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Author: Radio 24
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Il drammatico uno-due della pandemia seguita dal conflitto in Ucraina ha contribuito dolorosamente a un passaggio culturale importante, facendoci finalmente realizzare che la transizione ecologica è uno strumento per conseguire una maggiore indipendenza dalle importazioni di materie prime, energia e semilavorati, da cui le economie europee sono estremamente indipendenti. Le soluzioni proprie della crisi ecologica (dalle fonti rinnovabili al ciclo idrico integrato, dall'economia circolare alla fusione nucleare) si rivelano infatti essere ciò che serve per affrontare la crisi geo-politica, energetica ed economica che ci attanaglia.Lo speciale estivo di Smart City "La transizione ecologica in tempo di crisi" racconta i punti di contatto tra le crisi del nostro tempo, e la ricerca di possibili soluzioni comuni, affrontando temi quali la gestione dell'acqua, le opportunità offerte dalle energie forestali e marine, le sfide dei sistemi di stoccaggio energetico sostenibili e della fusione nucleare.Scopri il podcast originale Smart City XL
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Una scodella di fango da acque reflue, due cucchiai di fanghi industriali con un pizzico di cacca di pesce. Poi aggiungi bucce d’arancia, compost di alghe e di residui agricoli e una manciata di cenere dell’Etna. Sembra la ricetta per il sabba delle streghe, e invece è una combinazione di ingredienti che, in proporzioni ancora tutte da studiare, potrebbe trasformarsi in un fertilizzante completo di tutti i micro e macronutrienti necessari. Ed è solo uno dei 5 mix di rifiuti e matrici organiche di scarto che il progetto europeo Landfeed sperimenterà insieme ad altrettante tecnologie, in altrettanti paesi europei. Mentre questo verrà sperimentato in Sicilia, in Grecia, per esempio, si concentreranno su scarti dell’industria dell’olio d’oliva, e in Polonia dei latticini. Parliamo di tutto questo con Giuseppe Mancini, professore di Impianti Chimici dell’Università di Catania.
I fertilizzanti sono prodotti essenziali in tutto il mondo e l’Europa ne importa un grande quantitativo. Allo stesso tempo, nel continente c’è una enorme disponibilità di scarti e rifiuti organici che fin dalla notte dei tempi sono la materia prima con cui si producono i fertilizzanti biologici, e che invece vanno incontro a un destino meno nobile. Insomma: ci sono tutte le condizioni per un’espansione del mercato europeo di biofertilizzanti, e ciò è alquanto desiderabile sia alla luce dei sempre più frequenti conflitti sulle materie prime, sia dell’impatto dovuto alla produzione dei fertilizzanti detti “chimici”, che richiedono un consumo elevato di risorse pregiate, non sostituibili e non rinnovabili. Favorire lo sviluppo di nuove filiere europee dei biofertilizzanti è il fine ultimo del progetto LANDFEED, di cui parliamo in questa puntata con Antonella Luciano, ricercatrice del Dipartimento di Sostenibilità dell’ENEA.
I biofilm batterici rappresentano una delle più formidabili minacce alla salute. Infatti, se combattere un'infezione batterica comune è paragonabile a combattere un esercito in campo aperto, combattere i film batterici equivale a cercare di colpire un nemico barricato dietro spesse mura. Da qui il progetto europeo BactEradiX, finanziato con 3 milioni di euro e mirato a sperimentare un approccio alternativo, basato su nano-materiali avanzati concepiti proprio per disfare quelle mura. A coordinare il progetto è Paolo Blasi, professore di tecnologia farmaceutica al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell'Università di Bologna.
È nata ad Anguillara Sabazia (Roma) quella che realisticamente si può considerare a tutti gli effetti la prima Smart Energy Community italiana, cioè una comunità locale in cui i comportamenti virtuosi - tra cui, molto importante, la condivisione di energia secondo il meccanismo della Energy community - vengono premiati con dei Token: pensiamo a dei gettoni o dei crediti, che possono essere usati per acquistare altri beni o servizi prodotti dalla stessa comunità, dalla bicicletta usata alla lezione di latino. Si parla di Local Token Economy, e a garantirne la solidità di base c’è una tecnologia blockchain sviluppata ad hoc dall’ENEA. Ce ne parla Claudia Meloni ricercatrice ENEA responsabile del progetto “Tecnologie per la penetrazione efficiente del vettore elettrico negli usi finali”.
Il problema dei detriti spaziali - e più precisamente il rischio di rendere impraticabile l’orbita terrestre a causa di una serie di collisioni a catena - è preso molto seriamente dalle agenzie spaziali, che finora lo hanno gestito integralmente da terra, da dove i satelliti vengono seguiti nella loro orbita e indotti a compiere delle piccole deviazioni laddove ci sia rischio di impatto. Tuttavia, questa “gestione a distanza” è costosa e sempre meno efficace col crescere del numero di satelliti. Ed è qui che entra in gioco AIKO - scaleup torinese specializzata in sistemi di Intelligenza Artificiale e automazione per applicazioni spaziali - che sta sviluppando proprio questa capacità di autogestione. Ce ne parla Lorenzo Feruglio, CEO e cofounder di AIKO
Esperimenti condotti dall'Università di Sheffield e dell’Illinois hanno mostrato che, spargendo roccia di basalto frantumata nei campi agricoli, oltre ad aumentarne la produttività, il minerale di basalto reagisce con la CO2 atmosferica riuscendo a intrappolarne fino a 10 tonnellate per ettaro. L’idea di catturare e sequestrare la CO2 affidandosi alla naturale capacità di alcune rocce di reagire con essa, ma aumentandola artificialmente frantumando ed esponendo all’aria una grande quantità di roccia, va sotto il nome di Enhanced Rock Wheathering. È una strategia controversa, perché richiede quantitativi di minerali enormi. Ma a nessuno sfugge che i campi agricoli vadano comunque fertilizzati in qualche modo: perché allora non cogliere i proverbiali due piccioni con un fava? Ne parliamo con Marco Donnini, ricercatore di IRPI-CNR.
È possibile che sbriciolare delle rocce possa aiutarci a combattere il climate change? La Co2 è una molecola reattiva, non resta nell’atmosfera all’infinito. E oltre alle piante - che la consumano per fare la fotosintesi - ci sono anche numerosi minerali e rocce naturalmente presenti nell’ambiente con cui la CO2 alla lunga reagisce formando, per esempio, carbonati e bicarbonati. Ma poiché la scala di tempo con cui questi fenomeni avvengono spontaneamente è molto più lunga di quella con cui stiamo immettendo CO2 in atmosfera, c’è chi suggerisce di accelerarli artificialmente, frantumando ed esponendo all’aria grandi quantitativi di queste rocce. Si parla in questi casi di Enhanced Rock Wheathering. Ce ne parla Marco Donnini, ricercatore di IRPI-CNR.
Immaginiamo di poter indossare, un giorno, delle lenti a contatto che permettono di vedere anche al buio. Un gruppo di ricercatori dell’University of Science and Technology della Cina ha messo a punto delle lenti a contatto, di comprovata biocompatibilità, in grado di far percepire all’occhio umano la luce infrarossa, trasformandola in luce visibile. Le lenti, infatti, contengono delle speciali nano particelle, in grado di caricarsi assorbendo luce infrarossa per poi scaricarsi riemettendo luce visibile:. Ne parliamo con Silvia Tavazzi, professoressa di Fisica all’Università di Milano-Bicocca e presidente del Corso di Laurea in Ottica e Optometria.
Eterna Cenerentola dei dibattiti sull'energia rinnovabile, la geotermia sta finalmente vivendo un momento di grande trasformazione ed evoluzione tecnologica. L'obiettivo è duplice: da un lato, esplorare forme evolute grazie allo sviluppo di nuove tecnologie e approcci innovativi come la geotermia a ciclo chiuso; dall'altro, rivalutare gli 8.000 pozzi esauriti per l'estrazione di gas e petrolio presenti solo in Italia, convertendoli in pozzi geotermici.Considerando che circa il 40% dei costi e gran parte dei rischi imprenditoriali di un progetto geotermico sono legati proprio alle attività di perforazione, il riutilizzo di questi pozzi abbandonati rappresenta un'opportunità enorme. Dopo averne parlato in una puntata precedente, torniamo sull'argomento presentando alcune delle più interessanti case history che stanno prendendo forma nel nostro paese, con applicazioni sia in ambito civile che industriale.Ne parliamo con Antonio Galgaro, professore di Geofisica dell'Università di Padova.
Molti articoli di un certo valore, per non parlare di bancomat e carte di credito, contengono un chip che permette di identificarli individualmente e di garantirne l'originalità. Per impedirne la clonazione, un gruppo di ricercatori dell'Università di Pisa sta lavorando a una nuova generazione di chip in silicio, capaci di implementare tecniche di crittografia fisica dette "ad altissima entropia" e di farlo già a livello hardware: la chiave di sicurezza del chip non deve, cioè, essere scritta all'interno di una memoria presente a bordo, che potrebbe essere letta dall'esterno; deve invece essere impressa nella sua struttura fisica, rendendo la clonazione pressoché impossibile. Questo è l'obiettivo del progetto CyberSiliconID, finanziato dal Fondo Italiano per le Scienze Applicate con 4.6 milioni di euro. Ce ne parla Giuseppe Iannaccone, professore al Dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell'Università di Pisa.
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