. Potrebbe sembrare tutto perfetto senonché arriva da me tramite il suo nutrizionista per una collaborazione: Davide è in sovrappeso, vorrebbe dimagrire, ma fa fatica a seguire la dieta. Non solo. Continua a fare acquisti online che si accumulano in una stanza, senza che lui neppure disfi i pacchi…
Giulia è in terapia da circa un anno per alcune difficoltà nel mantenere una relazione stabile. Ha 35 anni, è un'architetta che esercita la libera professione e da qualche tempo frequenta Andrea. All'improvviso, durante una seduta, emerge un dettaglio della sua vita che non aveva rivelato prima: ogni qualvolta arriva una lettera delle Agenzie delle Entrate che esige il pagamento delle tasse, lei finge di non averla ricevuta e va avanti con la sua vita. Scavando nel suo vissuto, questi due aspetti del suo carattere, l'incapacità di gestire le finanze e l'incostanza relazionale, si intrecciano indissolubilmente.Psicosoldi è un podcast di Rame in cui entriamo nello studio di Elena Carbone per raccontarvi le storie di chi ha sperimentato, nella sua vita, un cortocircuito tra soldi e psiche.Questo podcast è realizzato in collaborazione con Bright Sky, l'app di Fondazione Vodafone contro la violenza di genere.
Gianna viene mandata nello studio di Elena Carbone dal suo medico curante: da un po’ di mesi mangia pochissimo e le viene la nausea non appena si mette a tavola. Seduta dopo seduta emergono ulteriori dettagli. Gianna si è sposata e ha avuto due figli senza chiedersi se lo volesse: si faceva così. Gianna si cuce i vestiti in casa, non si concede neanche un caffè fuori, nonostante gudagni bene. Il suo non è un risparmio avido, focalizzato all’accumulo, ma è un risparmio di prevenzione. In questa puntata riviviamo la storia di Gianna e della sua famiglia, del percorso terapeutico che ha intrapreso e del salto nel passato che l’ha accompagnata a fare. Vedremo soprattutto come riuscirà a cambiare la sua concezione dei soldi, arrivando a pensarli come uno strumento per autorizzarsi, finalmente, a essere felice…Psicosoldi è un podcast di Rame in cui entriamo nello studio di Elena Carbone per raccontarvi le storie di chi ha sperimentato, nella sua vita, un cortocircuito tra soldi e psiche.Questo podcast è realizzato in collaborazione con Bright Sky, l'app di Fondazione Vodafone contro la violenza di genere.
Daniela Farnese scrive libri, sceneggiature, pubblicità. Ha il privilegio di fare il lavoro che ama. Ma cos’è esattamente “privilegio”? Quando era bambina, a Napoli, in un quartiere popolare, dentro un palazzo fatiscente, con una madre separata che cresceva tre figli da sola, il privilegio era il posto fisso di sua madre. Crescendo, i soldi erano sempre pochi ma il capitale sociale di sua madre proietta lei e i suoi fratelli fuori dall’ambiente in cui sono cresciuti. Laureata in Lingue Orientali e vincitrice di un concorso pubblico, si dimette e si cuce addosso la libera professione: lavora quando ha bisogno di soldi, il resto del tempo viaggia, scrive, conosce gente. Divenuta madre, decide di mettere radici e di comprare casa. Alla decima richiesta di mutuo, lo ottiene: in una società che si basa sempre più sul debito, anche l’accesso al credito è un privilegio. Se le chiedi oggi qual è il suo privilegio, Daniela ti risponde “il tempo”. Non guadagna molto, però ha tantissimo tempo libero, e questo è una parte fondamentale nell’equazione della felicità.
Lidia Vitale cresce ascoltando suo padre e suo zio litigarsi un’eredità che sarebbe arrivata 30 anni dopo. Da ragazzina vuole fare l’attrice e prende lezioni grazie ai soldi passati sottobanco dai nonni. Nessuno, in casa sua, avrebbe mai investito in una passione. «Guadagnare facendo ciò che ti piace era il demonio. E invece è molto più facile, perché sei più disposto a fare sforzi, a impegnarti, a investire». Lidia arriva al successo. Recita ne La meglio gioventù e in Suburra. Viene diretta da Sergio Castellitto, Marco Bellocchio, Paolo Genovesi… Eppure, crescendo, rifugge completamente l’argomento soldi, finendo per sentirsi a casa nella tragedia economica, che sembra non abbandonarla mai.
Un giorno frequenta un corso online di educazione finanziaria e qualcosa inizia a cambiare. Lidia scopre che i desideri hanno un potere molto più grande dei soldi in sé. «Io li esprimo, li visualizzo e lascio all'universo la possibilità di manifestare la modalità in cui si realizzeranno». Impara anche a discernere i bisogni indotti dal sistema capitalistico e quelli invece autentici. Soprattutto, impara a mettere in movimento il denaro: «I soldi ci servono per attivare la nostra creatività per un mondo migliore. Sono energia che va messa in circolo». Così, anche nei momenti più difficili come la pandemia, Lidia continua a donare il 5% di tutto ciò che guadagna. Oggi ha ben chiaro in testa il suo obiettivo. Vuole diventare la prima attrice produttrice italiana. E si appresta a produrre il suo primo cortometraggio. «Io ho il potere della visione. Questo non me lo può rubare nessuno. Ci sono stati momenti in cui ero poverissima, ma la mia visione ha creato l'abbondanza».
Come si costruisce l’indipendenza quando nasci nelle crepe della dipendenza economica? Anna Romanin è diventata adulta a Latisana, in Friuli Venezia Giulia, dentro una famiglia monoreddito, con una madre senza voce sulle scelte familiari e un padre capace di negare persino un sogno semplice, come rifare una cucina. La sua vita adulta è un lungo tentativo di non ripetere quella storia, anche se le circostanze la mettono continuamente alla prova.Nei primi anni di università - dopo la morte della madre - si trova a sostituirla nelle faccende domestiche, mentre il padre – pur presente – resta emotivamente e finanziariamente distante. Dopo la Magistrale, Anna inizia subito a lavorare nel settore della comunicazione e poco dopo, si sposa. Pur potendo, non cede mai alla lusinga di farsi mantenere dal marito, odontotecnico e proprietario di uno studio dentistico. Ma, come spesso accade a molte donne, Anna concentra la sua battaglia per l’autonomia fuori casa, nel lavoro, lasciando che le dinamiche domestiche seguano ruoli e aspettative interiorizzate: «All’interno della coppia, i sacrifici li ho sempre fatti io, perché lui era quello che guadagnava di più». Lo stesso accade quando nasce loro figlia: «Era quasi scontato che una mamma dovesse fare part time, lavorare poco e occuparsi del figlio. Certo che volevo stare con mia figlia, ma a livello di carriera è stato un intoppo».Quando sua figlia ha cinque anni, Anna e suo marito si separano e quattro mesi dopo, improvvisamente, lei viene licenziata e può contare solo sulla partita Iva. Impara a negoziare compensi, a chiedere il giusto valore del suo lavoro, a tenere insieme le entrate.Intanto, una nuova sfida si prospetta all'orizzonte. Come a sua madre 20 anni prima, le viene diagnosticato un tumore. E quella malattia le mostra, brutalmente, quanto poco siano tutelati i liberi professionisti. «Avrei dovuto avere come un dipendente la libertà di occuparmi di me stessa. Invece ricordo mail da mandare, richieste da gestire…».A questo punto, Anna si pone una domanda fondamentale: come può una donna separata, mamma e libera professionista, gestire da sola tutta la crescita pratica di una figlia? In una società dove il carico mentale e di cura resta fortemente sbilanciato sulle donne, il rischio è che, come dice Anna, potranno separarsi solo le donne economicamente solide o con famiglie solide alle spalle, mentre le altre non potranno permetterselo, perché i costi, in tutti i sensi, sono troppo elevati.
Cristina ha 54 anni, è ingegnera e vive a Roma con suo figlio. Cresciuta in una famiglia benestante, lei e sua sorella non hanno mai dovuto rinunciare a nulla di essenziale, ma a stabilire cosa fosse davvero necessario era il padre, un uomo molto attento al risparmio. Così, una volta adulta, Cristina punta dritta all’autonomia: a 26 anni si laurea e trova lavoro in un’azienda, e a 27 anni si sposa e compra casa. Dopo appena tre anni, però, arriva il divorzio, e quel mutuo, che doveva essere un investimento condiviso, resta tutto sulle sue spalle.Intanto passano gli anni, e a 39 Cristina diventa madre. Da sola. Senza un compagno con cui condividere la responsabilità, può contare solo su sé stessa. In questo nuovo equilibrio, Cristina può contare su una pianificazione finanziaria eccellente: «Io ho da sempre un file Excel in cui inserisco tutte le spese fisse, le entrate e le previsioni di uscite». Ma non solo: col tempo, Cristina inizia ad affidarsi sempre più spesso ai servizi di rateizzazione. Le usa per tutto, anche per spese piccole: un paio di scarpe, un pantalone, acquisti di pochi euro che, messi insieme, però, creano un puzzle difficile da tenere sotto controllo. «C’erano dei periodi che ero sempre su Zara, K-way… con tutte queste rate puoi comunque fare una previsione di spesa, però ti può sempre capitare la spesa straordinaria. Quindi, da monoreddito, mi ero iniziata a trovare in difficoltà». Così, col tempo, Cristina capisce che rateizzare tutto può anche diventare una trappola sottile: si perde il conto, si agisce d’impulso, si compra senza riflettere davvero. Oggi, ha trovato un nuovo equilibrio: le rate restano una risorsa preziosa, ma solo quando servono davvero. Per capire come trasformare la dilazione in uno strumento davvero sostenibile, nella puntata c’è Martina Moraschi, esperta di educazione finanziaria di Sella Personal Credit. Questo podcast è una co-produzione di Rame e Sella Personal Credit.
Alessandra Faiella è un’attrice, comica e regista che ha attraversato teatro, televisione e cabaret diventando una delle voci più lucide e ironiche sulla condizione femminile, sul corpo e sull’età. Cresciuta in una famiglia medio borghese - padre editore, madre insegnante - Alessandra assorbe tanta cultura, ma un rapporto ansioso e poco strutturato con il denaro. «Mia mamma diceva sempre: “siamo poveri”, anche se potevamo permetterci tante cose».Quando sceglie di fare l’attrice, entra in un mondo altrettanto ambiguo sul tema denaro. «Nel campo teatrale i soldi sono quasi un optional… parlare di soldi era un po’ volgare» . È la visione dell’art pour l’art, dove la qualità del lavoro dovrebbe prescindere dalla retribuzione. Ma questa mentalità, racconta, rende l’artista più fragile: «È una vita infame perché li finisci sempre troppo presto, sei sempre con l’affanno» .Anche nella vita privata la gestione economica non migliora. Sposa un collega artista — «uno messo peggio di me» — e insieme affrontano stagioni di lavoro molto variabili, senza pianificazione. Nel frattempo Alessandra accumula multe fino a un debito di dieci milioni di lire, che riesce a saldare solo chiedendo una rateizzazione: «Proprio ciò che non devi mai fare: le mettevo lì… si sono accumulate tantissimo» .Due incontri cambiano il suo rapporto con il denaro: l’arrivo di un figlio e la relazione, dopo il divorzio, con un’artista capace di gestire le proprie finanze con lucidità. «Ho cominciato a capire che hai tanti soldi anche perché li sai gestire» . Da lì inizia a risparmiare, controlla le sue app, si dà regole. E soprattutto supera il pregiudizio che i soldi “sporchino” l’arte: «Il mio lavoro è migliorato grazie a questa nuova attenzione al denaro: hai meno ansia» .Questa consapevolezza diventa anche una forma di autodifesa professionale: «Se tu per prima pensi: “sono un’artista, i soldi non mi interessano”, ti dai la zappa sui piedi» . Oggi Alessandra sceglie i progetti con più criterio, negozia il giusto riconoscimento e rivendica condizioni dignitose — anche semplicemente poter viaggiare comoda: «Fa parte del mio lavoro» .Il suo rituale di benessere finanziario, racconta, è aver iniziato finalmente a risparmiare: un gesto semplice, ma rivoluzionario per chi è cresciuta — e ha lavorato — in mondi dove di soldi non si parlava mai.
Michelle ha 44 anni ed è cresciuta a Salerno in un palazzo “bene”, abitato da avvocati, notai e professori universitari, in uno dei quartieri più facoltosi della città. La sua realtà quotidiana, però, è di tutt'altro genere. I soldi, in casa sua, non bastano mai. Il padre passa da un lavoro all’altro, la madre—francese, senza rete né lingua—resta a casa. Per Michelle bambina, la sensazione è quella di vivere sempre un passo indietro. «Le mie amiche andavano tutte a danza o in palestra, ma io non potevo. Mi bastava accompagnarle fino alla porta per sentirmi un po’ parte di quell’universo. Poi, quando mi chiudevano la porta della palestra in faccia — perché giustamente dovevano ballare o allenarsi — sentivo davvero quel senso di solitudine. I soldi hanno sempre rappresentato la linea di demarcazione tra me e loro».Quando la famiglia si trasferisce in provincia, a Bellizzi, la distanza sociale si attenua e Michelle ritrova un po’ di equilibrio. Finito il liceo, si iscrive a Scienze della Comunicazione con il sogno di diventare giornalista. Il suo obiettivo è semplice: riscattare quella sensazione di svantaggio che la accompagna dall’infanzia. Ma presto arriva la realtà del Sud post-universitario a spegnere le sue ambizioni: accantona il sogno giornalistico e inanella una serie di lavori precari, l'ultimo dei quali dura tre anni, in Feltrinelli. E termina con un licenziamento. Ogni volta che pensa di essersi stabilizzata, qualcosa cede. È il suo “copione finanziario”, come direbbe lo studioso Brad Klontz: un’eredità emotiva che ti dice che la stabilità è provvisoria.Intanto Michelle si sposa, diventa madre, e nel 2012 tenta la strada imprenditoriale. Apre un bistrot letterario assieme a due socie, con un finanziamento pubblico: un luogo vibrante, pieno di eventi, ma dove lei guadagna 600 euro al mese lavorando 13 ore al giorno. Dopo cinque anni lascia l’attività. A quel punto intraprende un dottorato triennale in moda e digital transformation. Ma di nuovo la strada si restringe: l’Italia abolisce gli assegni di ricerca ma non finanzia i nuovi contratti, lasciando centinaia di ricercatori in un limbo retribuito a malapena.Oggi Michelle attende l’esito di un progetto di ricerca finanziato dall’Europa e, nel frattempo, ha aperto la Partita Iva e si occupa di formazione aziendale. Sa di valere, lo vede nel lavoro, nello studio, nella costanza con cui si è reinventata, ma fatica ancora a conciliare questo valore con un’incertezza economica che continua a pesare sulla sua vita. «Vivere nella precarietà economica mi fa soffrire, perché è qualcosa che non merito, soprattutto per le capacità e le competenze che ho maturato».























