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L’oblò
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L’oblò

Author: OnePodcast

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Il racconto della politica, i suoi tic, le sue contraddizioni, la propaganda e le polemiche. Quello che arriva da lontano, e quello che capita nel cortile di casa nostra. I grandi temi, ma anche le storie apparentemente minori, perché tutto intorno a noi è frutto di scelte politiche. Spiegate e commentate attraverso L’oblò di Francesca Schianchi. Tutti i giorni, dal lunedì al venerdì .
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Se tra israeliani e palestinesi è stata scavata in questi due anni una trincea di odio e risentimento, mai come ieri, nelle immagini di gioia, di balli e canti da Tel Aviv come da Gaza city, sono sembrati coinvolti nella stessa tragedia e nello stesso senso di liberazione ora che, finalmente, si intravede una via d’uscita.
“In un momento storico in cui le divisioni vanno per la maggiore, lo sport può dire la sua per difendere una cultura democratica: accettare le idee diverse degli altri e convivere nella diversità”. Così parlò non un leader politico illuminato che sprona gli elettori alla convivenza fruttuosa e pacifica tra culture, ma Julio Velasco, l’allenatore della Nazionale di volley femminile reduce della medaglia d’oro ai campionati del mondo.
Il Parlamento europeo ha votato per mantenere l’immunità alla eurodeputata italiana di Alleanza Verdi e sinistra Ilaria Salis. Come ricorderete, l’Ungheria la accusa di aver partecipato all’aggressione di tre persone nel corso di una manifestazione, e per questo l’ha detenuta in galera per oltre un anno in attesa di processo, fino alla sua elezione nel giugno dello scorso anno. I gruppi di destra a Strasburgo avevano dato indicazione di voto per toglierle l’immunità, ma chi ha disobbedito nello scrutinio segreto ha ribaltato i numeri sulla carta. E così, Salis si è salvata dal ritorno in un carcere di Budapest per un solo voto.
Un amico che vive a Parigi ieri mi ha scritto: "Noi italiani al governo notturno non ci eravamo ancora arrivati". In effetti, abbiamo conosciuto governi balneari durati il tempo di un?estate, ma ministri nominati la sera e mandati a casa la mattina, prima ancora di poter riunire il primo Consiglio dei ministri, è un record tutto francese. E? successo ieri: il sintomo di una crisi politica e istituzionale profonda che attanaglia la tradizionalmente solidissima cugina d?Oltralpe.
Veniamo da un weekend di manifestazioni a favore di Gaza, in Italia e anche altrove in Europa. Un weekend lungo, forse sì, ma non di vacanza: di mobilitazione e partecipazione per dire basta a una guerra sanguinosissima. E chissà che quella che si apre oggi non sia la settimana della svolta, della fine dei bombardamenti e della liberazione degli ostaggi.
Da giorni la premier Giorgia Meloni chiede toni bassi e responsabilità. Per evitare un clima d’odio che lei denuncia in continuo e ora per trovare una condivisione sul tema delicato di Gaza. Ha fatto un appello alle opposizioni sulla risoluzione che è stata votata ieri in Parlamento, e le opposizioni pur non arrivando a votare a favore, hanno deciso per l’astensione, che è comunque una mezza mano tesa, perché hanno consentito di licenziare quel testo senza voti contrari. Solo che, mentre loro votavano, a duemila km da Roma, a Copenaghen dov’era per il consiglio europeo informale, lei che aveva chiesto toni bassi prendeva a schiaffi tutti quanti: la sinistra, i sindacati, e pure gli attivisti pro-Palestina.
C’è un argomento di cui si parla sempre troppo poco. Spesso per sminuirlo, a sentire il governo loro sì che hanno messo un argine. Invece. L’evasione fiscale è viva, in ottima salute, e si annida qui tra noi. I tre quarti dell’Irpef, la tassa sulle persone fisiche, vengono pagati da un solo quarto dei contribuenti. Se fate parte di quello sparuto quarto, accomodatevi qui: siamo quelli che pagano per tutti strade, scuole, ospedali. E magari ci tocca pure sentire le lamentele di chi le tasse non le paga, ma pretende servizi di qualità.
Nel pomeriggio di ieri sul sito della Stampa è comparsa una foto di Giorgia Meloni e Elly Schlein una accanto all’altra, sono appena scese da un aereo per Lamezia Terme. Stanno parlando di Gaza e della Flotilla: quello su cui sono forse più distanti, eppure su cui è più che mai necessario confrontarsi, per non trascinare un tema così delicato in campagna elettorale. Se in Parlamento fanno fatica a confrontarsi, si diano appuntamento la settimana prossima in autogrill verso Firenze. Tanto, ci potete scommettere, ci andranno tutte e due a fare comizi.
Ieri dicevamo che le Marche potevano essere la sfida scudetto, visto che le altre regioni al voto nelle settimane prossime sono considerate molto meno contendibili. Ecco: lo scudetto lo ha vinto Francesco Acquaroli di Fratelli d’Italia, e lo ha dedicato alla capitana della squadra, Giorgia Meloni.
Oggi le Marche votano per rinnovare presidente e consiglio regionale. Insieme alla Val d’Aosta, che si è espressa ieri, sono le prime di sette regioni che andranno alle urne da qui a fine novembre. Ma sapete qual è il paradosso? Che siccome tutte le altre sono considerate impossibili da strappare a chi già le governa, mentre le Marche si pensa siano un territorio contendibile, va a finire che con il risultato di stasera, al primo appuntamento elettorale, faremo già un bilancio di tutta la tornata e dello stato di salute della destra e della sinistra. Come se lo scudetto si decidesse alla prima partita.
La premier Giorgia Meloni subisce pressioni sempre più forti dall’alto e dal basso: da quei Paesi del G7 e dell’Unione europea che hanno provveduto a riconoscere lo stato palestinese in questi giorni, e dalle piazze che lunedì si sono riempite in modo praticamente spontaneo. Ieri poi gli attacchi alle barche della Global Sumud Flotilla hanno esacerbato gli animi.
C’era l’Aula mezza piena, o mezza vuota, vedete voi come interpretare il bicchiere, ieri a commemorare Charlie Kirk alla Camera. Due soli ministri e una sottosegretaria nei banchi del governo. E nessuna solennità, eravamo lontani anni luce dai toni affranti e commossi di Giorgia Meloni e Matteo Salvini nel weekend.
Sono da condannare le violenze di un drappello di manifestanti pro-Palestina ieri a Milano. Il punto però è che in decine di città sono invece scese in piazza pacificamente migliaia di persone, in cortei organizzati in quattro e quattr’otto, senza il supporto logistico del più grande sindacato o di strutture di partito. In una società spesso indifferente, la situazione di Gaza al contrario smuove sentimenti, mobilita, fa dire alle persone: facciamo qualcosa. Chi governa, dovrebbe tenerne conto.
Francia, Australia, Gran Bretagna, Canada e Portogallo riconoscono formalmente lo stato di Palestina, lo hanno già annunciato e il tutto avverrà in questi giorni in occasione dell’Assemblea generale dell’Onu prevista a New York. Un gesto simbolico, ma dal significato ancora più pesante da quando la dirigenza dello stato d’Israele ha dimostrato di voler fare di tutto per impedire che la Palestina finalmente nasca. E quindi, di voler fare di tutto per impedire quella soluzione due popoli due stati che per decenni è stata perseguita come l’unica possibile per pacificare l’area.
La riforma della giustizia ha fatto un altro passo avanti. Ieri il voto alla Camera ha chiuso la terza lettura: essendo una legge costituzionale, ne servirà ancora un’altra al Senato prima del via libera finale. Ma il testo è definitivo, ed è quello pensato dalla premier Meloni e dal ministro Nordio, perché non è stata concessa alcuna modifica. In Parlamento, la forza dei numeri è tutta a loro favore: 243 sono stati ieri i sì contro 109 no. Ma ci sarà poi un referendum: e in quell’occasione, da che parte penderà la forza dei numeri è tutto da vedere.
Anche la Sardegna ha approvato una legge sul fine vita. Un’altra regione, dopo la Toscana, che prova a fare un passo avanti su un argomento delicato e importante. E il fatto che ci siano stati anche singoli voti incrociati in dissenso dal proprio gruppo, dimostra quanto si entri in un terreno che non ha più colore politico.
C?è una foto che girava ieri sui siti di vari giornali. Ci sono diverse persone, ai loro piedi un materasso, dei cuscini, dei sacchi a pelo. Sono i parenti degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas: sono andati fin sotto casa del premier israeliano Benjamin Netanyahu, pronti ad accamparsi lì per chiedergli di fermare i carrarmati che stanno occupando Gaza City. Urla laceranti e disperate che, temo, rimarranno ancora una volta inascoltate.
Del comizio finale della segretaria del Pd alla Festa dell’Unità, Elly Schlein, mi hanno colpito due cose: il fatto che volutamente abbia evitato di parlare del clima d’odio che invece non fa che denunciare la premier Giorgia Meloni, dando naturalmente tutta la colpa agli altri, e il fatto che la stessa premier le abbia risposto a stretto giro via social. L’ho letto come il segnale, lo start della campagna elettorale delle Regionali che ci accompagnerà da qui alla fine di novembre.
L?omicidio di Charlie Kirk in America, il giovane ultratrumpiano freddato con un colpo di fucile, dovrebbe suggerire riflessioni pacate a tutti. Invece, negli Stati Uniti il presidente Trump si scaglia contro la sinistra senza tentare un grammo di autocritica. E in Italia, un episodio così orrendo, anziché unire nella condanna e nell?impegno a chiedersi come evitare degenerazioni simili del dibattito politico, si trasforma in un?ottima occasione di strumentalizzazione.
In preparazione delle Regionali prossime venture stiamo assistendo a un curioso ribaltamento di ruoli: la maggioranza che si rappresenta sempre compatta come un sol uomo che annega nel bicchier d’acqua del candidato Veneto, e l’opposizione, abituata a passare il tempo sottolineando le proprie divisioni, che trova l’intesa ovunque.
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