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Author: BastaBugie

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I pungenti commenti del giornalista Antonio Socci stimolano ad avere uno sguardo critico sulla realtà
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7155COSA RENDE I NOSTRI GIOVANI COSI FRAGILI? di Antonio SocciHanno fatto un deserto e lo hanno chiamato Modernità e Libertà. Ma è spesso un deserto inospitale dove soffia un vento di infelicità e di morte.Lo attestano anche le drammatiche statistiche sui suicidi dell'Osservatorio suicidi della Fondazione Brf (Istituto per la ricerca in Psichiatria e Neuroscienze).Da gennaio ad agosto di quest'anno ci sono stati 351 suicidi e 391 tentativi: un suicidio ogni 16 ore e un tentativo di suicidio ogni 14. Particolarmente grave l'aumento dei casi fra i giovani (in modo speciale nel biennio della pandemia).Queste tragedie sono la punta dell'iceberg di una condizione di disagio, di solitudine, di ansia o depressione che fra i giovani è molto ampia e sta crescendo. Naturalmente ognuno è una storia a sé, ognuno ha i suoi problemi e ognuno è un mistero unico. Ma tutti insieme delineano un dramma sociale - o spirituale - che riguarda il nostro tempo.Ciò che accomuna tutti noi è il desiderio di felicità o il voler sfuggire all'infelicità.Scriveva Pascal: "Tutti gli uomini cercano di essere felici, compresi quelli che stanno per impiccarsi".Felicità e infelicità sono sentieri che conducono in una terra misteriosa, quella della nostra anima, che non si esplora con la sociologia.Quando si parla di disagio esistenziale ogni volta si tentano spiegazioni sociologiche che però spesso si contraddicono o illuminano solo un pezzo di realtà, ma non vanno alle radici del problema.Sono spiegazioni che lasciano insoddisfatti.LE GENERAZIONI PRECEDENTIPerché le condizioni materiali di vita pesano, ma non sono l'aspetto determinante. Altrimenti non si spiegherebbe perché i nostri genitori - giovani durante la guerra e il dopoguerra - affrontarono la miseria, la fame, i bombardamenti, il durissimo lavoro della ricostruzione, con una forza morale travolgente (che fra l'altro produsse il "miracolo economico" e il "baby boom"), mentre i nostri figli - che hanno una vita enormemente facile - sono così smarriti e fragili.Cos'è andato perduto rispetto alle generazioni precedenti che - senza alcun dubbio - sopportavano condizioni di vita molto più dure? Possiamo dire che erano spiritualmente più forti anzitutto per l'atmosfera cristiana in cui erano nate e cresciute?Affrontavano le tragedie con maggior resilienza (come si dice oggi).C'è una commovente intervista alla poetessa Alda Merini, dopo il terremoto in Abruzzo del 5 aprile 2009, che la televisione trasmise il 9 aprile.La Merini, nata nel 1931, si definiva "abbastanza" credente e in quell'occasione disse: "Anch'io sono stata 'terremotata' da un manicomio all'altro.Ognuno di noi ha avuto le sue scosse, però è nel momento del dolore che bisogna stringere i denti. Noi adesso partecipiamo a questa tragedia italiana, però non fermiamoci al dolore. Stringiamo i denti e andiamo avanti. Dio guarda tutti, ci vede, guarda i terremotati, vede gli infelici e non abbandona il mondo. Io sono sicura. E uno dei mezzi perché Dio ci ascolti è proprio la poesia, la preghiera, il canto".Questo era l'animo delle generazioni che ci hanno preceduto. Le società del passato non erano migliori di oggi. Erano più ingiuste e la vita molto più dura. Ma anche questo dimostra che i nostri vecchi - pur con le loro fragilità e miserie - avevano una solidità ammirabile.CLIMA SPIRITUALE CRISTIANONon perché tutti fossero dei devoti. Ma tutti respiravano quel clima spirituale che aveva permeato i secoli in Italia e toccava anche agnostici e atei. Non a caso il padre della cultura laica italiana, Benedetto Croce, scrisse nel 1942 "Perché non possiamo non dirci "cristiani", spiegando che tale qualifica "è semplice osservanza della verità".Il laico Federico Chabod concordava e aggiungeva: "Anche i cosiddetti 'liberi pensatori', anche gli 'anticlericali' non possono sfuggire a questa sorte comune dello spirito europeo".Negli ultimi anni questo interrotto fiume spirituale si è come disseccato. Si è prodotta una rottura che non è solo culturale, ma anche esistenziale. I giovani - che nei prossimi giorni torneranno a scuola, con i loro problemi, i loro sogni e il loro disagio - sono sostanzialmente ignari del passato, soli di fronte al mistero della loro vita e al futuro.La scuola (ma dovremmo parlare anche della Chiesa e delle nostre famiglie) non sa trasmettere come un'eredità viva ciò che le generazioni precedenti hanno creato, amato, professato, sofferto e vissuto.Inostri ragazzi sembrano sospesi fra la realtà virtuale dei social e una scuola o una società ossessionate soprattutto dai comportamenti, dal politicamente corretto, dalle ideologie oggi dominanti (come l'ecologia: è l'epoca di Greta Thunberg).Si prescrive "come" comportarsi, ma nessuno comunica nulla sul "perché" vivere.Tanto meno si fa "parlare" su questo la cultura e l'arte del nostro passato.La realtà non virtuale che i ragazzi conoscono è quella dei coetanei, sono rapporti talora violenti e in genere superficiali o poveri. Ne scaturisce una fragilità emotiva spaventosa, una solitudine che raramente incontra un abbraccio di comprensione o compassione.A volte però basta un incontro vero (un maestro, un amico, un genitore) per far scoprire la bellezza del presente, la ricchezza del passato e la promessa custodita dal futuro. Ma resta l'enorme problema educativo di un Paese smarrito.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7000LA METAMORFOSI DELLA SINISTRA ITALIANA: DALL'UNIONE SOVIETICA... ALLA NATO di Antonio SocciLe Metamorfosi di Ovidio? Nulla rispetto alle metamorfosi dei comunisti italici, comprese le più recenti con le quali sono diventati "pasdaran" dell'ortodossia atlantica, severi censori del pacifismo e predicatori umanitari.E questo senza mai riconoscere l'errore di essere stati comunisti al tempo dell'Urss di Breznev e Andropov. Anzi ritengono di avere tutti i titoli per dare lezioni oggi di atlantismo e umanitarismo.Prendiamo l'editoriale (sul "Corriere della sera" di venerdì) di Walter Veltroni, il quale è una persona gentile, intelligente e piacevole, ma in quel pezzo ha cucinato un confuso minestrone in cui riesce a cantare le lodi del Nord Vietnam comunista che combatteva contro "l'invasione straniera" degli Usa e - al tempo stesso - le lodi dei soldati Usa che sbarcarono in Italia e in Normandia per combattere contro il nazifascismo (non furono due "invasioni" per la libertà?).Un inno combattente in cui Veltroni rinfaccia (senza nominarli) a Santoro e compagni il passato, ma dimenticando il suo. E il suo non è il passato di uno qualsiasi: Veltroni - iscrittosi alla Fgci nel 1970 - è stato poi uno dei dirigenti nazionali del Partito Comunista Italiano quando ancora c'era l'Urss e il blocco comunista (la vicenda degli euromissili e di Comiso è degli anni '80 e Veltroni c'era).Il Pci era un "partito fratello" di quel Pcus da cui vengono Putin e la classe dirigente russa di oggi. Quel Pcus a cui obbediva il Pci togliattiano, a lungo finanziato da Mosca (per capire quando finirono i finanziamenti bisogna leggere "Oro da Mosca" di Valerio Riva e non solo "L'oro di Mosca" di Gianni Cervetti).Da chi è stato parte della storia comunista ci si aspetta una riflessione vera sulla classe dirigente post-comunista che oggi governa a Mosca e sulle macerie lasciate dal comunismo.IL PCI E GLI ORRORI DELL'URSSPrima di tuonare per tutto un editoriale contro la presunta "indifferenza" che Veltroni imputa a chi non condivide le sue attuali idee "atlantiste" sull'Ucraina, dovrebbe spiegarci quanto fu "indifferente" il suo Pci nei confronti degli orrori dell'Urss e regimi compagni.Negli anni Settanta, quando lui era un militante comunista, già sapevamo tutto, già era uscito "Arcipelago Gulag" e sull'Unità e poi su Rinascita, nel febbraio ‘74, Giorgio Napolitano, a nome del Pci, scriveva che l'espulsione del dissidente Solzenicyn era "la soluzione migliore "perché lo scrittore aveva "finito per assumere un atteggiamento di ‘sfida' allo Stato sovietico e alle sue leggi" e "non c'è dubbio che questo atteggiamento - al di là delle stesse tesi ideologiche e dei già aberranti giudizi politici di Solzenicyn - avesse suscitato larghissima riprovazione nell'URSS".Napolitano, che allora si scagliava contro "l'antisovietismo", è il simbolo autorevole del passaggio dal Pci filosovietico (lui fu dirigente del Pci al tempo di Togliatti) all'atlantismo più zelante.Ma senza mai fare autocritiche. Nella sua "autobiografia politica" del 2005 intitolata "Dal Pci al socialismo europeo" neanche cita mai Solzenicyn.Carlo Ripa di Meana, nel 2008, alla morte dello scrittore russo, su "Critica sociale", in un articolo intitolato "Solzenicyn e il silenzio del Quirinale", scriveva:"Avevo sommessamente suggerito, qualche mese fa, al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che nel 1974, allora responsabile della cultura del PCI, su l'Unità, aveva rumorosamente applaudito all'esilio comminato a Solzenicyn che, va ricordato, aveva già passato otto anni nel Gulag nell'immediato dopoguerra, che in una prossima occasione, o in forma privata o nel corso di una visita di Stato, chiedesse un incontro a Solzenicyn, ormai molto in là con gli anni e malato, per chiudere una pagina nera. Così non è stato. In questi ultimi giorni, mentre in tutto il mondo si sono ascoltate voci di statisti, di rimpianto e di riconoscenza per la grandezza di quest'uomo e della sua vita, da Roma-Quirinale è venuto un silenzio arido, privo di umanità".WALTER VELTRONIVeltroni nel 2008 era il segretario del Pd: si espresse mai sulla vicenda? È sicuro che la storia dei post-comunisti - di cui è parte - oggi legittimi i suoi moniti umanitari sulla presunta "indifferenza" altrui?Oltretutto è un'accusa inaccettabile perché chi si oppone all'invio di armi, come i cattolici, lo fa perché vuole la pace per gli ucraini e lo fa dando loro ogni possibile aiuto umanitario (del resto bisogna anche non essere indifferenti ai costi pesantissimi che i bellicisti vorrebbero imporre agli italiani).Quando si ha un tale passato comunista certamente si può evolvere e cambiare, ma bisognerebbe almeno evitare di andare a fare prediche agli altri sull'indifferenza, l'Occidente e la libertà.Il "Corriere della sera", che oggi è guidato da giornalisti che vengono dall'"Unità", a cominciare dal direttore, si distingue per fanatismo occidentalista. Talleyrand - che di cambi di casacca era esperto - consigliava: "Surtout pas trop de zèle".Anche perché si rischia il cortocircuito. Un intellettuale progressista francese, Robert Redeker, di recente ha osservato:"La simpatia degli europei è legittimamente attratta dall'Ucraina e dalla sua resistenza all'invasione, mentre questa resistenza esprime tutto ciò che gli europei hanno rifiutato negli ultimi decenni, quella cultura alla moda ridicolizzata e che l'istruzione scolastica ha cercato di distruggere: il sentimento della nazione, l'amore per la patria, della terra, il senso del sacrificio militare, la difesa dei confini, la sovranità e la libertà".È questa anche la contraddizione dei post-comunisti italici. Sono passati dall'apologia del cosmopolitismo apolide all'esaltazione del nazionalismo ucraino. Ma il nazionalismo non è lo spirito nazionale, come la polmonite non è il polmone. Il nazionalista impone la sua patria sulle altre. Il patriota ama tutte le patrie.È legittimo e nobile che gli ucraini si difendano dall'invasore. Ma non si può esaltare quel nazionalismo ucraino che dal 2014 ha combattuto le regioni russofone. Somiglia al nazionalismo russo che oggi nega l'Ucraina. Patrie, non nazionalismi.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6992IL TURISMO PUO' SALVARE IL BEL PAESE di Antonio SocciDopo due anni di pandemia, due anni da incubo, l'Italia del turismo sta ripartendo. Per il 2022 infatti le stime parlano di più di 92 milioni di arrivi e circa 343 milioni di presenze fra stranieri e italiani (un aumento - rispettivamente - del 43 per cento e del 35 per cento rispetto all'anno scorso).Non siamo ancora tornati ai dati del 2019, ma la ripresa è forte. Sperando che i venti di guerra che soffiano impetuosi non gelino questa fioritura...Con l'inizio di maggio sciameranno verso la Penisola milioni di persone che cercano nella nostra terra una Bellezza sognata e ignota, che tante volte hanno sentito raccontare o che hanno già assaporato e vogliono tornare a gustare.La bellezza è - fin dall'antichità - il principale connotato dell'identità italiana. Già Marco Terenzio Varrone (116 a.C. - 27 a.C.), nella più antica delle 'laudes Italiae' che conosciamo, il 'De re rustica', del 37 a.C., celebra l'Italia come il giardino del mondo: "Voi che avete peregrinato per molte e diverse terre, ne avete vista una più coltivata dell'Italia? Io, per conto mio, non credo che ce ne sia".Anche la nostra letteratura, ai suoi esordi, canterà questa caratteristica della Penisola. L'Italia è in Dante il "bel paese là dove 'l sì suona" o "l giardin de lo 'mperio". In Petrarca è "il bel paese / ch'Appennin parte, e 'l mar circonda et l'Alpe".In una enciclopedia medievale l'Italia è la "terra pulcherrima, soli fertilitate pabulique ubertati gratissima", la bellissima terra, piacevole per la fertilità del suolo e l'ubertosità dei suoi pascoli.BELLEZZA NATURALISTICA E PAESAGGISTICAInsomma da secoli dire Italia significa dire bellezza naturalistica e paesaggistica. La quale è sì dovuta - anzitutto - a una fortunata collocazione geografica e a una felice situazione climatica, ma i tanti doni del Creatore si sono combinati con la straordinaria opera degli uominiche fin dall'antichità hanno arricchito la natura con il lavoro e l'ingegno.Infatti è grazie agli agricoltori romani che furono introdotte da noi tantissime delle piante che oggi vediamo e coltiviamo e che provengono da altre aree del mondo. Così oggi l'Italia è un paradiso di biodiversità e questo è anche alla base della ricchezza della nostra alimentazione e della nostra cucina, parte non secondaria dell'attrattiva turistica.Del resto non c'è solo la bellezza naturale. Il patrimonio culturale italiano non ha eguali nel mondo: più di 4 mila musei, 6 mila aree archeologiche, 85 mila chiese soggette a tutela e 40 mila dimore storiche censite.Ma qui cominciano anche le dolenti note: l'incuria, gli scempi, gli abusi sono storia nota. Leonardo Sciascia scriveva nel lontano 1969: "L'Italia è il paese dell'arte ma le opere d'arte che vadano in malora".Lo stesso assalto turistico a questo patrimonio e alle città d'arte se - per un verso - è positivo, per altro verso ha qualcosa di angosciante, pare un consumo "mordi e fuggi" che di quella bellezza non comprende nulla, scivola sulla superficie alla velocità di un selfie. E lascia una distesa di cartacce e lattine.D'altronde l'Italia è un'unica, immensa, opera d'arte plasmata insieme dalla natura e da generazioni e generazioni di italiani, che sono stati il grande artista collettivo.MILLENARIA BELLEZZASe i più geniali figli del nostro popolo - come Michelangelo - seppero dare forma prodigiosa al marmo o alle basiliche, i nostri umili contadini - imparando inizialmente dai monaci medievali che dissodarono un'Italia distrutta dalle invasioni barbariche - hanno dato forma al nostro paesaggio esprimendo in esso il loro sentimento della vita, la spiritualità che come popolo vivevano.Franco Rodano, nelle sue "Lettere dalla Valnerina", descriveva incantato la bellezza che vedeva "in questa mia valle [dell'Umbria] e nei suoi poveri campi ancora amorosamente coltivati [...] nella netta geometria di questi poderi, che sono prodotto antico, di una lunghissima storia, di una millenaria capacità contadina (conservata dalla Controriforma) di vivere il lavoro non solo come duro travaglio disseminato di 'spine e triboli', ma anche come accurata e paziente ricerca, al tempo stesso, e del necessario e del bello".Noi, italiani del XXI secolo, sembriamo perlopiù estranei a questa storia, viviamo immersi nella nostra millenaria bellezza con una distrazione che ferisce.Possediamo un patrimonio ereditato, senza meriti, ma non sembriamo consapevoli della fortuna che abbiamo avuto, né delle nostre responsabilità.Albert Einstein, che con l'Italia ebbe un legame profondo (ci visse per anni e anche una parte importante della sua famiglia ci ha abitato a lungo) un giorno disse: "Se io potessi liberamente scegliere il mio domicilio a libero piacere, vorrei vivere in Italia per il resto della mia vita".Essere nati in un Paese così è una fortuna e un privilegio. Dovremmo avvertire il dovere di custodire, valorizzare e proteggere questa immensa opera d'arte per tutta l'umanità. In fondo la bellezza italiana è per tutti. Perché, come diceva Sviatoslav Richter, "ogni persona al mondo ha due patrie: la propria e l'Italia".
VIDEO IRONICO: Una guerra promessa ➜ https://www.youtube.com/watch?v=Lwl_sZZ2q6w&list=PLolpIV2TSebVSarVSJS-Gy5hJo3_40bhITESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6973SIA L'UCRAINA CHE LA RUSSIA HANNO FATTO CLAMOROSI ERRORI DI VALUTAZIONE di Antonio SocciDavanti all'atroce spettacolo quotidiano di morti e distruzioni, tutti - a cominciare dal presidente ucraino Zelensky - dovremmo chiederci: era evitabile questa catastrofe?L'interesse supremo dell'Ucraina era quello di scongiurare in tutti i modi una guerra sul suo territorio con una superpotenza nucleare come la Russia. Il fatto che il regime di Putin sia regredito a un brutale dispotismo aggressivo doveva indurre Zelensky a considerare l'invasione come il male peggiore. Doveva far di tutto per evitarla, avendo una grande inferiorità militare.Nel Vangelo c'è un insegnamento di grande realismo per chi governa: "quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace" (Lc 14, 31-32).Zelenskij poteva evitare così questa tragedia al suo Paese? Forse sì. Sappiamo infatti, dal Wall Street journal, che il 19 febbraio scorso (quando già le truppe russe erano ammassate ai confini), il cancelliere tedesco Scholz ha proposto a Zelensky la possibilità di una de-escalation: la condizione era "rinunciare all'adesione alla Nato" e "dichiarare la neutralità come parte di un più ampio accordo europeo di sicurezza tra l'Occidente e la Russia".In pratica un'Ucraina neutrale come l'Austria. L'accordo proposto da Scholz "sarebbe stato siglato da Putin e Biden che insieme avrebbero garantito la sicurezza dell'Ucraina". Ebbene, Zelensky ha risposto no. Pur avendo ai confini l'esercito russo.Dopo che è iniziata l'invasione, col suo corteo di morte, il presidente ucraino ha dichiarato (il 15 marzo) che era tramontata l'adesione alla Nato e (il 27 marzo) che si poteva ragionare sulla neutralità e pure sul Donbass. Ma ormai era tardi.Probabilmente quando la trattativa vera inizierà l'Ucraina dovrà concedere molto più di quanto sarebbe bastato il 19 febbraio. E sarà un Paese devastato, con migliaia di morti. Mi pare un fallimento immane. La vittoria era scongiurare la guerra.Oltretutto Zelensky era stato eletto per cercare un accordo con la Russia. Questo volevano gli ucraini.Per esempio, la guerriglia in Donbass da anni provocava tanti morti. Perché Zelensky non ha pacificato quella regione imitando ciò che l'Italia ha fatto con l'Alto Adige? Eppure sapeva che da lì poteva partire l'incendio.Il presidente ucraino deve chiedersi se le sue scelte sono state buone per il suo Paese o disastrose. Secondo Jean Paul Sartre "si è sempre responsabili di quello che non si è saputo evitare".Ieri Moni Ovadia, intervistato dalla "Stampa", ha detto: "Zelensky non ha reso un buon servizio agli ucraini. Se hai vicino a te un colosso ringhioso, non fargli i dispetti. A meno che lui sia asservito agli Usa, cosa di cui sono convinto".Oggi Biden punta sulla prosecuzione del conflitto per abbattere Putin. Come ha detto l'ex ambasciatore Usa Chas Freeman, gli Stati Uniti "hanno scelto di combattere fino all'ultimo ucraino".Non credo che gli ucraini possano gioirne. Ma anche nell'establishment Usa importanti personalità si oppongono a questa strategia di Biden che rischia di creare un asse fra Russia, Cina e India. È disastrosa anche per gli Usa.Nel frattempo il conflitto devasta l'economia degli stati europei e può diventare una guerra mondiale con il rischio dell'apocalisse atomica.Da Washington ora si illude Zelensky col miraggio di una vittoria. Ma Sun Tzu, grande stratega militare, diceva: "nell'operazione militare vittoriosa, prima ci si assicura la vittoria e poi si dà battaglia. Nell'operazione militare destinata alla sconfitta, prima si dà battaglia e poi si cerca la vittoria".Tentare l'azzardo di una vittoria pressoché impossibile rischia di far annientare l'Ucraina e di portarci tutti nel baratro.Zelensky in queste settimane ha mostrato un coraggio fisico eroico, gli va riconosciuto. Ma forse oggi deve trovare il coraggio di sottrarre se stesso alle pressioni e sottrarre il suo popolo alla guerra delle due grandi potenze.Nota di BastaBugie: Stefano Magni nell'articolo seguente dal titolo "Cosa c'è dietro la pessima performance militare dei russi in Ucraina" spiega perché in Italia si fa fatica a parlare degli insuccessi militari russi e a riconoscerne le cause.Ecco l'articolo completo pubblicato su Atlantico il 1° aprile 2022:C'è una differenza fondamentale fra le analisi della guerra in Ucraina formulate dagli esperti italiani e quelle che vengono pubblicate nel resto del mondo occidentale, negli Usa e nel Regno Unito in particolare.Le relazioni dell'intelligence statunitense o gli studi dell'autorevole Rusi di Londra (il centro studi fondato da Wellington), pur con grande prudenza e con un differente grado di ottimismo, constatano che l'esercito russo non sia all'altezza delle aspettative. Nella difficoltà a rifornire le truppe, così come nell'incapacità di proteggere i propri generali (ben sette uccisi dall'inizio della guerra) e nell'insufficienza dell'aviazione che non è ancora riuscita a conquistare il pieno dominio dell'aria, gli analisti occidentali notano che vi siano delle carenze strutturali nell'Armata, non solo degli errori commessi in questa campagna. Il generale David Petraeus, che vinse l'ultima fase della guerra di contro-insurrezione in Iraq, pur con mille prudenze, parla addirittura della possibilità che il Davide ucraino possa battere sul campo il Golia russo. Prima di lui lo aveva detto il generale McMaster, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump.Quando si torna alla lingua italiana, invece, si entra di nuovo in un altro mondo. Un mondo in cui l'Armata russa è un lento rullo compressore che schiaccia quel che vuole. E se non schiaccia qualcosa, è solo perché non ha voglia di farlo. Putin non ha sbagliato nulla, insomma, non ha mai fallito il blitz iniziale per decapitare il governo ucraino perché non era mai stata sua intenzione. Le difficoltà logistiche, evidenti sin dalle prime fasi? Sciocchezze, siamo noi che non abbiamo capito come i russi combattono. E allora perché la guerra sta andando così male?... I russi stanno già prendendo tutto quel che volevano. A produrre queste analisi, oltre a docenti che a stento riescono a nascondere la loro simpatia per Vladimir Putin, sono anche generali, esperti, tecnici super-partes.Eppure nessuno di loro riesce a spiegare perché un esercito che si presenta come il secondo del mondo, con il più grande parco di carri armati e automezzi, che vanta di essere all'avanguardia della guerra corazzata, si trovi a combattere in un terreno pianeggiante (l'ideale per ogni comandante di divisioni corazzate), con la piena superiorità aerea, una netta superiorità di uomini e mezzi, contro una nazione che è fra le due più povere d'Europa... e in più di un mese non riesce nemmeno a sfondare le linee. Si sente ripetere che, presto o tardi, l'Armata sfonderà e dilagherà. Non ne dubitiamo, vista la disparità di forze in campo. Ma la guerra, così come il mondo intero l'ha vista finora, è già una macchia indelebile sulla reputazione dell'Armata. Sulla carta, la Russia doveva essere in grado di reggere il confronto con la Nato in uno scontro in Europa centrale. Nella realtà, è impantanata da un mese abbondante a causa della resistenza di un esercito a cui la Nato sta solo dando armi leggere e informazioni di intelligence.Resta da capire come mai in Italia vi sia così tanta difficoltà a prendere atto della figuraccia militare russa. A che pro? La risposta non deve seguire il solito semplicistico e marxisteggiante argomento "follow the money". Qui i soldi non c'entrano nulla. Il problema vero è culturale. In battaglia si svela in modo inequivocabile se un sistema politico, in questo caso addirittura un'intera cultura, è sana o malata. Come scriveva lo storico miliare Victor Davis Hanson in "Massacri e cultura":"La storia militare non deve mai prescindere dal suo tragico evento clou, l'uccisione di esseri umani, che trova la sua piena realizzazione solo nella battaglia. A determinare se dopo l'ora fatale del combattimento migliaia di giovani, in gran parte innocenti, saranno vivi o a brandelli, è la cultura entro la quale si muovono gli eserciti".In che cultura si muove un esercito che manda colonne di carri armati, manovrati da ragazzi di leva, a finire nelle imboscate della fanteria ucraina? Che cultura ispira piloti che sganciano bombe su coordinate dettate dal comando, senza neppure sapere cosa stanno colpendo (scoperta fatta grazie a piloti abbattuti e fatti prigionieri)? Che cultura ispira comandanti di unità corazzate che eseguono ordini rigidi scritti su carta? Che cultura è quella di un corpo ufficiali che non svela ai propri soldati la natura della missione, così che quando vengono catturati o uccisi in Ucraina non sapevano di essere in guerra? E in casa loro non sanno neppure dove siano finiti, considerando che è persino proibito parlare di "guerra"?La cultura che sta producendo questa vergognosa performance è il prodotto di un regime autoritario che non si fida dei propri sudditi e che si nutre di menzogne, oltre a diffonderle a piene mani. Nessuno può esprimere dubbi a Putin, perché tutti sono terrorizzati: basti vedere come è stato trattato il direttore dei servizi segreti esteri, in una video pubblicato online, poco prima della guerra. E chissà cosa succede, a tutti i livelli, lontano dalle telecamere. Nessuno può mettere in discussione gli ordini.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6963IL PIU' GROSSO PROBLEMA PER L'UCRAINA NON E' PUTIN, MA BIDEN di Antonio SocciÈ pressoché impossibile trovare qualche statista che abbia collezionato una serie di gaffe come l'attuale presidente americano Joe Biden.Gli infortuni sono cominciati fin all'inizio del suo mandato e talvolta hanno avuto aspetti comici (e umanamente comprensibili) come la flatulenza sfuggita - secondo il Daily Mail - davanti al principe Carlo e a Camilla alla Cop26 di Glasgow (dove si discuteva di emissioni nocive nell'atmosfera).O come quando - durante un discorso in cui fissava palesemente il gobbo - ha letto pure le parole tra parentesi che non doveva leggere. O quando ha detto che "Putin potrà anche circondare Kiev, ma non potrà mai conquistare i cuori e le anime del popolo iraniano".Ma con la guerra Russia/Ucraina la questione si è fatta drammatica. Ora ogni volta che Biden apre bocca ci avvicina alla terza guerra mondiale. Mentre tutti cercano di spegnere l'incendio, Biden, parlando a Varsavia, sabato, ha visto bene di alimentarlo con una cascata di benzina definendo Putin "un macellaio" (dopo averlo chiamato "assassino" e "criminale di guerra").BIDEN IMBARAZZANTEQuesto linguaggio incendiario, del tutto fuori dai canoni, rende molto arduo qualsiasi tentativo di dialogo e trattativa con Mosca. Ma come se non bastasse Biden ha pure aggiunto che Putin "non può rimanere al potere".Immediatamente è arrivata una correzione da un funzionario della Casa Bianca il quale ha precisato che il presidente "non stava parlando" di un "cambio di governo" in Russia. Una smentita clamorosa da cui si ricava la convinzione che a Washington non siano in grado di controllare la situazione, oltretutto in un momento così drammatico.È la classica toppa peggiore del buco. Del resto Biden ha dichiarato apertis verbis quello che era già chiaro dai comportamenti, ovvero che gli americani non lavorano per la pace in Ucraina, ma soffiano sul fuoco e spediscono armi perché vogliono che la guerra prosegua e la Russia si impantani: cioè usano l'Ucraina per abbattere Putin (a spese degli ucraini e degli europei le cui economie saranno devastate).L'autogol è doppio perché Biden ha apertamente confessato che vuole fare a Mosca esattamente quello che Putin voleva fare a Kiev: rovesciare il governo. E gli Stati Uniti hanno una certa esperienza nell'andare a rovesciare governi a loro sgraditi (come pure nel bombardare altri paesi).La sortita di Biden - che voleva resuscitare il disastroso fantasma dello "scontro di civiltà" con cui gli americani hanno portato guerre e devastazioni in tante zone del mondo - ha sconcertato molte cancellerie e ha costretto un membro della Nato come la Turchia (importantissimo in quella regione) a prendere le distanze.Il portavoce di Erdogan, Ibrahim Kalin, ha dichiarato ieri: "Se tutti bruciano i ponti con la Russia chi parlerà con loro alla fine della giornata?". In pratica ha spiegato che con il metodo Biden si perde ogni speranza di negoziato che metta fine alla guerra.UNA PROSPETTIVA AGGHIACCIANTEGià prima era stato il presidente francese a prendere le distanze. Macron ha detto che non userebbe il linguaggio di Biden e ha aggiunto che, se si vuole raggiungere un cessate il fuoco, non si deve alimentare "una escalation né di parole né di azioni".Che è esattamente quello che Biden sta facendo. Del resto - secondo il Wall Street Journal - fonti interne dell'amministrazione Usa sostengono che, nel contesto della guerra in Ucraina, la Casa Bianca adesso prevede addirittura il "first nuclear strike", cioè "l'attacco nucleare preventivo" in "circostanze estreme".Una prospettiva agghiacciante che Biden, in campagna elettorale, aveva sempre rifiutato.Peraltro questo atteggiamento incendiario contraddice le considerazioni del Pentagono sul conflitto in corso. Newsweek ha rivelato che, secondo gli analisti del governo Usa, in realtà Putin sta facendo una guerra a bassa intensità: "la quasi totalità dei missili lanciati dalla Russia hanno colpito obiettivi militari" scrive il generale Fabio Mini. Inoltre "nei primi 24 giorni di conflitto" aggiunge Mini "la Russia ha effettuato 1400 sortite di attacco aereo e lanciato quasi 1000 missili (meno di quanto gli Usa abbiano fatto in un solo giorno durante la guerra del 2003 in Iraq)".Dunque, per quanto crudele e orribile come ogni guerra, potrebbe essere molto peggiore. Si è capito che la Russia non punta alla distruzione dell'Ucraina. Questo dovrebbe indurre a ricercare spazi di negoziato. Ma Biden non l'ha mai fatto.C'è chi ritiene che stia cavalcando questo conflitto a fini interni, in vista delle elezioni di metà mandato. Ma se è così il risultato è disastroso perché da gennaio a marzo gli americani che lo approvano sono passati dal 43 al 40%, mentre quelli che lo bocciano dal 53 al 55%.E soprattutto sette su dieci hanno scarsa fiducia sulla sua capacità di gestire la crisi ucraina e otto su dieci ritengono che questa guerra provocherà l'aumento della benzina e potrebbe portare a un conflitto nucleare.D'altronde gli errori di Biden - finora subiti passivamente dalla Ue - rischiano di far nascere un asse Russia-Cina-India che a breve potrebbe pure diventare egemone nel mondo.Nota di BastaBugie: Stefano Magni nell'articolo seguente dal titolo "Come la guerra in Ucraina agita le acque in Asia" spiega perché si sono create le condizioni per lo scoppio di nuovi conflitti. Compreso la recrudescenza di alcuni dei conflitti più duraturi.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 29 marzo 2022:L'invasione russa dell'Ucraina agita le acque internazionali e rischia di creare le condizioni per lo scoppio di nuovi conflitti. In quest'ultimo "tranquillo weekend di paura", l'Asia, dal Mar Rosso al Mar Giallo, ha assistito alla recrudescenza di alcuni dei conflitti più duraturi della storia contemporanea: Yemen, Nagorno-Karabakh e Corea. In tutti i casi, si tratta di tensioni che scoppiano direttamente o indirettamente a causa del conflitto ucraino.La Corea del Nord, il 24 marzo, ha lanciato un missile balistico intercontinentale per la prima volta dal 2017. L'ordigno, che secondo fonti sudcoreane è un Hwasong-17, ha compiuto un volo di un migliaio di chilometri, innalzandosi di 6mila chilometri e andandosi a inabissare nelle acque di zona economica esclusiva del Giappone. Secondo i calcoli, dovrebbe essere in grado di raggiungere il territorio statunitense. Dopo i tre lanci (di cui due riusciti) di fine febbraio e inizio marzo, sia Tokyo che Seul hanno avuto la conferma di quel che temevano: si trattava di preparativi per il lancio di un missile balistico intercontinentale. Cinque anni fa, Kim Jong-un, dopo i colloqui diretti con l'allora presidente Donald Trump avevano proclamato una moratoria sui test missilistici a lungo raggio e finora l'avevano rispettata. Ora gli esperti si dividono sui motivi di un gesto di sfida così esplicito. Potrebbe essere un messaggio lanciato al nuovo presidente sudcoreano, Yoon Suk-yeol, un conservatore che promette una politica più dura nei confronti del regime del Nord.Nel Caucaso meridionale, il 25 marzo si è di nuovo verificato uno scontro fra truppe armene del Nagorno-Karabakh e truppe azere. Gli azeri sono entrati nell'area controllata dalle forze di interposizione russe ed hanno aperto il fuoco contro gli armeni, uccidendone 3 e ferendone 14. I peace-keepers russi presidiano i nuovi confini (ridotti, dopo la guerra del 2020) e il corridoio di terra che unisce l'Armenia al Nagorno-Karabakh, regione a maggioranza armena incastonata nel mezzo dell'Azerbaigian, teatro di uno scontro armato che dura dal 1988, da prima ancora dell'indipendenza delle due nazioni caucasiche. Ora i russi sono accusati dal governo armeno di non aver fatto abbastanza per prevenire lo scontro a fuoco. Il premier armeno Nikol Pashinian, è volato a Mosca per consultarsi con Vladimir Putin, per "discutere della situazione creata dall'invasione, da parte di truppe azere, della zona di responsabilità delle forze di pace russe nel Nagorno-Karabakh". Le autorità del Nagorno-Karabakh, fra l'altro, denunciano un embargo sul gas imposto loro dall'Azerbaigian. Embargo che il governo di Baku nega, la cui versione ufficiale parla di lavori di riparazione ai gasdotti.Il 26 marzo le milizie sciite Houthi, armate dall'Iran, impegnate dal 2014 contro il governo dello Yemen e la coalizione di Paesi sunniti (a guida saudita) che lo sostengono, hanno lanciato missili contro un deposito petrolifero a Jeddah, in Arabia Saudita. Alte colonne di fumo nero si sono levate in cielo, proprio mentre la città portuale del Mar Rosso si preparava ad accogliere il Gran Premio di Formula 1. La competizione si è tenuta regolarmente, ma la paura era tanta. La rappresaglia saudita, tardi, ma è arrivata: ieri, l'aviazione del regno arabo ha colpito alcuni bersagli di Sanaa, la capitale dello Yemen, sotto il controllo degli Houthi.Tutte queste tensioni sono legate, direttamente o indirettamente, alla guerra in Ucraina. Gli Houthi filo-iraniani sono entrati in azione, in modo spettacolare e in una città che, per il Gran Premio era sotto gli occhi di tutto il mondo, per almeno due motivi: il primo è il vertice del Negev, che si è tenuto ieri, fra Israele e i Paesi arabi sunniti del Golfo, dunque gli Houthi, che fanno parte dello schieramento opposto, hanno voluto lanciare un segnale forte. Il secondo è l'Iran, che sta continuando a negoziare per un nuovo accordo sul suo programma nucleare e vuole alzare la posta in gioco. Ma lo fa sapendo, soprattutto, che gli Usa sono distratti dalla guerra in Ucraina, dalla tensione con la Russia (alleata e protettrice dell'Iran) e quindi dagli occidentali si possono estorcere condizioni molto migliori. Perché, mai in questo periodo, gli Usa sono stati così disposti a fare concessioni al di fuori del teatro di crisi europeo.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6928LO ''STRANO'' FANATISMO BELLICO DEL CORRIERE DELLA SERA NELLA GUERRA IN UCRAINA di Antonio SocciCome ha scritto Tomaso Montanari, un intellettuale di sinistra, è tragicomico vedere "ex comunisti, operaisti, esponenti di Lotta Continua" che, per far dimenticare il loro passato, oggi sull'Ucraina sono "passati all'occidentalismo fanatico". Sembrano Luttwak.La devozione alla Casa Bianca, per alcuni ex, è granitica come ieri quella del Pci verso il Cremlino rosso.Non pensano all'interesse degli europei (italiani compresi) i quali non vogliono sprofondare in un guerra duratura e nella catastrofe economica. Loro sognano di abbattere Putin (come vorrebbe Biden).Un esempio? Il Corriere della sera. Da un po' è diventato "l'Unità del terzo millennio": vengono infatti dall'Unità sia il direttore, sia i principali editorialisti come Walter Veltroni e Antonio Polito (Paolo Mieli viene addirittura da "Potere operaio"…).L'editoriale di ieri, firmato da Polito, aveva un titolo militaresco: "Il fronte interno". Calzato gagliardamente l'elmetto degli artiglieri da salotto, Polito inizia stentoreo: "Il 'partito della resa' ha gettato la maschera. È ancora minoritario, ma punta ormai al bersaglio grosso: portare l'Italia nel campo di Mosca, confermando così l'antico pregiudizio per cui non finiamo mai una guerra dalla parte in cui l'abbiamo cominciata".Qualcuno dovrebbe informare Polito che l'Italia non è entrata in guerra (un piccolo dettaglio). Ma il virile richiamo politesco fa ricordare un triste passato (che speriamo non torni).Era il giugno 1940 e la prima pagina del "Corriere della sera" quel giorno tuonava: "Popolo italiano corri alle armi! Folgorante annunzio del Duce: la guerra alla Gran Bretagna e alla Francia. Dalle Alpi all'Oceano Indiano un solo grido di fede e di passione: Duce! Vinceremo!".Fu una catastrofe. Si dirà che c'era il fascismo e i giornali dovevano allinearsi. Certo, ma è un'aggravante: quando si beneficia dell'eredità di un'antica testata bisogna anche ricordarne la storia e i drammi (onori e oneri).MANDARE ARMI PER FERMARE ARMI NON HA SENSOE bisogna pensarci quattro volte, oggi che siamo liberi, prima di carezzare di nuovo l'idea della guerra con leggerezza, gettando benzina sulla follia incendiaria di Putin. Invece il Corriere se la prende con i panciafichisti.È grottesco che uno che viene dall'Unità, su un giornale diretto da un collega che viene anch'egli dall'Unità, accusi chi invita Zelensky a trattare e cedere qualcosa, per mettere fine alla strage, di voler "portare l'Italia nel campo di Mosca".Siccome Vittorio Feltri è stato il primo a prospettare (su queste colonne) tale idea, ne deriva che Feltri sarebbe uno che vuol "portare l'Italia nel campo di Mosca".Il concetto fa già ridere così. Ma appare surreale se si pensa che è espresso da un collega che viene dall'Unità, giornale che, per la morte di Stalin, aveva titolato: "Stalin è morto. Gloria eterna all'uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e per il progresso dell'umanità".Forse un minimo senso del ridicolo e del tragico aiuterebbe Polito e i colleghi del Corriere a ritrovare quella saggia moderazione che si addice a un giornale liberale e borghese.Ieri anche il premier israeliano Bennet, a quanto pare, ha suggerito al leader ucraino ciò che Feltri ha scritto giorni fa: trattare e cedere qualcosa per salvare la vita della sua gente e risparmiare loro tante sofferenze. Anche il suo è da ritenere un "sostegno esplicito al tiranno"?Sempre sul Corriere della sera, Paolo Mieli se l'è presa con chi dice che non bisogna prolungare la carneficina mandando armi all'Ucraina, ma sarebbe meglio trattare con Putin. Per lui questo è "pacifismo cinico". Però anche una testimone della Shoah come Edith Bruck ha detto: "Mandare armi per fermare armi non ha senso".Mieli e compagni propongono di mandare armi pure in decine di conflitti che ci sono nel mondo? O quei morti valgono meno? Certi bollori umanitari (a intermittenza) indicano nobiltà o fanatismo guerrafondaio? Perché sono cinici quelli che vorrebbero trattare salvando vite?NON È MORALE IL MORALISMO DELL'AVVENTURAC'è una famosa pagina di Joseph Ratzinger che dice il contrario facendo proprio l'elogio del compromesso: "essere sobri ed attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l'impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale. Il grido che reclama le grandi cose ha la vibrazione del moralismo, limitarsi al possibile sembra invece una rinuncia alla passione morale, sembra il pragmatismo dei meschini. Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell'umanità dell'uomo. Non è morale il moralismo dell'avventura… Non l'assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell'attività politica".Gesù stesso nel Vangelo fa un esempio: "quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda un'ambasceria per la pace" (Lc 14, 31-32).Se il leader ucraino avesse fatto subito così avrebbe scongiurato una tragedia. Ora più passano i giorni (più sono i morti) e più dovrà concedere. Il suo imperativo dovrebbe essere anzitutto salvare vite di ucraini, evitare ulteriori distruzioni e risparmiare sofferenze ad altri popoli, come il nostro. Le ricadute economiche di questo conflitto infatti sono già disastrose e in seguito saranno addirittura catastrofiche.Ma ovviamente colpiscono soprattutto la gente comune già provata da due anni di pandemia. Assai meno gli editorialisti del Corriere che infatti giudicano meschini i media che si concentrano "sulla benzina piuttosto che sull'Ucraina".Loro hanno sublimi ideali. Delle bollette o del prezzo dei generi alimentari che raddoppia se ne fregano e dicono agli italiani, già provatissimi, che devono sacrificarsi ancora di più. Per l'Ucraina.Ma dovrebbero dire: per le idee dei governanti ucraini. Perché l'interesse del popolo ucraino in realtà coincide con quello degli italiani: è far cessare la guerra.Nota di BastaBugie: Riccardo Cascioli nell'articolo seguente dal titolo "Le figuracce di Salvini? C'è ben di peggio" commenta la figuraccia rimediata da Salvini in Polonia, ma facendo notare che questo è solo l'ultimo episodio di una perdita totale di credibilità dell'Italia all'estero. Sull'Ucraina Draghi e Di Maio hanno subito di peggio.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 10 marzo 2022:La pessima figura di Matteo Salvini in Polonia è solo l'ultimo episodio di una saga in cui l'Italia, fuori e dentro i confini nazionali, prende schiaffi da chiunque. Salvini è stato umiliato dal sindaco di una piccola città polacca, ai confini con l'Ucraina, che ha rifiutato di riceverlo sventolandogli sotto il naso la t-shirt con l'immagine di Putin che il leader della Lega aveva indossato un tempo. Certamente quel sindaco sarà stato imbeccato dal solito giornalista o fotografo italiano militante, secondo la squallida tradizione italiana per cui si va all'estero per combattere le battaglia politiche e personali nostrane. Ma ciò non toglie la sprovvedutezza con cui un leader della maggioranza di governo prepara una missione all'estero (anche la scelta di uno staff evidentemente incapace è sua responsabilità), pensando soprattutto alla sua immagine in patria e finendo per danneggiarla insieme a quella dell'Italia tutta.Ma quello di Salvini, come dicevamo, è solo un episodio e certamente non il più grave, visto che la crisi in Ucraina ha fatto emergere con chiarezza lo stato comatoso della nostra credibilità politica all'estero. Ha cominciato colui che da noi è venerato come il Salvatore della Patria, il presidente del Consiglio Mario Draghi, sbertucciato prima da Mosca e poi da Kiev. Il 17 febbraio era stata annunciata con enfasi la sua missione a Mosca per favorire un incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente americano Joe Biden; Putin gli aveva fatto credere di essere disposto a riceverlo ma prima che Draghi potesse salire su un aereo alla volta di Mosca, le truppe russe erano già entrate in Ucraina il 24 febbraio. Ma non bastava l'umiliazione subita da Putin, Draghi se l'è cercata poche ore dopo anche con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky: nel suo commosso discorso alla Camera per riferire dell'invasione dell'Ucraina, il presidente del Consiglio ha concluso dicendo che aveva un appuntamento telefonico con Zelensky alle 9.30 ma lui «non era più disponibile»: una frase infelice che sembrava suggerire una mancanza o uno sgarbo del presidente ucraino. Che infatti si è subito reso disponibile su twitter: «Oggi alle 10:30 agli ingressi di Chernihiv, Hostomel e Melitopol ci sono stati pesanti combattimenti. Le persone sono morte. La prossima volta cercherò di spostare l'agenda di guerra per parlare con Mario Draghi ad un'ora precisa».E se Draghi, che pure un curriculum internazionale ce l'ha, viene trattato così, figuriamoci il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che nel suo curriculum può vantare al massimo le trasferte al seguito del Napoli. E infatti si è preso uno schiaffo pubblico dal ministro degli esteri russo Sergej Lavrov. Dopo che, poche ore prima dell'invasione, Di Maio ha avuto la brillante idea di dichiarare che non ci sarebbero stati nuovi incontri con i vertici russi se prima non si fosse abbassata la tensione, Lavrov ha avuto buon gioco a dichiarare che quella di Di Maio è «una strana idea di diplomazia», che «è stata creata per risolvere situazioni di conflitto e alleviare la tensione, e non per viaggi a vuoto in giro per i Paesi e degustare piatti esotici a ricevimenti di gala»
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6906L'EROISMO DEI SACERDOTI DI IERI E DI OGGI di Antonio SocciIl sacerdozio cattolico è sotto attacco: per gli scandali e certe campagne mediatiche, ma anche per le pressioni del Sinodo tedesco e per la crisi delle vocazioni. [...]Fra l'altro è il centenario della nascita di un grande sacerdote, don Luigi Giussani, che proprio negli anni rivoluzionari del '68, in cui la Chiesa sembrava alla fine, ha fatto innamorare di Gesù migliaia di giovani, sottraendoli all'inganno delle ideologie e incidendo sulla storia del nostro Paese e nella storia della Chiesa. [...]Ci siamo abituati alla presenza dei preti, sappiamo che a loro tutti possono ricorrere per trovare misericordia, ascolto e aiuto. Ma anche per trovare ragioni di vita, sapienza e luce. Lo diamo per scontato, senza nessuna gratitudine. Come se fosse normale che ci sia chi rinuncia alla propria vita per gli altri.EROISMO SCONOSCIUTO, EPPURE STRAORDINARIOA volte il loro è un eroismo che resta sconosciuto, perfino quando è straordinario. Chi ricorda, per esempio, don Giuseppe Diana?Tutti conoscono Roberto Saviano per il suo "Gomorra". Ma pochi hanno compreso che il vero eroe di quel libro è un sacerdote cattolico: don Giuseppe Diana. Perfino il titolo viene da lui, come ha raccontato lo scrittore: "Don Giuseppe Diana in un'omelia disse: 'non rendiamo questa terra la Gomorra del Paese'. Avevo sedici anni. Il sacerdote fu ucciso dai Casalesi, io fui ispirato per scrivere il libro".Don Diana non era un politico o uno scrittore o un personaggio pubblico, non cercava notorietà personale. Era semplicemente un sacerdote cattolico che cercava di amare il suo popolo come lo amava Gesù e si comportava da sacerdote: per questo fu ucciso nel 1994. Giovanni Paolo II ne parlò all'Angelus con parole toccanti.Così per il palermitano don Pino Puglisi, riconosciuto beato e martire dalla Chiesa. [...]Per tanti sacerdoti l'eroismo è la dimensione della vita, ma ci sono tanti eroismi. Spesso silenziosi e invisibili o non riconosciuti. La dedizione alla propria missione, che induce a rinunciare a tutto per amore di Cristo e dei fratelli, è eroismo anche quando non c'è il martirio.Ma in fondo oggi è eroica la stessa scelta del sacerdozio. Un giovane, in genere laureato, che rinuncia ad avere una sua famiglia, una carriera professionale, una propria vita, per servire gli altri, per servire una comunità, per amore di Cristo, fa una scelta eroica.Ancora di più oggi che il prete non è - come nel passato - una figura socialmente rispettata, ma spesso è una categoria irrisa. Perfino disprezzata.LA SUSCETTIBILITÀ UNIVERSALEEppure viviamo nel tempo della suscettibilità universale. "Basta un niente: una canzone di cinquant'anni fa, un film ambientato a metà dell'Ottocento, una battuta di oggi - eccola che arriva, l'indignazione di giornata, passatempo mondiale, monopolizzatrice delle conversazioni e degli umori".Guia Soncini, nel suo libro "L'era della suscettibilità" fotografa bene il momento attuale, in cui domina per tutti il diritto di offendersi e il dovere di indignarsi. Basta sbagliare anche solo un pronome e si finisce alla gogna. "Nessun misgendering (chiamare qualcuno con pronomi che non sono quelli che si è scelto) resterà impunito", scrive sarcasticamente l'autrice parlando dell'ideologia woke.Ma c'è almeno una categoria umana che sembra si possa bersagliare liberamente, quantomeno con l'ironia e le malignità, senza che nessuno si indigni e senza che neppure i bersagliati si difendano: i preti.Non lo si nota perché nessuno se ne lamenta, sebbene per loro sia doloroso: nella Chiesa non è praticato il vittimismo (non lo si pratica nemmeno per i tanti casi di persecuzione e martirio - documentati nel mondo - che fanno dei cristiani probabilmente il gruppo umano più perseguitato). Specialità della casa, casomai, è il "mea culpa" non il vittimismo.Ma chi osserva con attenzione i media e la rete se ne rende conto. In genere (e da tempo) i cattolici e la Chiesa, nel loro insieme, sono bersaglio di irrisione o di "provocazioni culturali", che naturalmente non si fanno nei confronti di altre religioni.Ma in particolare per la categoria dei preti ultimamente prevale una certa durezza e un'ingiusta generalizzazione per gli scandali relativi alla pedofilia. Come se questa terribile piaga riguardasse in modo specifico i sacerdoti cattolici. [...]Al di là della cronaca allora bisognerebbe comprendere cos'è il sacerdozio nella vita degli uomini e nella storia del mondo.Giorni fa mi trovavo nella basilica inferiore di San Francesco ad Assisi. Era deserta. Guardavo gli stupendi capolavori dipinti sulle pareti e d'improvviso mi accorsi che qualcuno c'era: una luce accesa in un confessionale e un frate in attesa.Ecco la Chiesa: è il "Padre misericordioso" della parabola evangelica che sta sulla soglia e freme in attesa di poter perdonare il figlio perduto, qualunque cosa abbia fatto. Un immenso abbraccio di tutte le miserie umane. E' un mare di misericordia per tutti.Lì vicino è esposto il saio di frate Francesco. Da mendicante. Francesco era diacono (il primo grado del sacramento dell'ordine) e baciava le mani di qualunque prete, per quanto sgangherato, perché quelle mani - diceva - consacrano il Corpo e sangue di Cristo. Poveri uomini che salvano il mondo.Del resto portava il saio francescano anche il primo sacerdote stigmatizzato come lui, un grande santo del Novecento: padre Pio da Pietrelcina.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6857IL CRISTIANESIMO E' IL VACCINO CONTRO OGNI IDOLATRIA di Antonio SocciPiergiorgio Odifreddi ama la battuta ad effetto e il paradosso. Repubblica (22/12) riferisce queste sue parole: "Quasi tutti siamo atei nei confronti di quasi tutte le fedi. Chi si definisce credente è ateo in tutte le religioni tranne la sua".In effetti la frase ha una sua divertente logica. Potremmo aggiungere scherzosamente che - allo stesso modo - nessun matematico crede veramente ai numeri perché ritiene che due più due faccia solo quattro ed esclude tutti gli altri numeri.Del resto Odifreddi non è originale perché i cristiani del I e del II secolo effettivamente furono proprio accusati di ateismo (subendo persecuzioni) in quanto non riconoscevano gli dèi pagani e la divinità dell'imperatore.È questo loro atteggiamento - che peraltro andava di pari passo con il rispetto delle autorità civili e dello Stato - che, pian piano, portò alla progressiva de-sacralizzazione del potere imperiale.Con buona pace dei laicisti come Odifreddi, la tanto celebrata "laicità" è stata introdotta nel mondo proprio da quel Gesù Cristo che insegnò a distinguere ciò che è dovuto a Dio da ciò che è dovuto a Cesare e che proclamò: "il mio Regno non è di questo mondo" (Gv 18,36).Non solo. Israele ricevette anticamente la rivelazione dell'assoluta trascendenza di Dio. Dunque, in base al racconto biblico della creazione, tramandato nella Genesi, in cui Dio dà all'uomo il dominio del creato, il cristianesimo si diffonde sulla terra de-sacralizzando anche il cosmo, a cominciare dal sole, dalla luna e dagli astri e così apre la strada alla conoscenza razionale del mondo e quindi alla scienza.Lo ha spiegato benissimo Joseph Ratzinger in un piccolo libro di molti anni fa: "Creazione e peccato" (Edizioni paoline). Dove scrive: "Agli uomini di allora doveva apparire un'enorme empietà dichiarare le grandi divinità del sole e della luna due lampade per misurare il tempo. È questo l'ardimento, il realismo della fede, che in polemica con i miti pagani fa brillare la luce della verità, mostrando che il mondo non è l'arena dei demoni, bensì proviene dalla ragione, dalla ragione di Dio, e poggia sulla parola di Dio. In tal modo il racconto della creazione si rivela come l''illuminismo' decisivo della storia, l'esodo dalle paure che avevano attanagliato l'uomo. Significa la consegna del mondo alla ragione, il riconoscimento della sua razionalità e libertà. Dimostra di essere il vero illuminismo anche per il fatto che àncora la ragione umana al fondamento originario della ragione creatrice di Dio, per mantenerla così nella verità e nell'amore, senza i quali l'illuminismo diventa sregolato e alla fine stolto".Il cristianesimo è storicamente il vaccino contro ogni idolatria: del potere o del mondo.A tal proposito, il '900 ha dimostrato che proprio i totalitarismi che fanno professione di ateismo sono i più idolatri. Strappano agli uomini l'unico Padre e impongono loro dei padroni come dèi.Nel regime più ateo del pianeta, quello comunista nord-coreano, Kim Il-sung, dittatore dal 1948 alla morte, nel 1994, è stato proclamato nella Costituzione "presidente eterno".Nel 1994 prese il potere il figlio Kim Jong-il che lo detenne fino alla morte, il 17 dicembre 2011. Oggi è al potere suo figlio Kim Jong-un e, in questi giorni, ricorrendo il decennale del decesso del padre, ha imposto 11 giorni di lutto nazionale durante i quali sarà proibito ridere. E pure piangere. Anche se muore un familiare non è consentito né piangere né tumularlo. Chi trasgredisce finisce male.Nota di BastaBugie: Stefano Magni nell'articolo seguente dal titolo "Kim Jong-un, 10 anni di dittatura. Vietato festeggiare" parla di quello che accade in Corea del Nord sotto la dittatura comunista. E per il popolo nordcoreano c'è veramente poco da festeggiare.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 18-12-2021:Dieci di anni di Kim Jong-un e in Corea del Nord è vietato ridere, o anche solo sorridere in pubblico. Il 17 dicembre, ieri, per chi legge, era l'anniversario della morte di Kim Jong-il, padre dell'attuale dittatore nordcoreano. È anche un periodo di "festa" teoricamente, visto che alla morte del padre è seguita la successione di Kim Jong-un, ma il tetro protocollo cerimoniale del regime comunista preferisce il lutto. Per 11 giorni filati, dieci anni dopo quel fatidico 2011, la lista dei divieti è lunghissima. Oltre che vietato sorridere o ridere in pubblico, saranno vietati i matrimoni, i funerali, i compleanni, non si potranno bere alcolici nei locali. La pena è l'arresto e si può arrivare fino alla pena di morte.C'è obiettivamente qualcosa da festeggiare in questi dieci anni di dittatura? Kim Jong-un ha inaugurato il suo "regno" con un'ondata di epurazioni che hanno colpito anche suoi parenti prossimi. E per lanciare segnali di sfida all'estero, ha ripreso ben presto sia i test nucleari che gli esperimenti di missili balistici intercontinentali, entrambi sotto sanzioni Onu. Nonostante tutto, ha anche cercato di mostrarsi come un leader moderno e più rispettoso dei diritti umani rispetto ai suoi predecessori. In dieci anni si sono registrate "solo" 27 esecuzioni in pubblico. L'elenco dei reati per cui quelle persone sono state fucilate include anche la visione e la distribuzione clandestina di video sudcoreani, come è avvenuto in almeno sette casi. Il carattere bagatellare di questi reati capitali induce a sospettare che le esecuzioni capitali siano state molte di più, anche se celate agli occhi del pubblico.Quel che la Corea del Nord continua a negare è l'esistenza dei campi di concentramento, mai chiusi sin dai tempi di Stalin. L'arcipelago Gulag nordcoreano è stato documentato sia da foto satellitari che da testimonianze in presa diretta, sia di ex guardie che di ex prigionieri, raccolte dall'Ufficio dell'Onu per i Diritti Umani. I racconti riguardano anche il periodo che va dal 2012 al 2019, dunque l'era di Kim Jong-un. Lo scenario è simile a quello raccontato da Solzhenitsin sulla sua esperienza nel Gulag staliniano. I prigionieri sono costretti a lavorare in condizioni disumane, in alcuni racconti sono direttamente impiegati al posto delle bestie da soma per trainare carri e aratri. La mortalità è elevatissima, anche perché le punizioni fisiche sono frequenti e provocano lesioni gravi, mutilazioni e spesso anche la morte dei prigionieri.Kim Jong-un, che ha studiato all'estero (in Svizzera) ha promosso di sé l'immagine di un leader moderno intento a riformare economicamente il Paese. Ma dieci anni dopo, la situazione è precipitata e lo stesso dittatore ha dovuto ammettere, la primavera scorsa, che il Paese sta attraversando un nuovo "arduo marzo", il termine con cui è popolarmente conosciuta la grande carestia degli anni 90. La nuova crisi è stata innescata soprattutto dalla chiusura di tutte le frontiere, compresa quella con la Cina, per evitare l'arrivo del Covid-19. Dopo aver fermato tutte le importazioni, la popolazione fa la fame. Testimonianze raccolte da Open Doors, riferiscono di catasti del cibo e fabbriche alimentari circondate da filo spinato e presidiate da guardie armate, per impedire furti di cibo. La gente se la cava come può, anche mangiando erbe selvatiche. Se è vero che la situazione è precipitata a causa della chiusura delle frontiere, oltre che di una serie di tempeste e altri fattori naturali, l'agricoltura nordcoreana dà ancora una pessima prova di sé, dimostrando di essere ancora in balìa degli eventi naturali. Non è cambiato, poi, il criterio di distribuzione del cibo: prima i militari, poi il resto della popolazione. E nonostante ciò, il militare che nel 2017 riuscì a defezionare in Corea del Sud, ferito dai suoi ex commilitoni durante la fuga, venne trovato dai medici sudcoreani così malnutrito e infestato da parassiti da diventare un caso studio.Sempre secondo Open Doors, la Corea del Nord è, per il ventesimo anno di fila, il Paese al mondo in cui i cristiani patiscono la persecuzione più estrema. «Essere individuati come cristiani è una sentenza di morte in Corea del Nord. Se non si viene uccisi all'istante, si viene deportati in un campo di lavoro per crimini politici. Queste prigioni disumane impongono condizioni orribili e si pensa che pochi fedeli ne escano vivi», recita l'inizio del rapporto sulla persecuzione dei cristiani nel 2021. Ufficialmente la religione è libera e, oltre a numerosi templi buddisti, a Pyongyang si possono trovare anche cinque chiese cristiane, tre protestanti, una ortodossa e una cattolica (la cattedrale di Changchung). Eppure i cristiani nordcoreani, stimati in circa 400mila, devono vivere nell'ombra, non possono praticare il culto né in pubblico, né in privato. Dai 50mila ai 70mila cristiani sono attualmente internati nei campi di concentramento. La Corea del Nord, sin dai tempi di Stalin, che insediò al potere Kim Il Sung (nonno di Kim Jong-un) nel 1948, è uno Stato ufficialmente ateo. O meglio: neopagano, perché i suoi leader, ormai una dinastia intera, sono venerati come se fossero dei. E per questo è vietato anche solo sorridere nei giorni in cui cade l'anniversario della morte dell'ultimo di questi dei.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6784LE FROTTOLE DI ROMANO PRODI SULL'EUROPA di Antonio Socci"Le immagini raccontano l'Europa" è un libro di Romano Prodi in cui le foto illustrano la storia dal 1945 ad oggi."Repubblica" (9/11) anticipa il testo dell'ex presidente della Commissione europea. La sua narrazione ovviamente gronda retorica e confonde indebitamente la UE con l'Europa.Inoltre l'autore rivendica "le nostre radici" che "si fondano prima nel mondo greco-romano e, successivamente, nel cristianesimo". Secondo Prodi furono "queste nostre radici" a permettere "la nascita delle grandi università" che hanno prodotto "un primato intellettuale e scientifico" da cui "nello stesso tempo" è germogliata "un'identità che possiamo davvero chiamare europea".Viene da chiedersi perché si possa orgogliosamente rivendicare un'"identità europea", mentre sembra disdicevole parlare - per esempio - di identità italiana (è ritenuto "sovranismo").W LA PACEProdi torna poi a ripetere il ritornello propagandistico della UE: "solo l'unità politica poteva garantirci la pace permettendoci di conservare le nostre radici".Ma è così? Intanto la UE - che non comprende tutti gli stati e i popoli europei - nasce negli anni Novanta e ha come connotato proprio lo strappo da quelle radici cristiane esaltate da Prodi: fu evidente nella discussione sulla Costituzione europea e ancor più lo si vede nell'orientamento ideologico delle sue scelte, sempre "politically correct".Quanto al "primo obiettivo", cioè la pace, secondo Prodi "è stato pienamente raggiunto: da oltre 75 anni nessun conflitto armato ha insanguinato il suolo di alcuno fra i Paesi europei che cercavano fra di loro un accordo"."Da 75 anni" significa dal 1945-46. È inspiegabile come si possa ripetere per propaganda un argomento così infondato: è noto infatti che l'Unione Europea è nata con il Trattato di Maastricht del 1992.Ma soprattutto va detto che, dal 1945 fino al crollo del Muro di Berlino (1989), la "pace" in Europa fu dovuta a Yalta, alla "guerra fredda" ovvero all'equilibrio del terrore fra Usa e Urss.Nel 1957 fu firmato il Trattato di Roma che istituì, su spinta americana, la "Comunità economica europea" fra sei stati dell'Europa occidentale, per "la scelta statunitense" scrive Limes "di non evacuare la porzione di Europa controllata al termine della seconda guerra mondiale per impedire che venisse assoggettata da Mosca: Stalin è all'origine di Nato e Comunità europee (poi Ue) quanto Truman, con i ‘padri fondatori' europei in veste ancillare".IL RUOLO DELLA GERMANIALa pace mantenuta da Usa e Urss si fondava proprio sulla sottomissione la spartizione dell'Europa in due sfere d'influenza: in particolare sulla divisione in due della Germania che era stata all'origine della tragedia bellica mondiale.Crollata l'Urss cambia la scena geopolitica e la UE nasce nel 1992 proprio in seguito all'unificazione tedesca.Da allora però si ripropone l'allarme preventivo lanciato da Arnold Toynbee nel suo "Civilization on trial" del 1949: se "la Germania fosse inclusa in una Unione Europea" senza Usa e Urss "diverrebbe, a lungo andare, la padrona" e tale Unione sarebbe "sotto il predominio germanico". Un grave pericolo per gli europei, secondo Toynbee.Pure Benedetto Croce, c'informa Repubblica (10/11), scriveva su "Risorgimento liberale", addirittura nel 1944, un articolo in cui metteva in guardia dalla Germania che "in previsione della sconfitta militare" già "prepara la terza guerra mondiale".C'è stata questa guerra? Dicono i grandi strateghi che "l'eccellenza suprema" consiste nel vincere una guerra senza l'uso della forza militare.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6780COSA C'E' DIETRO IL SORPRENDENTE SUCCESSO PLANETARIO DEI MANESKIN di Antonio SocciMassimo Gramellini sul Corriere della sera (29/10) definisce "felice mistero" il fulmineo successo mondiale dei Maneskin.Ci sono infatti decine di cantanti italiani che hanno scritto e cantato pezzi bellissimi, che restano nella memoria di tutti. Ma perfino Vasco Rossi, ricorda Gramellini, "ha sempre fatto fatica a essere ascoltato oltre Chiasso".Poi arrivano i Maneskin, la cui produzione artistica non è neanche paragonabile, per qualità e quantità, al repertorio di tanti nostri autori, e diventano di colpo star internazionali: addirittura sono stati scelti per aprire il concerto dei Rolling Stones a Las Vegas."Che cosa possiedono dunque di così speciale?". A questa domanda nessuno riesce rispondere che ciò accade per le loro canzoni. Oltretutto sono appena arrivati. E allora come nasce questo successo mondiale?Gramellini stesso fornisce una risposta: "Per usare una parola alla moda, sono fluidi. Damiano, il cantante, è un maschio che si trucca senza perdere virilità. Victoria, la bassista, è una donna che fa la dura senza perdere femminilità. Tutti e quattro appaiono sfuggenti, nitidi eppure sfocati, non incastrabili in una definizione".Secondo Gramellini, che sottolinea la coincidenza fra la loro "consacrazione planetaria" e la caduta del Ddl Zan nel "retrogrado" parlamento italiano, rappresentano "la normalità per i ragazzi di oggi". O quantomeno la norma che si vuole a loro insegnare.Dunque, stando a quanto si legge sulla prima pagina del "Corriere", il successo dei Maneskin non è dovuto alle canzoni, ma all'ideologia che essi incarnano e interpretano, alla loro capacità (maggiore degli altri cantanti) di esprimere fisicamente, teatralmente, la nuova normalità, il nuovo canone della "fluidità" a cui bisogna omologarsi.Da questo punto di vista, il loro, nel 2021, non è certo un messaggio rivoluzionario, di ribellione e disobbedienza al sistema. Ma l'esatto contrario.Non a caso il loro trionfo è decretato da quella potente industria dello spettacolo che da anni è la chiassosa paladina planetaria di quell'ideologia, sponsorizzata dalla classe dominante.Pier Paolo Pasolini già nel 1975 affermava che "i diritti civili hanno assunto una colorazione classista" e che su di essi si stava costruendo, un nuovo conformismo, anzi: "la certezza del conformismo".In effetti quella è oggi l'ideologia dell'élite (la deregulation antropologica è l'altra faccia della deregulation economica).Però non è ancora diventata senso comune maggioritario fra la gente che ha piuttosto i problemi del lavoro, dello stipendio, del progressivo impoverimento e della perdita dei "diritti sociali".Eppure è martellante la propaganda - anche nella pubblicità - di quell'ideologia che Marco Rizzo definisce "un'arma di distrazione di massa della macchina capitalista".Si vuole che le masse interiorizzino il codice "politicamente corretto" che non si accontenta di avere quasi il monopolio della scena, ma ormai detta legge. Non tollera dissenso manifesto. Di fronte ad esso bisogna stare tutti "zitti e buoni".A sottolineare il clima che si è creato è stato addirittura Benedetto XVI che, in un'intervista concessa prima del 2020 a Peter Seewald per la sua biografia ("Benedetto XVI", Garzanti), alludendo all'uragano "politically correct" che sta stravolgendo l'Occidente, ha usato parole drammatiche: ha parlato addirittura di "dittatura universale di ideologie apparentemente umanistiche, contraddire le quali comporta l'esclusione dal consenso di base della società".
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6735I SOTTOMARINI NUCLEARI AMERICANI IN AUSTRALIA FANNO INFURIARE LA FRANCIA E LA CINA: DA CHE PARTE STARE? di Antonio SocciSolitamente "Repubblica" è un giornale impegnato a dare le pagelle di fedeltà agli Stati Uniti, alla Nato e all'Occidente in generale.Per questo stupisce ciò che ieri, su Cina e USA, ha scritto Michele Serra, una delle firme più rappresentative del quotidiano scalfariano, uno che spesso alza il ditino moralista per impartire lezioni a chi non è di sinistra.Dunque nella sua rubrica, nella pagina dei commenti, ieri, si è occupato della controversia fra la Francia (da una parte) e (dall'altra) l'Australia e gli Stati Uniti per la storia dei sottomarini nucleari.Al di là della lite commerciale, Serra coglie il problema così: "pare che la flottiglia di sottomarini destinata all'Australia sia in funzione anticinese".L'editorialista, che evita di spiegare quanto è preoccupante l'egemonia (anche militare) della Cina sul Pacifico, fa questo ragionamento geopolitico: "la Cina, almeno per il momento, più che a fare la guerra sembra interessata a comperarsi, pezzetto dopo pezzetto, tre quarti del pianeta".Mentre "l'egemonia americana si è retta molto sulla supremazia militare, quella cinese punta tutto sul potere economico".Per trarre le conclusioni, Serra non si avvale di qualche studioso di geopolitica, ma - letteralmente - di un amico del bar: "Nel caso l'egemonia mondiale dovesse passare ai cinesi, vale l'ottima battuta (da bar: del resto è proprio al bar che l'ha detta) del mio amico Umberto: ‘Tu preferiresti essere bombardato o comperato?'".Dunque, se la Cina fa acquisti e gli Stati Uniti bombardano, dovremmo preferire la Cina. Se l'alternativa fosse davvero questa si dovrebbe optare per Pechino, perché chiunque preferisce lo shopping a un bombardamento. Ma è davvero quella l'alternativa? Il titolo che "Repubblica" ha fatto alla rubrica di Serra dice di sì: "Bombardare o comperare?".LE DIFFERENZE TRA STATI UNITI E CINAOvviamente non è così. È perfino banale sottolineare che in realtà l'egemonia americana è politica ed economica. Va ricordato inoltre a Serra che gli americani bombardarono sì l'Italia, circa 80 anni fa, ma per liberarla dagli invasori nazisti e per stabilirvi la democrazia, che infatti finanziarono lautamente con il "Piano Marshall", portandola al miracolo economico (i cimiteri dei soldati americani sono ancora fra noi).È chiaro che l'Italia sta nella sfera d'influenza americana, perché è quella che ci ha evitato di finire schiacciati sotto i carri armati sovietici, è quella che ci ha dato la libertà e il benessere.Mentre l'idea idilliaca che Serra sembra avere della Cina - come un paese laborioso, pacifico e dedito al commercio - non corrisponde alla realtà: il regime comunista cinese si è instaurato nel sangue e, dal 1949, si è consolidato con il massacro di milioni e milioni di persone.Ogni sussulto di libertà viene represso ferocemente come dimostra il massacro di piazza Tienanmen del 1989. Tuttora il comunismo cinese ha il suo Gulag, dove rinchiude qualsiasi dissidente. Quanto al "pacifismo" cinese Serra può chiedere informazione ai tibetani invasi e schiacciati da Pechino o, caso più recente, agli abitanti di Hong Kong.Il disegno imperiale della Cina comunista - che è una potenza nucleare - ha oggi come pilastro l'egemonia sull'Oceano Pacifico, dove ormai ha una flotta militare superiore a quella degli Stati Uniti.Questa è la nuova linea strategica di Xi Jinping, il quale ritiene che la Cina, storicamente, abbia fatto l'errore strategico di concepirsi, per secoli, solo come potenza di terra, senza prevedere i pericoli che sarebbero arrivati dal mare e senza capire le potenzialità di un'egemonia sui mari.È una novità geopolitica enorme che gli Usa hanno capito in tutta la sua portata, perché gli Stati Uniti non hanno frontiere di terra pericolose: solo dai due oceani, Atlantico e Pacifico, possono presentarsi rischi. Un'egemonia cinese sul Pacifico, quindi, li riguarda direttamente perché loro "confinano" con quell'Oceano.LE PAURE DI INDIA, GIAPPONE, TAIWAN E COREA DEL SUDDel resto ad essere allarmati per questa situazione non sono solo Stati Uniti e Australia, ma tutti i paesi asiatici a cominciare da India e Giappone (oltre a Taiwan e Corea del Sud).A differenza di quanto crede l'editorialista di "Repubblica", dunque, la potenza cinese non è solo economica (cosa che già di per sé è inquietante, infatti punta al sorpasso sugli Usa), ma è anche militare.Com'è possibile che a Serra sfugga il pericolo planetario rappresentato dalla Cina? Il fatto che egli venga dall'Unità e da quella storia lì non dovrebbe impedirgli oggi, nel 2021, di riconoscere la realtà. In fondo i post-comunisti fanno da tempo professione di atlantismo.È mai possibile che a sinistra ci sia ancora qualche nostalgia inconscia verso il rosso antico che induce all'indulgenza verso i regimi comunisti?Sì, è possibile. Lo fa pensare anche l'intervista di Massimo D'Alema, il politico più rappresentativo del vecchio Pci, a "New China Tv", rilasciata nel giugno scorso, nell'ambito dei festeggiamenti per i cento anni dalla fondazione del Partito comunista cinese.In quell'intervista, rilanciata su Twitter dalla portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, D'Alema sottolinea la necessità di "riprendere la via di una forte collaborazione" con la Cina. Concetto opposto alla linea emersa nel G7 di quei giorni, ma che D'Alema aveva già espresso nel suo ultimo libro e in altri interventi.Inoltre l'ex premier ha energicamente lodato lo "straordinario salto verso la modernità e il progresso" realizzato dalla Cina, che, dice D'Alema, "è il grande merito storico del Partito comunista cinese".Dopo il naufragio del comunismo sovietico, che costrinse i compagni italiani a cambiar nome, il fatto che emerga, in Asia, un comunismo vincente, sembra avere per alcuni il sapore di una rivincita storica.Non è chiaro se si va verso una nuova "guerra fredda" fra Occidente e Cina, ma deve essere chiaro, anche in Italia, da che parte si sta.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6655GLI EUROPEI DI CALCIO CI HANNO RICORDATO COS'E' L'EUROPA di Antonio SocciBisognerebbe tenere a mente certe nozioni di storia e di geografia nel dibattito pubblico e non sempre accade. Per esempio, consideriamo la differenza fra l'Europa e l'Unione Europea.L'Europa è un continente che va dall'Atlantico agli Urali, come ricordava Giovanni Paolo II sottolineando la sua identità giudaico-cristiana e la sua eredità greco-romana. Comprende 43 Stati più alcuni transcontinentali.Invece l'Unione Europea comprende 27 Stati che, da qualche decennio, hanno sottoscritto un trattato internazionale.Molti Paesi non hanno sottoscritto tale Trattato e non sono nella UE, ma fanno parte dell'Europa, da sempre: per esempio Svizzera, Russia, Gran Bretagna (uscita di recente dalla UE), Islanda, Norvegia, Ucraina, Albania, Serbia eccetera.Ebbene, questa distinzione (fondamentale) talora si perde forse per l'abitudine erronea di chiamare "Europa" quella che invece dovrebbe essere chiamata "Unione Europea" (c'è anche, in tale brutta consuetudine, una certa arroganza politica).Questo ha finito per dare origine a equivoci ed errori stupefacenti. Lo si è visto in certe cronache del Campionato europeo di calcio 2020, che è la sedicesima edizione del torneo organizzato dall'Uefa e disputato nel 2021 a causa del Covid.Tale campionato non riguarda i paesi dell'Unione Europea, ma i Paesi dell'intera Europa affiliati alla Uefa, infatti - come ricordiamo - hanno partecipato le Nazionali di Svizzera, Russia, Turchia e Ucraina che non fanno parte della Ue.La loro stessa presenza avrebbe dovuto far ricordare a tutti la distinzione fra le due diverse entità: l'Europa (il grande continente dalla storia antica) e l'Unione Europea (la piccola e arrogante organizzazione internazionale istituita con un recente Trattato). Invece no. SOVRANISMO?Per esempio, sulla "Stampa" (7/7) un articolo di Gabriele Romagnoli è uscito con questo sottotitolo: "Con tutte le tentazioni sovraniste e le recriminazioni anti-comunitarie incredibilmente andiamo a rappresentare in finale lo sfinito continente".Cosa c'entrano il sovranismo e le "recriminazioni anti-comunitarie" con il calcio non si sa. Ma soprattutto cosa c'entrano con un campionato che non riguarda la UE, ma l'Uefa e il continente (europeo)?Speravo in una forzatura del titolista e invece è proprio farina del sacco di Romagnoli che così inizia il suo pezzo: "Incredibilmente l'Europa siamo noi. Con tutte le tentazioni sovraniste e le recriminazioni anti-comunitarie va l'Italia a rappresentare lo sfinito continente, forse proprio contro chi ha preferito uscire dalla sua storia se non dalla sua geografia".Allude alla Gran Bretagna (confusa con la sola Inghilterra).BREXITMaurizio Crosetti che sulla prima pagina di "Repubblica" (4/7) esordisce così: "Gli inglesi non sono mai stati più dentro l'Europa da quando hanno deciso di chiamarsene fuori".Allude al fatto che la Gran Bretagna (non la sola Inghilterra) è uscita dalla UE: secondo lui è uscita dall'Europa.Poi prosegue: "Gli manchiamo da morire e ce lo fanno sapere su un campo di calcio... L'Europa che disprezzano ora la rivogliono tutta". Secondo Crosetti "gli inglesi... giocano una partita mascherata... solo perché la vecchia, gloriosa, amata Europa li riprenda indietro".Titolo dell'articolo in prima: "L'Inghilterra ora rivuole l'Europa". E all'interno: "Nostalgia dell'Europa".P.S. La Gran Bretagna non solo ha deciso la Brexit con un referendum, ma l'ha confermata dando il trionfo a Johnson alle elezioni politiche. Fuori dalla UE, non dall'Europa.Nota di BastaBugie: Tommaso Scandroglio nell'articolo seguente dal titolo "Il tifo per gli Azzurri, l'unico nazionalismo accettato" spiega perché i festeggiamenti per le vittorie della nazionale italiana sono le uniche forma socialmente accettate di nazionalismo, sovranismo, orgoglio nazionale. Per capire questo bisogna ricordare che la nazione non è lo Stato (che, anzi, tende a soffocarla).Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana l'11 luglio 2021:Domandiamoci: cosa è stata questa nazionale in questo Europeo per i nostri concittadini, almeno per quelli in cui batte un cuore azzurro?Di certo una boccata di ossigeno, una di quelle senza mascherina, per intenderci. Sarà un luogo comune, anzi affollato quello di dire che la nazionale ha restituito un po' di serenità al popolo italico dopo un anno e passa di pandemia, ma nel fondo di ogni luogo comune spesso c'è un pizzico di verità. Vederli giocare in modo convincente e poi vincere ha compensato un poco le scelte vessatorie di chi fa il Commissario tecnico dell'Italia, ma che non siede in panchina, bensì al governo e in parlamento. Ad un gol di Chiesa il ricordo dei plurimi lockdown si faceva un poco più appannato, ad uno di Locatelli l'autocertificazione pareva solo un brutto sogno, ad uno di Immobile il coprifuoco sembrava un termine che si potesse applicare solo ai tempi di guerra. L'Italia divisa in zone rosse, arancioni, gialle e bianche, grazie a Mancini è diventata tutta azzurra.Sarà solo retorica questa - qualcuno penserà - ma è quella buona che nasce dai sentimenti, costumi e tradizioni condivise. Ossia nasce dal sentimento patrio che è vero che riemerge solo quando undici giocatori in maglia azzurra scendono in campo, ma almeno riemerge e questo è più importante di quello che sembri. Infatti l'euforia collettiva e clacsonara che inebria molti è prova provata che esiste la Patria, realtà di diritto naturale incisa a lettere di fuoco nell'anima di tutti e quindi nell'anima di un intero popolo. La differenza tra il tifo per un club di calcio e il tifo per una nazionale sta proprio qui: nel primo caso esprime una fede calcistica per una squadra che può anche rappresentare sul campo l'identità di una città, ma non sempre accade. Oppure, insieme a questa prima eventualità, esprime l'appartenenza ad una storia di un team che ha un suo profilo, un suo carattere con cui ci sentiamo legati. La nazionale invece rappresenta, banale a dirsi, un'intera nazione che è concetto ben diverso da quello di Stato. Con il primo termine si intende l'insieme di tradizioni, costumi, norme non scritte, sensibilità, etc. che innervano un intero popolo, che gli dà forma. Il secondo indica quell'ente che racchiude in sé una serie di apparati per la gestione del res publica su un dato territorio. La nazione è l'anima di un popolo, lo Stato spesso soffoca quest'anima. Di più: nessuno andrebbe a fare caroselli per lo Stato italiano perché, almeno il nostro, è una istituzione senz'anima.Dunque la Patria e la Nazione esistono e il nostro entusiasmo per ogni pallone buttato in rete dai scarpini azzurri lo testimonia. Allora la nazionale, per paradosso, è diventato l'ultimo baluardo di un sovranismo e di un nazionalismo ancora accettati. Una sorta di riserva indiana in cui ancora è permesso esibire l'orgoglio italico, esultare perché si è migliori di altri almeno a calcio (la più grande bestemmia esistente contro la divinità del politicamente corretto è affermare che qualcuno o qualcosa è migliore di qualcun altro o di qualcos'altro), indulgere in sfottò ai danni di cittadini extraitalici. Un'enclave dove essere fieri di essere italiani, dove si custodisce, seppur sotto le semplici sembianze sportive, la nostra identità, ma non quella artefatta e adulterata fatta inclusività arcobaleno, Ddl Zan, reality Tv, desertificazione nelle chiese e nelle culle, vite da influencer e marce contro il surriscaldamento globale, ma quella autentica e solo apparentemente retorica cesellata lungo i secoli dai nostri poeti, dai nostri pittori, dai nostri musicisti e dai nostri santi. E cosi quando [...] esulteremo questa sera dal divano di casa insieme ad amici o parenti, noi in modo indiretto e del tutto inconsapevole daremo gloria a Dante, a Michelangelo e a San Francesco. [...]
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6450LA TIRANNIA DEL CONFORMISTAIl conformista è la canzone di Giorgio Gaber sul pensiero uniforme e preconfezionato che diventa violento e intollerante contro chi la pensa diversamente (VIDEO: Il conformista di Giorgio Gaber)di Antonio SocciIn questi tempi di pensiero uniforme e preconfezionato, sui media e nella rete, quindi nelle relazioni sociali, sembra tornata di grande attualità la canzone di Giorgio Gaber, "Il conformista".È la perfetta rappresentazione del mondo dei semicolti e dei cosiddetti intellettuali di oggi, seguiti e imitati pedissequamente da greggi che pascolano sui social e nei media:"Il conformista è uno che di solito sta sempre dalla parte giustaha tutte le risposte belle chiare dentro la sua testa è un concentrato di opinioniE quando ha voglia di pensare pensa per sentito dire forse da buon opportunista si adegua senza farci caso e vive nel suo paradiso".Ovviamente "il conformista" che un tempo fu "fascista" poi è diventato "marxista-leninista/ e dopo un po' non so perché mi son trovato Americanista" (il testo dice: cattocomunista, ma lui cantando dice "americanista").Ma soprattutto - dice Gaber, facendo una carrellata degli ultimi decenni - è stato "un po' sessantottista", da qualche tempo "è ambientalista", per un po' è stato "come un po' tutti socialista", ma in sintesi oggi è "progressista, / al tempo stesso liberista antirazzista" e pure "animalista" (non più "assistenzialista"). E naturalmente è "ottimista europeista", "femminista" e "pacifista".Il genio popolare di Gaber - oltre alle trasformazioni delle idee - coglie la psicologia di questo diffusissimo tipo umano. Il conformista è uno "senza consistenza" che "s'allena a scivolare dentro il mare della maggioranza" e "vive di parole da conversazione... galleggiando", come un pallone "gonfiato dall'informazione", un tipo umano "che vola sempre a bassa quota in superficie / poi sfiora il mondo con un dito e si sente realizzato".La satira di Gaber si ferma qui. Si potrebbe aggiungere che "il conformista" è uno che non si fa domande che possano destabilizzarlo e quindi si scandalizza quando trova chi semina dubbi e pone interrogativi scomodi che mettono in discussione i suoi preconcetti, le sue idee convenzionali.L'ALTRO LATO DELLA MEDAGLIAE qui spunta l'altro lato della medaglia del pensare conformista che è la scomunica collettiva verso il pensiero dissidente, il disprezzo verso l'eretico, l'ostilità di branco contro i non allineati (con relativa gragnuola di insulti), la demonizzazione dell'avversario trasformato in Nemico (talvolta addirittura nemico dell'umanità) e poi - spalmato dappertutto - l'odio, distillato di odio, ma ovviamente mascherato come il suo contrario, cioè come lotta contro "l'odio" che si attribuisce al Nemico.Ci sono i "catechismi civili" da ossequiare, con i loro luoghi comuni e ci sono ormai addirittura i "dizionari politicamente corretti", con le parole e i pensieri permessi e vietati, per convenzione sociale, per regolamento e presto perfino per legge. Oggi siamo arrivati molto in là nel regno del luogocomunismo.All'origine però c'è sempre una sottomissione accettata, spesso per quieto vivere. La libertà comincia a morire a volte in modo impercettibile. All'inizio magari per un clima pedagogico, che diventa sottilmente intimidatorio, a cui ci si arrende, prima individualmente e poi collettivamente.Questo ci dice un breve racconto di Dino Buzzati intitolato "La parola proibita", che fa parte del volume "Sessanta racconti", pubblicato da Mondadori, e che dovrebbe trovare cittadinanza nelle antologie scolastiche.Buzzati - che è vissuto nel mondo dei giornali ed è morto nel 1972 - descrive benissimo il meccanismo che induce all'autocensura e poi alla sottomissione all'ideologia dominante.Il protagonista del breve racconto (surreale e distopico) esordisce dicendo che "da velati accenni, scherzi allusivi, prudenti circonlocuzioni, vaghi sussurri, mi sono fatto finalmente l'idea che in questa città, dove mi sono trasferito da tre mesi, ci sia il divieto di usare una parola".LA PAROLA PROIBITAIncuriosito va ad interrogare un amico, Geronimo, e quello conferma, ma gli spiega che non se la sente di dirgli che parola è: "io vivo in questa città da oltre vent'anni, essa mi ha accolto, mi ha dato lavoro, mi permette una vita decorosa, non dimentichiamolo. E io? Da parte mia ne ho accettate le leggi lealmente, belle o brutte che siano. Chi mi impediva di andarmene? Tuttavia sono rimasto. Non voglio darmi le arie da filosofo, non voglio certo scimmiottare Socrate quando gli proposero la fuga di prigione, ma veramente mi ripugna contravvenire alla norma della città che mi considera suo figlio... sia pure in una minuzia simile. Dio sa, poi, se è davvero una minuzia..."Non per paura di una punizione, no, dice Geronimo: "anche se non è accompagnato da sanzione, il precetto può assurgere a tutto il suo massimo valore; siamo evoluti, noi."Neanche per dovere di coscienza, che ormai - spiega Geronimo - non è più intransigente come prima e si è addomesticata in "qualcosa di più tranquillo. Volgarmente lo si chiama conformismo. È la pace di colui che si sente in armonia con la massa che lo attornia. Oppure è l'inquietudine, il disagio, lo smarrimento di chi si allontana dalla norma". E "questo basta. È una forza tremenda, più potente dell'atomica".Certamente esiste, aggiunge, "una geografia del conformismo. Nei paesi arretrati è ancora in fasce, in embrione, o si esplica disordinatamente, a suo capriccio, senza direttive. La moda ne è un tipico esempio. Nei paesi più moderni, invece, questa forza si è ormai estesa a tutti i campi della vita, si è completamente rassodata, è sospesa si può dire nell'atmosfera stessa: ed è nelle mani del potere".NON SI DEVE MAI ESSERE CONNIVENTI CON LA MENZOGNACome se il potere si fosse interiorizzato nelle anime. Quella "parola proibita" non è un'espressione sporca o delittuosa: "Tutt'altro. È una parola pulita, onesta e tranquillissima. E proprio qui si è dimostrata la finezza del legislatore".Il dialogo è fine e geniale, tutto da leggere. In breve, s'intuisce che la "parola proibita" del racconto - senza che mai venga espressa (rimane come spazio bianco) - è "libertà". E si capisce che, con la parola, Buzzati intende dirci che è proibita soprattutto l'idea di libertà, la sua dimensione vissuta.Nella "geografia del conformismo" rammentata da Buzzati, oggi, bisogna dire che perdura tuttora quello soffocante dei regimi totalitari, come la Cina comunista, ma, con il conformismo e la censura dei media e dei giganti del web (non solo nel clamoroso caso di Trump: la punta dell'iceberg), anche in Occidente si respira la pesante atmosfera illiberale di un "pensiero unico" obbligato.Così tornano d'attualità le letture giovanili degli spiriti liberi, quando, negli anni Settanta - gli anni del dissenso eroico di Solzenicyn in Urss e gli anni della cappa ideologica marxista imposta qua da noi - si leggeva "Vivere senza menzogna" del grande scrittore russo e "Il potere dei senza potere" di Vaclav Havel, l'allora sconosciuto drammaturgo cecoslovacco che entrava e usciva dal carcere comunista e che divenne poi il primo presidente della Cecoslovacchia libera.In entrambi questi libri risuonava lo stesso messaggio: mai essere conniventi con la menzogna per quieto vivere o per paura. Il dispotismo è un gigante dai piedi d'argilla che crolla di fronte all'inerme verità, pronunciata dagli uomini liberi.Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 5 minuti) si può ascoltare Giorgio Gaber che canta "Il conformista".
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6332COME FIDARSI DI UN GOVERNO CHE DA' LA CACCIA AI SANI INVECE DI CURARE I MALATI? di Antonio Socci"Non si capisce dove stiamo andando", ha dichiarato ieri Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, dopo l'ennesimo Dpcm di Conte. È l'impressione generale. E i costi di questa deriva sono altissimi. Le sole cose certe, concrete e utili che si dovrebbero fare, non si fanno. Sono in particolare due.Primo: curare subito a casa (invece di abbandonarli alla sorte) coloro che hanno primi sintomi non gravi di Covid con i farmaci efficaci (che ci sono) sulla base di un protocollo nazionale: queste cure precoci - dicono gli specialisti - scongiurerebbero aggravamenti, ricoveri, collasso di ospedali e pure morti.Secondo: predisporre un numero di letti adeguato nelle terapie intensive e nuove strutture con nuovo personale (cosa che non è stata fatta in cinque mesi: se ne parla ora).Sul primo punto, in queste ore, è stato il governatore veneto Zaia a intervenire decisamente: "chiedo che a livello nazionale si stabiliscano protocolli di cura efficienti per la terapia domiciliare nei primi giorni perché sono quelli che ci evitano i ricoveri. E non parlo solo di cortisone" ha aggiunto "ma di altri principi attivi che hanno funzionato e che sono stati messi in discussione".Anche l'on. Armando Siri (Lega) ha chiesto "urgentemente" al governo di "premere su Aifa per sbloccare i protocolli di cura domiciliare per il Covid" invece di "dare il colpo di grazia all'economia italiana con l'ennesimo Dpcm" che insiste con "misure liberticide e catastrofiche per il lavoro".IL GOVERNO A CACCIA DEI SANIPer tutti questi mesi il governo, invece di occuparsi di come curare i malati, è andato a caccia di ristoranti, bar, discoteche e falò sulla spiaggia, dopo essersi dedicato a monopattini e banchi a rotelle. Cioè ha inseguito il nulla.Anziché occuparsi dei malati, ha concentrato tutte le attenzioni sulla ricerca dei cosiddetti "positivi", ma "il 95% dei positivi", com'è stato autorevolmente spiegato dal professor Giorgio Palù, "non ha sintomi e quindi non si può definire malato". Inoltre "è certo che queste persone sono state 'contagiate', cioè sono venuti a contatto con il virus, ma non è detto che siano 'contagiose', cioè che possano trasmettere il virus ad altri...".Oltretutto il test non dà un verdetto sicuro e ci sono pure i casi di persone con sintomi (anche gravi come la polmonite interstiziale) che non sono positivi.Addirittura c'è chi si domanda se sia stata dimostrata la relazione di causalità fra il nuovo virus e la malattia, dal momento che, a quanto pare, il famigerato agente patogeno, a tutt'oggi, non è stato isolato, come invece si sarebbe dovuto fare subito.Gli specialisti spiegano che alla base di ogni strategia contro un'epidemia c'è l'isolamento del nuovo virus, la purificazione da altro materiale biologico e lo studio che dimostri la correlazione di esso con la malattia. Ma tutto questo non c'è stato se non in modo parziale.Così i test cercano qualcosa che non ha volto, non si sa cos'è, com'è fatto e come si comporta. Per questo i test non possono dare risultati certi. Anche per questo la sola, ossessiva, corsa ai positivi (per di più sempre in ritardo) non è risolutiva.Oltretutto questo virus ha un comportamento anomalo. Una pandemia dovrebbe comportarsi allo stesso modo nelle zone omogenee e dovrebbe avere alta letalità. Invece non c'è l'alta letalità e il suo comportamento è imprevedibile.TRE ESEMPINessuno ha ancora spiegato cosa sia successo in Cina. Sembra che là tutto sia improvvisamente e totalmente passato. Arrivano immagini e reportage da Wuhan che oggi mostrano vie e locali pieni di gente senza mascherine. Il Covid sembra scomparso anche secondo i dati ufficiali. Perché? Possibile che nessuno se lo chieda e nessuno dia spiegazioni?Altro caso: il Giappone. È a due passi dalla Cina, ha 126 milioni di abitanti(il doppio dell'Italia), ha un'età media della popolazione molto alta, non ha adottato un duro lockdown e ha avuto solo 1700 morti (contro i nostri 36 mila).E' vero che in Giappone è attivo un sistema di cure a domicilio per i "poco sintomatici" (quello che avrebbe dovuto fare da tempo l'Italia e non fa). Tuttavia c'è molto di strano e incomprensibile nei suoi dati epidemici.Ancora più strano è il caso del continente africano che è l'opposto del Giappone come organizzazione, mezzi e ordine sociale. L'Oms lì aveva previsto una vera catastrofe umanitaria, ma dopo otto mesi risulta il continente meno colpito del pianeta: su 1 miliardo e 300 milioni di abitanti in Africa le vittime per Covid sono 28.800 (meno della sola Italia che ne ha 36.000), sebbene i governi abbiano potuto fare ben poco (e di certo mascherine, gel igienizzanti e distanziamenti non sono molto abituali in quelle megalopoli).L'Oms applaude quegli stati, ma non è merito di nessuno. Si dovrebbero piuttosto cercare le ragioni di queste anomalie del Covid. Troppi sono i punti oscuri e i dati dubbi o ignoti (anzitutto quelli dei morti per solo Covid).Intanto da noi si mette in ginocchio un'intera economia senza fondamenti scientifici certi e non si fanno le sole cose concrete che sono indispensabili per i malati.Nota di BastaBugie: Silvana De Mari nell'articolo seguente dal titolo "Covid 19, come non ammalarsi e come guarire, perché sia Covid 19, non Covid 1984" impartisce buoni consigli per evitare e curare le epidemie in generale.Ecco l'articolo completo pubblicato sul blog di Silvana De Mari l'11 ottobre 2020:Buoni consigli per evitare epidemie: arriva l'autunno e con l'approssimarsi dell'inverno, come tutti gli anni, arriveranno i virus parainfluenzali (come i Coronavirus 19-20-21...) ed influenzali.Con essi arriveranno raffreddori, tracheiti, tracheobronchiiti, broncopolmoniti e purtroppo anche polmoniti interstiziali, tipiche dei virus da sempre, e spesso misconosciute.Le seguenti raccomandazioni per evitare aggravamenti inutili ed errori come lo scorso inverno:1) se febbre, mantenere inferiore ai 38,5 gradi C, con FANS che vuol dire antinfiammatori (e non con tachipirina che non ha azione antinfiammatoria, perché il covid uccide con l'infiammazione!) per 3 giorni consecutivi in modo da bloccare l'infiammazione (opzioni alternative: cebion, okitask 40 mg 2/3 volte al giorno; Brufen 600 mg/die, Dicloreum 150 mg/die, Moment 100 mg 2 volte/die, Momendol 220 Mg 3 volte al giorno, Aulin 100 mg 1/2 volte die...) NECESSARIO UN GASTROPROTETTORE2) se tosse secca, Fluifort sciroppo 2 cucchiai al giorno e finire il flacone3) se febbre persistente, aggiungere antibiotico per ridurre sovrainfezioni batteriche, soprattutto in soggetti a maggior rischio, l'azitromicina ha specifica azione anti covid (Zitromax 500 mg 1 cp/die per tre gg)4) associare aerosol 2 volte/die con: clenilA 1 cc + Atem 10 gtt + Bronchovaleas 5 gtt per 5 gg. vitamina C 2 grammi al giorno o anche 3, una bustina di lattoferrina da 200 mg.5) valutare con il medico di base: Plaquenil 1 cp/die per 5 gg: c'è una particolare anomalia dell'elettrocardiogramma che deve essere esclusa prima di dare questo farmaco.6) "tre L" della nonna: Letto, Lana, Latte (con un cucchiaio di miele)P.S. Se l'infiammazione viene correttamente controllata da subito non ci sarà alcun bisogno di Eparina, perché sarà controllata la cascata citochinica legata alla flogosi stessa.Quindi evitiamo di andare ad intasare gli ospedali e curiamoci correttamente a casa senza prendere freddo fuori.Con tanto riposo.Niente mascherine, in modo da eliminare i germi che il riflesso fisiologico della tosse vorrebbe eliminare.L'opzione migliore resta non ammalarsi.PREVENZIONE:- Vit A vit D Omega 3,( un cucchiaino al giorno di olio di fegato di merluzzo)- Vit C 2 grammi al giorno (cebion 1 gr x 2)- Multicentrum 1 cp Due volte la settimana- Almeno un'ora al giorno di movimento all'aria aperta- Lattoferrina una bustina al giornoNON VI AMMALERETE Titolo originale: I misteri del virus (ancora da isolare) e i misteri del governo (che dà la caccia ai sani invece di curare i malati)Fonte: Libero, 26 ottobre 2020Pubblicato su BastaBugie n. 688
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6322IL PCI COMPIE CENTO ANNI ED E' AL POTERE IN ITALIA (SOTTO ALTRO NOME) di Antonio SocciCent'anni fa, fra l'estate 1920 e il gennaio 1921, nasceva il Partito Comunista Italiano. Non è storia passata. Perché proprio dopo il crollo del Muro di Berlino (1989) e il cambio del nome del partito (1991), la sua classe dirigente è arrivata al potere in Italia e ci resta da anni sebbene minoranza nel Paese e sconfitta alle elezioni.Al centenario del Pci hanno dedicato un libro Mario Pendinelli e Marcello Sorgi, "Quando c'erano i comunisti" (Marsilio). Stenio Solinas, sul "Giornale", si è chiesto "come è possibile che, tranne qualche frangia lunatica e qualche intellettuale freak, nessun politico oggi ex o post comunista parli più del come e del perché lo fu convintamente fino a ieri, uno ieri che arriva sino al 1989".L'ARROGANZA IDEOLOGICAÈ stato il più grosso Pc d'occidente, ma sembra che in Italia nessuno sia stato comunista. Non è stata fatta nessuna seria revisione autocritica. Quella classe dirigente non si è ritirata e non ha mai riconosciuto il marxismo-leninismo come un'ideologia malefica, né ha ammesso la vergogna di aver appoggiato totalitarismi orribili. Nessuno ha chiesto scusa.A tutto quel popolo semplice che li aveva seguiti, che si era abbeverato all'Unità, ai milioni di compagni che avevano davvero creduto nei "paradisi" comunisti, nessuno ha dato spiegazioni serie. Nessuno ha detto loro: noi sapevamo, ma non vi abbiamo detto la verità. Nessuno ha riconosciuto, davanti a milioni di lavoratori, che era tutto una menzogna, che il comunismo è stato dovunque un orrore. Nessuno ha chiesto scusa alla propria gente a cui, un tempo, avevano fatto inneggiare perfino a Stalin. Nessuno ha riconosciuto che avevano ragione "gli altri", gli anticomunisti. Perché?Di fatto la classe dirigente del Pci si è velocemente autoassolta, ha accantonato la bandiera comunista e l'ideologia marxista, ma non:1) l'arroganza ideologica,2) la pretesa superiorità morale,3) la propensione alla demonizzazione degli avversari.Con il 1989 i comunisti cambiarono nome e in breve passarono dall'allineamento a Mosca all'allineamento a Bruxelles/Berlino e ai Dem americani (Clinton, Obama eccetera). Dal mito del Socialismo a quello del Mercato. Come se fosse ovvio e naturale.Così - anche per far dimenticare il passato comunista - sono diventati i più affidabili per Bruxelles e Berlino e anche per la Casa Bianca dei Dem. Dunque i (post) comunisti in Italia sono arrivati ai vertici del governo - già con D'Alema nel 1998 - e pure ai vertici dello Stato con Napolitano nel 2006. Ma i conti con la storia non si sono fatti nemmeno dopo il 2000.SOLZENICYN E IL SILENZIO DEL QUIRINALECarlo Ripa di Meana (il coraggioso promotore della craxiana Biennale del dissenso del 1977) alla morte di Aleksandr Solzenicyn, nel 2008, su "Critica sociale", firmò un articolo intitolato "Solzenicyn e il silenzio del Quirinale", dove scriveva: "Avevo sommessamente suggerito, qualche mese fa, al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che nel 1974, allora responsabile della cultura del PCI, su Rinascita prima e poi sull'Unità, aveva rumorosamente applaudito all'esilio comminato a Solzenicyn che, va ricordato, aveva già passato otto anni nel Gulag nell'immediato dopoguerra, che in una prossima occasione, o in forma privata o nel corso di una visita di Stato, chiedesse un incontro a Solzenicyn, ormai molto in là con gli anni e malato, per chiudere una pagina nera. Così non è stato. In questi ultimi giorni, mentre in tutto il mondo si sono ascoltate voci di statisti, di rimpianto e di riconoscenza per la grandezza di quest'uomo e della sua vita, da Roma-Quirinale è venuto un silenzio arido, privo di umanità. Fausto Carioti di Libero lo ha giustamente segnalato il 5 agosto sul suo giornale".Del resto nell' "autobiografia politica" di Napolitano, intitolata "Dal Pci al socialismo europeo", uscita nel 2005, non veniva neanche menzionato quel Solzenicyn che Raymond Aron aveva giudicato "l'homme du siècle".E gli altri? Da parte sua Nicola Zingaretti ha iniziato la sua segreteria nel Pd con il libro "Piazza grande" dove sostiene che l'esistenza dell'Urss "aveva costituito un oggettivo deterrente a costruire un mondo unidimensionale e senza difese rispetto alle forme più estreme di sfruttamento".E "probabilmente nel dopoguerra, non ci fosse stata l'Unione Sovietica (...) non sarebbero state possibili le lotte dei partiti di sinistra e democratici né il compromesso sociale che oggi in Europa è un esempio per tutto il mondo civilizzato".Espressioni che fecero insorgere pure Claudio Petruccioli: "Zingaretti riporta l'orologio al 1945".D'altra parte D'Alema, nel libro uscito quest'anno, "Grande è la confusione sotto il cielo", elogia il sistema cinese (e asiatico in generale) che "ha saputo fronteggiare questa prova (il Covid) in modo più efficace rispetto a noi". In quanto "ha fatto la differenza un grado minore di individualismo, una maggior coesione sociale e l'esistenza di reti comunitarie". E in una recente conferenza ha messo in guardia dal "partito anti-cinese" che "è all'opera anche in Europa, in un clima di nuova guerra fredda".I partiti di Zingaretti e D'Alema sono oggi al governo in Italia e non sembra davvero che il Pci sia morto.Nota di BastaBugie: Andrea Zambrano nell'articolo seguente dal titolo "Stasi di Speranza" svela le quattro verità sui comunisti oggi al potere.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 12 ottobre 2020:L'agghiacciante intervista di Fabio Fazio al ministro della Salute Speranza ("stop alle feste nelle case, confidiamo nelle segnalazioni e interverremo con le forze dell'ordine") svela quattro verità. 1) COMUNISTILa prima è che non importa se ti chiami Speranza o Roberto o come vuoi e nemmeno se fai parte di un partito di fantasmi chiamato Liberi e uguali che oggi è già sparito dal radar politico anche se occupa ancora degli scranni in parlamento. Se vuoi controllare i cittadini fin nella camera da letto sei un comunista. E comunista della peggior specie. E se sei un comunista sei un pericolo. Almeno un pericolo per me. Puoi anche essere fascista per quanto mi riguarda, ma se ti ispiri ai colori di bandiera dell'internazionale sei un comunista.2) ODIOLa seconda è che introdurre la delazione tipica dei regimi sovietici non farà altro che mettere i cittadini gli uni contro gli altri attraverso il meccanismo dell'homo homini lupus. La guerra di stato alle feste ci proietterà nei "due minuti d'odio" di 1984. Vi parteciperemo e dovremo stare attenti a urlare bene i nostri strali per essere convincenti perché ci sarà sempre qualcuno che userà il termometro del nostro odio. 3) STATO ETICOLa terza è che, stando alle parole di Speranza, sarà competenza del ministro pro tempore, quindi dello Stato, decidere che cosa sia "fondamentale" e che cosa non sia fondamentale per i cittadini. La scuola è fondamentale - dice lui - le feste di compleanno, di prima Comunione, di Battesimo, di anniversari di matrimonio, di addio al celibato, di laurea non sono fondamentali. Lo stato etico è già qui, non serve essere complottisti, basta mettere in fila gli eventi e conservarsi liberi da interessi, paure e convenienze. 4) SERVILa quarta e ultima è che lo Stato etico affida ai genitori il compito di vigilare sulla loro stessa osservanza, senza un criterio oggettivo, ma invitando con paternalistica compiacenza i cittadini a essere responsabili (ci aveva già provato Conte l'altro giorno nel consigliare la mascherina in casa). Così le famiglie perdono definitivamente la loro libertà educativa per diventare servitù di uno stato totalitario che li userà come automi gendarmi. In caso contrario "manderemo" i carabinieri (ha detto così) a casa. In 1984 erano i figli a fare le spie contro i genitori.Di fronte a questo popo di minacce, nessuno si indigna, nessuno alza un grido. Abbiamo già tutti la pancia così piena da non capire che nella nostra opulenta comodità si sta consumando un liberticidio? Titolo originale: Il Pci compie cento anni ed è al potere in Italia (sotto altro nome). Ecco come è stato possibile...Fonte: Libero, 12 ottobre 2020Pubblicato su BastaBugie n. 686
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6313SULL'IMMIGRAZIONE SCONTRO (APPARENTE) NEL PD TRA GOVERNATORE DELLA CAMPANIA E ZINGARETTI di Antonio Socci"Abbiamo interi territori nei quali la presenza di extracomunitari che vanno avanti a ruota libera sta cambiando il modo di vivere delle nostre famiglie. Abbiamo pezzi di città che sono occupati quasi militarmente da extracomunitari. Abbiamo gente che continua a fare accattonaggio molesto davanti ai supermercati, davanti alle farmacie, davanti alle chiese, davanti ai distributori del biglietto per il parcheggio. Abbiamo bande organizzate che spacciano droga la mattina nei nostri quartieri o davanti alle scuole. Abbiamo il litorale Domizio che è rovinato, abbiamo il quartiere Vasto intorno alla stazione centrale di Napoli che è occupato e governato insieme da camorra e nigeriani... Beh, questo problema il Partito Democratico lo vede sì o no? E vuole dire qualcosa ai cittadini che hanno paura sì o no?".Chi può aver fatto un'intemerata simile? Un leader del centrodestra? Di sicuro se fosse stato un leader del centrodestra sarebbe stato bombardato, per questo, da un'artiglieria di accuse e condanne.In realtà le parole che ho citato fra virgolette sono state pronunciate - e con molta enfasi ed energia - dal governatore Dem della Campania, Vincenzo De Luca, nel comizio di chiusura della Festa dell'Unità di Telese, nel settembre 2018.Il video impazza oggi nella rete perché De Luca - che ha queste idee e le esprime nei comizi - è stato ricandidato dal Pd alla guida della regione Campania e ha appena vinto "a furor di popolo" le elezioni. Non ha vinto dunque il Pd. Ha vinto De Luca nonostante il Pd. Ha vinto con idee che - almeno su questi temi - sono lontane anni luce dal Pd e casomai potrebbero dirsi di centrodestra.LA SICUREZZA DEI MIEI FIGLIDopo questa filippica il comizio di De Luca proseguiva così: "Noi siamo arrivati al punto da colpevolizzare un padre di famiglia solo perché chiede di essere lasciato in pace. L'ho detto a Roma e lo ridico qua: se io devo scegliere fra la sicurezza dei miei figli e la bandiera di partito io scelgo i miei figli e vi mando a quel paese. E' chiaro? (applausi dalla platea). Nella mia città abbiamo un centro di accoglienza in un quartiere periferico. Ho raccontato questo episodio e me lo hanno detto i cittadini di quel quartiere: venerdì sera, sabato sera, tornano queste bande, ubriachi, drogati... le nostre ragazze cominciano ad essere infastidite. Un padre di famiglia si deve mettere sul balcone fino alla due di notte in attesa che arrivi la figlia per stare tranquillo. Ohh! Uhééé! Qui la solidarietà non c'entra più niente... Allora io non voglio esagerare e generalizzare nulla. Voglio soltanto che noi guardiamo in faccia la realtà per quella che è. La sicurezza urbana è diventata un problema chiave per la gente di oggi. E sto spiegando al Partito Democratico, ma ancora oggi sono totalmente sordi, che ci sono due valori da difendere se vogliamo riprendere il cammino: il lavoro e la sicurezza. E incredibilmente non dicono una parola né sul lavoro né sulla sicurezza. Ma quale rilancio del partito vogliamo avere in queste condizioni".Con idee di questo genere De Luca ha vinto trionfalmente le elezioni, salvando la segreteria a Zingaretti (perché il Pd sarebbe stato terremotato da una sconfitta in Campania). Il quale Zingaretti però ha idee opposte.SPAZZARE VIA I DECRETI SICUREZZAInfatti subito dopo le elezioni Zingaretti ha detto finalmente "una parola" sulla sicurezza, ma non "quella" invocata da De Luca, bensì una parola opposta: vuole spazzare via i "decreti sicurezza" che furono varati da Salvini proprio per affrontare tutti quei problemi che De Luca aveva dettagliatamente descritto.Il governatore, vincendo in Campania, ha salvato la segreteria di Zingaretti (e forse anche il governo), anche con quelle sue idee contro l'immigrazione incontrollata e contro il degrado delle nostre città in mano allo spaccio e alla delinquenza. Ma ora Zingaretti e il Pd, incassato il voto e la vittoria, vanno nella direzione diametralmente opposta.Sembra la conferma delle parole di De Luca che accusava il Pd di infischiarsene del bisogno di sicurezza dei cittadini. Ma un problema si pone anche per chi, come il governatore campano, lancia invettive come quelle e poi accetta che il suo partito vada nella direzione contraria.Del resto lui, in quel discorso, aveva già fatto la sua diagnosi sul Pd. Dopo averlo strapazzato ("ci sono nel nostro partito delle autentiche nullità, che non rappresentano neanche la propria ombra"), essendo all'indomani della sconfitta del 4 marzo 2018 - le elezioni politiche che avevano visto il Pd crollare al minimo storico - De Luca aveva tuonato: "Il Pd continua a non capire quello che deve fare".Si chiedeva: "perché Il Pd il 4 marzo (2018) ha perso la metà del suo elettorato? Qualcuno del gruppo dirigente nazionale vi ha spiegato per quali motivi razionali un partito passa dal 41 per cento al 18 per cento in tre anni? Non c'è nessuno nella dirigenza nazionale che abbia approfondito le ragioni per cui abbiamo perso sei milioni di voti. Io credo che in queste condizioni il Pd non andrà molto avanti".La riflessione sul crollo del 2018 il Pd non l'ha fatta, ma in compenso è riuscito a tornare al governo (nonostante la sconfitta alle politiche). E al governo ora, anche grazie alla vittoria di De Luca, si prepara a rifare gli stessi errori sulla sicurezza e sull'immigrazione contro cui De Luca aveva tuonato. L'ideologia continua a prevalere sulla realtà. Titolo originale: Lo strano caso De Luca/Zingaretti e i decreti sicurezzaFonte: Libero, 4 ottobre 2020Pubblicato su BastaBugie n. 685
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6279SALVINI FASCISTA... OPPURE LA SOLITA BECERA DEMONIZZAZIONE DELL'AVVERSARIO?di Antonio SocciFare gli antifascisti di professione nel 2020, in assenza di regime fascista, non è facile. E' un duro lavoro che richiede impegno diuturno e spesso una fervida fantasia. Infatti bisogna anche saper vedere quello che non c'è e magari avere una propensione al sospetto che finisce nel romanzesco (o nella barzelletta).Un esempio di questo tipo di "vigilanza antifascista" ce lo fornisce il collega Sandro Ruotolo, una colonna storica delle trasmissioni di Michele Santoro. Sebbene sia da poco diventato senatore della repubblica, Ruotolo continua la sua missione salvifica e in questi giorni ha fatto un clamoroso scoop antifascista, riuscendo a individuare un pericolosissimo "micro segnale per fascisti" nascosto diabolicamente in un manifesto della Lega che pubblicizza un comizio del segretario Salvini a Napoli.Il vigilante Ruotolo ha lanciato (o rilanciato, non si capisce bene) questo messaggio tweet: "Piazza della Posta non esiste a Napoli. A meno che tu non abbia cento anni. Si chiama piazza Giacomo Matteotti ucciso dai fascisti. Sono micro segnali per fascisti. Ma noi li notiamo e siamo qui, pronti a svelarli e non lasciarli senza spiegazione. Ciro Pellegrino (giornalista)".In pratica Ruotolo accusa il manifesto leghista di localizzare il comizio di Salvini in Piazza della posta, cancellando il nome moderno della piazza intitolata a Matteotti, il politico socialdemocratico che fu ucciso dai fascisti.Ma non è affatto così. Infatti nel manifesto sta scritto, a caratteri cubitali, proprio "Piazza Matteotti" (sotto, in piccolo, fra parentesi, si legge anche Piazza della posta perché così è popolarmente conosciuta dai napoletani).Qualcuno su twitter glielo fa notare: "Ma avete problemi di vista?". Però Ruotolo non sente ragioni. Per l'antifascista di professione, evidentemente, non conta quello che c'è scritto, ma quello che ci vede lui. E anche molti suoi seguaci sono d'accordo. Infatti, ieri, il tweet aveva 5900 "mi piace" e 1500 rilanci.I LEONI DA TASTIERAI commenti poi sarebbero da studiare in un corso universitario che analizza le conseguenze dell'ideologia: "Salvini non perde occasione per strizzare l'occhio ai fasci", "si rivolge ai suoi camerati", "Altro che 'microsegnali'... Sono anni che questo losco figuro parla in codice a beneficio dei camerati", "Chiaviche legaiole", "Il capitone è un grandissimo stronzo", "sono infami anche nei cartelli pubblicitari. Non sono micro segnali, sono atti concreti di demolizione della memoria democratica", "fanno schifo", "Prendetelo a pomodori marci in faccia", "Uno così non dovrebbe proprio mettere piede in Campania", "Questa lega è una vergogna", "Salvini è davvero una vergogna", "Non ha più scusanti......... basta", "esseri ignobili", "fascisti di m....", "Bravo Sandro!", "spudorati", "I fascisti perseverano nella loro dichiarazione di disumanità".Tutto questo sotto il manifesto della Lega, riprodotto da Ruotolo stesso, che porta scritto, in grande: "Piazza Matteotti".A dire il vero è intervenuto anche qualche napoletano che, con buon senso, ha fatto notare che questa polemica è "una cazzata" perché "quella è conosciuta come la piazza delle Poste Centrali... brutta bestia l'ignoranza". Poi ha precisato: "A proposito io sono antifascista...". Anche altri napoletani commentano: "Ma noi Napoletani la indichiamo come: piazza della Posta centrale".Un altro fa vari esempi di questa toponomastica di uso comune che raddoppia i nomi di piazze e vie: "Piazza Bovio che diventa piazza Borsa o semplicemente Università, Corso Umberto che diventa il Rettifilo, Nicola Amore diventa i 4 Palazzi... suvvia, ja. Che poi il nome della piazza ci sta, quella tra parentesi è solo un'indicazione... Pure io dico 'piazza delle poste centrali'". Un altro scrive: "anche Piazza Cosimo Fanzago per la gran parte dei napoletani, soprattutto vomeresi, è e sarà sempre Piazza Bernini".Perfino qualche fan di Ruotolo obietta: "Secondo me è una polemica inutile. Sandro Ruotolo, che stimo, essendo napoletano come me, sa bene che a Napoli quella piazza è per gran parte dei napoletani 'Piazza della Posta' ma non per offendere la memoria di un martire del fascismo né perché i napoletani siano fascisti". E altri ancora: "Sono d'accordo. Sempre chiamata la Posta", "Io fino a una certa età non sapevo manco qual era piazza Matteotti (niente fascisti in casa mia)".LA MINACCIA ALLA DEMOCRAZIAAnche a Siena, città per settant'anni rossa, c'è Piazza Matteotti che è più conosciuta, nel gergo popolare, come Piazza della Posta e, per decenni, a nessun compagno che ha detto "Piazza della Posta" è mai venuto in mente di ammiccare al fascismo.Tuttavia al tweet di Ruotolo si è aggiunto pure il commento arguto dell'intellettuale che ieri sul "Foglio", pur scrivendo che in effetti nel manifesto di Salvini c'è scritto "Piazza Matteotti", rileva che "è accompagnato da una parentesi, apparentemente innocua (Piazza della Posta)". Per i comuni mortali è "innocua", ma a questo giornalista (come a Ruotolo) non la si fa. Lui spiega che "in realtà si tratta di uno sberleffo cifrato e di una strizzatina d'occhio al mondo dell'estrema destra".Poi aggiunge che "rifiutare la toponomastica è una strategia elementare per rifiutare la storia. Una strategia che dimostra quanto nella destra, a venticinque anni da Fiuggi, sia ancora viva la simpatia per il fascismo e il rifiuto della Repubblica".Ogni commento è inutile. In realtà, per chi ha davvero a cuore la democrazia, i pericoli da combattere attualmente non stanno nella toponomastica, ma sono il progressivo restringimento delle libertà personali, la crescente intolleranza, l'umiliazione del Parlamento per lo strapotere dell'esecutivo.La minaccia attuale alla democrazia è quella indicata da Pierluigi Battista in un recente commento: "Oggi, al posto del dibattito, dello 'spazio di discussione pubblica', c'è l'apologia del bavaglio, la cultura del sospetto, il processo alle intenzioni, l'ipersemplificazione demonizzante, la caricaturizzazione delle tesi diverse...".Sembra la perfetta descrizione dell'episodio del manifesto di Napoli. Purtroppo però questi sono i vizi della Sinistra.Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Antonio Socci, nella sua newsletter commenta ulteriormente la notizia.Ecco cosa ha scritto:Dopo la pubblicazione di questo articolo su Libero ho scoperto che perfino nell'account twitter dei "Deputati Pd" è stato fatto lo stesso attacco a Matteo Salvini. Ecco il tweet dei Deputati Pd: "Nessuno scrupolo, nessuna correzione. Per Salvini piazza Matteotti non esiste, la chiama ancora con la terminologia del Ventennio. Quell'ideologia fascista che uccise Matteotti. Un insulto a Napoli, alla sua storia. Combatteremo ogni rigurgito guidati dai valori dell'antifascismo". Come si può vedere nel tweet sono state fatte tre frecce proprio sulla scritta "Piazza Matteotti"... Sopra i "Deputati Pd" scrivono "Per Salvini Piazza Matteotti non esiste". Evidentemente il pregiudizio somiglia a due grosse fette di prosciutto sugli occhi... Ma che politica è quella che arriva a questi livelli grotteschi? Che politica è quella che ha una tale ossessione dell'avversario, quella che vive di pregiudizio, demonizzazione, odio ideologico? Titolo originale: Piccola esilarante storia di cecità selettiva indotta da ideologiaFonte: Libero, 11 settembre 2020Pubblicato su BastaBugie n. 682
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6243ECCO PERCHE' SIAMO IN UN REGIME (ANCHE SE IN POCHI SE NE ACCORGONO)di Antonio SocciSe qualcuno in futuro scriverà la storia del giornalismo italiano attorno al 2000, certe prime pagine dei quotidiani di ieri meriteranno una menzione nella categoria "stravaganze surreali" (o forse "Socialismo surreale").Infatti giovedì è uscita una notizia non proprio irrilevante. Palazzo Chigi ha comunicato: "Il Presidente del Consiglio Conte e i Ministri Bonafede, Di Maio, Gualtieri, Guerini, Lamorgese e Speranza hanno ricevuto una notifica riguardante un avviso ex art. 6, comma 2, legge cost. n. 1/1989 da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma. L'avviso riguarda la trasmissione al Collegio (...) degli atti di un procedimento penale iscritto per i delitti di cui agli artt. 110, 438, 452 e 589, 323, 283, 294 c.p., che origina da varie denunce da parte di soggetti terzi provenienti da varie parti d'Italia".Cioè la procura della Repubblica di Roma ha trasmesso al Tribunale dei ministri denunce a carico del premier e di sei ministri per ipotesi di reato che vanno dall'epidemia colposa ai delitti contro la salute pubblica, dall'abuso d'ufficio all'attentato contro la Costituzione e ai delitti contro i diritti politici dei cittadini.Ovviamente ieri "Libero", come pochissime testate non allineate, ha aperto la prima pagina su questo. Se avessimo un governo di centrodestra tutti i quotidiani lo avrebbero fatto con grande clamore, anche perché, comunque la si giudichi nel merito, è una notizia importante.Ma i maggiori giornaloni ieri sulle loro prime pagine - che sono la vetrina di ogni quotidiano - a questa notizia non hanno voluto dedicare il titolo d'apertura e neanche un titolo secondario (solo qualche minuscolo e invisibile occhiello).QUAL È LA SPIEGAZIONE DI UN COSÌ SINGOLARE FENOMENO?Com'è che tutto quello che può essere usato contro il centrodestra, e i suoi leader, diventa un titolone di prima pagina, anche quando è una fesseria o comunque una cosa da poco, mentre ciò che può essere scomodo o imbarazzante per l'attuale governo e per i partiti di sinistra evapora e diventa minuscolo su quelle pagine?Evidentemente ritengono che la sinistra debba essere trattata con i guanti bianchi. E in particolare, umanitari come sono, quei giornali non avranno voluto dare un dolore a Giuseppi e ai suoi ministri.Probabilmente - a richiesta - risponderebbero che hanno escluso questa "trascurabile" notizia dalle prime pagine perché altre e più importanti notizie premevano. Vediamo.Il "Corriere" ieri lanciava in prima pagina una fondamentale intervista al vicesindaco di Roma, tal Bergamo, che ha detto la sua sulla ricandidatura della Raggi. Cose grosse."Repubblica" aveva in prima - per dire - un pezzo intitolato: "Se tramonta la stagione d'oro degli chef". Sarà stato un articolo di enorme importanza per le sorti dell'umanità, ma era fondamentale pubblicarlo (e in prima) proprio ieri? Di fatto non hanno trovato spazio sulla prima per un titolo sulla notizia riguardante il premier e sei ministri.UN'INTERVISTA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO"La Stampa" è il caso più singolare perché ha aperto la prima pagina addirittura con un'intervista al presidente del Consiglio. Un'occasione d'oro, proprio nel giorno in cui è uscita quella notizia, per porgli una domanda (una!) in merito. Ma purtroppo in un'intera pagina di intervista al premier quella domanda non ha trovato spazio.Certo, Conte nell'intervista ci rassicura - a proposito del crollo del ponte Morandi - che "i colpevoli saranno puniti" e questa ci sembra di averla già sentita. Ma di sentire un suo commento sui documenti inviati al tribunale dei ministri su di lui, proprio ieri, non c'è stato modo. Chissà perché.I maligni ricorderanno che proprio su questi giornali da anni ci tocca leggere predicozzi e supercazzole contro le fake news che ovviamente sono sempre addebitate ad altri. Ma la sparizione dalle prime pagine di una tale notizia sul premier e i sei ministri come si potrebbe definire?Naturalmente la notizia non poteva essere totalmente ignorata e i giornali l'hanno data nelle pagine (molto) interne in questi termini: "Conte e sei ministri indagati per il Covid. I pm: archiviare tutto" (Repubblica, p. 8). "Avviso di garanzia a Conte e a sei ministri. I pm: accuse infondate" (Corriere della sera p. 5). "Avviso di garanzia per Conte. I pm: Accuse da archiviare" (La Stampa, p. 7).A leggere questi titoli verrebbe da dire: altro che giustizia lenta, è velocissima: la trasmissione degli atti al tribunale dei ministri arriva insieme alla richiesta di archiviazione e quasi si crede che sia già tutto archiviato. Il governo sembra voler far credere questo.Ma le cose non stanno così. Come ha spiegato ieri Pietro Senaldi su queste colonne, se è vero che la procura ha proposto l'archiviazione, la decisione spetta al tribunale dei ministri (anche per Salvini il pm di Catania aveva chiesto l'archiviazione e poi le cose sono andate diversamente).Di sicuro questa vicenda appare alquanto confusa, ma è tuttora aperta e non è una quisquilia: riguarda i drammi vissuti da milioni di italiani e potrebbe anche terremotare il governo. Titolo originale: Stampa e regimeFonte: Libero, 15 agosto 2020Pubblicato su BastaBugie n. 678
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6213LE SETTE FASI DELLA ''TEORIA DELLA DITTATURA'' DI GEORGE ORWELL di Antonio SocciI 20 anni di "Libero" - che nasce come giornale controcorrente e proclama questa ambizione fin dal nome della testata - cadono in un momento in cui la discussione sulla libertà d'opinione e l'informazione è spesso incandescente. Non solo in Italia.Perfino negli Stati Uniti: basta leggere il manifesto di alcuni intellettuali (assai impauriti) contro la nuova Inquisizione politically correct, che ormai incombe perfino sul presidente Trump.Stiamo andando verso una forma di libertà "controllata" e fortemente limitata? C'è addirittura chi sostiene che siamo ormai nella società del Grande Fratello di Orwell. A scriverlo - con dovizia di argomenti - non è proprio l'ultimo arrivato, né un bigotto conservatore, ma è un intellettuale che per anni è stato uno degli astri della "gauche" francese, coccolato anche sui giornali progressisti italiani: Michel Onfray.Da libero pensatore, Onfray sta ribaltando tanti dogmi progressisti del "politically correct", la nuova religione dominante che si pretende indiscutibile e spesso emette anatemi e scomuniche. Lo fa con una controversa rivista, "Front Populaire", che raccoglie tutti i non allineati - da destra a sinistra - e lo fa con libri come quello appena uscito, "Teoria della dittatura" (Ponte alle Grazie, pp. 220, euro 16,50).Dove esordisce così: "Considero il pensiero politico di George Orwell come uno dei più grandi, al pari di quello consegnato da Machiavelli nel Principe". La tesi di Onfray è semplice e provocatoria: "Il romanzo 1984 rimanda spesso al totalitarismo marxista-leninista" e "richiama altrettanto spesso anche il totalitarismo nazionalsocialista".Tuttavia quest'opera oltrepassa "l'orizzonte di questi stessi totalitarismi" e fa "pensare direttamente alla nostra epoca" in cui si affaccia "un tipo nuovo di totalitarismo". Può sembrare eccessivo perché noi in fondo ci riteniamo liberi, ma quello che abbiamo vissuto nei due mesi del lockdown a molti ha dato la sensazione di una distopia orwelliana.È uno "stato d'eccezione" che non si ripeterà? O - come ritengono alcuni - è solo la "prova generale" in cui è stata misurata la "disponibilità" collettiva a lasciarsi privare della libertà?La cosa più ragionevole è considerare criticamente la normalità che viviamo fuori dallo stato d'eccezione. È quello che fa Onfray.Della "Teoria della dittatura" contenuta in "1984" coglie "sette fasi principali" che vede molto attuali: "distruggere la libertà; impoverire la lingua; abolire la verità; sopprimere la storia; negare la natura; propagare l'odio; aspirare all'Impero". Sono - a suo avviso - elementi che possiamo già ritrovare anche nel nostro presente.1° fase: DISTRUGGERE LA LIBERTÀCome "prima tesi" spiega: "la libertà si rimpicciolisce come una pelle di zigrino. Siamo una società sottoposta a controlli di ogni tipo, una società in cui la parola, la presenza, l'espressione, il pensiero, le idee e gli spostamenti sono completamente tracciati e tracciabili. Le informazioni recuperate potranno essere tutte usate per istruire le pratiche destinate al tribunale del pensiero".In effetti è vero. Molti aggiungono alla lista anche il totale controllo del nostro conto corrente fino al tentativo di abolizione del contante e - in Italia - addirittura l'ipotesi di leggi che colpiscono la libertà d'opinione.2° fase: IMPOVERIRE LA LINGUAOnfray prosegue: "Seconda tesi: l'attacco alla lingua". La politicizzazione della lingua arriva perfino a prescrivere proibizioni sul maschile e il femminile. Ci sono poi vademecum da rispettare perfino per i giornali. Ma soprattutto impoverire la lingua con stereotipi, conformismi e slogan è la tomba del pensiero.3° fase: ABOLIRE LA VERITÀOvvero "si stabilisce come nuova e insormontabile verità il fatto che non esistono più verità ma solo prospettive. E guai a chi rifiuta la nuova verità sull'inesistenza delle verità!... Questo nichilismo della verità consente di fare tabula rasa di qualsiasi certezza... Se non esiste più una verità ma soltanto delle prospettive, allora tutto diventa possibile... la menzogna ha a propria disposizione un viale intero".4° fase: SOPPRIMERE LA STORIALa "Quarta tesi" di Onfray/Orwell è "la strumentalizzazione della storia".In questo caso gli esempi si sprecano.5° fase: NEGARE LA NATURA"Quinta tesi: la cancellazione della natura", per esempio con quella "teoria dei generi" che "postula che noi non nasciamo né di sesso maschile né di sesso femminile, ma neutri e che diventiamo ragazzi o ragazze solo per questioni di cultura, di civiltà, di società e d'indottrinamento, attraverso stereotipi che andrebbero decostruiti fin dalla scuola".6° fase: PROPAGARE L'ODIOLa "Sesta tesi" che Onfray trae da Orwell è "l'incoraggiamento dell'odio". E spiega: "Nell'ambito della cultura postmoderna, l'odio viene riservato a chi non si inginocchia davanti alle verità rivelate della religione che si autoproclama progressista".Nell'attuale tempesta di odio - osserva Onfray - "è meglio trovarsi sotto il vento cosiddetto progressista per poterne beneficiare, piuttosto che sotto quello del sovranismo - questo, tanto per prendere un esempio in cui l'odio si manifesta senza ritegno".7° fase: ASPIRARE ALL'IMPEROLa "Settima tesi" è la seguente: "l'Impero è in marcia. Ma quale Impero?" si chiede Onfray: "La fine delle nazioni" risponde "è stata voluta dagli attori dell'Europa di Maastricht. La scomparsa di quello che resta della sovranità nazionale francese è addirittura stata rivendicata da un deputato della maggioranza presidenziale come l'orizzonte politico del macronismo".Per l'Italia questo è ancora più vero. La caratteristica di tutti questi dogmi è appunto quella di imporsi come indiscutibili. Il fatto stesso di analizzarli criticamente ti pone fuori dal consorzio civile. Il coro uniforme dei media lo dimostra."In un mondo in cui i progressisti hanno cancellato la verità" scrive Onfray "il progresso significa sostenere il catechismo dei dominatori e ingoiare tutti i princìpi della loro ideologia, significa non rimettere mai niente in questione e prendere per oro colato tutte le cose che si raccontano a scuola, sui giornali, in televisione o su Internet".CONCLUSIONEPuò sembrare esagerato paragonare la distopia totalitaria di "1984" alla nostra situazione in cui il potere non sembra usare la coercizione. Ma - secondo alcuni - un eventuale totalitarismo non ha sempre bisogno della violenza per affermarsi e sostenersi. Soprattutto nel XXI secolo.È quanto affermava già un altro scrittore distopico, Aldous Huxley che nel "Ritorno al mondo nuovo" scrive: "la società descritta in 1984 è una società controllata quasi esclusivamente dal castigo e dal timore di esso. Nel mondo immaginario della mia favola il castigo è raro e di solito mite. Il governo realizza il suo controllo, quasi perfetto, inducendo sistematicamente la condotta desiderata, e per far questo ricorre a varie forme di manipolazione pressoché non violenta, fisica e psicologica".Poi Huxley aggiunge che - a differenza di 1984 - nel suo "Mondo nuovo" lo "stato mondiale" per impedire turbolenze ha molti strumenti a disposizione, ad esempio pure "una certa misura di libertà sessuale (possibile dopo l'abolizione della famiglia)" e "una grossa industria della comunicazione di massa che non dà al pubblico né il vero né il falso, ma semmai l'irreale", un "oppio del popolo", con un "flusso continuo delle distrazioni" per "far affogare in un oceano di fatuità" la razionalità, la libertà e le istituzioni democratiche.Non siamo già a questo scenario. Ma per evitarlo assume un'importanza enorme l'esistenza di un giornalismo "libero" e anticonformista.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6211CON IL CORONAVIRUS L'ITALIA HA FATTO DA CAVIA PER UN CLAMOROSO ESPERIMENTO SOCIALE di Antonio SocciÈ uscito il libro di Giorgio Agamben, "A che punto siamo?"(Quodlibet) dove il filosofo raccoglie i suoi interventi, così controversi, scritti durante e contro il lockdown, e dove aveva previsto che lo stato d'eccezione sarebbe stato prolungato.Agamben è uno dei filosofi italiani più tradotti e stimati all'estero. Infatti è stato intervistato da diversi giornali stranieri e (sebbene sia, da sempre, culturalmente "di sinistra") è stato ignorato dai nostri media che non sopportano pensieri difformi.Quello che vorrebbe farci vedere è "la trasformazione di cui siamo testimoni" nella vita politica e sociale, che "opera attraverso l'istaurazione di un puro e semplice terrore sanitario e di una sorta di religione della salute".Il pensatore denuncia la trasformazione dello stato d'eccezione in una prassi che diventerà sempre più normale, finendo per liquidare la democrazia borghese parlamentare così come l'abbiamo finora conosciuta, trasformandola in un'altra cosa che non è ancora definita.Certo, si può obiettare che la situazione per il Covid, a febbraio-marzo, era allarmante. Secondo i suoi critici, non si poteva fare diversamente: il filosofo dimentica il grave pericolo da cui eravamo minacciati. Ma la risposta di Agamben a questa obiezione, fa riflettere. Anzitutto - spiega - si è limitato senza motivo il primo dei diritti umani: "il diritto alla verità". Egli parla di "una gigantesca operazione di falsificazione della verità".Si può obiettare che forse è stata più superficialità e dilettantismo che falsificazione. O almeno si spera. Però quando Agamben scrive che "i dati sull'epidemia sono forniti in modo generico e senza alcun criterio di scientificità", che "dare una cifra di decessi senza metterla in relazione con la mortalità annua nello stesso periodo e senza specificare la causa effettiva della morte non ha alcun significato", bisogna riconoscere che solleva un problema vero.Dice: "non si tiene alcun conto del fatto, pur dichiarato, che viene contato come deceduto per Covid-19 anche il paziente positivo che è morto per infarto e per un'altra causa qualsiasi" (e non si ricordano mai le cifre annuali dei morti per le diverse cause e patologie, effettivamente superiori a quelle per Covid).Bisognerebbe aggiungere la mancanza di verità sulle origini del virus e sui tempi della sua diffusione (di cui ha colpa il regime cinese), poi le indicazioni delle autorità date e poi capovolte (per esempio sulle mascherine), infine il grande punto interrogativo sulle terapie e i farmaci. È mancata perfino la verità su ciò che ha portato ai tagli alla sanità degli anni scorsi.DIRE LA VERITA' Per decidere una così drastica sospensione dei diritti fondamentali - dice in sostanza Agamben - le autorità potevano e dovevano prima spiegare esattamente, con estrema precisione e accuratezza, tutti i termini del problema al popolo e ai suoi rappresentanti e solo valutando l'autentica realtà dei fatti si potevano poi assumere certe misure di protezione, con tempi e modalità democraticamente deliberate e controllate (magari anche informando giorno per giorno sull'efficacia delle diverse terapie in corso).In effetti così non è stato. E non si dica che non se n'è avuto il tempo, perché lo stato d'emergenza è stato decretato dal governo a fine gennaio e per più di un mese non è stato fatto praticamente nulla, passando da una sostanziale sottovalutazione a un improvviso allarme apocalittico.Nella genericità dell'allarme si è poi prodotto un panico collettivo che ha reso accettabile tutto ("la diffusione del terrore sanitario ha avuto bisogno di un apparato mediatico concorde e senza faglie").Così - spiega Agamben - si è potuto verificare che per la paura della morte "gli uomini sembrano disposti ad accettare limitazioni della libertà che non si erano mai sognati di poter tollerare, né durante le due guerre mondiali né sotto le dittature totalitarie".Questo stato di eccezione, secondo il filosofo, "sarà ricordato come la più lunga sospensione della legalità nella storia del Paese, attuata senza che né i cittadini né, soprattutto, le istituzioni deputate abbiano avuto nulla da obiettare".Agamben dà un giudizio durissimo su ciò che è accaduto (agli storici futuri "questo periodo apparirà come uno dei momenti più vergognosi della storia italiana") ed è ancora più duro su "coloro che lo hanno guidato e governato come degli irresponsabili privi di ogni scrupolo etico". Forse eccede, si può pensare che vi sia stata semmai improvvisazione e carenza di sensibilità democratica e di senso delle istituzioni, ma ai posteri l'ardua sentenza: l'aspetto più importante della riflessione di Agamben è un altro.Egli sostiene che "dopo l'esempio cinese, proprio l'Italia è stata per l'Occidente il laboratorio in cui la nuova tecnica di governo è stata sperimentata nella sua forma più estrema".LIQUIDAZIONE DELLA DEMOCRAZIAIl fatto stesso che un totalitarismo sia stato il modello è emblematico, secondo Agamben, che poi scrive: "Se i poteri che governano il mondo hanno deciso di cogliere il pretesto di una pandemia - a questo punto non importa se vera o simulata - per trasformare da cima a fondo i paradigmi del loro governo degli uomini e delle cose, ciò significa che quei modelli erano ai loro occhi in progressivo, inesorabile declino e non erano ormai più adeguati alle nuove esigenze".Possiamo dissentire, ma è chiaro da anni che il liberismo non è più sinonimo di liberaldemocrazia, che il mercatismo e il grande potere finanziario che domina sugli stati hanno devastato l'economia reale, il tessuto produttivo industriale dell'occidente e la borghesia, quel ceto medio che era sempre stato il pilastro delle democrazie.Ed è chiaro da anni che il mercatismo (propagandato da gran parte dei media in tutte le sue forme: non ultima quella dell'Europa maastrichtiana) ha sempre più in odio le democrazie, i parlamenti, le sovranità popolari e gli stati nazionali che rappresentano tanti ostacoli a un suo incontrastato dominio.In Italia è lampante da anni che il Parlamento e gli elettori contano sempre meno e sempre più si cerca di commissariarci, di comandarci per interposta persona e che in nome del vincolo esterno finiranno per governarci totalmente da Berlino e Bruxelles (o dalle Borse). C'è dunque di che riflettere.Infine si segnalano due pensieri di Agamben. Il primo: "la biosicurezza si è dimostrata capace di presentare l'assoluta cessazione di ogni attività politica e di ogni rapporto sociale come la massima forma di partecipazione civica. Si è così potuto assistere al paradosso di organizzazioni di sinistra, tradizionalmente abituate a rivendicare diritti e denunciare violazioni della costituzione, accettare senza riserve limitazioni delle libertà decise con decreti ministeriali privi di ogni legalità e che nemmeno il fascismo aveva mai sognato di poter imporre".Viene da chiedersi: che avrebbero fatto se a decidere quelle misure fosse stato il centrodestra?Il secondo pensiero: "La pandemia ha mostrato senza possibili dubbi che il cittadino si riduce alla sua nuda esistenza biologica. In questo modo egli si avvicina alla figura del rifugiato fin quasi a confondersi con essa".È stato chiesto al filosofo di sinistra se è imbarazzato dal fatto che sono stati leader di destra come Trump e Bolsonaro i più critici del lockdown alla maniera cinese.Risposta: "Anche in questo caso si può misurare il grado di confusione in cui la situazione di emergenza ha gettato le menti di coloro che dovrebbero restare lucidi, come anche a che punto l'opposizione fra destra e sinistra si sia completamente svuotata di ogni contenuto politico reale. Una verità resta tale sia che sia detta a sinistra che se viene enunciata a destra".
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