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Rame
Author: Rame
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Rame è la serie podcast di una community che vuole sfatare il tabù dei soldi. Nasce all'interno di una piattaforma (www.rameplatform.com) che attraverso i suoi contenuti si pone l’obiettivo di avviare una rivoluzione culturale nella società, che trasformi la finanza personale in un argomento di conversazioni audaci e liberatorie. Annalisa Monfreda, ogni settimana, dialoga con un ospite diverso seguendo il filo della sua storia economica. Parlare di soldi può essere intimo e coinvolgente, rivelatorio ed eccitante. E si finisce sempre per svelare chi siamo e ciò in cui crediamo.
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Michele Bravi, classe 1994, vince X Factor all’età di 19 anni e da allora inizia una carriera luminosa nel mondo della musica. In questa puntata, per la prima volta parla di soldi. Racconta della sua infanzia con i nonni, per i quali «il lavoro è una necessità per sopravvivere e non una vocazione». Ma al tempo stesso «è più importante avere i soldi per il cinema che quelli per la merenda».
Nonostante il successo, Michele solo da pochi anni ha capito che col suo lavoro può vivere e se non avesse avuto il sostegno della sua famiglia non sarebbe arrivato fin qui. Perché se una volta con una canzone ti compravi tre palazzi, oggi se metti a segno la hit dell’estate al massimo stai comodo quell’anno lì.
C’è una narrazione falsata del mondo della musica. Nasce dal fatto che lo spettacolo racconta un sogno e le persone faticano a capire che, se fai un red carpet ricoperto di diamanti, non vuol dire che quei diamanti tu possa permetterteli. Il fraintendimento della ricchezza collegata al successo ha conseguenze anche sulle relazioni. «Ci sono tante persone che si avvicinano a te perché si immaginano un certo status. Io ho mantenuto molti miei ex, pensa che scemo…». Fare l’artista, in realtà, è come diventare un imprenditore. «Il guadagno per me è sempre stato un metro di misura per valutare l'efficacia del tuo lavoro». Il gioco è guadagnare per poter reinvestire nella qualità del tuo prodotto. E per non dover più pensare ai soldi.
Francesca Michielin cresce in una casa in cui lo studio è sacro. Il padre falegname e la madre ragioniera, avendo dovuto smettere di studiare presto per iniziare a lavorare, lasciano i figli liberi di approfondire le loro passioni, che siano gli studi universitari o quelli musicali. Di tutto il resto - shopping, vacanze - si può fare a meno. Tanto che la prima volta che vanno a cena fuori è quando Francesca supera gli esami di terza media e il fratello si laurea con una media molto alta. «È stata una cosa speciale: ho percepito la soddisfazione per il fatto che i sacrifici avevano portato a risultati importanti».
Quando a soli 16 anni Francesca vince X Factor, con i soldi della vittoria si paga una scuola privata che le permette di arrivare alla maturità portando avanti l’attività lavorativa appena iniziata. «Non avrei potuto continuare nella scuola pubblica stando sempre in giro a lavorare e là mi sono accorta che con dei soldi riuscivo a pagarmi il diritto allo studio».
In quegli anni, lei e i suoi genitori dicono No a tantissime proposte, rinunciando a molti soldi pur di tenere alta la qualità delle attività di Francesca. «Se avessi detto sì a tutte le proposte che mi sono arrivate all'epoca, non dico che sarei milionaria, però starei molto bene». Quello di poter scegliere è un lusso che Francesca riconosce di avere ancora adesso. Benché sia consapevole di dipendere sempre dalla sua prossima mossa e di non potersi permettere un disco che venda zero, Francesca non rinuncerebbe mai a quello che vuole comunicare.
Il primo lusso che si concede quando le cose iniziano a girare bene è la psicologa («Perché purtroppo la salute mentale è ancora un privilegio», dice), ma anche un’assicurazione sulla casa e un buon materasso. «Mi sono resa conto che alla fine non avevo bisogno di chissà che cosa per stare bene».
La musica è sempre stato un mondo maschile. Il gender gap salariale esiste anche qui. «Quando sono uscita da X Factor mi ricordo di alcuni eventi in cui i colleghi maschi prendevano quasi il doppio di me. Si pensava che gli artisti uomini portassero più pubblico, ma non è vero. Questo trend sta un pochino cambiando anche perché le donne si stanno affermando in maniera molto più poliedrica. Da un anno, forse un anno e mezzo, si iniziano a vedere line up al femminili o miste. Le donne si stanno riappropriando sempre di più di un potere economico che a loro spetta».
Teresa Ciabatti è una delle scrittrici italiane più lette. Una che ha il coraggio di essere scomoda, addirittura scorretta. Figlia di un medico chirurgo, Teresa cresce a Orbetello in una villa con piscina per poi trasferirsi a Roma, ai Parioli, in adolescenza. La perdita della piscina, verso i 14 anni, rappresenta una perdita di identità. «I miei amici romani venivano da me solo perché c'era la piscina. Nel momento in cui nella vita reale ho perso la piscina nessuno più mi ha cercata. E per me è stata una fortuna perché a quel punto io dovevo cercarmi un’identità vera. Tante volte penso che se non avessi perso niente, probabilmente non sarei diventata una scrittrice e non avrei avuto tutta la possibilità dell'Immaginazione. Perché se tu hai tutto, pensa quanto è ridotto il campo della possibilità».
Teresa capisce allora che il vero potere non sono i soldi, ma le relazioni. «Io con la piscina ero circondata da persone che poi subito sono sparite. Senza piscina, ci ho messo vent'anni, però ho trovato delle persone che sono ancora della mia vita». Per quanto è trasgressiva nella scrittura, Teresa è molto posata nella vita reale: odia fare shopping, non viaggia. Però il suo conto in banca parla di passioni bizzarre, come quella per le costose imitazioni delle bambole reborn, che possiede in ben sette esemplari
Con infinita tenacia, Teresa riesce a vivere della scrittura, sperimentando la perdita di libertà che porta con sé il successo, ma riuscendo comunque a tenere fede alla sua voce e ai suoi protagonisti sgradevoli, per i quali si rifiuta di disegnare una parabola evolutiva.
Oggi ha una figlia adolescente alle prese con la ricerca di identità. Una ricerca che, com’è stato per Teresa a 14 anni, passa attraverso il possesso e la condivisione di cose. Ma quello che Teresa vorrebbe insegnarle è che i soldi, specie alla sua età, sono una trappola. Per cui nascere ricchi è solo in apparenza un privilegio.
Stefania Auci è una delle poche scrittrici, in Italia, che potrebbe vivere del suo mestiere. I suoi romanzi, che attraverso le vicende della famiglia Florio raccontano due secoli di storia d'Italia, hanno venduto quasi due milioni di copie. Eppure Auci si tiene stretta il suo lavoro di insegnante. Perché «lo stipendio è sempre lo stipendio», dice. Ma anche perché «in Italia è difficilissimo vivere di cultura». Tanto più se sei una donna e tutti pensano che tu debba scrivere di sole, cuore e amore, piuttosto che di soldi. «Eppure la nostra vita, esattamente come quella di un uomo, è regolata dal peso e dal valore dei soldi». E così, l'aver cambiato "le regole" della scrittura femminile le ha fatto perdere la fiducia di affidarsi ad essa completamente.
Stefania Auci è la protagonista del terzo evento del tour Rituali di benessere finanziario, a Palermo. Ai nostri microfoni ha raccontato del costo che ha pagato per il fatto di essere donna, ma anche di come ha speso i primi soldi guadagnati con i suoi libri.
Rituali di benessere finanziario è un tour organizzato in collaborazione con Alleanza Assicurazioni e con il sostegno di Sardegna Ricerche.
Fin da quand'era studentessa all'Accademia di arte drammatica, Francesca Cavallo capisce che, a parità di talento, sul suo si sarebbe investito meno che su quello di un uomo. Così, oltre che artista, diviene imprenditrice, per occuparsi in prima persona della sostenibilità delle sue idee. Quando arriva in Silicon Valley, si scontra con ciò che tiene le donne lontane dal mondo delle startup: la mentalità predatoria, il mito del far succedere le cose a qualunque costo. Lo straordinario successo che ottiene con Favole della buonanotte per bambine ribelli, un bestseller che ha venduto 6 milioni di copie in oltre 50 Paesi del mondo, le offre l'opportunità di provare a cambiare il modo in cui si è sempre fatto impresa e di sperimentare un nuovo tipo di azienda. «Il successo economico mi ha permesso di non concentrarmi sullo sfondare un soffitto di cristallo. Ho cercato invece di costruire una casa nella quale non ci fossero soffitti da sfondare per nessuno», racconta. L'esperienza della ricchezza ha ripercussioni anche sul piano personale. «All'inizio mi sembrava di dover rappresentare il mio status». Così compra una villa a Los Angeles, diventando dirimpettaia di Bradley Cooper. Ma proprio in quel momento perde il lavoro. Potrebbe cercare un posto da Disney o Warner Bros per poter mantenere la casa, ma sceglie di non far decidere la sua vita a un oggetto immobile. Svende dunque la casa, perdendo molti soldi. «Tutti i soldi che ho perso, nella mia vita, sono stati il prezzo della mia libertà».
Questa conversazione è avvenuta durante l'evento Rituali di benessere finanziario, il 6 marzo 2024 a Milano. Un evento organizzato in collaborazione con Alleanza Assicurazioni.
Cecilia arriva nello studio di Elena Carbone perché soffre di attacchi di panico da quando il padre è morto, 6 mesi fa. Attraverso la psicoterapia, riavvolge il nastro della sua vita e svela una dinamica di violenza economica in cui è incastrata da quando è nata la terza figlia e lei ha lasciato il lavoro.
Psicosoldi è un podcast di Rame in cui entriamo nello studio di Elena Carbone per raccontarvi le storie di chi ha sperimentato, nella sua vita, un cortocircuito tra soldi e psiche.
Questo podcast è realizzato in collaborazione con Bright Sky, l'app di Fondazione Vodafone contro la violenza di genere.
Ecco il link per installarla: https://play.google.com/store/apps/details?id=com.vodafone.brightsky.it&hl=it&pli=1
Un puzzle di storie che ci raccontano come si arriva alla violenza economica. Dal rifiuto di parlare di soldi alla perdita di autonomia nello spendere, passando per salari più bassi e esclusione dal lavoro una volta divenute madri.
A commentare le storie, la nostra psicoterapeuta Elena Carbone, che ci aiuta a capire come tenersi alla larga da questa subdola forma di violenza.
Cecilia arriva nello studio di Elena Carbone perché soffre di attacchi di panico da quando il padre è morto, 6 mesi fa. Attraverso la psicoterapia, riavvolge il nastro della sua vita e svela una dinamica di violenza economica in cui è incastrata da quando è nata la terza figlia e lei ha lasciato il lavoro.
Questo podcast è realizzato in collaborazione con Bright Sky, l'app di Fondazione Vodafone contro la violenza di genere.
Ecco il link per installarla: https://play.google.com/store/apps/details?id=com.vodafone.brightsky.it&hl=it&pli=1
Giacomo ha 42 anni e lavora in banca. Quando ha 7 anni la perdita di suo fratello in un incidente distrugge la sua famiglia. Viene lasciato solo e costretto a vivere in una famiglia in cui non c’è più vita. Crescendo impara a sopravvivere trovando nel risparmio l’unica via di uscita: non spende il denaro che guadagna e il controllo che riesce ad avere sui soldi lo portano a diventare sempre più oculato nelle spese tanto da esercitare una forte pressione finanziaria sulla sua famiglia. A partire dalla profonda ferita della trascuratezza provata da bambino, insieme a Elena Carbone, Giacomo impara a lasciarsi andare e a concedersi di desiderare qualcosa e di spendere per averlo.
Davide ha 38 anni, una compagna, Sofia, con cui sta per avere un figlio, una soddisfacente carriera nel food e una vita attiva. Potrebbe sembrare tutto perfetto senonché arriva da me tramite il suo nutrizionista per una collaborazione: Davide è in sovrappeso, vorrebbe dimagrire, ma fa fatica a seguire la dieta. Non solo. Continua a fare acquisti online che si accumulano in una stanza, senza che lui neppure disfi i pacchi…
Giulia è in terapia da circa un anno per alcune difficoltà nel mantenere una relazione stabile. Ha 35 anni, è un'architetta che esercita la libera professione e da qualche tempo frequenta Andrea. All'improvviso, durante una seduta, emerge un dettaglio della sua vita che non aveva rivelato prima: ogni qualvolta arriva una lettera delle Agenzie delle Entrate che esige il pagamento delle tasse, lei finge di non averla ricevuta e va avanti con la sua vita. Scavando nel suo vissuto, questi due aspetti del suo carattere, l'incapacità di gestire le finanze e l'incostanza relazionale, si intrecciano indissolubilmente.
Psicosoldi è un podcast di Rame in cui entriamo nello studio di Elena Carbone per raccontarvi le storie di chi ha sperimentato, nella sua vita, un cortocircuito tra soldi e psiche.
Questo podcast è realizzato in collaborazione con Bright Sky, l'app di Fondazione Vodafone contro la violenza di genere.
Gianna viene mandata nello studio di Elena Carbone dal suo medico curante: da un po’ di mesi mangia pochissimo e le viene la nausea non appena si mette a tavola. Seduta dopo seduta emergono ulteriori dettagli. Gianna si è sposata e ha avuto due figli senza chiedersi se lo volesse: si faceva così. Gianna si cuce i vestiti in casa, non si concede neanche un caffè fuori, nonostante gudagni bene. Il suo non è un risparmio avido, focalizzato all’accumulo, ma è un risparmio di prevenzione.
In questa puntata riviviamo la storia di Gianna e della sua famiglia, del percorso terapeutico che ha intrapreso e del salto nel passato che l’ha accompagnata a fare. Vedremo soprattutto come riuscirà a cambiare la sua concezione dei soldi, arrivando a pensarli come uno strumento per autorizzarsi, finalmente, a essere felice…
Psicosoldi è un podcast di Rame in cui entriamo nello studio di Elena Carbone per raccontarvi le storie di chi ha sperimentato, nella sua vita, un cortocircuito tra soldi e psiche.
Questo podcast è realizzato in collaborazione con Bright Sky, l'app di Fondazione Vodafone contro la violenza di genere.
Daniela Farnese scrive libri, sceneggiature, pubblicità. Ha il privilegio di fare il lavoro che ama. Ma cos’è esattamente “privilegio”? Quando era bambina, a Napoli, in un quartiere popolare, dentro un palazzo fatiscente, con una madre separata che cresceva tre figli da sola, il privilegio era il posto fisso di sua madre. Crescendo, i soldi erano sempre pochi ma il capitale sociale di sua madre proietta lei e i suoi fratelli fuori dall’ambiente in cui sono cresciuti. Laureata in Lingue Orientali e vincitrice di un concorso pubblico, si dimette e si cuce addosso la libera professione: lavora quando ha bisogno di soldi, il resto del tempo viaggia, scrive, conosce gente. Divenuta madre, decide di mettere radici e di comprare casa. Alla decima richiesta di mutuo, lo ottiene: in una società che si basa sempre più sul debito, anche l’accesso al credito è un privilegio. Se le chiedi oggi qual è il suo privilegio, Daniela ti risponde “il tempo”. Non guadagna molto, però ha tantissimo tempo libero, e questo è una parte fondamentale nell’equazione della felicità.
Lidia Vitale cresce ascoltando suo padre e suo zio litigarsi un’eredità che sarebbe arrivata 30 anni dopo. Da ragazzina vuole fare l’attrice e prende lezioni grazie ai soldi passati sottobanco dai nonni. Nessuno, in casa sua, avrebbe mai investito in una passione. «Guadagnare facendo ciò che ti piace era il demonio. E invece è molto più facile, perché sei più disposto a fare sforzi, a impegnarti, a investire». Lidia arriva al successo. Recita ne La meglio gioventù e in Suburra. Viene diretta da Sergio Castellitto, Marco Bellocchio, Paolo Genovesi… Eppure, crescendo, rifugge completamente l’argomento soldi, finendo per sentirsi a casa nella tragedia economica, che sembra non abbandonarla mai.
Un giorno frequenta un corso online di educazione finanziaria e qualcosa inizia a cambiare. Lidia scopre che i desideri hanno un potere molto più grande dei soldi in sé. «Io li esprimo, li visualizzo e lascio all'universo la possibilità di manifestare la modalità in cui si realizzeranno». Impara anche a discernere i bisogni indotti dal sistema capitalistico e quelli invece autentici. Soprattutto, impara a mettere in movimento il denaro: «I soldi ci servono per attivare la nostra creatività per un mondo migliore. Sono energia che va messa in circolo». Così, anche nei momenti più difficili come la pandemia, Lidia continua a donare il 5% di tutto ciò che guadagna. Oggi ha ben chiaro in testa il suo obiettivo. Vuole diventare la prima attrice produttrice italiana. E si appresta a produrre il suo primo cortometraggio. «Io ho il potere della visione. Questo non me lo può rubare nessuno. Ci sono stati momenti in cui ero poverissima, ma la mia visione ha creato l'abbondanza».
Negli ultimi decenni, il digitale ha rivoluzionato molti settori, ma cosa significa per il mondo della consulenza? In questo episodio di Percorsi, Domitilla Ferrari e Anisa Harizaj analizzano la transizione della consulenza da approcci analogici a digitali e come ciò abbia trasformato non solo i metodi di lavoro, ma anche i modelli di business. Con il contributo dell’esperienza di Anisa presso PwC, esploriamo il caso esemplare di una delle Big Four, che ha saputo trasformarsi con innovazioni radicali come la piattaforma digitale PwC's Digital Lab e collaborazioni con colossi tech come Microsoft e Google.
Oggi i consulenti sono chiamati a padroneggiare nuovi strumenti digitali, inclusa l’intelligenza artificiale e il cloud computing, per mantenere alta la qualità del servizio e rispondere alla crescente richiesta di competenze tecnologiche. Tra le tendenze emergenti si evidenziano la sostenibilità e l’adozione di modelli di lavoro ibridi, che alternano consulenza in presenza e da remoto, garantendo una maggiore flessibilità. La sfida però non è solo tecnica: la cultura aziendale deve evolvere insieme alla tecnologia, e le piccole e medie imprese italiane, spesso radicate in metodi tradizionali, affrontano resistenze che possono rallentare il cambiamento.
Ospite dell’episodio è Gianluca Diegoli, esperto di marketing digitale, che condivide le sue osservazioni sull’evoluzione della consulenza digitale e sull’importanza per le aziende di acquisire competenze interne che permettano loro di sfruttare al meglio i servizi esterni. Secondo Diegoli, l’approccio ai dati è cruciale per una strategia efficace, soprattutto per le piccole realtà che vogliono competere con le grandi piattaforme.
L'episodio si conclude con uno sguardo al futuro della consulenza, dove il valore risiede nella capacità di fondere il digitale con il contatto umano e la personalizzazione. L’esempio di PwC ci insegna che, se ben gestita, la trasformazione digitale non significa perdere le radici tradizionali, ma creare un ponte verso un futuro in continua evoluzione.
Espérance Hakuzwimana è nata nel 1991 ed è una scrittrice di successo, che oggi pubblica con Einaudi. Nata in Ruanda durante il genocidio, perde i genitori molto presto e finisce in orfanotrofio. All'età di tre anni viene adottata da una famiglia bresciana e inizia la sua vita in Italia. Crescendo, Espérance inizia a percepire che esiste una relazione tra l'enorme costo sostenuto per un'adozione internazionale e le aspettative verso i figli salvati da situazioni difficili. «È stato complesso desiderare di fare la scrittrice quando i miei genitori adottivi mi chiedevano di fare lavori molto più lineari. Io fino a un certo punto ci ho anche provato», racconta.
Il denaro non contamina solo la relazione con i genitori adottivi, ma anche quella con le persone afrodiscendenti conosciute in Italia: «Tu vivi con questa discrepanza molto forte, perché tutte le persone che ti assomigliano fisicamente vivono in una condizione economica molto diversa dalla tua. Laddove ero riuscita finalmente a trovare un punto in comune, venivo esclusa perché ero ricca secondo loro».
Espérance, fin da ragazzina, prova senso di colpa per il privilegio di cui gode e con la maturità arriva a rifiutarlo, cercando di seguire la sua strada in totale autonomia. Per frequentare la scuola Holden, chiede un prestito che impiegherà più di otto anni a ripagare. Quando finalmente realizza il sogno della sua vita, diventare scrittrice, si accorge che è difficile vivere di questo lavoro, «infatti la maggior parte degli scrittori sono già ricchi». Tanto che arriva a interrompere il tour di presentazioni di un suo libro, attività svolta dagli scrittori in totale gratuità, perché ha bisogno di lavorare. «Parlare di soldi, all'interno di questo mondo, sembra quasi screditare la cultura. Però io ho bisogno di soldi per vivere, per avere il tempo per pensare, per creare, per immaginare. Se ho l'ansia perché non so come pagherò il mio affitto, di sicuro non ho tempo per la creatività».
Oggi Espérance ha trovato un equilibrio, affiancando, alla scrittura, un'attività di consulenza con le aziende. I soldi le danno la libertà di curarsi, di comprarsi un computer per lavorare meglio, ma anche di fare esperienze che l'arricchiscono emotivamente, come tornare in Ruanda 30 anni dopo averlo lasciato. «Io ho fatto questo viaggio, ho speso molti soldi, ma sono tornata a casa essendo una persona diversa».
Investire è una parola latina che significa "coprire con una veste". Quando investiamo, infatti, diamo ai nostri risparmi una nuova veste. Ma quale?
In questa prima puntata de La nuova veste, inizieremo a orientarci nella molteplicità di forme che può assumere il nostro denaro. E lo faremo attraverso la lente della storia.
«L'investimento nella storia umana è sempre esistito», dice l'economista Emanuele Felice, «perché è fondamentale per svolgere attività economiche a lungo termine». In origine era un accordo diretto tra investitore e mercante, finalizzato a progetti di lungo termine e ad alto rischio, come le spedizioni commerciali. Con il tempo, però, anche grazie al calvinismo, che riconosce e incoraggia l’arricchimento individuale, diventa sempre più anonimo e speculativo.
Ma cosa possiamo fare noi piccoli investitori per contribuire a invertire la rotta? Quale veste possiamo dare ai nostri soldi perché vadano a far crescere l’economia produttiva?
Roberto Grossi, vicedirettore di Etica Sgr, società di gestione del gruppo Banca Etica, spiega che oggi gli investimenti etici tentano di contrastare gli eccessi della speculazione, orientando il capitale verso l’economia reale. Tuttavia, è molto forte il rischio del greenwashing da parte di istituzioni finanziarie che creano ottimi prodotti etici, ma con l'altra mano finanziano attività poco etiche. È fondamentale, dunque, che vengano stabilite regole e incentivi per orientare il settore verso una sostenibilità autentica e sociale.
Questo podcast è realizzato in collaborazione con Etica Sgr, società di gestione del Gruppo Banca Etica, specializzata in investimenti etici e responsabili.
A partire dagli Anni Duemila, ci è parso normale comprare in media 26 chili di prodotti tessili ogni anno, il 40% in più rispetto agli Anni 90. E questo perché il fast fashion ha normalizzato la sovrapproduzione di abiti: abbiamo a disposizione sempre nuovi stili, a prezzi bassi e questo aumenta la quantità di indumenti prodotti, utilizzati e poi scartati. Ma quali conseguenze ha questo nostro modo di consumare abiti per il Pianeta? Un dato per tutti: stiamo sfruttando la natura 1,7 volte più velocemente di quanto gli ecosistemi impiegano a rigenerarsi, fino a esaurire il capitale naturale.
In questa nona puntata di Percorsi, Domitilla Ferrari e Anisa Harizaj affrontano il tema della moda circolare, sottolineando la necessità di ripensare il ciclo di vita dei capi d'abbigliamento per ridurre l'impatto ambientale. Una data fondamentale in questo senso è il primo gennaio 2025 quando per i Paesi UE scatterà l'obbligo di attuare la raccolta differenziata dei rifiuti tessili.
Una storia esemplare, da questo punto di vista, è Patagonia, azienda pioniera della sostenibilità nel fashion, che nel 2011 ha lanciato la campagna “Don’t Buy This Jacket!” per ridurre il consumismo. Nel tempo, Patagonia ha adottato iniziative innovative, incluso il trasferimento delle proprie azioni a una no-profit per finanziare cause ambientali.
Ospite dell'episodio è Gaia Segattini, fondatrice di Gaia Segattini Knotwear, un’azienda che crea capi esclusivamente da materiali rigenerati, limitando gli sprechi e promuovendo il valore della filiera corta, che produce cioè su piccola scala e garantisce la trasparenza nella catena di approvvigionamento.
L’episodio offre lezioni su come la moda circolare possa contribuire alla sostenibilità e come un cambiamento nelle abitudini di consumo sia essenziale per supportare un'industria più etica e consapevole.
Nell’ottava puntata di Percorsi, Domitilla Ferrari e Anisa Harizaj esplorano l’evoluzione e le sfide del settore del food delivery, che negli ultimi anni ha permesso la nascita di colossi come Deliveroo, Just Eat, Uber Eats e, soprattutto, Glovo, ma che per la prima volta sta affrontando una crisi pesante. Dopo il boom dovuto alla pandemia, dalle Borse arrivano segnali negativi: le quattro aziende più grandi quotate in Europa e negli Stati Uniti, tra cui Deliveroo e Just Eat Takeaway, in 7 anni hanno accumulato perdite per oltre 20 miliardi di dollari.
Ferrari e Harizaj raccontano in particolare la parabola di Glovo, azienda fondata a Barcellona nel 2014. Quest’ultima si distingue per la sua crescita rapida grazie a un’espansione capillare nei mercati globali e locali, divenendo un “unicorno” del settore. Ferrari e Harizaj riflettono sul futuro di queste imprese, caratterizzate da una forte pressione per ridurre i costi operativi, affrontare la concorrenza e migliorare le condizioni di lavoro dei rider.
L’ospite dell’episodio, Lucia Borso, cofondatrice di So.De (Social Delivery), presenta un modello alternativo di delivery locale e sostenibile, attivo a Milano, che impiega mezzi non inquinanti e offre contratti regolari ai lavoratori. Borso spiega come questo approccio favorisca l’economia locale, con vantaggi immediati come la rapidità di consegna e una maggiore freschezza dei prodotti.
Il modello di So.De mostra come l’impresa possa integrare valori etici e sostenibilità senza sacrificare efficienza e impatto economico.
Augusto Coppola è stato uno dei primi startupper di successo italiani, poi divenuto venture capitalist e oggi consulente sui temi dell’innovazione. Nato in una famiglia monoreddito di 5 persone, l’unica educazione finanziaria ricevuta è che i soldi si fanno lavorando. E così, per gran parte della sua giovinezza, punta ad aumentare la sua occupabilità, ovvero il valore che le sue competenze hanno sul mercato del lavoro. Dopo un’esperienza all’estero in cui riesce a mettere da parte un bel po’ di risparmi, si lancia in una startup che si rivela presto un successo. Ma la sua diseducazione finanziaria gli fa fare una serie di errori finalizzati a monetizzare subito, che gli impediscono di diventare ricco come avrebbe potuto da quell’esperienza. Dopo la prima startup, «il successo rende arroganti», e ne fa subito un’altra, che non va bene come la prima, solo che ci mette molti anni a capirlo. E nel frattempo brucia le risorse che aveva messo da parte. «Quello è stato l'abisso perché mi sono trovato improvvisamente disoccupato senza degli skill riconosciuti dal mercato, con una famiglia che era cresciuta e che comunque si era abituata al tenore di vita di uno che pensava di essere diventato ricco, quindi ho passato due o tre anni complicati». Ad aiutarlo a risollevarsi contribuisce la sua relazione con il denaro, profondamente strumentale: «Stasera mangiamo? Stiamo bene? Siamo felici? E allora chi se ne frega dei soldi. I soldi arrivano se lavoro e io un lavoro trovo sempre. Quindi non sono mai angosciato».
In questa puntata di Percorsi, Domitilla Ferrari e Anisa Harizaj affrontano una delle sfide più complesse e cruciali per le imprese familiari: il passaggio generazionale. Il ricambio ai vertici di un'azienda, soprattutto quando si tratta di imprese di famiglia, non è solo un trasferimento di quote o ruoli, ma un vero e proprio passaggio di valori, visione e know-how aziendale. Pianificare questo processo è fondamentale per garantire la continuità e il successo dell'azienda, soprattutto in un Paese come l’Italia, dove l'85% delle imprese è a conduzione familiare.
La puntata esplora le principali sfide del passaggio generazionale, come la formazione dei successori, la trasmissione delle competenze chiave e la pianificazione patrimoniale. Le conduttrici presentano la storia della Ferrero, un caso emblematico di successo generazionale. Da Pietro Ferrero, che ha fondato l’azienda nel 1946, a suo figlio Michele, il creatore della Nutella, fino a Giovanni Ferrero, che oggi guida una delle multinazionali più conosciute al mondo. La capacità di bilanciare tradizione e innovazione è stata la chiave per affrontare il ricambio senza compromettere la crescita e la competitività dell’azienda.
Ospite della puntata è Renato Cifarelli, amministratore delegato di Cifarelli SpA, azienda familiare specializzata nella produzione di macchine agricole e per il giardinaggio. Renato condivide la sua esperienza personale nel prendere le redini dell’azienda fondata da suo padre e riflette sull’equilibrio necessario tra legami familiari e gestione imprenditoriale.
Un episodio che offre spunti pratici per chi si trova ad affrontare il delicato passaggio generazionale, con consigli su come garantire continuità e stabilità senza rinunciare all’innovazione.
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