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I monumenti storici di Grottaglie: la Grotta di Bucito

Situata tra i suggestivi paesaggi delle gravine di Grottaglie, la Grotta di Bucito (conosciuta anche come Grotta di Coluccio) rappresenta uno dei siti archeologici e naturalistici più interessanti del territorio tarantino. Questo luogo, poco distante dal centro abitato, non è solo una formazione naturale affascinante ma anche testimone delle più antiche presenze umane nell’area.  Un luogo nella storia  La Grotta di Bucito si trova in prossimità di un importante snodo stradale, strettamente connesso al Tratturo Martinese, un’antica via di collegamento tra la costa ionica e l’entroterra della Puglia. In particolare, la grotta si trova nelle vicinanze della pineta Frantella, della gravina di Riggio e delle cave di Fantiano, altri affascinanti luoghi, protagonisti della storia e della cultura grottagliese.  Proprio la sua posizione strategica ha contribuito da un lato a preservare e dall'altro a rendere accessibile la grotta, che fin dai tempi più remoti fu utilizzata dall’uomo per abitazione o rifugio.  Le origini più antiche  Gli scavi e le ricerche nelle contrade di Bucito e delle zone limitrofe di Grottaglie hanno rivelato la presenza di strumenti in pietra lavorata grezzamente, attribuibili al Paleolitico, il periodo più antico della preistoria umana. Questo fa della Grotta di Bucito uno dei siti più arcaici in tutta la regione, assieme a Coluccio e Lonoce.  Durante il Neolitico, la grotta fu probabilmente al centro della formazione di piccoli villaggi agricoli. L’uso delle caverne naturali proseguì per tutto il corso dell’età del Bronzo e del Ferro, testimoniando l’importanza di questo sito come insediamento e luogo di comunità.  Nell'ultimo periodo dell'età del bronzo però, l'economia agricola prende il sopravvento sulla pastorizia e le comunità tendono a diventare sempre più stanziali, per cui grotte e gravine vengono gradualmente abbandonate dalla popolazione, che comincia a dare vita a villaggi e insediamenti di tipo urbano sempre più grandi e strutturati, anche per meglio fronteggiare le minacce provenienti da predoni e i disagi causati dalle intemperie atmosferiche.   Natura, paesaggio e tutela  Nonostante la sua storia millenaria, il primo rilievo della grotta, condotto con metodi scientifici", fu eseguito nell'ottobre del 1982 da Marco Bernardo e Bentivoglio Giuseppe Quaranta, che contribuirono a conoscere meglio la storia e l'ambiente circostante.   La Grotta di Bucito è immersa nel Parco Regionale delle Gravine, un’area dove la natura selvaggia domina e dove si trovano specie animali e vegetali ormai rare o in via d’estinzione. Le gravine rappresentano un ecosistema unico, meritevole di studio e salvaguardia sia per il loro valore naturalistico sia per quello storico-archeologico.  Curiosità e simboli  La presenza di grotte come Bucito ha dato il nome stesso a Grottaglie, che deriva da "Cryptae aliae", ossia “diverse, molte grotte”. L’importanza delle grotte nella storia locale è testimoniata anche dallo stemma municipale, su cui compare una grotta che richiama sia la ricchezza archeologica sia la vocazione agricola e pastorale della zona.  Quasi certamente infatti, la grotta prende il nome dai termini greci βοῦς, ovvero "bue" e οἰκία cioé "casa, ricovero, abitazione", indicando quindi che la grotta venisse impiegata come stalla e luogo di ricovero per greggi e armenti.   Visitare la Grotta di Bucito  Oggi la grotta è meta di escursioni e percorsi naturalistici, ideale per chi desidera scoprire un angolo ancora incontaminato della Puglia e immergersi nelle radici più antiche del territorio. Il contesto delle gravine, le vicine pinete e la ricca biodiversità rendono la visita non solo un’esperienza di conoscenza, ma anche di meraviglia davanti alla forza modellatrice della natura e della storia millenaria di Grottaglie.  La Grotta di Bucito, con il suo fascino discreto, continua a parlare delle origini dell’uomo e del lento scorrere dei secoli su queste pietre: un vero e proprio museo a cielo aperto.

08-27
16:56

I monumenti storici di Grottaglie: Il Chiostro dei Paolotti

Il Chiostro del Convento dei Paolotti di Grottaglie è una testimonianza significativa dell'architettura e dell'arte religiosa in Puglia.Parte del complesso dedicato a San Francesco di Paola, il chiostro risale al XVI secolo ed è stato ricostruito nel XVIII secolo dopo il terremoto del 1711, seguendo lo stile barocco dell'epoca.La struttura del chiostro è caratterizzata da venti arcate a tutto sesto, sostenute da colonne doriche realizzate in carparo locale. Sui lati sud, est e ovest le colonne sono quadrate e hanno sulla sommità dei piccoli capitelli, mentre a nord sono ottagonali e si congiungono direttamente con il relativo arco.L'architetto che ha realizzato l'opera è sconosciuto e quasi certamente furono diversi i responsabili che si alternarono a dirigere la costruzione; l'anno di realizzazione è la metà del '500, ma si tratta più di una indicazione cronologica che di una data precisa, non potendosi realizzare una simile opera nel giro di pochi anni.Le volte sono a vela ed hanno al centro una pigna, anche questa realizzata in pietra tufacea che fa da chiave di volta. Sul lato settentrionale del chiostro si affacciano, tra gli altri sei ampie finestre che danno luce ai locali soprastanti, costituenti il corridoio di soggiorno.Il chiostro rappresenta un percorso di raccoglimento ma anche una sorta di libro illustrato con la storia dell'Ordine dei minimi, dei suoi principali rappresentanti e di alcuni benefattori; le lunette perimetrali, comprese le quattro all'ingresso di cui una quasi completamente perduta, sono decorate impreziosite con trentadue affreschi realizzate dell'artista Bernardino Greco da Copertino nel 1723.Anche qui le ingiurie del tempo e l'incuria degli uomini rischiano di far perdere per sempre questo tesoro di arte e di fede; la speranza è che il chiostro del convento dei Paolotti continui a rappresentare non solo un patrimonio storico e artistico di rilievo, ma anche un vivace centro culturale, simbolo della continua interazione tra passato e presente nella città di Grottaglie.

04-23
24:07

I Monumento storici di Grottaglie: il Presepe di Stefano da Putignano nel Carmine

Questa straordinaria opera d'arte da secoli abbellisce la chiesa dedicata alla Beata Vergine del Monte Carmelo a Grottaglie; ad affascinare i tanti visitatori che vengono ad ammirarlo non sono solo le imponenti dimensioni o la minuziosa cura dei dettagli dei personaggi, ma anche la sua storia, che è così curiosa da sembrare inventata.Realizzato nel 1530 da Stefano Pugliese, detto Stefano da Putignano in omaggio alla sua città natale, questo gruppo scultoreo realizzato in pietra policroma è attualmente ospitato in una cappella laterale della chiesa, fatta costruire nel 1530 da Turco Galeone, ricco possidente e benefattore grottagliese.

01-14
23:12

I Monumento storici di Grottaglie: il Santuario della Madonna di Mutata

Ubicato a circa 6 km dal centro cittadino, a nord-ovest lungo la strada che conduce a Martina Franca, questo santuariodalla storia secolare è dedicato alla patrona di Grottaglie ed è oggetto della fede e della devozione da parte dei grottagliesi ma anche di tanti residenti nei paesi limitrofi, come Montemesola, Monteiasi e Martina Franca, che lo raggiungono a piedi percorrendo i tragitti che da secoli vedono il pellegrini impegnati nel loro percorso di devozione e penitenza, come accade anche per San Ciro.Elevato a santuario mariano dall'allora arcivescovo di Taranto Mons. Ferdinando Bernardi con decreto del 1 aprile 1954, questo monumento di origine basiliana fu eretto nel 1600 sui resti di una piccola chiesa risalente al X° secolo ed è conosciuto anche con l'appellativo di S. Maria in Silvis a causa della sua ubicazione nella cosiddetta "Foresta Tarantina".

10-24
29:53

I monumenti storici di Grottaglie: la chiesa di San Francesco da Paola

A Grottaglie c’è una chiesa molto particolare, intitolata ad un santo omonimo di uno dei patroni cittadini, che ospita la venerata immagine dell'altro patrono e che si affaccia sulla strada che porta al santuario dedicato alla patrona principale, tanto da dare il nome alla intera zona.Parliamo, come molti avranno già capito, della chiesa dedicata a San Francesco da Paola edificata nel XVI secolo per volere dell’Ordine dei frati Minimi e grazie all'opera di fede e volontà dei due fratelli grottagliesi Giacomo e Girolamo Sammarco.Scopri di più: https://www.grottaglieinrete.it/it/i-monumenti-storici-di-grottaglie-la-chiesa-di-san-francesco-da-paola/

09-12
22:24

I monumenti storici di Grottaglie: la chiesa della Madonna del Carmine

La chiesa dedicata alla Beata Vergine del Monte Carmelo, popolarmente conosciuta come Madonna del Carmine, è da secoli uno dei fulcri della fede grottagliese, testimoniata nei secoli dalla imposizione dei nomi come Carmine, Carmelo e Carmela ai neonati.Nella zona in cui un tempo era ubicata una delle porte di accesso alla città sorge un tempio che ospita e protegge opere d'arte e preziose testimonianze di fede.Dalla lapide funeraria della famiglia Cicinelli al mezzo busto in pietra tiburtina che ricorda Antonio Marinaro, passando per il monumentale presepe in pietra policroma realizzato da Stefano da Putignano e le tele che immortalano uomini illustri come Padre Nicola Maria Ricchiuti o scene religiose come la deposizione di Cristo dalla Croce del Cunavi, San Gaetano con Bambino e angeli musicanti del Fenoglio e - ovviamente - il quadro raffigurante la Beata Vergine del Monte Carmelo, ospitata nella cappella che conclude la navata destra.Sull'angusto spiazzo su cui si affacciano tanto la confraternita del Carmine che l'ex convento che dopo la riforma murattiana divenne carcere mandamentale ed oggi è destinato a laboratorio urbano, la facciata realizzata nella prima metà del XVIII° secolo accoglie il fedele con le immagini della Vergine del Carmelo effigiata nel medaglione soprastante l'ingresso centrale ed affiancata dalle statue dei profeti Elia ed Eliseo alloggiate in due nicchie laterali.L'interno della chiesa è diviso in tre navate, segnate dalle modifiche e dai restauri non sempre felici che si sono succeduti nei secoli. A ricordarne l'origine, i documenti che raccontano della donazione agli inizi del '500 da parte del sacerdote Romano de Romano di una piccola casa e di una cappellina che probabilmente già accoglieva il culto mariano ed una lapide commemorativa in marmo, presente nella cappella del presepe, che testimonia della donazione effettuata da Turco Galeone per realizzare la cappella stessa.Da cinque secoli il culto mariano è vivo e palpitante tra la popolazione grottagliese, rinnovato nelle cerimonie religiose, nelle processioni e negli eventi liturgici così come ricorre anche in tradizionali modi di dire, come nel caso del "vento del Carmine", che aiuta i contadini a separare il grano dalla pula dopo le operazioni di mietitura estive.

07-15
31:50

I monumenti storici di Grottaglie: il Santuario di San Francesco De Geronimo

Edificata nel 1832, consacrata nel 1916 e proclamata Santuario nel 1941, la chiesa è dedicata al santo grottagliese Francesco de Geronimo, le cui spoglie mortali sono custodite in una urna alloggiata in una cappella laterale e adiacente alla abitazione del santo. Il desiderio di voler edificare un luogo di culto al santo gesuita è ben precedente al 1806, anno della sua beatificazione, e si concretizzò nell’idea di costruire una chiesa proprio nel luogo in cui Francesco nacque e si realizzarono i primi miracoli a lui attribuiti. La piccola casa vicina alle “scalelle” ed alla chiesa di Santa Maria della Serra faceva parte di un complesso edilizio di quasi cinquecento metri quadrati, che comprendeva anche un palazzotto ed una abitazione terranea.

06-06
24:22

I monumenti storici di Grottaglie: la Chiesa della Madonna del Lume

Tanto semplice e modesta all’esterno con una facciata incompleta caratterizzata da un finestrone a polpo rovesciato che richiama quello della Congrega del Purgatorio e abbellita dalle due nicchie in cui sono ospitate le statue a mezzo busto di San Gaetano e San Andrea Avellino.

04-23
21:23

Grottaglie, storia e territorio: ecco com'era la città secoli fa

Aggirandoci tra le vie e le ‘nchiosce del centro storico possiamo a volte immaginare, altre volte avere palese testimonianza di come fosse Grottaglie decenni o secoli fa.  Alcuni luoghi sono quasi immutati da secoli, come il castello episcopio o la chiesa matrice; altri hanno subito modifiche e cancellazioni – dovute agli oltraggi del tempo, all’incuria degli uomini o rese necessarie dal mutare delle esigenze della popolazione.  Andare alla scoperta di come una città è cambiata nel corso del tempo può riservarci piacevoli sorprese e interessanti conferme, percorrendo un viaggio nel tempo che possiamo intraprendere quasi senza spostarci da casa.

04-05
50:47

I monumenti storici di Grottaglie: Palazzo Cicinelli

Come può la storia di una famiglia che per secoli ha inciso profondamente nella vita economica, politica e sociale di un territorio essere quasi completamente cancellata, senza praticamente lasciare alcuna traccia nella città che ha dominato? In realtà qualche testimonianza la possiamo trovare, a patto di saperla cercare. Facciamolo insieme!

03-08
13:06

Bagnardi ricorda Rocco Maggi

La città di Grottaglie, e non solo, dà l'ultimo saluto a Rocco Maggi.Nato il 4 novembre 1948 è stato, tra gli altri, Sottosegretario di Stato per la Giustizia dal 27 aprile 2000 al 10 giugno 2001 nel Governo Amato II, con ministro Fassino.Carlo Caprino ha incontrato il già più volte sindaco di Grottaglie Raffaele Bagnardi che ne traccia un profilo.

03-02
24:13

I monumenti storici di Grottaglie: la Chiesa Madre

Edificata nel 1379 sotto la direzione del maestro Domenico di Martina, la chiesa matrice di Grottaglie, conosciuta anche come Collegiata dedicata a Maria SS. Annunziata è uno dei pochi monumenti di cui conosciamo con certezza anno di realizzazione e architetto costruttore, grazie ad iscrizione in caratteri gotici presente sulla facciata. Edificata a cura dell’arcivescovo Giacomo d’Arti, a cui si deve anche la realizzazione del castello e della cinta muraria cittadina, la chiesa prese quasi certamente il posto di una struttura preesistente, rivelatasi col tempo troppo angusta a causa dell’aumento della popolazione e da allora, posta tra l’oratorio della Confraternita del Purgatorio ed il palazzo baronale, testimonia la fede dei grottagliesi.

02-21
17:03

I monumenti storici di Grottaglie: il Castello episcopio

Un tempo soggetto prediletto per le cartoline postali illustrate che i turisti spedivano agli amici dal luogo delle loro vacanze, da secoli segno tangibile del potere temporale esercitato dagli arcivescovi di Taranto sul popolo di Grottaglie, il castello episcopio si affaccia sulla gravina di San Giorgio, nella zona sud-orientale del quartiere in cui hanno sede la maggior parte delle storiche botteghe figuline e fu realizzato per volere dell’arcivescovo Giacomo d’Atri, che esercitò il suo mandato pastorale negli anni che vanno dal 1354 al 1381, quando il 15 luglio fu trucidato da mani ignote per motivi, forse passionali o forse politici, ancora oggi rimasti oscuri. Per dotarsi di una residenza all’altezza del suo rango, e – probabilmente – per motivi eminentemente pratici, Giacomo d’Atri fortificò la residenza episcopale trasformandola in un imponente castello, che venne affiancato - a scopo difensivo - da una cinta muraria che delimitava il centro abitato ed era dotata di quattro porte, due delle quali ancora oggi visibili.A differenza di altre costruzioni fortificate, non si tratta di un edificio costruito ex novo - ma quasi certamente – il castello venne realizzato a partire dall’ampliamento di una masseria fortificata, simile a molte altre esistenti in quel periodo nelle campagne pugliesi. Il castello episcopio si presenta oggi come una costruzione maestosa e imponente, con una superfice complessiva di oltre 6.000 metri quadri e un’altezza massima, riferita alla torre maestra, di oltre 28 metri, ma i numerosi lavori di modifica e adattamento in base al variare delle esigenze degli occupanti rendono molto difficile stabilire con certezza la cronologia delle diverse fasi costruttive.Non è quindi possibile fissare una data precisa di costruzione – come invece si può fare con la Chiesa matrice grazie ad una iscrizione posta sulla sua facciata, altro edificio la cui costruzione Grottaglie deve allo stesso arcivescovo Giacomo d’Atri – ma ci si deve limitare ad individuare, sulla base delle testimonianze storiche oggi disponibili (purtroppo carenti e spesso contraddittorie) dei momenti in cui individuare un prima e un dopo. Se da una parte abbiamo uno storico locale come il Pignatelli che indica nella fine del 1200 il periodo in cui Grottaglie venne fortificata, dall’altra abbiamo monsignor Giuseppe Blandamura, che sulla base di testimonianze documentarie indica nel 1388 l’anno di realizzazione della cinta muraria, posticipando quindi la realizzazione della struttura difensiva di quasi due secoli. Il limite opposto è fissato invece da un altro documento, che ci conferma che nel 1406 il castello di Grottaglie era già stato costruito, poiché risultava occupato da Ottino de Caris, detto il Malacarne.Inoltre, un altro documento, riportato dal già citato Blandamura, evidenzia inoltre che in data 5 marzo 1483 il cardinale arcivescovo Giovanni d'Aragona, al fine di poter effettuare le necessarie riparazioni alle fortificazioni di Grottaglie, proibì che una certa quantità di calce fosse trasportata a Taranto per analoghi lavori. Come detto, dallo studio dei rilievi appare abbastanza probabile che una prima cinta fortificata, identificabile con quella che chiude il cortile meridionale, a cui era forse aggiunta una seconda torre di cortina - poi andata distrutta - esistesse già nel 1433. Lo fanno ipotizzare alcune tracce di una porta in uno stile che richiama il gotico, presenti nel muro che divide i due cortili; l’esistenza di tale porta potrebbe anche giustificare la localizzazione della torre maestra e tutto il sistema degli accessi ai livelli superiori della stessa, che doveva servire anche per quella parte del primo piano del fabbricato principale, corrispondente alla zona della sala episcopale. Una prima configurazione del castello all’inizio del 1400 era quindi probabilmente costituita dalla citata cinta muraria, dalla torre maestra interna, dalle sale del primo piano destinate a dimora dell'arcivescovo e da due torri di cortina rispettivamente a sud-est e sud-ovest.Nella seconda metà del secolo, probabilmente verso il 1483 a cui risalgono i lavori commissionati dal cardinale arcivescovo Giovanni d'Aragona, la prima configurazione subì un ampliamento, con la realizzazione del cortile occidentale e di una ulteriore torre di cortina – oggi distrutta – al tempo posta a difesa della porta di accesso al centro abitato, attualmente trasformata in fornice aperto. Rimanendo nel campo delle ipotesi sufficientemente plausibili, possiamo affermare che il 14 febbraio 1580, quando monsignor Lelio Brancaccio consacrò la chiesa madre, anche il castello fosse stato già realizzato nelle sue parti principali, seppure ancora abbastanza limitato nel suo sviluppo. Altri lavori di ampliamento e modifiche ai locali furono eseguiti tra il 1613 ed il 1617 dal cardinale Bonifazio Caetani, che – anche a causa delle diminuite esigenze difensive - accentuò il carattere aristocratico della residenza, edificando altre stanze al piano nobile e - soprattutto - realizzando il grande giardino esterno, che venne dotato di recinzione e ingresso monumentale. E’ in questo periodo che – probabilmente - viene realizzato il portale d’ingresso al castello che ammiriamo ancora oggi. Localizzato sul lato ovest, è composto da due pilastri in bugnato terminanti con dei semicapitelli su cui si imposta un arco a tutto sesto, anch’esso in bugnato. Al piano superiore - il cosiddetto piano nobile - fu realizzato un complesso di ben 11 stanze allineate longitudinalmente, tra le quali spicca un grande salone centrale (la cosiddetta “galleria”). Alle stanze, molto ampie e maestose, corrispondono in facciata altrettante finestre riquadrate da un cordone, coronate da fregi con decorazione a volute; la teoria di finestre al piano elevato ed il portale bugnato della stessa fase che monumentalizza l’ingresso, ridefiniscono la facciata del castello secondo lo stile barocco tipico dei palazzi nobili del XVII secolo. Ancora altri lavori furono commissionati nel 1649 da monsignor Tommaso Caracciolo ed il castello si ingrandisce aumentando la sua ricettività senza alterare l’impianto generale e difensivo del complesso; si procede nel miglioramento degli ambienti esistenti e nella realizzazione di alcune nuove strutture, quali il loggiato interno dell’episcopio, collegato all’atrio da uno scalone oggi non più esistente, che terminava con una loggia voltata a crociera, un tempo affrescata, che si estendeva per l’intera lunghezza dell’edificio, fungendo da diaframma tra il cortile ed il piano nobile.Venne realizzata anche una cappella di piccole dimensioni, evidentemente per uso privato, con un altare in pietra dipinto e pareti e volta decorate con affreschi in stile barocco. Vengono inoltre realizzati alcuni locali di disimpegno per le stanze esistenti e nuovi ambienti destinati a funzioni di servizio ed a foresteria, oltre che alloggi per il personale. Dalle testimonianze documentali risulta che buona parte di questi ambienti si aprivano su una veranda prospiciente il grande cortile e quindi dovevano essere localizzati lungo il corpo di fabbrica che delimitava il giardino ad ovest. Nel 1753 sulle volte delle stanze e della galleria del piano nobile furono fatti eseguire degli affreschi dall’arcivescovo Antonio Sersale, con l’obbiettivo di rendere sempre più marcato l’aspetto aristocratico del palazzo, con l’inserimento di stemmi nobiliari e personaggi illustri.Il successore di Sensale, l’arcivescovo Giuseppe Capocelatro, trasformò la galleria in una cappella coperta da un soffitto a cassettoni con lo stemma della famiglia Morrone, dalla quale egli stesso discendeva. Nel ‘900 vengono poi eseguiti ulteriori lavori, che condurranno alla configurazione attuale: viene riempito ed innalzato il cortile nord-occidentale e realizzata la intercapedine necessaria a dare luce ai locali interni già presenti al piano terra. Si procede inoltre alla costruzione di altri corpi di fabbrica aggiunti al piano terra e al primo piano, nonché ai lavori di adattamento e modifica delle sale interne, per adeguarle alle nuove destinazioni d’uso. In particolare, le vecchie stalle, ubicate nel fabbricato sud-orientale, ospitano oggi le sale del Museo della Ceramica.L’aspetto che oggi ha il castello episcopio è quindi il frutto di secoli di modifiche e adattamenti; d’altronde passare da masseria a fortezza militare, da residenza nobiliare a fabbrica di scarpe – solo per citare alcune delle destinazioni d’uso che lo hanno caratterizzato negli anni – non è certo un gioco da ragazzi. Visto dall’alto, il castello presenta una pianta trapezoidale che si sviluppa in senso NW/SE, con base ed ingresso sul lato occidentale. Il fabbricato principale è sul lato di sud-ovest del perimetro con una cinta muraria sugli altri lati, ci sono poi due cortili e una g

11-28
16:24

Grottaglie, storia e territorio abolizione della feudalita rivolte e cambiamenti

Grottaglie, storia e territorio: l’abolizione della feudalità, rivolte e cambiamenti Come abbiamo anticipato nell’episodio dedicato alla storia della famiglia Cicinelli, l’800 si apre con l’abolizione della feudalità.Un modello sociale durato secoli, che aveva pervaso ogni aspetto della vita sociale, politica ed economica, viene cancellato quasi istantaneamente causando, come è facile immaginare, un vero e proprio choc, tanto negli strati più ricchi che in quelli più umili della popolazione e – purtroppo – diventando a volte un comodo pretesto per alimentare violenze, ruberie e ulteriori ingiustizie. Le leggi che abolirono la feudalità vennero attuate tra il 1806 e il 1808, per iniziativa di Giuseppe Bonaparte, re di Napoli e fratello di Napoleone. Fu lui ad abolire la feudalità nel Regno di Napoli durante il cosiddetto Decennio francese.La legge n. 130 del 2 agosto 1806, al primo articolo recitava: “La feudalità con tutte le sue attribuzioni resta abolita. Tutte le giurisdizioni sinora baronali, ed i proventi qualunque che vi siano stati annessi, sono reintegrati alla sovranità, dalla quale saranno inseparabili” e già da queste righe possiamo cogliere l’emergere di un primo problema.Se infatti, questo provvedimento poteva rispondere ad una effettiva esigenza di rinnovamento delle antiche strutture sociopolitiche, dall’altra parte si poneva il problema della ricognizione dei beni demaniali, molti dei quali erano stati usurpati nel corso dei secoli o vedevano un conflitto di attribuzione plurisecolare, come accadeva nel dissidio tra la mensa arcivescovile di Taranto ed i baroni di Grottaglie. Bisognava inoltre considerare che sui beni feudali coesistevano anche gli antichi e consolidati diritti delle popolazioni locali, come nel caso – sempre per citare un esempio a noi vicino – dello sfruttamento della foresta tra Grottaglie e Martina Franca.Ci fu quindi il riconoscimento degli usi civici in base al principio “ubi feuda, ibi demania”, che si affermò soprattutto nel XVIII secolo nel regno di Napoli, dove diversi giuristi operarono per valorizzare e tutelare i diritti delle popolazioni sui feudi, attraverso la costruzione giurisprudenziale dell'uso civico, in modo da controbilanciare la preponderanza (e, spesso, la prepotenza) della classe baronale. La proprietà feudale, infatti, non era una proprietà piena, perché coesisteva con antichi diritti delle popolazioni locali: i più diffusi erano il pascolo e il legnatico, che coprivano le esigenze elementari della popolazione rurale, soprattutto delle classi più umili, che spesso avevano in questi diritti uno dei pochi – se non gli unici – nodi per assicurarsi una dignitosa sopravvivenza. Come in tutte le vicende umane, si giunse infine se non ad una pace definitiva, almeno ad una tregua tra le parti e la vita continuò a scorrere più o meno tranquilla. Monsignor Capecelatro nel 1781 concesse ai Cicinelli – Caracciolo in fitto perpetuo il territorio della foresta, cedendo anche tutti i diritti feudali e si arriva così al 1785, quando la duchessa Giulia Cicinelli-Caracciolo, per le sue precarie condizioni di salute, cede patrimonio e titoli al suo figlio primogenito Giovanni Andrea, che già era amministratore di fatto dei beni di famiglia. Si tratta di un momento cruciale nella storia non solo di Grottaglie ma di tutta Italia, ed è quindi opportuno dedicargli il giusto spazio in un prossimo articolo di approfondimento.

11-07
11:12

Grottaglie, storia e territorio: i Cicinelli, contrasti e litigi tra baroni e arcivescovi

In diverse occasioni abbiamo ricordato quanto i rapporti tra gli Arcivescovi di Taranto ed i baroni di Grottaglie siano stati – nel corso dei secoli – caratterizzati da liti e contrasti.Le motivazioni, manco a dirlo, hanno assai poco a che fare con principi ideali ed il miglior governo della popolazione, essendo piuttosto da ricondurre a motivi economici ed esercizio del potere. Ovviamente, nel lungo arco di tempo che va dall’instaurarsi di questo doppio governo sino alla abolizione del feudalesimo si sono succeduti molti personaggi, alcuni caratterizzati da comportamenti deplorevoli ed altri dall’operato – se non esemplare – almeno adeguato al compito svolto. Abbiamo ricordato, parlando del potere degli arcivescovi, l’operato di alcuni di loro; Giacomo d’Atri, a cui va il merito della edificazione della chiesa madre e del castello; i suoi successori Bonifazio Caetani e Tommaso Caracciolo, che quel castello ingrandirono e fecero più bello; monsignor Brancaccio e monsignor Blandamura, ciascuno dei quali – a suo modo – ci ha trasmesso preziose testimonianze, solo per citarne alcuniAnche dei baroni laici si conserva memoria, quasi sempre negativa; di molti stranieri si deplora il disinteresse che ebbero per un territorio a loro distante e sconosciuto, oggetto di mercimonio e di scambio e vista soprattutto come un insieme di popolazioni da sfruttare e attività lavorative da tassare. Baroni laici ed arcivescovi furono così determinati nell'approfittare di tutte le possibili fonti di prelievo (fiscale e non) che molta della popolazione di Grottaglie preferì emigrare verso terre più benevole, lasciando a chi restava la scelta di subire le angherie o cercare vie di fuga più o meno lecite, come ad esempio abbracciare la via religiosa o darsi al brigantaggio. Di molti dei baroni laici – come il Malacarne – storia ufficiale e memoria popolare raccontano un governo rapace e oppressivo ma una famiglia su molte ha lasciato il segno nella memoria collettiva, ed è a questa che è giusto dedicare qualche riga. La famiglia Cicinelli è quella che forse, più di tutte, è oggi ricordata a Grottaglie, in racconti in cui realtà e leggenda si intrecciano in maniera così stretta da rendere difficile distinguere la vox populi dalla damnatio memoriae. Secoli di presenza meritano, come in effetti hanno avuto, una trattazione attenta e documentata, ma è comunque interessante ripercorrere – almeno per sommi capi – il loro governo nella terra grottagliese, anche per comprendere se le malefatte che gli si attribuiscono hanno un reale fondamento storico. La famiglia Cicinelli era originaria di Napoli, apparteneva alla nobiltà partenopea essendo ascritta al Seggio di Montagna ed ebbe esponenti che spiccarono sia nelle armi che nelle lettere a partire dal XIV° secolo, quando Coriolano Cicinello ebbe l’incarico di Maestro Razionale della Corte Reale Angioina. Le cronache ricordano ancora Camillo, detto il Grande, valorosissimo guerriero, che fu Prefetto dei cavalli della Serenessima Repubblica di Venezia e Giacomo, fratello di Camillo, dottore in legge, che fu Consigliere di re Carlo III di Durazzo; ancora, Attanasio Cicinello, ebbe da re Carlo II d’Angiò il cingolo militare mentre Giovanni Cicinello fu saggio consigliere della regina Giovanna II di Durazzo, e sostituì il Gran Siniscalco Sergianni Caracciolo al governo del Regno, incarico che esercitò con lealtà, giustizia e generosità, tanto da essere stimato e amato dal popolo. Antonio, fedelissimo agli aragonesi e uomo d’arme, fu inviato da re Ferrante I d’Aragona nella città di L'Aquila per sedare la rivolta dei baroni, morendo eroicamente nel compimento della missione affidatagli. Terminiamo qui l’elenco, per mancanza di tempo e di spazio e non certo per carenza di personaggi da citare, e giungiamo alle vicende grottagliesi, quando Giovanni Battista acquista nel 1641 il feudo dì Cursi, piccolo paese del Salento, e dopo dieci anni viene insignito del titolo di principe di Cursi, trasmissibile ai suoi legittimi discendenti. Fu di fatto il primo feudatario che iniziò a risiedere in Grottaglie, dopo aver apportato alcune migliorie al palazzo baronale e documenti e testimonianze storiche ci raccontano di un Principe di Cursi, che si dimostrò valente tanto nelle armi che nelle lettere; si impegnò per contrastare le scorrerie dei pirati turchi che funestavano le coste salentine, fu prodigo nelle arti contribuendo come “generoso mecenate del Santuario di Maria SS.ma dell’Abbondanza e del grandioso altare del convento degli Agostiniani di Cursi”, produsse interessanti opere letterarie come il volume intitolato “Censura del poetar moderno”, che riscosse il vivo apprezzamento degli intellettuali dell’epoca. Insomma, Giovanni Battista aveva meriti numerosi ed acclarati, tanto che re Filippo IV, con suo privilegio del 27 luglio 1665 gli concesse il titolo di duca di Grottaglie per sé, suoi eredi e legittimi discendenti. A questo punto, come si suole dire, la domanda sorge spontanea: come e perché un così valente uomo d’arme e di lettere, giunto a Grottaglie si diede ad opprimere la popolazione con angherie e vessazioni? Fu davvero un così cattivo amministratore o la sua figura fu messa in cattiva luce da chi aveva interesse a screditarne l’operato? La verità probabilmente sta nel mezzo; sicuramente non tutti gli eredi furono all’altezza del capo famiglia, altrettanto certamente il fatto di risiedere stabilmente a Grottaglie, interessandosi in prima persona della amministrazione di terre e masserie, mise in crisi un sistema di clientele e interessi che aveva prosperato sino ad allora. Due poteri come quello baronale laico e quello arcivescovile erano destinati a scontrarsi, e così infatti avvenne; negli anni che seguirono molte furono le cause legali e gli scontri anche violenti tra le due parti, che video il loro momento forse più violento nella rivolta che infiammò Grottaglie nel 1734. Studi e documenti lasciano spazio alla ipotesi che a fomentare il popolo grottagliese aizzandolo alla rivolta contro il barone laico abbiano contribuito gli arcivescovi di Taranto, proseguendo in un una lotta di potere portata avanti senza esclusione di colpi per anni, se è vero come è vero che già nel 1561, il cardinale Marcantonio Colonna, arcivescovo di Taranto, mosse causa contro il barone di Montemesola adducendo che i territori di quel feudo sconfinavano in quello di Grottaglie di cui l'arcivescovo si dichiarava signore e padrone. Lasciamo da parte rivolte violente e scaramucce legali e giungiamo al momento in cui Giovanni Andrea Cicinelli, nato il 2 gennaio 1699 e sposato il 4 gennaio 1723 con Ippolita Piccolomini, muore il 26 settembre 1730, lasciando come erede di tutti i suoi beni feudali, titoli ed altre proprietà, l'unica sua figlia Giulia Maria, nata il 17 settembre 1724 e quindi di soli sei anni di età. A lei si affianca come tutore suo zio paterno Giovanni Battista Cicinelli, che si dimostra uomo astuto e di pochi scrupoli, appropriandosi di fatto dei beni della nipote ed assumendo il titolo di principe di Cursi e duca di Grottaglie. Divenuta maggiorenne e resasi consapevole dei suoi diritti, Giulia Cicinelli si rivolse al re per chiedere di tornare in pieno possesso dei suoi beni, cosa che accadde nel 1744, quando Giovanni Battista Cicinelli restituisce a Giulia Maria tutti i beni che le appartenevano, compresa la successione dei titoli di principe e di duca. Subito dopo, il 17 febbraio 1744, Giulia Maria, divenuta principessa di Cursi e duchessa di Grottaglie, sposa il marchese di Sanfiore Giacomo Caracciolo, figlio di Francesco II duca di Martina e di Eleonora Gaetani; la coppia prende dimora nel palazzo di famiglia a Grottaglie, e Giacomo acquisisce per nomina maritale i titoli ereditati dalla moglie, adottando quindi il doppio cognome Caracciolo Cicinelli. La duchessa Giulia Cicinelli aveva risolto i suoi problemi con il suo zio Giovanni Battista ma non aveva fatto i conti con monsignor Giovanni Rossi, il quale, nominato arcivescovo di Taranto nel 1738 e messo al corrente delle controversie esistenti con i Cicinelli per il feudo di Grottaglie, pensò bene di continuare a rivendicare i diritti vantati. Vi furono ancora altre cause e petizioni, si interessarono tribunali e perfino la casa reale, con il costante risultato di confermare il diritto dei baroni laici al governo ed al possesso delle terre nelle loro disponibilità. Non sappiamo se per innata bontà d’animo o per intelligente calcolo diplomatico, la duchessa Giulia Cicinelli, prima di prendere possesso della sua residenza grottagliese, volle fare in modo di riacquistare anche la benevolenza popolare, e tanto fece che vi riuscì, ristabilendo una pacifica convivenza e buoni rapporti con la cittadinanza. Non si diede invece pace monsignor Giovanni Rossi, che il 6 maggio 1745, definendosi “Utile Signore ovvero barone della Terra delle Grottaglie”, inviò da Napoli un suo editto da pubblicare a Grottaglie in occasione della nascita della figlia della duchessa Giulia Cicinelli, col quale si invitava la popolazione a festeggiare il lieto evento. Quello che ad occhi ingenui poteva sembrare un segno di riappacificazione ad altri più scaltri apparve come un modo per cercare di affermare un potere ed una proprietà più volte negata, poiché l'arcivescovo Rossi nell'edi

10-31
18:23

Grottaglie, storia e territorio: il ‘700, l’anno di San Ciro e delle rivolte

Siamo al XVIII° secolo e ci avviciniamo all’età contemporanea; Grottaglie continua a vivere anni tormentati e turbolenti, funestati da violenze ed illuminati da lampi di fede che durano ancora oggi. Questo secolo vede riverberare nei suoi primi anni il clima che aveva contraddistinto il precedente e – come vedremo - ancora grande importanza avrà il tormentato rapporto tra gerarchia religiosa e potere baronale che vedrà tra le maggiori vittime una popolazione costretta tra incudine e martello di due poteri divisi su tutto ma uniti nel loro desiderio di supremazia. Nel XVIII° secolo a Grottaglie viene introdotta la devozione verso San Ciro. A portare il santo alessandrino nella città delle ceramiche e delle uve è uno dei suoi figli più illustri, quel San Francesco de Geronimo che già rifulge di santità in quel di Napoli. Nel 1709, al termine di una missione popolare, viene posta la prima pietra della cappella del Rosario dove verrà eretto l’altare al martire egiziano, dando alimento ad un rapporto di fede e devozione che unisce Grottaglie ad altri centri di Italia, e non solo. Fondamentale, in questa opera di fede, è opera dell’arciprete Tommaso, fratello del santo grottagliese, e della congrega del Rosario, che allora ospitava una ampia parte della popolazione e che si assumerà l’onore e l’onere di organizzare la festa in onore di San Ciro. Tanta è la devozione verso il santo di Alessandria che questo – nel 1782 - viene nominato patrono meno principale di Grottaglie, una sorta di ossimoro che riconosceva la preminenza della Madonna di Mutata come patrona principale. Di San Ciro e – soprattutto – dell’opera apostolica di San Francesco de Geronimo parleremo in un’altra occasione, dedicando loro la dovuta attenzione, è ora il momento di soffermarci su un altro evento, meno felice ma altrettanto importante. Come abbiamo accennato prima, anche in questi anni continua il conflitto tra arcivescovi e barone laico, uno scontro a volte sotterraneo e a volte plateale. Nel 1734 la situazione degenera e Grottaglie è scossa da una sorta di rivoluzione che infiamma la popolazione e alimenta violenze e proteste. Sui fatti non c’è identità di vedute: alcuni studiosi – come Grassi e Coco – addebitano l’accensione della miccia al dispotismo del barone, esponente di quella famiglia Cicinelli che tanta poca benevolenza pare raccolse a Grottaglie; altri – come il Vozza – ci vedono la longa manus dell’arcivescovo che soffiava sul fuoco del malcontento per aizzare gli animi e indebolire il potere baronale al fine di guadagnare vantaggio nelle proprie pretese territoriali. La verità forse sta nel mezzo, di certo non la sapremo mai di sicuro perché molti documenti sono andati persi o distrutti. Quel che sappiamo è che – come sempre la storia dimostra – quando i grandi litigano i piccoli ne pagano le spese, e così galera, percosse, esilio e disgrazie toccarono a quel popolo che, illuso, sperava di ottenere con la forza ciò che la legge gli negava. Narrano le cronache che ben duecento famiglie dovettero lasciare Grottaglie e non vi fecero più ritorno, colpite dalla condanna per le violenze che scossero la città. Se ricordiamo che nel secolo precedente si contavano solo 600 nuclei familiari, possiamo ben immaginare quanto questo incise sulla economia cittadina. A segnare le cronache grottagliesi è il governo del barone laico, che in quegli anni è espresso dalla famiglia napoletana dei Cicinelli. Anche su di loro il giudizio degli storici è tutt’altro che unanime e C’è chi ne deplora senza appello l’operato spietato e insensibile ai bisogni della popolazione e chi vede in questa condanna l’effetto di maldicenze alimentate ad arte da quegli arcivescovi sempre decisi a conquistare spazi di potere. Lungi da noi volerci infilare in questa diatriba, ci pare però interessante ricordare una vicenda che ci ricorda come e quanto certe questioni di ripetano nei secoli, a testimoniare della perenne esistenza delle miserie umane. Nel 1730 muore Giovanni Andrea Cicinelli, lasciando erede sua figlia Giulia Maria, di soli sei anni di età. Vista la minore età della bimba, viene nominato tutore il prozio Giovanni Battista Cicinelli che, come purtroppo spesso avviene, sfrutta la sua posizione impossessandosi di fatto dei beni della legittima erede.Comincia da questo momento una serie di vicende che ricordano una soap opera o un romanzo d’appendice, con liti giudiziarie, corruzione di pubblici ufficiali, spergiuri e false testimonianze – ben raccontati da Giuseppe Vozza nel suo dettagliato “Feudo e feudatari di Grottaglie”; si giunge al 1774 quando il tutore prozio rinuncia al feudo per evitare conseguenze peggiori, la legittima erede Giulia torna in possesso dei suoi beni e si sposa con Giacomo Caracciolo dei duchi di Martina Franca, marchese di Sanfiore, unendo due famiglie in un legame che resterà sino alla abolizione della feudalità.Si tratta di un momento cruciale nella storia non solo di Grottaglie ma di tutta Italia, ed è quindi opportuno dedicargli il giusto spazio in un prossimo articolo di approfondimento.

10-24
12:40

Grottaglie, storia e territorio: 17esimo secolo, la dominazione spagnola, tra luci e ombre

Il XVII° secolo è per Grottaglie un secolo di luci ed ombre, destino condiviso con gran parte del Meridione d’Italia, funestato dalle dominazioni straniere. Angherie e violenze erano all’ordine del giorno, ed alle prepotenze di soldati stranieri e signorotti locali si aggiungevano tasse e balzelli, che impoverivano ulteriormente una popolazione sempre più disperata. Facile immaginare che una simile condizione fosse terreno fertile per accendere gli animi più intolleranti e portare alla esasperazione anche la persona più mite, causando a ribellioni ed atti inconsulti. Nel 1647 anche a Grottaglie scoppiò una piccola rivoluzione, contro queste insopportabili condizioni, ma la furia popolare fu placata – quasi miracolosamente – da suor Rosana Battista, che si affacciò da una finestra del chiostro delle clarisse brandendo un crocifisso per invitare gli esagitati popolani ad abbandonare la violenza ed a ristabilire la pace e la concordia. Un invito accolto subito e da tutti, riportando la pace in città.Vi furono in questo periodo molti episodi di sopraffazione; piccole e più gravi angherie che – in una sorta di stillicidio – mettevano a dura prova la pazienza e la resistenza di una popolazione sempre più allo stremo. Tra i diversi signorotti che vessarono i grottagliesi, vi furono i Cicinelli, esponenti di un casato che diverrà tristemente noto ed ancora ricordato a Grottaglie per il suo arrogante governo della giustizia e della amministrazione. Quasi a compensare tanta violenza, il Seicento fu anche un secolo in cui a Grottaglie si accesero intelletti geniali che non ebbero pari: Giuseppe e Domenico Battista; Francesco Antonio Caraglio; Antonio D’Alessandro, conosciuto come Serafino delle Grottaglie; Antonio Marinaro, Giambattista Coccioli e Giacomo Pignatelli, solo per citarne alcuni. Di loro si ricorda l’opera e l’ingegno, che in molti casi brillarono ben oltre i confini della terra natia ed ancora oggi sono lustro ed orgoglio dei concittadini che hanno la curiosità di scoprire la vita e le opere di coloro a cui sono intitolate alcune vie del centro storico.Chiudiamo questo articolo, non senza ricordare il grottagliese che forse più di tutti ha illuminato con la sua vita e le sue opere la città delle ceramiche e delle uve; quel San Francesco de Geronimo che – come vedremo più avanti – ebbe tra i tanti meriti, quello di portare a Grottaglie la devozione nei confronti di San Ciro di Alessandria.

10-17
10:44

Grottaglie nella storia, il conflitto con Martina Franca e la Madonna di Mutata

Grottaglie e Martina Franca vivono da secoli in una sorta di confronto a distanza, che a volte è sfociato in aperto conflitto, altre volte in caustica malignità, altre volte ancora in paragoni tra il rispettivo status sociale, culturale ed economico non sempre obbiettivi e privi di secondi fini. Non è questo il luogo per sviscerare una questione che ha radici così profonde, ma può però essere interessante analizzare alcuni dei motivi che stanno alla base di questa acrimonia. In un episodio precedente del nostro podcast dedicato alla storia di Grottaglie, abbiamo accennato alla presenza di una vera e propria foresta, composta da alberi d’alto fusto e vegetazione selvatica in gran parte esistente ancora oggi, situata in una zona al confine tra Grottaglie, Martina Franca ed Ostuni, denominata “Mutata”.La maggior parte dei grottagliesi potrà raccontare con orgoglio il motivo del nome di quella zona e il perché il santuario ivi esistente appartenga alla diocesi grottagliese. Prima di raccontare anche noi, sia pure a grandi linee, questa storia a beneficio dei pochi che non la conoscano, occorre ricordare – ad onor di cronaca – l’ipotesi che vuole il toponimo “Mutata” originato dalla corruzione di “Matuta”, il nome di una divinità paleoromana che proteggeva quelle che oggi chiameremmo “madri surrogate”, ovvero quelle donne, a volte parenti delle madri naturali altre volte senza nessun rapporto con queste, che si prendevano cura dei neonati quando la madre naturale non poteva farlo. A suggerire tale ipotesi, non solo la similitudine dei due termini, ma anche la statuetta in pietra di epoca romanica della Vergine con Bambino, un tempo ospitata nel santuario ed oggi custodita nella Chiesa Madre di Grottaglie, che rievocherebbe gli ex-voto un tempo offerti a tale divinità, in un luogo quindi sacro sin da prima dell’avvento del cristianesimo ed evidentemente legato alla valenza simbolica della foresta, peraltro richiamato anche nella denominazione di Santa Maria in Silvis, con cui era conosciuto il santuario stesso. Altre ipotesi, più prosaiche e quindi forse per questo, anche in omaggio al “rasoio di Occam”, più probabili, suggeriscono invece che il termine “Mutata” sia da riferirsi all’atto della “mutazione”, ovvero al cambio dei cavalli dei messi o dei messaggeri, che veniva effettuato nella masseria adiacente al santuario dai viaggiatori lungo la vicina via Appia. Tornando alla leggenda, si racconta che nella chiesetta, peraltro già esistente almeno fin dal X° secolo, fosse presente un affresco raffigurante la Madonna ed orientato a Sud, e quindi verso Martina, caratteristica che portava i fedeli martinesi a rivendicare i loro diritti su detto luogo di culto.Pare però che la loro dedizione non fosse esemplare e che tutto il santuario versasse in condizioni fatiscenti e così nel 1359 avvenne un fatto straordinario: l’affresco guardava a Nord, verso Grottaglie, e per effetto di tale eccezionale cambio di prospettiva, venne quindi chiamata Madonna di Mutata. Ciascuno è libero di credere se il fatto sia realmente avvenuto e quanto vi sia di intervento umano o miracolo divino in questo, fatto sta che tutto ciò rese ovviamente felici ed orgogliosi i grottagliesi e molto meno contenti i fedeli di Martina Franca. Se il dissidio tra la diocesi di Grottaglie e quello di Martina Franca si fosse deciso solo per atto soprannaturale, nessuno dovrebbe dolersene; dura lex sed lex, ancor più se la decisione viene da così in alto. Come in tutte le cose umane però, i motivi sono molti di più, e tutti ben più banalmente pratici che una gerarchia devozionale. A raccontarli sono Rosario Quaranta e Silvano Trevisani nel loro libro “Grottaglie – vicende, arte, attività della città della Ceramica”, e ne elencano diversi, tra cui la maggior antichità della città di Grottaglie, del suo collegio e dell’erezione dei canonici e perché a Grottaglie sottostavano i due casali di Civitella e Monteiasi. Non fu l’unico vantaggio vantato dalla chiesa grottagliese, ve ne furono altri, tra i quali l’esenzione dalle sedicesime papali e la composizione a suo vantaggio di una lite con gli artigiani che avevano bottega sulla piazza che ospitava la chiesa matrice e che – col rumore delle loro attività – disturbavano le funzioni religiose. Insomma, anche nelle faccende divine, l’umano ci mette il suo zampino, come ancora vedremo nelle prossime puntate del nostro podcast.

10-10
10:19

Grottaglie, l’Età moderna, tra rivolte e ingiustizie

Il tempo della Storia corre veloce e inarrestabile, ed in questo episodio ci porta all’età Moderna, un periodo di tempo caratterizzato – per la popolazione di Grottaglie – da violenze ed ingiustizie. Si tratta di un periodo che comprende i secoli XVI° e XVII°, di importanza cruciale per la storia e lo sviluppo sociale, economico, culturale ed artistico di Grottaglie, caratterizzato da momenti salienti, ben raccontati da Rosario Quaranta e Silvano Trevisani nel loro libro “Grottaglie – vicende, arte, attività della città della Ceramica”. A caratterizzare molte di queste vicende è la particolarità della baronia esercitata dall’arcivescovo di Taranto su Grottaglie, una situazione che vedeva il prelato esercitare non solo la sua missione religiosa ma anche la giurisdizione civile, scontrandosi però non di rado con il barone laico, che invece esercitava la giurisdizione criminale. Aldilà della cronaca spicciola e dei singoli episodi, quello che si può constatare dai fatti storici è che la proprietà del feudo di Grottaglie passa di mano in mano tra principi, re, condottieri e nobili, spesso utilizzata come contropartita per operazioni diplomatiche più o meno spericolate, per suggellare alleanze, siglare patti diplomatici o placare appetiti economici. A rimarcare quanto sopra, la constatazione che il prezzo pagato, in denaro o come contropartita, cresce costantemente nel tempo; un ingenuo ottimista penserebbe ad un corrispondente aumento della floridità economica della popolazione ed una maggior rendita delle sue terre, mentre un obbiettivo realista vede in questo solo l’aumento degli appetiti del signorotto di turno ed una conseguente maggiore predazione dei beni del territorio, per rifarsi di quanto sborsato. Ad aumentare la distanza tra governanti e governati la constatazione che nessuno di coloro che assunsero la proprietà feudale di Grottaglie risiedette stabilmente in città; lo fecero solo i Cicinelli a partire dalla seconda metà del Seicento, e la storia racconta dei nefasti effetti di questo dominio. Gli amanti dei modi di dire non avrebbero difficolta a definire la situazione della popolazione di Grottaglie al pari dello sventurato che capiti tra l’incudine ed il martello. La presenza di signorotti stranieri- napoletani, genovesi, fiorentini – avidi ed esosi, fu così opprimente che fomentò violenze e rivolte, ma ad aggravare il tutto si aggiungevano le pretese degli arcivescovi, che pretendevano una buona parte (la decima prima, la ventesima poi) di quanto veniva prodotto a Grottaglie.Non bastasse questo, la Chiesa possedeva ed amministrava anche numerosi terreni e fondi agricoli, fatto che scontentava non poco i grottagliesi che più volte ne rivendicarono il possesso con le buone e – più spesso – con le cattive maniere. Ricordiamo tra le tante la ripetuta occupazione del bosco nella zona della chiesa dedicata alla Madonna di Mutata, che nel 1674 causò la scomunica dei colpevoli e la successiva richiesta di perdono, espressa anche con la commissione della monumentale tela della Annunciazione, oggi nella chiesa madre di Grottaglie. Doppiamente vessata da un potere laico che esercitava la giurisdizione criminale e da un potere religioso che altrettanto amministrava la giurisdizione civile, la popolazione di Grottaglie era sempre più schiacciata e impoverita da tasse e imposte sempre più esose, rese ancora più pesanti dal fatto che nobili e clero erano esentati dal pagamento ma da queste traevano ricchezza e sostentamento. A sempre maggiori ingiustizie fecero eco sempre più evidenti privilegi, con il risultato di impoverire e irritare la popolazione, ma di quello che avvenne in quegli anni tumultuosi parleremo in un prossimo appuntamento.

10-03
09:43

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