Se non sbaglio, era l'inizio di settembre: l'Unità uscì con un articolo in prima pagina (che non riesco a trovare nel sito, che parlava della Treviso razzista e di immigrati che avrebbero paura di venire in piazza dei Signori (la piazza centrale) a prendere un caffè. Anche se questo non è uno spazio per giudizi, lasciatemi dire che, insieme ad alcune cose vere, ce n'erano molte di false. Nel cortile di Ca' Sugana, sede del municipio di Treviso, che è il luogo preferito delle sue esternazioni davanti ai giornalisti, Gentilini si fece facilmente tirare per la giacca a parlare dei «depositari delle bugie bolsceviche»
Qualcuno lo chiama immaginifico, di certo Giancarlo Gentilini è fantasioso, con la tendenza a perdere talvolta il controllo del linguaggio. L'argomento oggi non è importante (si parlava comunque di un movimento veneto, composto da un gruppo consistente di sindaci che hanno come obiettivo quello di far restare nei Comuni il 20 per cento delle entrate dell'Irpef, progetto osteggiato dalla Lega Nord), ascoltate invece Gentilini e ascoltate soprattutto quella che, secondo alcuni esegeti, è la sua versione del tradizionale proverbio "A caval donato non si guarda in bocca".
Il nuovo questore, Carmine Damiano, ha deciso di scoprire se in provincia di Treviso esistono davvero ramificazioni della mafia cinese. È sempre l'8 novembre quando a Gentilini è chiesto un commento. Lui inizia in modo ontologicamente apodittico: «La mafia cinese è sempre stata». Poi mostra di non apprezzare molto l'attività delle forze dell'ordine: «Anche le autorità preposte all'ordine pubblico a volte si nascondono dietro a un dito», «Ho già segnalato alla Guardia di finanza certi assembramenti, ho già segnalato certe società che utilizzano anche gli extracomunitari per portare quei dépliant in giro». Senza risultato, aggiunge. Infine arriva a uno dei suoi cavalli di battaglia, quello degli immigrati. E la frase è un tipico concentrato dei più gretti concetti leghisti (grammatica inclusa): «È tutto un sommerso che con la grande apertura di tolleranza abbiamo importato le criminalità più oscene». Con una conclusione sullo Stato italiano che non è proprio in linea con l'appartenenza del suo partito, la Lega Nord, alla maggioranza: «Purtroppo viviamo in uno Stato di omertà».
È l'8 novembre quando a Giancarlo Gentilini viene fatta una domanda sulla Osram, società del gruppo Siemens con uno stabilimento anche a Treviso, dove si è cominciato a parlare di 390 licenziamenti. A Gentilini la Osram non è indifferente, perché quand'era sindaco lo ha aiutato nell'illuminazione del centro, ottenendo in cambio una targa in piazza dei Signori. Come fa spesso, il vicesindaco sposta però il discorso dal tema locale a quello nazionale o, addirittura, a quello internazionale. Sulla Osram non risponde, però dice che Obama «si troverà a combattere con la realtà attuale, gli dèi venuti dal cielo io non ci credo» e poi avverte i suoi concittadini su una cosa che, francamente, sia i trevigiani sia gli abitanti di altre città d'Italia e del mondo, probabilmente sospettavano: quello che sta per arrivare non sarà un Natale facile. Anzi, per dirla con Gentilini, sarà un Natale di lacrime.
«Certi errori non si giustificano in giocatori di serie B». Giancarlo Gentilini va a vedersi tutte le partite che il Treviso gioca in casa, permettendosi anche show in tribuna (Adriano Galliani si ricorda ancora il gesto dell'ombrello che il vicesindaco gli rivolse qualche anno fa). Venerdì sera si è guardato Treviso - Salernitana (finita 2-2) e certi errori non gli sono piaciuti; per fortuna dei giocatori non è né l'allenatore né il presidente della società. Nell'audio non perde neppure l'occasione per sorridere del calcio di parrocchia "corri e pedala" che giocava, molti anni fa, l'assessore Sergio Marton.
Il 4 settembre il ministro dell'Interno Roberto Maroni venne a Treviso. In quel periodo si parlava anche di una moschea per i molti musulmani della provincia; o meglio, si parlava di un luogo in città nel quale i musulmani potessero pregare. Maroni non disse alcuna parola definitiva, anzi, scaricò ogni decisione sul sindaco, sostenendo che era compito dell'amministrazione quello di concedere autorizzazioni per edifici di culto. Il giorno dopo Gentilini, aggiungendo anche un misterioso accenno a un «fatto bilaterale fra lo Stato italiano e altri Stati», disse che delle parole di Maroni non gliene fregava nulla: «Io non farò mai moschee».
Questa registrazione, che avvenne al mercato ortofrutticolo di piazza San Parisio, non è databile con precisione, ma si riferisce a fine settembre 2008, quando il sindaco leghista di Verona Flavio Tosi vietò ai missionari comboniani l'esposizione della bandiera arcobaleno, ossia della bandiera della pace. Alcune uscite di Giancarlo Gentilini hanno fatto rumore sui mezzi di informazione nazionali, molte altre esternazioni, a volte altrettanto violente nel linguaggio, sono rimaste all'interno dei confini trevigiani. Questa è una di quelle (alla fine c'è anche una sorta di suggeritore del vicesindaco Sceriffo, ma non so chi sia).
Mercoledì mattina, abituale conversazione di Gentilini con i giornalisti nel cortile di Ca' Sugana, la sede del municipio di Treviso. L'argomento, questa volta, è la scuola, con le proteste contro la riforma Gelmini. A Treviso gli studenti hanno cominciato a muoversi proprio quel giorno e a farlo, al Riccati (il principale istituto tecnico commerciale della città), sono stati soprattutto gli studenti di destra. Ascoltatevi il Gentilini pensiero, che comincia dicendo «È la rivoluzione dei sinistrorsi». E se un giornalista obietta: «Sono quelli di destra, veramente, al Riccati», la risposta non arriva. Gentilini prosegue sostenendo che è «necessario il pugno di ferro». Pugno di ferro che deve essere usato dallo Stato, ma non da uno Stato qualsiasi: «Dev'essere uno Stato di diritto e non uno Stato besciamella».
In questo blog si parlerà di Gentilini, ma non soltanto di Gentilini, e così il secondo post è dedicato a Giorgio Bettio. Fuori di Treviso immagino che l'abbiano dimenticato tutti e molti non lo ricordano più neppure in città. Eppure il 3 dicembre dell'anno scorso Bettio, di professione architetto, era consigliere comunale a Treviso ed ebbe i suoi 15 minuti di warholiana notorietà. Fece un discorso su immigrati, civiltà e criminalità che lasciò perplessa, molto perplessa (per usare un eufemismo), persino la Lega Nord, il suo partito di allora. Fu isolato, passò a Progetto Nordest e nella scorsa primavera non fu più rieletto. Di Bettio parlai in un altro blog in un paio di occasioni, perché fu un caso mediatico interessante. Qui invece vi faccio semplicemente riascoltare quel discorso, nel quale Bettio ammette fra l'altro di essere a volte un razzista. Senza commenti, perché in questo blog vorrei evitare commenti e perché in casi del genere comunque non servono.
Il 18 aprile 2007 un incendio distrugge la fabbrica della De Longhi, alla periferia est di Treviso. Una colonna di fumo nero altissima ed estesa, visibile a chilometri e chilometri di distanza, invade e pervade la città e i dintorni, per alcuni giorni i bambini della zona non vanno a scuola, nelle farmacie vanno esaurite le mascherine antismog. Un ufficiale del carabinieri (il tenente colonnello Michele Sarno, comandante del Nucleo operativo ecologico) parla subito di pericolo diossina, tuttavia i rilevamenti successivi escludono un pericolo per la salute pubblica. La Procura formalizza l'accusa di incendio doloso, ma l'autore non viene scoperto. Sotto accusa, all'udienza preliminare cominciata ieri mattina, due dipendenti della De Longhi, che non avrebbero applicato tutte le norme di sicurezza nella fabbrica. Il Comune decide inizialmente di costituirsi parte civile, per rappresentare gli interessi dei propri cittadini, come hanno fatto ieri tre ministri (Interno, Difesa e Ambiente), ma l'altro ieri improvvisamente cambia idea. Nell'audio che potete ascoltare qui sotto, Giancarlo Gentilini spiega che la De Longhi ha risarcito al Comune le spese sostenute per la pulizia della città all'epoca del disastro (circa 40.000 euro) e che questo per lui è sufficiente. Poi, quando sente la parola "opposizione", il vicesindaco di Treviso va in escandescenze e lascia i giornalisti urlando.