Quando pensiamo alcoraggio, spesso ci viene in mente un’immagine stereotipata: qualcuno che affrontail pericolo senza paura, che non mostramai debolezza, che procede imperterrito verso i propri obiettivi. Ma se vi dicessi che questa concezione del coraggio non solo è limitante, ma sta anche frenando il potenziale femminile nel mondo della leadership e dell’innovazione?È tempo di ripensare radicalmente cosa significhi essere coraggiose nel 2025.E le donne, con la loro capacità innata di abbracciarela vulnerabilità come fonte di forza, stanno guidando questa rivoluzione silenziosa ma potentissima.La paura mascherata daperfezionePartiamo da un dato chedovrebbe farci riflettere:le donne rappresentanoil 58,4% della forza lavoro globale, eppure detengono solo il 30% delle posizioni di leadership senior. Più impressionante ancora, solo 52delle 500 aziende Fortune sono guidate da donne, un misero 10,4% del totale.
Care amiche, quante volte vi è capitato di raggiungere un traguardo importante, di ricevere complimenti sinceri e, nonostante tutto, di sentire una vocina interna sussurrare: ”Non è merito tuo,è stata fortuna. Prima o poi ti scopriranno!”?Se questa sensazione vi suona familiare, benvenute nel club (purtroppo molto affollato!) della Sindromedell’Impostore.Di recente ho visto un video particolare su questo tema in cui la dottoressa RobertaMilanese, psicologa, psico-terapeuta, coach ne ha parlato.Oltre a lei anche Maria Cristina Nardone lo illustra nei percorsi di formazione in Counsel Coching Strategico e non poteva mancare nella Accademia di Leadership Femminile di cui occupo.Questo tema è più che mai attuale in un mondo che ci chiede sempre di più,spingendoci a superare li-miti che spesso non sappiamo nemmeno di avere.Vediamo insieme di cosa si tratta. La sindrome dell’impostore è una forma di auto-sabotaggio che porta a non riconoscere i propri successi, vivendoli come frutto di fortuna o inganno piuttosto che di reali competenze.Si manifesta con la convinzione persistente di non essere all’altezza, nonostante le evidenze oggettive del contrario, e con la paura di essere scoperti come “impostori”.Il Giudice Più Severo? È Dentro di Te!La Sindrome dell’Impostore è subdola,quasi invisibile. Non è la classica paura del giudizio altrui. Qui, il giudice più implacabile siamo noi stesse. È quella vocina interna,quel tribunale spietato che ci condanna costantemente: Non hai fatto abbastanza, non l’hai fatto bene, non l’hai fatto al momento giusto. E il verdetto è sempre lo stesso: siamo inadeguate.
Diventare madre è una delle esperienze più trasformative nella vita di una donna.Eppure, nel mondo del lavoro, la maternità viene spesso percepita come un’interruzione.Le donne che rientrano dopo un periodo di assenza per congedo si sentono talvolta spaesate, insicure, meno efficaci.È come se il tempo trascorso lontano da scrivanie, riunioni e progetti le avesse rese “meno” professioniste.Ma è davvero così? La risposta è no. Non solo non sono meno capaci: spesso, tornano con un bagaglio più ricco, un pensiero più complesso, una leadership più umana.Solo che nessuno glielo dice. Nessuno glielo riconosce.E allora è importante farlo qui: la maternità non è una parentesi vuota.È un master di vita e di competenze, che può arricchire anche il lavoro, se le donne (e le aziende) imparano a vederlo per ciò che è.
Secondo una ricercacondotta dall’OsservatorioAxL (Agenzia per il La-voro) le donne hanno unforte desiderio di crescerenel lavoro e di riscontra-re la valorizzazione delleproprie competenze.L’indagine è stata fattasu circa 2.500 persone dicui il 59% composto dadonne. Per le donnel’86% dichiara di esse-re interessata alla cre-scita professionale edil 44% di esse vorrebbevenisse rispettato l’e-quilibrio con la vitaprivata; la percentualeè diversa per gli uomodove il 92% è interes-sato alla crescita pro-fessionale ed il 35% alrispetto dell’equilibriocon la vita privata.Altro dato molto inte-ressante è che tra i giovanidai 18 ai 24 anni ben il 59%ha una divisione dei cari-chi di lavoro della famigliacon il proprio partner, lafascia di età tra i 25 e 34anni la percentuale è del49%, tra i 35 anni e i 44anni la percentuale è del39% e per la fascia di etatra i 45 e i 54 anni è il 34%.
Il conflitto tra ciò che si sente di dover fare e ciò che si vorrebbe realmente fare è una sfida comune, ma che spesso assume contorni particolari per le donne.Ruoli sociali tradizionali, aspettative culturali e responsabilità familiari portano molte donne a vivere in una costante tensione tra il “dovere” verso gli altri e il “volere” legato ai propri desideri e aspirazioni. Per secoli, le donne sono state educate a mettere al primo posto il benessere degli altri – famiglia, partner, figli, comunità – relegando spesso i propri desideri in secondo piano. Questo ruolo, radicato nella cultura e nella società, ha generato un senso di “dovere” che molte donne sentono come ineludibile.Secondo lo psicanalista Carl Gustav Jung, questa dinamica può essere legata al principio del “dovere archetipico”, che spinge molte donne a sacrificare il proprio sviluppo personale per rispondere alle aspettative altrui.Lo psicologo Abraham Maslow, con la sua “piramide dei bisogni”, sottolinea che l’autorealizzazione è spesso relegata in fondo alle priorità quando i bisogni di base (di altri) monopolizzanon il tempo e le energie
Ci sono momenti nella vita di tutte noi, sia da giovani donne sia da donne con più esperienza di vita, in cui avvertiamo un desiderio di creare o cambiare qualcosa nella nostra vita pro- fessionale.Quando siamo più giovani, ci capita di farci influenzare da quello che vediamo fare dagli altri, ci creiamo una proiezione del nostro futuro sulla base degli esempi che incrociamo o delle aspettative di altri che ci stanno a cuore. In questa situazione creare una propria attività non sempre rappresenta quello che potenzialmente vorremmo fare ma quello che ci sentiamo di poter fare.Nello stesso tempo, in età più matura, dopo alcune esperienze lavorative, magari anche disastrose, e con altri impegni familiari che si sono nel frattempo affiancati alla vita professionale, diventa ancora più “problematico” concedersi di sognare di cambiare rotta o fare qualcosa di diverso dal lavoro che facciamo.
Ognuna di noi, prima o poi, ha avvertitoo avverte un forte desiderio di esprimersi,di realizzare qualcosao, al contrario, vive lafrustrazione di nonsentirsi realizzata.Nella fase di vita degli studi, di preparazione al proprio futuro professionale, di sogni ad occhi aperti sulla futura vita adulta ci si mette tanto di quello che si “spera” possa renderci felici o ci si basa su ciò che conosciamo di altri o di esempi che da fuori ci aprono a possibili scenari.Quando mi capita di fare la domanda: “Cosa avresti voluto fare quando eri più piccola?”, le risposte sono per lo più lontane da quello che inrealtà si sta facendo.
Ci sono soft skillfemminili?Iniziamo chiarendo cosa sono le soft skill e perché sono molto importanti nell’attuale scenario del business e nel lavoro.Se dovessimo fare un parallelo con il nostro smartphone potremmo dire che le soft skill sono tutte quelle applicazioni che ci permettono di ottenere funzioni diverse dal nostro cellulare e che possiamo implementare quanto vogliamo.Nello stesso tempo un cellulare senza un sistema operativo e una componente elettronica non può neppure essere acceso.Questo significa che affinché qualcosa funzioni ci deve essere da una parte la componente hard, che chiameremo in questo caso hard skill, ed una componente soft, che corrisponde alle soft skill.Nel nostro mondo moderno, molti aspetti hard sono svolti da computer, macchine elettroniche e sistemi informatici.Per esempio nell’ambito della casa, con l’invenzione prima della lavatrice, poi della lavastoviglie edi altri elettrodomestici, oramai tanto lavoro hard è svolto proprio da questi nuovi strumenti.
In Italia, il ruolo delle donne casalinghe è ancora ampiamente diffuso, con circa 7 milioni e 338 mila donne che dedicano il loro tempo alle faccende domestiche e alla cura della famiglia. Nonostante il loro contributo sia fondamentale per il benessere familiare e sociale, spesso queste figure vengono sovraccaricate di lavoro, sottovalutate e non adeguatamente riconosciute.Numero di casalinghe: Secondo l’Istat (2016), circa il 15% delle donne tra i 15 e i 64 anni in Italia è casalinga.La percentuale sale al 22% nel Mezzogiorno.Età: L’età media delle casalinghe è di 60 anni, ma il fenomeno è in crescita anche tra le giovani (8,5% sotto i 35 anni).Livello di istruzione: Il 74,5% delle casalinghe ha al massimo la licenza media inferiore.Situazione familiare: Il 42,1% delle casalinghe vive con figli, un quarto in coppia senza figli e il 19,8% dasola.
L’empowerment femminile nel mondo del lavoro è un argomento che merita un approfondimento, non solo per comprendere le sfide che le donne affrontano ma anche per celebrare i progressi compiuti e delineare i passi futuri verso una completa parità di genere.Troppo spesso si tende a considerare l’empowerment ossia“il potere” femminile come qualcosa che vuole “sconfiggere un possibile avversario” oppure che vuole “dominare su qualcosa o qualcuno”.Approfondire questo argomento vuol dire scoprire quale sia questo “vero potere femminile” e così, attraverso una combinazione di riflessioni storiche, esempi contemporanei e strategie future, possiamo insieme esplorare come l’abilità e il talento delle donne possano essere meglio riconosciuti e valorizzati nel contesto lavorativo.Possiamo dire che il silenziamento delle donne ha radici profonde nella storia, come evidenziato dall’esempio di Penelope nell’Odissea. Questo antico esempio di marginalizzazione della voce femmi- nile non è un caso isolato ma piuttosto un simbolo di una lunga tradizione di esclusione delle donnedalla sfera pubblica e decisionale.
Con l’inizio di un nuovo anno viene spontaneo chiedersi cosa fare di nuovo o cosa migliorare di noi stesse, del nostro lavoro o delle nostre relazioni.Con la domanda posta in questi termini viene più facile rispondere elencando aspettative, desideri, ambizioni, necessità che vorremmo soddisfare.In questo modo avvertiamo un senso di direzione o possibili direzioni che ci rendono più chiara la traiettoria, ma accade anche che pur avendo chiarezza di visione e di direzione, poi non riusciamo a realizzare quello che volevamo, ci accorgiamo nel durante che tutto non è così chiaro e in sequenza.Quando questo succede, anche quello che nel frattempo abbiamo concretizzato ha un forte retrogusto di insoddisfazione per qualcosa che ci sfugge, che ci disorienta e non sappiamo individuarne la causa.
In questo periodo dell’anno, sarà per l’avvicinarsi della fine di un anno, saranno gli impegni per lavoro e famiglia in concomitanza con l’organizzazione delle varie ricorrenze, delle sognate vacanze invernali, saranno gli accadimenti che ci preoccupano... siamo forse troppo occupate!Occupate a pensare, a organizzare, a preparare, a fare e sbrigare... e questo occupa tutto il nostro spazio vitale.“Il troppo stroppia” e così rischiamo di avvertire un senso di ineguatezza perché non riusciamo afare quello chevolevamo, un senso difrustrazione perchénon ci sentiamomai abbastanza e,soprattutto, un senso di sopraffazione che ci arriva attraverso lo stress e i vari sintomi con cui si manifesta: stanchezza,insonnia, nervosismo,apprensione,svogliatezza e altri come mal di testa,crampi allo stomaco etc..
Sentiamo o leggiamo spesso di iniziative di sostegno, o bandi, o finanziamenti per progetti dove le donne sono protagoniste.Per agevolare l’occupazione delle donne nel mondo del lavoro ci sono numerose iniziative locali, naziona- li e internazionali che sono pronte a sostenere i progetti, e noi donne siamo pronte? Abbiamo un progetto?Abbiamo un Business Plan da presentare?Avere un progetto signi- fica prima di tutto aver deciso di volersi occupare in qualcosa di specifico, oggettivo e realizzabile.
Ad ognuna di noi prima o poi è arrivato questa domanda: di cosa mi piacerebbe occuparmi? Spesso a questa domanda rispondiamo con: “non è a ancora il momento per pensare a questo” oppure “magari potessi scegliere!” o ancora “non lo so!?”, in ogni caso il più delle volte non troviamo la risposta o rimandiamo o bypassiamo. Siamo sempre prese nelle vicende quotidiane, nelle commissioni, nell’organizzare i tempi per ogni ambito di vita, un pò sempre in corsa, soprattutto con noi stesse. Sì il nostro peggior cronometrista siamo proprio noi stesse, vogliamo riuscire a fare tutto quello che abbiamo in programma, tutto quello che nel frattempo ci capita e riducendo sempre di più lo spazio per tirare un sospiro profondo, per gustarci qualcosa che ci piace del nostro quotidiano.
Sempre più persone si stanno accorgendo di quanto sia importante e direi anche necessario fare attività fisica.Questo sicuramente è dettato da maggiori conoscenze in ambito medico o anche semplicemente culturale e tecnologico.Infatti è sempre più facile accedere alle conoscenze di qualsiasi tipo, attraverso internet e i mezzi per poterlo fare sono alla portata di tutti, vedi i cellulari.Il sapere che il “movimento è la migliore medicina” che ogni persona ha a sua disposizione per vivere una vita di qualità è una certezza che è dettata sia dal sapere che l’uomo per la sua natura è fatto per muoversi, mettendo in pratica l’azione del camminare, correre, saltare, tirare, spingere, arrampicarsi, etc… sia dal fatto che sempre di più conosciamo i meccanismi che stanno alla base di un corretto funzionamento del nostro corpo.
Perché parlare oggi di autoefficacia?Quando i problemi ci sembrano più grandi di noi, quando non ci sentia- mo sicure o ancora quando tutto ci sembra difficile o estenuante, conoscere la nostra autoefficacia, o meglio poterla valutare ci può aiutare a prendere in mano la situazione nel miglior modo possibile.Secondo lo psicologo canadese Albert Bandura “L’autoefficacia è. la credenza che una persona ha rispetto alle proprie capacità di produrre azioni che portino ai risultati desiderati.”Il senso di autoefficacia ci guida nella scelta degli obiettivi e delle azioni da mettere in campo, infatti quando sentiamo un basso livello di autoefficacia, ossia quando abbiamo le convinzione che le nostre capacità non siano all’altezza della situazione, non credendo in noi stesse, minore sarà il nostro impe- gno o il nostro focus sulla nostra riuscita.
Quando siamo in confusione, quando siamo oberate oppure quando anche abbiamo deciso di prendere una direzione, chesia per una nuovo lavoro, che sia per cambiarlo o migliorarlo la prima domanda che ci assilla è “E adesso cosa faccio?”Non ci sembra vero quando qualcuno ci spiega, o leggiamo di qualcuno altro, che, senza sforzi, ci indica gli step per agire e per raggiungere i nuovi obiettivi o trovarenuove soluzioni a ciòche ci preoccupa.
Esiste la competizione tra donne? Questa domanda provocatoria vuole stimolare la riflessione e farci uscire dagli stereotipi come quello dell’invidia e della rivalità tra le donne.Per uscire da questi stereotipi possiamo leggere nella storia e cultura del passato per rilevare un paio di evidenze che riguardano noi donne.
Quando anni fa diventai un’insegnante di educazione fisica, con il titolo conseguito all’ISEF di Firenze, capii subito che la cosa che più mi affascinava di questo tipo di attività non era certo la parte agonistica o quella narcisista che spesso qui si cela sotto mentite spoglie, bensì quella di aiutare le persone a vivere bene il proprio corpo, rispettandolo, assecondandolo e curandolo.Per fare ciò iniziai successivamente il percorso per diventare Osteopata chemi avrebbe permesso di aiutare le persone affette da varie patologie strutturali o traumatiche, interrotto dopo soli due anni per fare il mestiere più bello ed appagante del mondo, quello di madre di due splendidi figli Veronica e Michele.
Un tempo veniva detto che la decisione che prendevi per “la tua futura carriera lavorativa” sarebbe stata l’attività per tutta la tua vita.Tante persone che sono oggi in pensione possono raccontare di aver lavorato nella stessa azienda, oppure nello stesso ruolo o ambito per tutta la propria vita lavorativa.Altre persone sono occupate nella medesima attività ormai da tanti anni.