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Radio Radicale - Il Mondo a pezzi
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Al vertice in Corea del Sud, Trump e Xi Jinping preannunciano un accordo per una tregua di un anno sulla guerra dei dazi. Scenderanno dal 47 al 45 per cento le tariffe applicate alla Cina. Pechino sospenderà per un anno le restrizioni all'export di terre rare (e il commissario Ue al Commercio Sefcovic fa sapere che varrà anche per l'Unione europea). Xi non ha stravinto: ci sono state reciproche concessioni, per usa e Cina si tratta di una de-escalation tattica. Trump è alla seconda marcia indietro, dopo la prima compiuta su pressione delle grandi catene commerciali. Il decoupling tentato da Cina e Usa non è praticabile. Ma che effetti avrà l'intesa sull'Ue? Le barriere tariffarie imposte dagli Usa alla Cina restano comunque alte, tra il 47 e il 45 per cento: le esportazioni di Pechino incontreranno quindi un ostacolo e potranno riversarsi sull'Unione europea. Il mercato interno cinese non riesce ad assorbire la sovrapproduzione in eccesso: è il risultato di una scelta politica che tiene bassa la domanda e i salari. L'Europa è una delle destinazioni della sovraccapacità cinese: ed è un fenomeno già in atto, poiché il mercato europeo è già la prima destinazione delle auto elettriche di Pechino e la nostra dipendenza per le batterie, le tecnologie legate a solare ed eolico si è consolidata. Le barriere tariffarie Usa resteranno, l'Ue le ha al 15 per cento con la Cina. Va poi considerato il ruolo svolto in una triangolazione delle merci cinesi da Vietnam o Thailandia. L'Ue non può prescindere dalla Cina, ma bisogna costruire un rapporto funzionale che serva anche gli interessi Ue. Un'eccessiva dipendenza dalle terre rare, che ricorda quella che l'Ue aveva con l'energia importata dalla Russia. E' necessario investire sulla costruzione di un'autonomia, conquistare maggiore reciprocità nei rapporti economici con la Cina. Proseguire sulla via già scelta dall'Ue, che ha imposto dazi sulle auto elettriche e mobili cinesi. Fondamentale resta la diversificazione dei mercati. L'Europa deve elaborare una risposta al più presto, senza attendere la fine della tregua di un anno, perché potrebbe ritrovarsi alla fine del percorso ad una intesa Usa-Cina che la stritolerebbe.
I dati macroeconomici dell'area euro restano deludenti, secondo le previsioni di crescita dell'FMI: buoni i dati relativi a Paesi del Sud come Spagna, Portogallo e Grecia. Ma finché non ripartiranno le grandi economie francesi e tedesca, l'Europa non potrà crescere. Segni di ripresa dell'economia tedesca dopo due anni di recessione: l'indice PMI (Purchasing Managers Index) registra un aumento degli ordini delle imprese. E' soprattutto il settore dei servizi nel settore privato a trainare questa ripresa: ristorazione, turismo, costruzioni, servizi alle imprese. Nell'industria manufatturiera, al contrario, non ci sono segni positivi. La situazione resta fragile, ma ci si attende una spinta alla crescita dal piano di spesa di 500 miliardi di euro destinati ad infrastrutture e difesa. La Francia si conferma la malata d'Europa, scossa com'è da turbolenze politiche interne. L'economia europea si confronta con cambiamenti epocali: la fine dell'energia a buon mercato, l'incapacità della Cina di assorbire la nostra produzione e riversa nell'Ue le merci che non riesce a consumare, la rivoluzione digitale. Le grandi imprese manufatturiere si ritrovano con capacità tecnologiche invecchiate: servono investimenti in servizi avanzati ad alta tecnologia. Ma è una rivoluzione che non è possibile effettuare su scala nazionale. Serve integrazione: la via indicata da Mario Draghi nel suo discorso di Oviedo va in questa direzione. Il 'federalismo pragmatico' cui l'ex presidente della BCE ha fatto riferimento può attuarsi attraverso 'coalizioni di volenterosi', ovvero cooperazioni rafforzate su settori strategici: è il caso della difesa o delle infrastrutture. L'Europa non può permettersi di restare ferma, in attesa che si trovi l'accordo a 27. Un'integrazione sta già avvenendo nel settore difesa, campo in cui si possono coinvolgere anche Paesi extra Ue come la Gran Bretagna. Gli ostacoli più resistenti sono opposti da forze e partiti nazionalisti: se è vero che non si battono più per l'uscita dall'Europa, queste forze chiedono che l'Ue faccia poco ed esercitano un'azione di freno nei confronti dei Paesi che potrebbero procedere verso una maggiore integrazione
La legge di bilancio del governo Meloni: 18,7 miliardi di euro, una manovra prudente, che poco effetto avrà sulle prossibilità di crescita. Dopo la fiammata post-Covid, l'economia italiana si è fermata. Positive le misure di equità sociale e l'aumento di fondi per la sanità. Il percorso stretto imposto dai parametri europei, una politica fiscale responsabile e il miglioramento dei conti pubblici che porterà l'Italia fuori dalla procedura d'infrazione per deficit eccessivo. Ma questo aggiustamento è stato pagato anche dai cittadini, con il cosiddetto fiscal drag: per effetto dell'inflazione, i salari nominalmente aumentano, ma il potere d'acquisto no. Eppure si pagano aliquote fiscali maggiori, che garantiscono nuove entrate all'erario.L'inflazione, tassa iniqua. La pressione fiscale rimane alta. Ma soprattutto, la manovra avrà un trascurabile impatto sulla crescita economica. A differenza di altri Paesi dell'area sud d'Europa, come attestato dalle previsioni del FMI: la Spagna con un 3,2 per cento, la Grecia e il Portogallo con un 2 per cento. L'Italia, in quest'area, fa eccezione. Il capovolgimento dei motori di crescita in Europa: quelle che erano le locomotive come Germania e Francia, arrancano; mentre i Paesi dell'area sud, risolta la loro situazione fiscale difficile per via di un forte indebitamento, hanno buone dinamiche di crescita. Cosa manca all'Italia: è la crisi del comparto industriale a frenare la crescita. Rappresenta il 23 per cento del Pil italiano, ma la produzione è diminuita, tornando al livello del 2020. La manovra stanzia per il comparto circa 8 miliardi, ovvero un terzo della richiesta avanzata da Confindustria per un piano di rilancio. Servirebbero risorse adeguate per affrontare la riconversione dell'economia in atto e gli alti costi dell'energia, investimenti per le trasformazioni indotte dall'Ia. La mancata crescita mette a rischio anche i risultati positivi ottenuti con la discesa del deficit. E il debito pubblico continuerà a gravare sulla nostra economia. Spagna e Portogallo offrono un esempio contrario: stock del debito in discesa grazie a crescita economica e investimenti.
Il meeting annuale promosso da FMI e Banca mondiale a Washington tra il 13 e il 18 ottobre presenterà le previsioni sull'economia mondiale. Secondo le anticipazioni già circolate, le due organizzazioni avrebbero constatato una buona resilienza dell'economia mondiale in questa prima metà del 2025: l'andamento è stato migliore di quanto si temesse dopo l'inizio della politica protezionistica dell'amministrazione Trump. Le ragioni della resilienza risiedono nella spinta agli acuisti e alla creazione di scorte da parte di imprese e consumatori, preoccupati dall'innalzamento delle tariffe; nella persistenza di esenzioni dai dazi di circa metà delle importazioni; nelle condizioni finanziarie che si sono ristabilite dopo il terremoto del Liberation day, con vendita di titoli di Stato Usa ed ora tornate positive per effetto del rialzo delle azioni dei mercati borsistici, alimentato dal ciclo di investimenti in tecnologie digitali e Ia. Ma secondo il Fmi le condizioni positive potrebbero gradualmente venir meno, una volta esauriti gli effetti delll'accumulazione delle scorte. E le aziende Usa che hanno importato non potranno continuare a tener ridotti i loro margini per evitare di riversare i costi dei dazi sui consumatori. Gli esperti del Fmi temono anche una sorta di bolla legata all'Ia. E prevedono, per il 2026, un ridimensionamento nelle aspettative di crescita dell'economia. Sia per gli Usa, dove si è scesi già dal 3 per cento pre-Trump e ci si avvia verso un 2 per cento. Soprattutto ci sono timori di una ripresa dell'inflazione, che ha fermato la sua discesa verso il 2 per cento ed ha ripreso a salire. Un dato che potrebbe contare soprattutto al momento delle elezioni di Midterm. Per evitare una fiammata dell'inflazione, servirebbero scelte opposte a quelle che sta compiendo l'amministrazione Trump, ovvero correzione del deficit e contenimento del debito pubblico. In Cina l'andamento dell'economia resta positivo, la crescita si attesta intorno al 5 per cento. Ma il rallentamnento c'è, poiché il modello cinese prevede grandi investimenti ma produce un eccesso di beni che il basso livello dei consumi interni non riesce ad assorbire e che vengono esportati sui mercati esteri. Il vero motore dell'economia resta l'India, che ha un tasso di crescita del 6-7 per cento ed è alimentata dalla domanda interna. L'economia euroopea resta il vaso di coccio che rischia di fare le spese della tensione Usa-Cina. La crescita resterà modesta, meno dell'1 per cento. Ma all'interno del continente europeo si constata un capovolgimento sui motori di crescita: il centro-Nord, ovvero Francia e Germania, arretrano, mentre i Paesi del Sud come Spagna, Portogallo e Grecia registrano un tasso del 2 per cento di crescita. Quanto all'Italia, la crescita resta debole, malgrado la stabilità di governo e gli effetti positivi degli investimenti del Pnrr
Il vertice informale Ue di Copenaghen dedicato alla difesa europea e al sostegno all'Ucraina. Il progetto di costruzione di un muro anti-droni e l'utilizzo delle riserve russe congelate tra i temi discussi: malgrado il vertice si sia chiuso senza decisoni operative - che sono state rinviate al Consiglio Ue del 23 e 24 ottobre - non si può dire che l'Unione europea sia al punto zero sulla difesa. A partire dall'impegno di aumentare le spese militari, come ci avevano chiesto, ben prima dell'arrivo di Trump, altri presidenti Usa. L'istituzione del fondo Save di 150 miliardi: prestiti a disposizione dei Paesi che vorranno usufruire per investire in difesa, con clausole di salvaguardia per consentire flessibilità. Si spenderà di più, ma sarebbe meglio spendere in comune. E' possibile farlo varando progetti comuni come il muro di droni. Si tratta di cosrtuire infrastrutture di difesa aerea, investire in intelligenza satellitare e nuove tecnologie, integrandosi con i sistemi Nato. Costruire in modo da poter proseguire anche nel caso gli Usa decidessero di tirarsi indietro. Sono progetti che andrebbero finanziati attraverso titoli di debito comune. Ma se non fosse possibile per l'opposizione di alcuni, il percorso alternativo è la creazione di un'organizzazione intergovernativa tra Paesi Nato disponibili a muoversi e trovare risorse comuni, sul modello della 'coalizione dei volenterosi'. L'ostacolo costituito dall'articolo 346 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che consente agli Stati di effettuare appalti nazionali nel settore difesa, ovvero un'esenzione dalle regole europee che li tiene al riparo dalla concorrenza. Servono invece un mercato europeo unico, standard comuni, appalti congiunti. Una soluzione possibile: un trattato intergovernativo ad hoc, che disegni un quadro giuridico di norme adeguato, siglato dai Paesi che si mostrino disponibili e che potrebbe essere allargato anche al Regno Unito. Un'iniziativa intergovernativa consentirebbe anche di superare le contestazioni alla Commissione europea Von der Leyen, accusata di aver travalicato i propri poteri scavalcando gli Stati nazionali, che rivendicano competenza esclusiva sulla difesa e la politica estera
Imprevista e imprevedibile la sortita di Donald Trump, che ha annunciato l'imposizione di nuovi dazi su farmaci, mobili, autocarri: potrebbero colpire anche l'Ue, che pure ha siglato solo due mesi fa un'intesa su tariffe al 15 per cento? Trump ha comunque minacciato un innalzamento delle tariffe come risposta alla multa che la Commissione Ue ha comminato a Google. L'atteggiamento erratico dell'Amministrazione Usa rende ancora più urgente per l'Ue il percorso di diversificazione dei mercati di sbocco per i nostri prodotti. Un test fondamentale di questo percorso è l'approvazione dell'accordo con i Paesi Mercosur, che potrebbe garantire l'esportazione di macchinari, auto, prodotti farmaceutici, ma anche servizi. Non si tratta solo di un accordo commerciale, ha un valore strategico altissimo, anche perché sono Paesi ricchi di terre rare, indispensabili per la transizione ecologica e digitale, di cui l'Ue si approvvigiona soprattutto in Cina. L'approvazione del Mercosur garantirebbe una sicurezza di approvvigionamento indispensabile in un'area che proprio la Cina sta conquistando importando terre rare ed investendo anche in infrastrutture. La ratifica è urgente, i vantaggi indiscutibili e la Commissione Ue ha risposto alle obiezioni degli agricoltori di Paesi come Francia e Polonia proponendo compensazioni e quote di importazioni limite su carne e prodotti agricoli. Un fondo di compensazione è stato messo a punto, sull'esempio di quello previsto nell'accordo Ceta con il Canada: e da quando quell'accordo è entrato in vigore, non un euro è stato utilizzato, le esportazioni Ue sono aumentate, portando vantaggi reciproci. La Commissione ha ben operato, rompendo gli indugi e inviando per la ratifica l'accordo a Consiglio Ue e Parlamento europeo. La Commissione ha deciso di spacchettare l'accordo: una parte su commerci e servizi verrà proposta all'approvazione di Consiglio Ue e Parlamento europeo e l'altra, più politica, verrà sottoposta al varo dei Parlamenti nazionali. Sulle richieste di reciprocità delle regole di rispetto ambientale il trattato fuga ogni dubbio. Più difficile resta l'accordo nella parte che concerne i diritti dei lavoratori. L'approvazione del Mercosur sarà il primo, fondamentale test per un'Unione europea che si voglia potenza anche regolatoria, in un'era di stravolgimento dei meccanismi internazionali di negoziazione e composizione dei contrasti
La Commissione europea propone il 19° pacchetto di sanzioni contro la Russia. Von Der Leyen prospetta il divieto di importazione di GLN russo entro la fine del 2026: "è ora di chiudere il rubinetto" dei ricavi dai combustibili fossili, con cui la Russia finanzia la guerra. Donald Trump si dice disponibile a sanzioni contro la Russia se i Paesi della Nato (o della Ue) smetteranno di acquistare petrolio russo e se imporranno tariffe tra il 50 e il 100 per cento a India e Cina, che lo acquistano. E' un pretesto del presidente Usa per evitare di nuocere a Putin? O il fallimento di ogni trattativa con la Russia per arrivare ad una tregua lo spingerà davvero ad un cambio di atteggiamento? Cina e India sono due partner da cui l'Ue non può prescindere. Con New Dehli la Commissione europea firmerà un accordo che permetterà una diversificazione indispensabile dopo i dazi imposti da Trump. Un negoziato complesso è necessario con la Cina, partner commercale fondamentale per le nuove tecnologie, che va coinvolto nella strategia di contrasto agli effetti del climate change. Una guerra commerciale con la Cina sarebbe devastante per l'Ue ma anche per gli Usa, come dimostra la retromarcia compiuta sotto la minaccia di interruzione di fornitura di terre rare. Il pacchetto dovrà essere adottato, risolvendo anche l'ostacolo dell'esenzione di cui godono Slovacchia e Ungheria al divieto di acquisto di petrolio russo. Il pacchetto amplia il numero delle navi della flotta ombra che commercia petrolio, ma perché funzioni serve la collaborazione degli Stati Uniti. Il pacchetto proposto dalla Commissione esaudisce peraltro anche molte delle richieste avanzate dall'amministrazione Trump che mirano a colpire i meccanismi di triangolazione con cui alcuni Paesi aggirano le sanzioni che gravano sul trasporto e commercio di petrolio con la Russia. Passi avanti sta facendo la Commissione anche in direzione dell'uso degli asset congelati della Banca Centrale Russa. Si sceglierà probabilmente la formula del prestito di riparazione. Perplessità delle istituzioni finanziarie e della Bce su un sistema di espropri. E' opportuno inasprire le sanzioni al più presto, approfittando dell'attuale debolezza dell'economia russa: se ha retto nei primi due anni dell'invasione grazie agli investimenti nel settore della difesa che l'ha trasformata in economia di guerra, ora non basta più, le entrate derivanti dall'energia sono diminuite, le sanzioni pesano, l'inflazione è risalita e il Paese è entrato in una fase di semirecessione. Bisogna approfittare di questa fase per costringere la Russia al tavolo negoziale
Il discorso sullo Stato dell'Unione di Ursula Von Der Leyen rappresenta un'ottima analisi dei problemi e delle sfide che attendono l'Unione europea: ma non indica con precisione quando e come realizzare gli obiettivi che si propone, poiché la Commissione si regge su una fragile maggioranza. Il filo rosso che lega il suo intervento è costituito dalla consapevolezza che l'Ue debba rendersi indipendente e conquistare una propria capacità politica. Ma molte delle scelte che renderebbero possibile l'indipendenza dell'Ue esigono una maggiore integrazione. E' il caso del settore energia: la frammentazione è causa di un costo in Europa superiore di due, tre volte, rispetto a quello negli Usa. L'aumento dei costi dell'energia causato dalla guerra in Ucraina ha provocato la perdita di centinaia dimigliaia di posti di lavoro. Servirebbero investimenti sulla connessione delle reti di trasmissione, che restano divise per ogni Nazione dell'Ue. Un altro campo fondamentale su cui l'Ue dovrebbe conquistare la sovranità è l'autonomia tecnologica, che è parte fondamentale dell'autonomia strategica. Se Von der Leyen parla di progetti comuni in materia di difesa, l'obiettivo non può essere spendere di più, ma spendere europeo. Lo stimolo dei rapporti Draghi e Letta è stato raccolto, ma finora è stato realizzato soltanto il 10-11 per cento degli obiettivi indicati. I progressi sulla via dell'integrazione sono frenati da divisioni fra Paesi europei, a loro volta divisi al loro interno e da divisioni nella maggioranza che sostiene la Commissione Von Der Leyen. Ma l'Ue, nell'epoca di Trump, rischia il suicidio politico se non si muove unita. La Commissione ha già i poteri e le competenze per compiere nuovi passi in direzione dell'integrazione: è il caso del completamento del mercato unico, verso cui si può procedere anche con maggioranza qualificata. Questa Commissione insegue troppo la ricerca di un minimo comun denominatore, ma è una strategia inefficace. Una prossima tappa in cui si potrà verificare se la Commissione intende fare proposte concrete sarà il summit di ottobre su mercato unico e mercato dei capitali
Conversazione con Paolo Guerrieri Paleotti. La Commissione Ue ha sanzionato Google con una multa di 2,95 miliardi di euro per violazione delle norme antitrust europee. Entro 60 giorni la società dovrà presentare un piano di misure da mettere in atto per eliminare le distorsioni della concorrenza che riguardano il comparto della pubblicità digitale: un settore che frutta 7 miliardi di ricavi e che, secondo la Commissione, presenta conflitti di interesse da sanare. Google sta affrontando anche negli Usa procedimenti analoghi, poiché una corte federale ha sollevato analoghe accuse di abuso di posizione dominante. L'Amministrazione Trump imputa all'Ue di aver agito in modo discriminatorio, minaccia ulteriori dazi e contesta qualsiasi forma di regolamentazione che sia di ostacolo alle Big Tech. All'interno della Commissione Ue si sono sollevate perplessità sull'opportunità di varare le sanzioni per timore di ulteriori ritorsioni da parte Usa: ma la vicepresidente con delega alla Concorrenza Teresa Ribera è riuscita ad opporsi alla proposta di rinvio caldeggiata tanto dal commissario al Commercio Sefcovich che dalla Presidente Von Der Leyen. Si tratta di difendere la sovranità legislativa delll'Unione europea. E' senza dubbio opportuno procedere sulla via delle eliminazione degli eccessi di regolamentazione che caratterizzano l'assetto dell'Unione europea: ma non si può confondere il piano di semplificazione burocratica, amministrativa, con una istanza di smantellamento delle nostre regolamentazioni, che garantiscono trasparenza e proteggono dai rischi cittadini ed imprese. Il freno alla competitività dell'Ue non è rappresentato tanto dall'eccessiva regolamentazione, quanto dalla frammentazione del mercato dei capitali e delle regole nazionali
Negli Stati Uniti si è aperto un confronto tra il presidente Donald Trump e i giudici americani, chiamati a pronunciarsi su tre fronti: l'uso delle tariffe commerciali, la politica di contrasto all'immigrazione illegale e, da ultimo, con la destituzione di uno dei governatori della Federal Reserve, lo stesso ruolo della Fed. Rapporti che sollevano interrogativi sul funzionamento dei tradizionali contrappesi nel sistema istituzionale statunitense, a partire dalla Corte suprema. E tuttavia, secondo il professor Paolo Guerrieri, economista e docente a Scieces Po di Parigi, più che dalle soluzioni giudiziarie e, a maggior ragione, in caso di esito favorevole per l'esecutivo, il vero freno al potere del presidente Trump verrà dai mercati e dagli eventuali effetti delle sue politiche, che peraltro potrebbero segnare un calo del consenso interno proprio in concomitanza con le elezioni di metà mandato.
Conversazione con Paolo Guerrieri Paleotti. Al simposio di Jackson Hole l'intervento del governatore della Federal Reserve. La sua apertura sulla possibilità di un taglio dei tassi d'interesse di un quarto di punto è stata letta come un tentativo di compiacere Trump. In realtà è un orientamento già emerso nei mesi scorsi da parte della Fed. Al contrario, nel corso del suo intervento, Powell ha proposto una disamina precisa degli effetti che le politiche protezionistiche e la stretta sull'immigrazione hanno provocato sull'economia Usa. L'innalzamento dei dazi ha provocato un innalzamento dei prezzi al consumo. E le politiche sull'immigrazione hanno avuto effetti sul mercato del lavoro: l'occupazione diminuisce perché diminuisce la domanda di lavoro, gli aspiranti temono di manifestarsi. Non aumenta il tasso di disoccupazione, fermo al 4,2 per cento. Il rallentamento dell'economia e della produzione, sommato alla risalita dell'inflazione, espongono il Paese al rischio di stagflazione. La prudenza di Powell, che intende attendere i dati su inflazione e occupazione per poter stabilire se si tratti di situazione congiunturale o strutturale. Powell ribadisce che si baserà sui prossimi dati relativi ad occupazione e inflazione per decidere su un eventuale taglio dei tassi di interesse. Fondamentale è che i dati sulla cui base viene elaborata la politica monetaria della Fed siano affidabili: le ultime vicende realtive al licenziamento della direttrice dell'ufficio statistiche sull'occupazione sono un segnale preoccupante, quanto i tentativi di Trump di condizionare ed asservire la Federal Reserve
Conversazione con Paolo Guerrieri Paleotti. L'economia russa dopo quasi tre anni di di guerra in Ucraina. Grandi difficoltà, ma non un crolllo: l'economia ristagna, l'inflazione è in risalita, le risorse finanziarie si stanno assottigliando. Trump avrebbe potuto sfruttare questa condizione di vulnerabilità, ma ha ritirato la minaccia di sanzioni. Eppure se fossero state colpite le fonti di introiti derivanti dall'esportazione di petrolio e gas, la macchina da guerra si incepprebbe. Sfuma l'ipotesi di colpire con sanzioni secondarie Cina, India e Turchia, cui Mosca vende petrolio a prezzi stracciati. Così come la possibilità di sanzionare la flotta ombra che aggira le sanzioni e trasporta il petrolio russo: l'Unione europea e la Gran Bretagna lo hanno fatto, nei confronti di 360 navi. Per effetto delle sanzioni, le entrate derivanti da petrolio sono crollate e il prezzo del barile russo è sceso a 47 dollari. L'economia russa ha resistito nel 2023 e 2024 alle sanzioni, crescendo del 4 per cento l'anno. Spese militari record: il 6 per cento del Pil. Ma questa crescita drogata da un'economia di guerra non poteva durare a lungo: per quest'anno le previsioni di crescita oscillano tra l'1 e lo 0,9 per cento. L'inflazione è al 10-15 per cento. E cresce il prezzo di beni alimentari di prima necessità come le patate e il pane. Mantenere così alto il livello di spesa nel settore difesa e sicurezza comporterà riduzione della spesa sociale. Crescono le difficoltà di finanziamento e il Fondo Nazionale di ricchezza si è impoverito da 130 miliardi a 35. Se si usasse la leva delle sanzioni sul settore energetico per spingere Putin almeno ad una tregua, gli effetti sarebbero devastanti
Conversazione con il Professor Paolo Guerrieri Paleotti. Gli effetti dei dazi di Donald Trump. Il ritorno al protezionismo della politica commerciale USA al livello più alto degli ultimi cento anni. Un percorso su cui gli Usa non torneranno più indietro: il protezionismo resterà un connotato della loro politica estera. L'innalzamento medio delle tariffe è stato del 18 per cento. La configurazione che assumerà il sistema economico-commerciale mondiale, a questo punto, non dipenderà più dagli Usa, ma dalle scelte che compiranno gli altri Paesi, nei reciproci rapporti. Cosa accadrà ora che il mercato Usa si restringerà a causa dei dazi? Un possibile scenario è la messa a punto e il rafforzamento di accordi commerciali regionali, bilaterali, per blocchi che si astengano dall'innalzamento di tariffe reciproche. E' l'esempio fornito dagli accordi tra Regno Unito e India, tra Ue e Paesi dell'America Latina o tra Ue e Indonesia. Questo consentirebbe di tenere in vita una forma di multilateralismo, isolando gli Usa dal sistema globale. Ma in un altro scenario possibile, il protezionismo Usa potrebbe spingere gli altri Paesi ad un'analoga chiusura, per difendersi dalla perdita di questo sbocco. La Cina resta da questo punto di vista un fattore determinante, un'autentica mina vagante: l'eccesso di esportazioni che caratterizza la sua economia rapprsenta una minaccia finché non riuscirà a far crescere il consumo interno e a mobilitare i risparmi. La riduzione degli sbocchi commerciali negli Usa delle merci cinesi rischia di riversarsi sugli altri Paesi e sull'Unione europea, che potrebbe reagire innalzando barriere protezionistiche, come è già avvenuto per le auto elettriche. Che prevalga il primo o il secondo scenario dipende anche dalle scelte che farà l'Unione europea: è urgente rafforzare e consolidare accordi plurilaterali, contribuire al rafforzamento di blocchi che non si facciano la guerra fra loro. Non serve una nuova Bretton Woods senza gli Usa, ma consolidare regole e mantenere gli scambi aperti. La prima carina di tornasole sarà rappresentata dall'accordo Mercosur
Il Congresso Usa approva il Genius Act, la normativa che regolamenterà le stablecoins. E' l'acronimo di Guiding and Establishing National Innovation for U.S. Stablecoins e mira ad una legittimazione istituzionale di questa forma di criptovalute. Il loro valore è ancorato al dollaro. Permetterà a privati come banche, società finanziarie, intermediari commerciali come Amazon o Walmart di emettere stablecoins. La federal Reserve non avrà alcun potere di controll. La garanzia dell'anonimato per chi ne diventa sottoscrittore fa temere operazioni della criminalità organizzata. E' un'autentica rivoluzione, poiché consente transazioni istantanee e poco costos. Le regole che consentiranno il controllo sugli emettitori di stablecoins restano inadeguate. E gli emettitori, per farle fruttare, potrebbero investire su attività rischiose. Né sarà facile controllare quelli che saranno migliaia di emettitori, quale sarà il loro reale grado di solvibilità Il precedente del 1830: per tre decenni ad alcune banche private fu consentito di emettere una propria moneta. Il mondo delle criptovalute trarrà enormi profitti da questa legge. Trump, attarverso la sua famiglia, è già proprietario di un gruppo finanziario che ha iniziato ad emettere stablecoins, malgrado in passato, durante il primo mandato, fosse molto critico di questo strumento, che definiva 'falsa moneta'. Con ogni evidenza, il sostegno alla campagna elettorale del Presidente e dei parlamentari repubblicani da parte di imprenditori che operano in questo settore lo hanno indotto a cambiare opinione
Trump diffonde sul suo social Truth il testo della lettera con cui minaccia l'imposizione di dazi al 30 per cento a partire dal 1 agosto a Unione europea e Messico. La scorsa settimana aveva preannunciato un innalzamento delle tariffe ad altri 14 Paesi. La Commissione Ue conferma la sospensione delle contromisure fino al 1 agosto e intanto continua a perseguire la strada del negoziato, che sembrava vicino ad ottenere un accordo accettabile. L'irrigidimento repentino di Trump è frutto di una strategia? Il Presidente Usa ricorre alla clava dei dazi per ottenere i risultati più vari: al Messico rimprovera di non aver fatto abbastanza per fermare l'arrivo di immigrati. Non c'è nulla di razionale nell'imposizione di dazi al 50 per cento sull'importazione di rame, che danneggerà innanzitutto le aziende statunitensi. Come si spiega il rilancio delle politiche protezionistiche di Trump? Evidentemente si è sentito rassicurato dai mercati azionari e finanziari che, dopo lo shock inziale, si sono stabilizzati con lo stop deciso dal presidente. E sperano nella strategia Taco (Trump Always Chickens Out), fatta di minacce e passi indietro. Allo stesso tempo il presidente può contare sul fatto che non ci siano stati effetti inflazionistici. E le imprese Usa hanno fatto scorta di tutte le merci e i beni su cui pesava la minaccia di dazi. La strategia accondiscendente dell'Ue non ha pagato e il continente resta diviso sulla risposta da opporre a Trump. L'Ue spera forse in un nuovo shock finanziario che freni Trump
Trump esulta dopo l'approvazione della sua manovra, il 'Big Beautiful Bill'. Per i sostenitori del presidente proietterà gli Usa verso l'età dell'oro. Per i Democratici rappresenterà l'affossamento del welfare, l'eplosione del debito pubblico e minerà il ruolo del dollaro. Si tratta di una legge-Omnibus, ma il cuore della manovra è nel taglio delle tasse, reso definitivo ed esteso. Ma l'amministrazione Biden si guardò bene dal sospendere quei tagli che risalivano al primo mandato di Trump. Nuove sono la detassazione delle mance e di una parte degli straordinari. Così come gli ingenti finanziamenti al settore difesa e ai dipartimenti che sono incaricati di lottare contro l'immigrazione clandestina. La manovra si tradurrà in un aumento del debito di 3mila miliardi di dollari. E provocherà decurtazioni sostanziose dell'assistenza sanitaria per i più poveri. E' verosimile che la manovra avrà un iniziale effeto espansivo, ma a medio-lungo termine provocherà aumento del deficit, del debito e dei tassi di interesse. La crescita del debito non è una novità per gli Usa, che ormai da venti anni consumano più di quanto non producano. Né saranno sufficienti gli introiti dell'innalzamento dei dazi per compensare il deficit, anche perché l'incertezza sulle politiche di Trump in materia di tariffe condiziona gli investimenti. E' unanime la lettura di questa manovra come fortemente regressiva per gli effetti sul welfare. Quel che invece si può al momento escludere è che venga minato lo status di valuta internazionale del dollaro, poiché al momento non esistono monete alternative. Il Big Beautiful Bill fa comodo anche alla Cina, poiché prevede lo smantellamento delle politiche legate alla transizione ecologica, su cui gli imprenditori americani avevano investito e su cui Pechino sta costruendo una leadership
Si avvicina la scadenza del 9 luglio, la data fissata per l'Ue da Trump per giungere ad un accordo sui dazi, che potrebbero arrivare al 50 per cento. Il negoziato è aperto. L'Ue sarebbe disponibile ad accettare tariffe aggiuntive medie del 10 per cento, considerandole un male minore. Il paragone con l'accordo Usa-Regno Unito è improprio, poiché l'Ue, con i suoi 450 milioni di consumatori, ha ben altro potere negoziale. L'accondiscenza europea è frutto della sua debolezza, poiché resta poco coesa, divisa sull'atteggiamento da tenere di fronte alle minacce di Trump. Non c'è accordo sulle contromisure che l'Ue potrebbe mettere in campo, più volte ventilate ma sempre rinviate. La strada parallela che la Commissione sta perseguendo è l'avvicinamento al CPTTP, il Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership. La presidente Von Der Leyen, preso atto dello stallo del WTO, frutto anche della mancata nomina di giudici da parte Usa, ritiene importante puntare su un organismo capace di risolvere le controversie commerciali tra i Paesi: il CPTTP, che abbraccia Nazioni dalle zone Asia-Pacifico al Canada, al Messico e ora al regno Unito, rappresenterebbe il 30 per cento del Pil mondiale.
Lo scontro tra Trump e la Fed infiamma la politica economica statunitense, allarmata dal rischio inflazione e alla vigilia della fine della moratoria dei dazi USA. Questo il tema della conversazione settimanale con l'economista Paolo Guerrieri Paleotti
L'impatto del conflitto Israele-Iran sui mercati finanziari, il prezzo del petrolio e dell'oro. L'allarme suscitato dall'attacco israeliano al giacimento di gas South Pars (che l'Iran condivide con il Qatar) e dalla minaccia iraniana di chiusura dello Stretto di Hormuz (attraverso cui passa un terzo della produzione mondiale di gas e petrolio. La guerra ha provocato un innalzamento del prezzo del petrolio fino a 75-78 dollari al barile, ma i rischi sul rincaro sono contenuti dall'eccesso di offerta. Un significativo rialzo dei prezzi all'oncia si registra per l'oro, che ha superato i 3.400 dollari. Cifre record erano state raggiunte durante la crisi del 2008 e poi durante l'emergenza Covid. Ora sono preoccupanti le cause all'origine di questo rincaro, a partire dall'effetto destabilizzante delle politiche protezionistiche di Trump. In un clima di caos e incertezza, gli investitori hanno iniziato a diversificare: il dollaro si è indebolito, gli investimenti si spostano su euro e altre divise e soprattutto gli investitori vedono nell'oro il bene-rifugio per eccellenza. Anche le Banche centrali ne hanno aumentato l'acquisto. Si cercano alternative al dollaro, anche se si è ben lontani dal poterlo rimpiazzare. L'euro potrà essere un'alternativa solo se si arriverà al mercato unico dei capitali, all'unione bancaria e, soprattutto, ad un titolo in euro che rappresenti l'insieme dei Paesi della zona
Le previsioni sull'economia globale dell'Ocse evidenziano gli effetti negativi che la politica dei dazi dell'Amministrazione Trump può provocare: le elevate barriere al commercio e il clima di incertezza ad esse connesso provocheranno un rallentamento dell'economia, che si fermerà ad una crescita sotto il 3 per cento. L'Ocse sottolinea peraltro che a soffrirne saranno soprattutto le grandi economie, a partire da quella statunitense, che viaggiava su un tasso di crescita vicino al 3 per cento e che ora potrebbe scendere all'1-1,35. Effetti negativi che andranno ad associarsi ad un aumento dell'inflazione, proprio mentre ci si stava avvicinando alll'obiettivo del 2 per cento perseguito dal presidente della Fed Powell, non a caso ora sotto pressione di Donald Trump perché abbassi i tassi di interesse. Per quel che riguarda l'Italia, tanto Istat che FMI sottolineano come cresca poco, al di sotto della media europea. L'Istat prevede una crescita allo 0,6 per cento per il 2025. Finora l'impatto dei dazi non si è manifestato pienamente e la crescita è soprattutto interna, legata ai consumi e agli investimenti conenssi al Pnrr in Italia e nell'Ue. Gli effetti delle tariffe è stato finora attenuato dall'accelerazione delle transazioni in entrata e in uscita, che si sono verificate in previsione dell'arrivo dei dazi. Il FMI conferma il buon andamento dei nostri conti pubblici, in linea con le nuove regole del Patto di Stabilità. Ma la crescita rischia di restare debole, una volta venuti meno gli investimenti del PNRR, poiché ancora una volta non avremo messo in campo le riforme che il FMI ci ha invitato a realizzare per aumentare la produttività: più concorrenza, una giustizia efficace, un'amministrazione più efficiente. Il FMI ha sollecitato ancora una volta l'Italia ad aumentare le entrate fiscali attraverso la lotta all'evasione fiscale, l'aggiornamento dei valori catastali, l'abbandono di politiche fiscali come la flat tax.



