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Radiosonetto

Author: Maria Pia Dell'Omo

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Description

RadioSonetto è un programma di letture ad alta voce di poesie. Oltre agli autori che amo o che mi suggestionano, propongo firme contemporanee italiane ed estere, grazie all'indagine culturale del Giornale di Poesia "Inverso".
98 Episodes
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Trittico giottesco, di Edoardo Sanguineti, da 📖 "Poesie Fuggitive" _ Traccia non editata Mic: Xiaomi Redmi Note Voce: Maria Pia Dell'Omo
Ogni fine torna sempre al principioed è certo che verremo liquefattiin particole vaganti trasformatiper gl’infiniti mariè così che infattiil riscaldamento globalescioglierà ghiacciai e icebergnel giro forsedi un centinaio d’annicominciando da oggia trasformarci in ostaggidel suo lavoro costante e tenace,anzi implacabile ad agire sui dettagli,gli aneddoti, i tornanti finalidelle nostre vite un tempo inclinateverso una morte naturaleRiscaldamento che vuole obbligarcia pagare in moneta sonantegli eccessi di comforte di colonialismi varigià chiusi quinel buio di segrete soffocantiper finire bollitiNoi, salamandre e girinivagabondi smarriti"NOI, SALAMANDRE E GIRINI"➡️ https://poesiainverso.com/2022/10/18/alberto-bertoni-culo-di-tua-mamma/?amp=1(Traccia audio non editata)
Due rimbalzi fa la pallaprima che venga raggiuntatanto che il braccio del padronenon ha il tempo di dubitaree così un nuovo debuttoscaglia il cane all’inseguimentonel parco giochi dove l’erbaè l’unica benedizione che manca.Chi ammira fermando il passonon sa niente del divano distruttoe del guinzaglio come preghieraa ogni sera e a ogni mattinae in quell’anello che non si saldaecco il dolore per la rinunciae il sollievo nell’offrire alla mortela stessa periferia del sangue.➡️https://poesiainverso.com/2022/10/05/luca-bresciani-ogni-giorno-un-cielo-diverso/?amp=1(Traccia audio non editata)
QUAL È IL DONO DEL CUORE PER LASCIARE DIETRO DI SÉ UN PARADISOnella parola dell’amore puro di un padre per il proprio figlioil suono diventa una musica che ci riporta indietro nel tempola cui melodia è la dura condizione di sopravvivenzanella parola di profonda demenza e fragilitàtutto il passato è cancellato —quasi distruttotutto sembra un susseguirsi di calamità senza fine con intervallima al suono del suo nome —aristotelec’è una parola che non rientra in nessuna non-esistenzaed esprime ciò che viene con la fine —l’inizioΤΙ ΧΑΡΙΖΕΙ Η ΚΑΡΔΙΑ ΝΑ ΑΦΗΣΕΙ ΠΙΣΩ ΤΗΣ ΕΝΑ ΠΑΡΑΔΕΙΣΟστη λέξη άδολη αγάπη του πατέρα για τον γιό τουο ήχος γίνεται μουσική που σε ταξιδεύει στο παρελθόνπου η μελωδία της είναι η σκληρή συνθήκη της επιβίωσηςστη λέξη βαθιά γηρατειά άνοια και σωματική αδυναμίαόλο το παρελθόν σβήνει —σχεδόν καταστρέφεταιόλα μοιάζουν σαν απανωτές συμφορές με διαστήματααλλά στο άκουσμα του ονόματος του —αριστοτέληςακούγεται μια λέξη που δε χωρά σε καμία ανυπαρξίακαι εκφράζει αυτό που έρχεται με το τέλος —την αρχήTrad. italiana di Maria Allo➡️ https://poesiainverso.com/2022/11/21/vassos-georgas-poesie/?amp=1(Traccia audio non editata)
guarda l’inizio di pioggia che spalancala piazza di gioia onora il padre e la madre scrivevano sui mercati di carbone e bambole qui tra i fiumi i millenni e gli assediati mi chiedi di consegnarti tutti i miei nomi le parti di dolore ancora intatte le difesee le cadute le menzogne date e ricevute gli ordini di febbre e di stupore mi chiedidi restituirti la mia vita che precipita orae ti crede ti crede interamente➡️ https://poesiainverso.com/2022/11/23/spostamenti-29-stefano-massari/?amp=1_(Traccia audio non editata)
La corazza che mi tiene in vitalentamente mi abbandona.Potrei farmi risucchiare dal vortice infinito del nulla,dove nessuno fa domande.Dove uomini vecchi e cupi, ti girano le spalle.E tu sei li,grigia e spenta,l’ultima prima della fine.Ma attendo il mio processo.Mi diranno che posso tornare indietro,che si può sputare sui muri del dolore.Quel dolore che ti vive addossocome una malattia.Quello che il tempo non consuma,ma rinnova.Come un mare turbolento che ti chiama a sé per morire tra le onde.Ma rimango lì e aspetto.Puoi riconoscermi tra tante,l’ultima della fila.- di Natascia de Filpo, da "La chimica delle farfalle"#QueerPoetryLunedì 26 settembre 2022. Mi sembra necessario rappresentare poetiche queer, dato il momento storico.Questa poesia è ispirata a una vicenda terribile, quella dell'attivista egiziana Sara Hegazi --> https://www.rainews.it/archivio-rainews/articoli/suicida-attivista-lgbt-egiziana-subi-torture-in-cella-67e2129f-cfe5-4aab-8ee9-0102d096570d.html?refresh_ce
Quando la notte senza dignitàfa del mio corpo un fiore discosto,voi, o Custodi, in assurde assenzedi spazi trasvolate, ma non senzaavere fatto intorno a voi un fosconudo deserto, dove resto solo.[...]Pier Paolo Pasoini, da "L'usignolo della chiesa cattolica", Garzanti ed.
Per l’amore di me. Eccedi.Questo emergere è espatriarsioltre il latte materno e le galassie.Si poteva davvero amare, in noiImplosi, definirsi, ma qui si espandelo sfranare dei narcisi–vivi sbranando, sapendo sparireuna volta infinitamente per tutteper finirla, per finirci, Francesco.Per leggere altre poesie --> https://poesiainverso.com/2021/11/22/francesco-ottonello-isola-aperta/
Una certa nostalgia di palme. Quiè freddo, ma non soltanto. I tuoi bacial mattino sono pochi, poi sto sedutootto ore qui in ufficio. Anche tu seiuna reclusa e non possiamotelefonarci. Alzare il ricevitoree origliare? Telefono, perché il tuopolso batte solo per altri? Qualcuno chiede:"Come stai?", e senza attendere rispostaè già fuori dalla stanza.Che cosa può muovere l'amore? Io calcoloi prezzi e vengo calcolato. Tutti i pezzi di ricambio,le parti di caldaia, i bruciatori a olio, tutti passanoper la mia testa come numeri, nient'altro.E anch'io passo attraverso qualcunocome un numero. Ma alla sera vengo da tecon tutto quello che sono. Scienziatiscrivono che anche l'amore èuna relazione produttiva. E dove sonole palme? Le palme si mostrano sulla spiaggiadi una cartolina illustrata; e noi, supini,le contempliamo. Al mattino ritorniamoin ufficio, ognuno al suo posto.Con un numero, come il telefono.-Jürgen TheobaldyNeve in ufficio'Zweiter Klasse', 1976 Traduzione di Gio Batta Bucciolda: https://www.gironi.it/poesia/theobaldy.php
Tgli sui confini sordi del corpogravità spezzata in varchiper l’incanto sonoro del merlomangiatore di vermidel tordo bottaccio, del fringuello.Scivola il sangue nelle grondaiepettirosso dissolto nella pioggia d’aprilesi guasta la pelle all’acqua che cadebattono il tempo le ossa lavateliberate dal cuore al biancore dell’alba.Continua su Inverso Giornale di Poesia --> https://poesiainverso.com/2021/11/22/antonella-sica-poesie/
È tra la vecchia immondizia che si parla di poesia. Cosa ci facevi in un motelsquallido? Quando sono sincera rabbrividiscono e piangono (“Però per fortuna, per fortuna io non sono così”). Sono parassiti e si nutrono di nulla sono amio agio con un barbone psichiatrico perchénon conosce compassione.Per gli altri testi --> https://poesiainverso.com/2021/11/19/caterina-maraldi-poesie/
Quindi bisogna abbandonare la parola.Che debba spezzarsi il verboper tornare completo?Attenderò l’apocalisseil ribaltarsi della semantica;verrà persa ogni letteraaffinché sia vinto il senso.Di notte temo l’afasiaaltre volte credo che impararea dire senza più nominare siala salvezza ultima.Da: https://poesiainverso.com/2021/09/15/matilda-randighieri-poesie-per-pettirossi-e-altre-creature-minute/
"Vi allacciate i lacci in modo sbagliato”, disse il mago col cappello a bombetta,sparendo poi dentro il forno.A lungo puzzava di bruciato, non facevamo che sbatter le palpebre perchèla casa spariva e riappariva, sempre però mantenendo il suo cortilee l’albero, la salitella, le sue aiole.Qualcuno ci disse che succede sempre così dopo ogni sacrificio d’innocenza,e noi dopo aver espresso le nostre condoglianze a tuttigli addolorati dell’estraniazione, ci siamo messi a mangiare alla loro tavola,nudi ci siamo coricati nel loro letto.Abbiamo tenuto pulito il forno nel caso venissero altri maghi coi loro doni,per dirci che il nostro amore era quello giusto.Mangiavamo avvelenate mele confezionate, il tetto di cioccolatoe le scale di zucchero candito.Ci si strofinava le cosce con la cenere, nel sonno ci baciavano le statue,i nani entravano nel nostro ventre.Prestammo la nostra voce a quell’uomo che strillavaSTRACCIVENDOLOE non abbiamo mai più cucinato.Da: https://poesiainverso.com/2021/05/10/athina-titaki-poesie/
– Spingerele ginocchia nella terrae nel sale della terraessere nienteil sasso a strozzare il flussodella comunioneche più non sfama.Da: https://poesiainverso.com/2019/09/20/carlo-ragliani-anteprima-da-lo-stigma/
Fa' che io per te sia l'estate, una poesia di Emily Dickinson.Traduzione di M. Giudacci.Music by Audionautix (A brighter heart)
Mare non lasciarmi il dubbio, la parola di una vita annegata tra duemondi, terreno è il dilemma, ultraterreno è il rimpianto, una vita a raccontare la trinità, una morte fasulla a cercarla, contemplarla, infine a martoriarla.Sabbia non lasciarmi con il dilemma, vacuo spirito lattante, polimorfo demone proveniente dalla schiuma.Da:https://poesiainverso.com/2020/05/25/gianluca-ceccato-poesie/?fbclid=IwAR24_D9662jm1pF04gs6MKgq_yj2Bg4DoIf9M_5-RHGJSS11u1Reh7pzLRA
Dalla traduzione di Margherita Guidacci.
La nerezza e il dolore di Pascoli si fanno immensi in questi versi.Sono tornata alle mie letture emotive, se pure in un posto rumorosissimo, ma sentivo particolarmente la voglia di leggerla.Per chi vorrà, ecco il testo, che apre "Myricae".--Io vedo (come è questo giorno, oscuro!),vedo nel cuore, vedo un camposantocon un fosco cipresso alto sul muro.E quel cipresso fumido si scagliaallo scirocco: a ora a ora in piantosciogliesi l’infinita nuvolaglia.O casa di mia gente, unica e mesta,o casa di mio padre, unica e muta,dove l’inonda e muove la tempesta;o camposanto che sì crudi invernihai per mia madre gracile e sparuta,oggi ti vedo tutto sempiternie crisantemi. A ogni croce roggiapende come abbracciata una ghirlandadonde gocciano lagrime di pioggia.Sibila tra la festa lagrimosauna folata, e tutto agita e sbanda.Sazio ogni morto di memorie, posa.Non i miei morti. Stretti tutti insieme,insieme tutta la famiglia morta,sotto il cipresso fumido che geme,stretti così come altre sere al foco(urtava, come un povero, alla portail tramontano con brontolìo roco)piangono. La pupilla umida e piaricerca gli altri visi a uno a unoe forma un’altra lagrima per via.Piangono, e quando un grido ch’esce strettoin un sospiro, mormora, Nessuno!...cupo rompe un singulto lor dal petto.Levano bianche mani a bianchi volti,non altri, udendo il pianto disusato,sollevi il capo attonito ed ascolti.Posa ogni morto; e nel suo sonno cullaqualche figlio de’ figli, ancor non nato.Nessuno! i morti miei gemono: nulla!— O miei fratelli! — dice Margherita,la pia fanciulla che sotterra, al verno,si risvegliò dal sogno della vita:— o miei fratelli, che bevete ancorala luce, a cui mi mancano in eternogli occhi, assetati della dolce aurora;o miei fratelli! nella notte oscura,quando il silenzio v’opprimeva, e vanal’ombra formicolava di paura;io veniva leggiera al vostro letto;Dormite! vi dicea soave e piana:voi dormivate con le braccia al petto.E ora, io tremo nella bara sola;il dolce sonno ora perdei per sempreio, senza un bacio, senza una parola.E voi, fratelli, o miei minori, nulla!...voi che cresceste, mentre qui, per sempre,io son rimasta timida fanciulla.Venite, intanto che la pioggia tace,se vi fui madre e vergine sorella:ditemi: Margherita, dormi in pace.Ch’io l’oda il suono della vostra voceora che più non romba la procella:io dormirò con le mie braccia in croce.Nessuno! — Dice; e si rinnova il pianto,e scroscia l’acqua: un impeto di ventosquassa il cipresso e corre il camposanto.— O figli — geme il padre in mezzo al nerofischiar dell’acqua — o figli che non sentopiù da tanti anni! un altro cimiteroforse v’accolse, e forse voi chiamatela vostra mamma, nudi abbrividendosotto le nere sibilanti acquate.E voi le braccia dall’asil lontanoa me tendete, siccome io le tendo,figli, a voi, disperatamente invano.O figli, figli! vi vedessi io mai!io vorrei dirvi che in quel solo istanteper un’intera eternità v’amai.In quel minuto avanti che morissi,portai la mano al capo sanguinante,e tutti, o figli miei, vi benedissi.Io gettai un grido in quel minuto, e poimi pianse il cuore: come pianse e pianse!e quel grido e quel pianto era per voi.Oh! le parole mute ed infiniteche dissi! con qual mai strappo si fransela vita viva delle vostre vite.Serba la madre ai poveri miei figli:non manchi loro il pane mai, nè il tetto,nè chi li aiuti, nè chi li consigli.Un padre, o Dio, che muore ucciso, ascolta:aggiungi alla lor vita, o benedetto,quella che un uomo, non so chi, m’ha tolta.Perdona all’uomo, che non so; perdona:se non ha figli, egli non sa, buon Dio...e se ha figlioli, in nome lor perdona.Che sia felice; fagli le vie piane;dagli oro e nome; dàgli anche l’oblio;tutto: ma i figli miei mangino il pane.Così dissi in quel lampo senza fine;Vi chiamai, muto, esangue, a uno a uno,dalla più grandicella alle piccine.Spariva a gli occhi il mondo fatto vano.In tutto il mondo più non era alcuno.Udii voi soli singhiozzar lontano —Dice; e più triste si rinnova il pianto;più stridula, più gelida, più scurascroscia la pioggia dentro il camposanto.— No, babbo, vive, vivono — Chi parla?Voce velata dalla sepoltura,voce nuova, eppur nota ad ascoltarla,o mio Luigi, o anima compagna!come ti vedo abbrividire al ventoche ti percuote, all’acqua che ti bagna!come mutato! sembra che tu siaun bimbo ignudo, pieno di sgomento,che chieda, a notte, al canto della via.— vivono, vive. Non udite in questanotte una voce querula, argentina,portata sino a noi dalla tempesta?È la sorella che morì lontano,che in questa notte, povera bambina,chiama chiama dal poggio di Sogliano.Chiama. Oh! poterle carezzare i biondiriccioli qui, tra noi; fuori del nerochiostro, de’ sotterranei profondi!Un’altra voce tu, fratello, ascolta;dolce, triste, lontana: il tuo Ruggiero;in cui, babbo, moristi un’altra volta.Parlano i morti. Non è spento il cuorenè chiusi gli occhi a chi morì cercando,a chi non pianse tutto il suo dolore.E or per quanto stridula di ventoombra ne dividesse, a quando a quandoudrei, come da vivo, il tuo lamento,o mio Giovanni, che vegliai, che ressi,che curai, che difesi, umile e buono,e morii senza che ti rivedessi!Avessi tu provato di quell’oraultima il freddo, e or quest’abbandono,gemendo a noi ti volgeresti ancora —— Ma se vivete, perchè, morti cuori,solo è la nostra tomba illacrimata,solo la nostra croce è senza fiori? —Così singhiozza Giacomo: poi geme:— Quando sola restò la nidïata,Iddio lo sa, come vi crebbi insieme:se con pia legge l’umili vivandetra voi divisi, e destinai de’ paniil più piccolo a me, ch’ero il più grande;se ribevvi le lagrime ribelliper non far voi pensosi del domani,se il pianto piansi in me di sei fratelli;se al sibilar di questi truci venti,al rombar di quest’acque, io suscitavala buona fiamma d’eriche e sarmenti;e io, quando vedea rosso ogni viso,e più rossi i più piccoli, tremavasì, del mio freddo, ma con un sorriso.Ma non per me, non per me piango: io piangoper questa madre che, tra l’acqua, spera,per questo padre che desìa, nel fango;per questi santi, o fratel mio, che vivi;di cui morendo io ti dicea... ma eragrossa la lingua e forse non udivi —Io vedo, vedo, vedo un camposanto,oscura cosa nella notte oscura:odo quel pianto della tomba, piantod’occhi lasciati dalla morte attenti,pianto di cuori cui la sepolturalasciò, ma solo di dolor, viventi.L’odo: ora scorre libero: nessunopuò risvegliarsi, tanto è notte, il ventoè così forte, il cielo è così bruno.Nessuno udrà. La povera famigliapuò piangere. Nessuno, al suo lamento,può dire: Altro è mio figlio! altra è mia figlia!Aspettano. Oh! che notte di tempestapiena d’un tremulo ululo ferino!Non s’ode per le vie suono di pesta.Uomini e fiere, in casolari e tane,tacciono. Tutto è chiuso. Un contadinosocchiude l’uscio del tugurio al cane.Piangono. Io vedo, vedo, vedo. Stannoin cerchio, avvolti dall’assidua romba.Aspetteranno, ancora, aspetteranno.I figli morti stanno avvinti al padreinvendicato. Siede in una tomba(io vedo, io vedo) in mezzo a lor, mia madre.Solleva ai morti, consolando, gli occhi,e poi furtiva esplora l’ombra. Culladue bimbi morti sopra i suoi ginocchi.Li culla e piange con quelli occhi suoi,piange per gli altri morti, e per sè nulla,e piange, o dolce madre! anche per noi;e dice: — Forse non verranno. Ebbene,pietà! Le tue due figlie, o sconsolato,dicono, ora, in ginocchio, un po’ di bene.Forse un corredo cuciono, che preme:per altri: tutto il giorno hanno agucchiato,hanno agucchiato sospirando insieme.E solo a notte i poveri occhi smortihanno levato, a un gemer di campane;hanno pensato, invidïando, ai morti.Ora, in ginocchio, pregano Mariaal suon delle campane, alte, lontane,per chi qui giunse e per chi resta in via,là; per chi vaga in mezzo alla tempesta,per chi cammina, cammina, cammina;e non ha pietra ove posar la testa.Pietà pei figli che tu benedivi!In questa notte che non mai declina,orate requie, o figli morti, ai vivi! —O madre! Il cielo si riversa in piantooscuramente sopra il camposanto.
Tu sei come una terrache nessuno ha mai detto. Tu non attendi nulla se non la parola che sgorgherà dal fondocome un frutto tra i rami. C’è un vento che ti giunge. Cose secche e rimorte t’ingombrano e vanno nel vento. Membra e parole antiche. Tu tremi nell’estate. 29 ottobre 1945.Da "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi", Einaudi
Tu non sai le colline dove si è sparso il sangue. Tutti quanti fuggimmo tutti quanti gettammo l’arma e il nome. Una donna ci guardava fuggire. Uno solo di noi si fermò a pugno chiuso, vide il cielo vuoto, chinò il capo e morí sotto il muro, tacendo. Ora è un cencio di sangue e il suo nome. Una donna ci aspetta alle colline.📖 "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi" (Einaudi)🎶 Bird in hand by Audionautix.com
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