Modem
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Author: RSI - Radiotelevisione svizzera

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Modem, appuntamento quotidiano (dal lunedì al venerdì) in onda dal 2000, dedicato ai principali temi d’attualità, che vengono analizzati, approfonditi e contestualizzati principalmente attraverso l’apporto ed il confronto di ospiti in diretta.

Le notizie scorrono veloci, si sviluppano e si perdono, sono abbondanti. Modem, ogni mattina, sceglie e propone un tema di sicuro interesse. Lo racconta con uno stile diverso da quello dell'attualità. Cerca e trova interlocutori di qualità per spiegare e dibattere ciò che è successo e ciò che potrebbe succedere. È la trasmissione che dice i "perché" e aiuta a decodificare gli eventi destinata a tutti gli interessati ad andare oltre la notizia del giorno e che desiderano approfondire in maniera immediata il tema prescelto tramite dibattiti e interviste in diretta, reportage, collegamenti, approfondimenti, schede interne.

Modem offre regolarmente anche delle rubriche.

  • Modem Evento: una serata-dibattito e di incontro con il pubblico.

  • Modem Giovani: su argomenti che riguardano direttamente il mondo giovanile con tra gli ospiti anche i ragazzi.

  • Modem Incontro: non un dibattito, ma un'intervista con un solo ospite.

Una puntata al giorno, alle 08.30, per 5 giorni la settimana, da settembre a metà giugno.

536 Episodes
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Una cifra che fa discutere quel 34% di morti in più sulle strade svizzere registrato negli ultimi 5 anni (250 i decessi in seguito a incidenti stradali nel 2024). L’aumento è segnalato dall’Upi, l’Ufficio per la prevenzione degli infortuni, che parla di una Svizzera in controtendenza sul piano europeo e chiede alla politica maggiore incisività.Le misure efficaci ci sono – afferma l’Upi – la volontà politica di applicarle c’è forse meno; e l’obiettivo, fissato a Berna, di ridurre a 100 entro il 2030 i morti sulle strade del Paese rischia di mai concretizzarsi. Se guardiamo ai decessi sulle strade in rapporto alla popolazione o ai chilometri percorsi, la Svizzera resta un buon allievo in Europa, ma qualcosa apparentemente ancora non va. Cosa? Quali le sfide? Dove non si agisce abbastanza? O forse tutto sommato va bene così? Ne discutiamo con: ·        Emanuele Giovannacci, consulente tecnica del traffico UPI (quicklink)·        Renato Pizolli, servizio comunicazione, media e prevenzione Polizia Cantonale (telefono)·        Bruno Storni, presidente Ata sezione Ticino, consigliere nazionale PS (quicklink?)·        Simone Gianini, presidente Acs, consigliere nazionale Plr (studio)
La svolta di Zohran

La svolta di Zohran

2025-11-0530:34

Il 111esimo sindaco di New York è un uomo di 34 anni, musulmano chiita, di origine indiana, nato in Uganda e politicamente un socialista, in corsa per il partito democratico. È lui il nuovo sindaco della capitale finanziaria del mondo, Zohran Mamdani, il suo nome. Si è imposto con un programma che in gran parte mira a ridurre l’impatto del costo della vita e a migliorare i servizi pubblici. Alle urne non si è andati solo a New York. Si è votato in diverse altre città e soprattutto lo si è fatto anche in due Stati, la Virginia e il New Jersey. E anche qui si imposto il partito democratico, ad imporsi due donne, dal profilo più centrista rispetto al nuovo sindaco di New York, saranno loro le nuove governatrici di questi due stati della Costa Est del paese.  E anche questa non è una buona notizia per Donald Trump, al suo primo test elettorale, un anno dopo la sua vittoria su Kamala Harris e il suo ritorno alla Casa Bianca. Ne discuteremo con:Elisa Volpi, docente di scienze politiche alla Franklin University di Lugano Mattia Diletti, professore di sociologia all’Università della Sapienza di Roma, specialista di politica statunitense Andrew Spannaus, giornalista e analista, docente di storia economica degli Stati Uniti alla Cattolica di Milano 
Grande festa, naturalmente faraonica, per l’inaugurazione del Grand Egyptian Museum, il nuovo museo egizio del Cairo. Un’opera attesa da decenni e chiamata a simboleggiare una nuova fase della storia egiziana. Questo, mentre l’Egitto deve fare i conti con difficoltà economiche, sociali e politiche. L’Egitto rimane la principale nazione araba con 119 milioni di abitanti, ma la sua influenza internazionale sembra essersi ridotta dopo che le proteste di piazza del 2011 avevano fatto cadere l’allora presidente Hosni Mubarak. Il potere era in seguito passato ai fratelli musulmani di Mohamed Morsi e poi, dopo un colpo di stato, all’attuale presidente Abdel Fattah Al Sisi, in carica dal 2014. Il suo governo ha garantito stabilità al paese, ma al prezzo di una repressione politica ed una stagnazione economica. A Modem ne discutiamo con:Costanza Spocci, giornalista di Radio3 Mondo e già corrispondente dal CairoGiuseppe Dentice, analista dell’Osservatorio sul Mediterraneo di Roma
Navi schierate, tensione alle stelle, sanzioni, crisi umanitaria, accuse di narcotraffico, petrolio. Al centro di questa tempesta perfetta il Venezuela, paese di immense ricchezze naturali protagonista di un intenso braccio di ferro geopolitico con gli Stati Uniti di Donald Trump. Con il pretesto della lotta alla droga, gli Stati Uniti hanno condotto negli ultimi mesi una serie di attacchi letali a navi venezuelane accusate di trasportare stupefacenti e di farlo sotto il controllo del presidente venezuelano Nicolas Maduro in persona, considerato dal presidente americano un “narcoterrorista”. E la prossima settimana dovrebbe giungere nel mar dei Caraibi anche la USS Gerald Ford, la più grande portaerei della marina statunitense con annesse altre navi da guerra e armi da rivolgere contro lo stato sudamericano. Si parla del più grande dispiegamento navale nella regione dalla crisi missilistica di Cuba nel 1962. Uno schieramento ritenuto sproporzionato per la guerra al narcotraffico e ci si chiede se dietro questa retorica non ci sia piuttosto la volontà statunitense di riprendere le redini del cosiddetto “Cortile di casa”. Con quale impatto sul popolo venezuelano e sull’intero equilibrio nel Sud America?  Ne parleremo con:Emiliano Guanella, collaboratore RSI dal Sud America  Marco Mariano, professore di Storia del Nord America all’Università di Torino Vincenzo Musacchio, criminologo associato a due istituti di ricerca negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, che si occupano di criminalità organizzata e anticorruzione
Dentro Gaza

Dentro Gaza

2025-10-3131:37

Oltre cento morti, quasi la metà bambini, molte donne… Martedì sera Israele ha sferzato un violento attacco contro la striscia di Gaza. Una rappresaglia contro le azioni di Hamas, accusata da Tel Aviv di aver ucciso un soldato e di barare sulla restituzione dei cadaveri degli ostaggi. Una rappresaglia che non significa – hanno tenuto a sottolineare soprattutto gli americani, promotori della tregua in vigore da inizio ottobre - che la guerra è ricominciata. Il presidente degli Stati uniti Donald Trump ha in persona ha precisato che, dopo l’attacco, il cessate il fuoco nella regione è ora tornato in vigore. Ma Trump ha anche affermato che Israele aveva il diritto di rispondere, dopo l’uccisione di un suo soldato da parte di Hamas. Ma Hamas ha preso le distanze da quanto accaduto, sostenendo di non avere contatti né controllo delle cellule nel sud. Cioè: “Non siamo stati noi”. E se – se, precisiamo - non è stato Hamas, allora è stato qualcun altro. Ma quindi, quanto è forte la presa di Hamas sulla Striscia? Chi sono i gruppi armati antagonisti di Hamas con i quali, da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco, è iniziato da parte della stessa Hamas, un regolamento di conti? Chi li sostiene, chi ha interesse che si rafforzino? Ma, anche: come si sta oggi a Gaza? Cosa significa per la popolazione un attacco così devastante come quello di alcuni giorni fa? E gli aiuti che Israele aveva promesso di far entrare, arrivano? Insomma, qual è la situazione dentro a Gaza?Ne parliamo con:Naima Chicherio – giornalista RSIGiorgio Monti - medico di Emergency, attivo a GazaFrancesca Caferri – giornalista de La Repubblica da Israele
L’ultimo loro incontro risale a sei anni fa, quando Donald Trump era al suo primo mandato alla Casa Bianca. Domani il presidente cinese Xi Jinping e l’omologo statunitense si riparleranno in Corea del Sud, a margine del vertice Apec. Un momento chiave nelle relazioni tra le due prime economie e potenze mondiali. La domanda di molti è se metterà un termine a una guerra commerciale che da mesi semina disordine a livello globale. Sia da Washington che da Pechino giungono segnali moderatamente incoraggianti. Ne parliamo con: Michelangelo Cocco, giornalista e analista, da Shangai Mario del Pero, professore di Storia internazionale e storia degli Stati Uniti a Sciences Po, ParigiRoberta Rabellotti, professoressa di economia all’università di Pavia, esperta di innovazione e sviluppo economico
È uno dei più importanti progetti per il futuro della città di Bellinzona. Importante sia per l’ampiezza e gli investimenti che si vogliono fare, sia per le sfide di pianificazione, di riqualifica e di bonifica che pone. Stiamo parlando del Nuovo Quartiere Officine. Quartiere dove da fine ‘800 sorge lo storico stabilimento industriale costruito per le riparazioni dei treni, e dove in futuro troveranno spazio attività di tutt’altro tipo: attività tecnologiche e di ricerca, scolastiche e formative, aggregative e culturali. Ma vi troveranno spazio anche nuovi alloggi e negozi. Un progetto, con tre attori coinvolti, la Città di Bellinzona, il Cantone e le FFS, progetto che ora deve fare i conti con una brusca frenata imposta dal Tribunale amministrativo cantonale. Il TRAM ha accolto parzialmente due ricorsi contro il Piano particolareggiato. Secondo il tribunale, il legislativo comunale ha dato il suo ok senza cognizione di causa, perché sono state omesse informazioni fondamentali, come il calcolo dei costi di bonifica dei terreni. Tutto è tornato così alla casella di partenza: il Municipio praticamente deve preparare un nuovo messaggio di pianificazione da proporre al Consiglio Comunale. Il sindaco di Bellinzona ha già ammesso che sarà difficile. Quali ostacoli ci sono nella realizzazione del Quartiere Officine e come superarli?Ne abbiamo discusso con:Mario Branda, sindaco di BellinzonaSara Nisi, consigliera comunale dei VerdiAndrea Cereda, consigliere comunale del PLRCon anche un’intervista registrata con l’avvocato Filippo Gianoni, tra i ricorrenti e una brevissima presa di posizione delle FFS
Troppi aiuti sociali agli stranieri penalizzano i ticinesi? Non sarebbe il caso di analizzare compiutamente la situazione?  È questo il contenuto di una mozione a firma leghista depositata il 22 gennaio del 2024 e attorno alla quale si sarebbe dovuto discutere nella serata di ieri in Gran Consiglio a Bellinzona...  Ma non sempre le cose vanno come prestabilito, i dibattiti precedenti hanno preso tempo e la trattanda è quindi stata rimandata a novembre... Tant’è, il tema rimane di attualità anche guardando alle possibili voci di risparmio per far quadrare i conti dello stato, tanto più che a questa mozione se n’è di recente aggiunta un’altra a firma UDC LEGA e PLR che chiede una revisione totale della Legge cantonale sulle prestazioni sociali, la LAPS, in vigore da vent’anni.Ne parliamo a Modem con Alessandro Mazzoleni, vice coordinatore della Lega dei Ticinesi, mozionanteGiulia Petralli, deputata in Gran Consiglio per i Verdi, co-relatrice di minoranza
Solitamente, in Argentina, le elezioni di metà legislatura non suscitano molto interesse a livello internazionale. Quest’anno però si sono trasformate in una sorta di referendum, a favore del presidente in carica Milei, con la conquista di 64 deputati (contro i 31 dei progressisti). Un risultato che sorprende rispetto i sondaggi della vigilia, che avevano pronosticato un testa a testa tra la Libertà Avanza e la coalizione di sinistra Fuerza Patria.Economista di professione e ultra-liberista per vocazione, Milei è in carica da quasi due anni e aveva ripreso un Paese sull’orlo del tracolo, anche a causa di corruzione e clientelismo. Appena arrivato al potere il neo-presidente non ha perso tempo nell’utilizzare soprattutto l’arma dei tagli. Ha ridotto le pensioni, fermato parecchi cantieri pubblici, diminuito i fondi per scuole e ospedali. E ha spinto sul pedale delle privatizzazioni. Tutto questo sta però avendo importanti conseguenze a livello sociale, basti dire che un cittadino su tre vive al di sotto della soglia di povertà. E che i mercati non sembrano dargli molta fiducia, proprio in questi giorni ci è voluto un intervento di Donald Trump in persona, e delle finanze USA, per perlomeno rallentare la perdita di valore del peso, la moneta nazionale.Dove sta andando l’Argentina di Milei? Cosa dire dei due volti della sua politica economica e finanziaria, che riduce l’inflazione ma accresce la crisi sociale? E quale il ruolo degli Stati Uniti, e anche della Cina, in questo Paese dell’America Latina fin troppo abituato a convivere con il rischio della bancarotta?Ne discuteremo conElena Basso, collaboratrice RSI dal Sudamerica  Antonella Mori, docente di economia politica dei Paesi dell’America latina, alla Bocconi di Milano 
In questi giorni la quotazione dell’oro ha sorpassato i 4’000 dollari l’oncia, un livello mai visto. Un’evoluzione che piace sicuramente a chi ha investito nel metallo prezioso. Certi osservatori invece, vedono in questo record un segnale di fuga verso beni rifugio e perciò di preoccupazione per quanto sta accadendo sui mercati finanziari e nell’economia reale.Da una parte investitori pessimisti preoccupati per una bolla azionaria gonfiata dalle aspettative legate all’intelligenza artificiale e per il debito pubblico di molti paesi, dall’altra gli ottimisti che vedono un’economia globale in crescita nonostante i dazi imposti dagli Stati Uniti, mentre il potenziale dell’intelligenza artificiale comincia appena a venire sfruttato. Per aiutarci a capire le scelte degli investitori e gli intrecci fra economia reale, geopolitica e finanza sono ospiti di Modem:Elena Guglielmin, analista economica di UBSEdoardo Beretta, professore di Macroeconomia internazionale all’USI di Lugano
Gli assistenti di Intelligenza Artificiale (IA) come Copilot, Perplexity, Gemini o ChatGPT non sono ancora un modo affidabile per accedere alle notizie e informarsi sui fatti del mondo, ma un numero sempre maggiore di utenti si fida della loro accuratezza. Lo si legge in uno studio realizzato dalla BBC in collaborazione con l’Unione europea di radio-televisione (EBU) secondo il quale oltre un terzo delle risposte fornite dall’IA presenta problemi considerati “significativi”. Quali i rischi? Quali le prospettive, anche dal punto di vista occupazionale per chi lavoro in questo ambito? E quali, più in generale, le conseguenze di questo stato di cose per la tenuta della democrazia? Ne discutiamo con: Ruben Razzante, Docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano e alla Lumsa di Roma Francesco Veri, politologo, ricercatore senior presso il Centro per gli studi democratici di Aarau, affiliato all’Università di Zurigo Domenico Talia, professore di informatica all’Università della Calabria, autore del libro “Giornalisti robot? L’IA generativa e il futuro dell’informazione”
Politici sotto attacco

Politici sotto attacco

2025-10-2230:20

Insulti, diffamazioni, minacce anche di morte, attacchi verbali ma pure fisici, vandalismi. Manifestazioni di ostilità - se non di odio - che per quasi tutti i parlamentari attivi a livello federale e per tre quarti dei membri dei legislativi cantonali sono ormai la quotidianità. Uno studio realizzato dall’Università di Zurigo, su mandato del Dipartimento federale di giustizia e polizia, mette per la prima volta in evidenza tutta l’ampiezza del fenomeno e le conseguenze. Ad essere presi di mira in particolare sono gli esponenti dei Verdi e dell’UDC. A livello comunale invece i bersagli sono più spesso le donne, i politici di sinistra e le minoranze sociali, religiose, etniche o sessuali. Categorie, queste ultime, che tendono poi ad evitare l’esposizione mediatica, a limitare la loro visibilità e i loro interventi, con ripercussioni sulla partecipazione e la loro rappresentatività politica.E’ un “rischio del mestiere” che bisogna mettere in conto? Oppure vanno messi dei limiti? E quali? Ne discuteremo conNara Valsangiacomo, granconsigliera dei Verdi Diego Baratti, vicepresidente UDC TI, vicesindaco di Ponte Capriasca Nenad Stojanovic, politologo dell’Università di Ginevra Con un’intervista registrata all’autrice dello studio Lea Stahel.
È una lunga maratona europea quella con cui è confrontato il nostro Paese, chiamato nei prossimi due o tre anni a prendere posizione sul nuovo pacchetto di accordi tra Svizzera e Unione europea. Dall’anno prossimo toccherà al Parlamento discuterne, poi si andrà alle urne, forse nel 2027 o forse un anno più tardi, dopo le prossime elezioni federali. Un pacchetto gigantesco, da quasi 1900 pagine, che grazie ad un referendum (che sia volontario obbligatorio o sui generis) verrà sicuramente sottoposto anche al vaglio delle urne. Resta da capire il modo in cui questa votazione verrà organizzata: basterà la semplice maggioranza del popolo o ci vorrà anche quella dei cantoni. Un quesito centrale in questa vicenda e su cui il Parlamento avrà l’ultima parola. Un interrogativo che sottoporremo ai nostri ospiti, per capire e approfondire le ragioni degli uni e degli altri in questa partita dal valore epocale per il nostro Paese. A discuterne avremo con noi:Greta Gysin, consigliera nazionale del Verdi/TIAnna Giacometti, consigliera nazionale PLR/GRPiero Marchesi, consigliere nazionale UDC/TIFabio Regazzi, consigliere agli Stati Centro/TI
Venerdì scorso l’incontro fra il presidente americano Donald Trump e quello ucraino Volodymir Zelensky non ha portato praticamente a nulla. Zelensky sperava in un appoggio militare americano – leggasi la consegna di missili a lunga gittata Tomahawk – che non è arrivato. Donald Trump guarda già al possibile incontro con Vladimir Putin a Budapest: un incontro che potrebbe tenersi nelle prossime settimane e che però potrebbe rivelarsi – nuovamente, come accaduto ad Anchorage, in Alaska del 15 agosto scorso -  un semplice atto simbolico. Nel frattempo, l’Europa osserva con preoccupazione, temendo di essere marginalizzata in un gioco diplomatico dominato da Washington e Mosca. A Modem facciamo il punto della situazione sui due paesi tutt’ora in conflitto con Bettina Müller, responsabile attualità estera Radio - RSI, appena rientrata dall’UcrainaDavide Maria De Luca, collaboratore RSI da KievAlberto Zanconato, collaboratore RSI da Mosca
Le realtà alpestri e contadine ticinesi considerano a rischio il futuro di molti alpeggi in Ticino e delle attività economiche legate agli alpeggi (per esempio la produzione di formaggio). Domani manifestano a Bellinzona per chiedere un sostegno finanziario migliore e, soprattutto, l’abbattimento di un maggior numero di esemplari.  In Ticino ci sono sette branchi, per un totale di circa 40 esemplari, ai quali vanno aggiunti i lupi in transito sul territorio cantonale. Da inizio anno e fino al 30 settembre 184 animali sono morti a causa del lupo, un numero in aumento rispetto al 2024.Un reportage di Roberto Porta ci farà conoscere due diverse aziende agricole - una in valle Maggia, l’altra in valle di Blenio - che affrontano i rischi legati alle predazioni in modo completamente diverso. Metteremo poi a confronto mondo agricolo e Cantone con: - Omar Pedrini, allevatore e presidente dell’Unione Contadini Ticinesi - Alex Farinelli, consigliere nazionale e presidente della Società Ticinese di Economia Alpestre - Tiziano Putelli, capo Ufficio Caccia e Pesca del Canton Ticino - Stefano Rizzi, direttore Divisione Economia del Canton Ticino 
La protesta dei nati tra la fine degli anni Novanta e la prima decade del Duemila dilaga nei Paesi a basso reddito. A spingere i giovani sono rivendicazioni sociali e politiche. Senza leader né partiti, questi ragazzi tra i 15 e i 25 anni si muovono armati di smartphone e di una rabbia dai tratti ricorrenti, e ci spingono a chiederci se non siamo di fronte ad una mobilitazione che unisce i continenti. La generazione Z protesta contro la corruzione, le disparità e l’inettitudine delle classi politiche. Rivendicano lavoro, diritti, dignità. Non ci sono vertici: strategie e luoghi di incontro si condividono online su TikTok, Instagram, Discord, Telegram. Stessi simboli, slogan e codici circolano in Paesi distanti geograficamente fra loro, ma non a caso in latitudini dove l’età media è inferiore ai 30 anni.E in alcuni di questi Paesi la Gen Z già riuscita – con le sue proteste – a far cadere i governi, nella speranza di un cambiamento. A Modem ne parliamo con:·        Alessandra Polidori, sociologa e ricercatrice presso il Forum svizzero per lo studio delle migrazioni e della popolazione di Neuchâtel.·        Chiara Reid, collaboratrice RSI dall’India·        Freddie Del Curatolo, collaboratore RSI dall’Africa
L’ex acciaieria Monteforno va in scena al Teatro Sociale di Bellinzona. Il libro intitolato “Quaderno della Monteforno. Un racconto di fabbrica” di Sara Rossi Guidicelli è diventato uno spettacolo teatrale. Nella puntata di domani partiremo da qui, da quello che è stata tra il 1946 e il 1995 la Monteforno per gli operai, per la Bassa Leventina, per il Ticino. Parleremo di quello che ha portato e che ha lasciato nel mondo del lavoro, e in un settore – quello dell’acciaio- oggi in crisi. Lo faremo con Sara Rossi Guidicelli, giornalista e scrittrice, autrice di “Quaderno della Monteforno” Franco Romerio, storico ed economista, municipale di Giornico  Nicola Tettamanti, presidente di Swissmechanic e imprenditore   
Tra settembre e novembre 2025 sette regioni italiane —Toscana, Campania, Puglia, Veneto, Marche, Calabria e Valle d’Aosta — sono chiamate alle urne per eleggere Presidenti e Consigli regionali, in quello che parrebbe essere un momento politico cruciale per misurare la forza dei principali schieramenti (centrodestra, centrosinistra, “campo largo”) in vista delle prossime scadenze nazionali. A metà di questa tornata elettorale (ieri era la volta della Toscana, dopo i verdetti di Valle D’Aosta, Calabria e Marche) a Modem poniamo la lente su questo appuntamento elettorale: Cosa ci dicono dunque queste elezioni regionali italiane? Che conclusioni potremo trarre a voto avvenuto e in prospettiva della scadenza del 2027 con il rinnovo dei poteri politici nazionali? E in via più generale come stanno l’Italia e il Governo Meloni? Ne parliamo a Modem con: Marco Valbruzzi, professore di Scienze Politiche all’Università Federico II di NapoliElisa Volpi, professoressa assistente di Politica comparata alla Franklin University di LuganoFrancesca Torrani, corrispondente RSI da Roma
USA: il fronte interno

USA: il fronte interno

2025-10-1330:15

Donald Trump è in viaggio verso il Vicino Oriente per raccogliere i frutti di quello che finora potrebbe diventare il suo maggior successo in politica estera, vale a dire la fine degli scontri armati a Gaza e la liberazione degli ostaggi israeliani detenuti da Hamas. Cosa dire invece della situazione negli stessi Stati Uniti ad appena nove mesi dall’inizio del secondo mandato presidenziale di Trump. Il paese si trova infatti in uno “shutdown”, con le attività governative ferme per la mancanza di un accordo sul bilancio statale al Congresso.  L’amministrazione repubblicana si è fatta notare per il suo voler mettere in riga i vari poteri dello stato, pensiamo solo all’esercito e al Dipartimento di Giustizia. Senza poi dimenticare gli attacchi ad altre istituzioni dalla Federal Reserve alle Università fino ai media. Un approccio che solleva interrogativi: si tratta di una normale dinamica della politica americana, oppure siamo di fronte a una deriva autoritaria verso una democrazia illiberale, sul modello di Turchia o Ungheria? Mattia Ferraresi, giornalista di “Domani”  Stefano Luconi, Professore di Storia degli Stati Uniti d’America all’Università di Padova Andrea Vosti, corrispondente RSI da Washington
Verso la tregua

Verso la tregua

2025-10-1031:30

«Abbiamo atteso tutti troppo a lungo questo momento. Ora dobbiamo far sì che conti davvero». Queste parole del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres riassumono quello che è il sentimento di tutti coloro che da mesi e mesi chiedevano la fine dell’azione militare israeliana a Gaza. Perché l’accordo tra Israele e Hamas, raggiunto la scorsa notte e relativo alla prima fase del processo di pace promosso dall’amministrazione statunitense, deve passare dalle parole, ai fatti. E le incognite non sono poche. Nell’attesa di capire se e come il cosiddetto “Piano Trump” – che peraltro assomiglia molto alla proposta egiziana di qualche mese fa, elaborata in collaborazione con Giordania e Qatar e approvata dalla Lega Araba – verrà attuato, a Modem vedremo di capire quali sono le dinamiche, le diverse visioni e i diversi obiettivi da parte israeliana e palestinese. Perché non c’è una sola Hamas, e non c’è solo Hamas, e perché il governo israeliano ha al suo interno figure che i palestinesi vogliono eliminarli e basta e che questo accordo non lo sosterranno, senza dimenticare che lo stesso primo ministro Benjamin Netanyahu è stato convinto “con veemenza” dall’alleato americano, che questa è l’unica via percorribile. Ne parliamo con:MICHELE GIORGIO, giornalista, collabora con la RSI da Gerusalemme (quicklink)PAOLA CARIDI, giornalista e saggista, storica di Hamas (quicklink)CLAUDIA DE MARTINO, docente di storia contemporanea Università del Lussemburgo, esperta di Israele (quicklink)
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