Dall’Orfeo di Monteverdi (1607) alla Griselda di Alessandro Scarlatti (1721), assisteremo in questa prima puntata alla nascita e al primo evolversi dell’ouverture nell’ambito dell’opera italiana. Un commento di Wagner farà infine da preludio all’ouverture della sua opera giovanile Rienzi.
In questa seconda puntata seguiremo l’ascesa e la caduta del modello francese: l’ouverture di Lully, le innovazioni di Rameau, gli strali degli illuministi. Le critiche degli intellettuali francesi si rivolgono però anche all’Italia, della quale pure apprezzano la drammaturgia vocale. Ciò non impedisce che la sinfonia all’italiana costituisca il primo capitolo di una lunga storia: quella della sinfonia come genere strumentale autonomo. Intanto, fuori dal continente, Handel, partendo dal modello francese, ha raggiunto vette assolute. La Giovanna d’Arco di Verdi ci rivelerà infine la sopravvivenza ottocentesca, sotto altre spoglie, dell’antico modello italiano.
In questa terza puntata osserveremo come nel Settecento è dal mondo dei generi cosiddetti minori, e in particolare dall’Opéra comique, che giungono alcune delle più vistose novità nel campo dell’ouverture. Intanto in Italia, nell’ambito dell’opera buffa, si comincia a sperimentare una nuova formula: quella dell’ouverture in un solo movimento. Tocca a Christoph Willibald Gluck, in particolare nel suo periodo francese, tirare le fila delle tante correnti d’innovazione.
Questa quarta puntata è interamente dedicata al genio di Wolfgang Amadeus Mozart: dall’adozione dai tradizionali modelli italiani nelle prime opere serie si giunge, provando e riprovando, fino ai capolavori della maturità.
In questa quinta puntata vedremo come nel tardo Settecento la riflessione sui modelli più idonei di ouverture d’opera si approfondisca: tra le tante proposte, anche quella di rinunciarvi interamente. Ma la Rivoluzione Francese, con le sue nuove sonorità “all’aperto”, prepara nuovi percorsi, che giungono, dopo il cambio di secolo, nelle mani di Ludwig van Beethoven.
Protagonista di questa sesta puntata è l’opera italiana del primo Ottocento, dominata dall’inventiva inesauribile e dalla perfezione formale delle sinfonie rossiniane. I suoi successori, e in particolare Bellini e Donizetti, dovranno tutti fare i conti con quel modello: ma la nuova temperie romantica li conduce alla fine su altre strade.
Il romanticismo tedesco, come vedremo in questa settima puntata, propone opere assai diverse da quelle che, negli stessi anni, si producono in Italia. Partendo dal genere del Singspiel (oramai, dopo Mozart e Beethoven, non più “minore”), oltralpe si va forgiando una drammaturgia musicale che accoglie boschi, demoni, magie, dannazione e redenzione. A dare a questo teatro musicale le sue ouverture ideali è, con i suoi capolavori, Carl Maria von Weber. La sua perfetta sintesi tra forma sinfonica e adesione emotiva al tema del dramma è un punto di riferimento non solo per i tedeschi: ne risente non poco anche il Verdi di Luisa Miller.
In questa ottava puntata ci spostiamo in Francia, dove il Romanticismo passa dall’Impero alla Restaurazione, trascolorando dalle sonorità post-rivoluzionarie di Méhul alla febbre rossiniana degli Opèra comique di Grétry. Con la monarchia costituzionale di Luigi Filippo e l’affermarsi del Grand Opéra, l’ouverture entra in crisi. Si rifugia, ancora una volta, nei generi “minori” e diviene il riassunto accattivante dei temi più pregnanti dello spettacolo: diviene l’ouverture “pot-pourri”, spesso (come nel caso di Offenbach) realizzata non dai compositori, ma dai direttori d’orchestra che ne realizzano gli spettacoli. Intanto comincia ad affascinare l’idea di sostituire l’ouverture con un breve preludio significativo: Georges Bizet, Carmen, 1875.
In questa nona puntata scopriremo che il preludio come alternativa all’ouverture non è un’innovazione dei francesi, e neppure dei tedeschi. Già Bellini e Donizetti hanno sperimentato questa possibilità, e quando Wagner compone il preludio del Lohengrin Verdi vi ha già fatto ricorso più volte (tra i più belli: Attila, I masnadieri, Macbeth). Verdi, con La Traviata, Un ballo in maschera, Aida; e Wagner, con Tristan und Isolde e Parsifal, attraversano nuove frontiere.
La sua ultima ouverture d’opera Giuseppe Verdi la scrive nel 1862 per La forza del destino, come vedremo in questa decima puntata. E quella dei Meistersinger (1868) è l’ultima ouverture di Wagner. I successori preferiscono il preludio; oppure niente, come Puccini (con la bella eccezione del breve preludio di Fanciulla del West). Preludio anche per i francesi: dopo Bizet, arrivano Massenet e il Pelléas et Mélisande di Debussy. L’ouverture, nel Novecento, o è citazione del passato, oppure sopravvive, ancora una volta, nei generi esterni all’opera propriamente detta: il musical americano rinnova i fasti del pot-pourri da operetta.