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Author: BastaBugie

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La storia che ci hanno insegnato a scuola è sbagliata; proviamo a guardare alla realtà dei fatti senza pregiudizi e senza paraocchi
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=817MARTA SORDI, ADDIO ALLA GRANDE STORICA di Alfredo ValvoMarta Sordi lascia un vuoto incolmabile nel campo degli studi di storia antica, che ha dominato per decenni, e fra gli amici – allievi e colleghi – che l'hanno conosciuta e stimata. Nata a Livorno nel 1925 e laureatasi in Lettere all'Università degli studi di Milano con Alfredo Passerini, Marta Sordi intraprese subito dopo la laurea la sua attività di ricerca. Presso l'Istituto italiano per la Storia antica, a Roma, per un quinquennio fu allieva di Silvio Accame, maestro e amico. Dal 1962 all'Università di Messina Marta Sordi formò una prima Scuola, attiva ancor oggi.Alcuni anni più tardi, nel 1967, passò a Bologna, dove ha lasciato una traccia incancellabile, e infine approdò due anni dopo all'Università Cattolica di Milano, dove insegnò Storia greca e Storia romana fino alla fine della sua lunga carriera accademica, nel 2001. Il numero delle sue pubblicazioni è difficilmente calcolabile. Non vi è problema aperto nel campo degli studi di storia antica nel quale Marta Sordi non sia autorevolmente intervenuta lasciando comunque, sempre, un'impronta di originalità e fornendo risposte almeno degne di considerazione, il più delle volte risolutive. Dominava senza difficoltà tutta la storia antica – il mondo etrusco, greco e romano, il cristianesimo dei primi secoli – sostenuta da una intelligenza vivacissima, una memoria prodigiosa e una capacità di cogliere sempre il nocciolo delle questioni.Tra le sue opere si ricordano La Lega tessala fino ad Alessandro Magno (1958), I rapporti romano-ceriti e l'origine della civitas sine suffragio (1960), Il cristianesimo e Roma (1965), Roma e i Sanniti nel IV secolo a.C. (1969), Il mito troiano e l'eredità etrusca di Roma (1989), ; La 'dynasteia' in Occidente: studi su Dionigi I (1992), Prospettive di storia etrusca (1995), I cristiani e l'Impero romano (2004). Nel 2002 sono usciti due volumi che raccolgono i suoi scritti minori: Scritti di Storia greca e Scritti di Storia romana, ai quali sono da aggiungere Impero romano e cristianesimo. Scritti scelti (2006), e Sant'Ambrogio e la tradizione di Roma (Roma 2008). Ma molti altri sono i contributi pubblicati successivamente. Resta indicativa della sua originalità e della sua personalità una delle sue principali caratteristiche nell'affronto di ogni problema storico, che è stata anche una lezione per le generazioni di studenti che l'hanno avuta per maestra: l'interpretazione delle fonti, siano esse letterarie epigrafiche o di qualsiasi altra natura, non può essere condizionata da pregiudizi, di qualsiasi genere. La conoscenza vastissima, per non dire totale, dei documenti utili per la ricostruzione storica e una capacità di sintesi talvolta prossima alla divinazione, oltre naturalmente all'intelligenza storica, consentivano alla Sordi di dominare il campo del dibattito con assoluta libertà, cioè in piena indipendenza dalle tante opinioni, apparentemente consolidate, che costituiscono la communis opinio. (...)Curò e diresse la collana dei «Contributi dell'Istituto di storia antica», uscita con cadenza annuale dal 1972 in poi presso Vita e pensiero; negli ultimi dieci anni aveva coordinato con energia e rigore i convegni annuali della fondazione Canussio di Cividale del Friuli, della quale ha presieduto il comitato scientifico. Marta Sordi ricevette prestigiosi riconoscimenti della sua attività, tra i quali la Medaille de la Ville de Paris, nel 1997, la Medaglia d'oro per i Benemeriti della cultura, nel 1999, e la Rosa Camuna per la Regione Lombardia, nel 2002. L'entità e l'importanza dell'opera scientifica di Marta Sordi si commentano da sole.Chi ne ha condiviso un lungo tratto della vita ha ricevuto da lei una lezione di fermezza e di coraggio, di ideali e principi affermati e vissuti, dello studio e della ricerca intesi come servizio alla verità, di fedeltà e obbedienza alla Chiesa. Una conclusione è sempre troppo limitativa di una personalità grande.Tuttavia, nel presentare più di due anni or sono, all'Università Cattolica, Impero romano e cristianesimo.Scritti scelti, mi vennero in mente parole ricorrenti nel pensiero e negli scritti di Benedetto XVI che Marta Sordi gradì molto, anche se ne rimase stupita, e che qui ripeto come estremo omaggio, carico di affetto e di rimpianto: «La fede è chiamata a spingere la ragione ad avere il coraggio della verità». Credo che questa esortazione Marta Sordi l'abbia messa in pratica lungo tutta la sua vita di studiosa.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7756LA PASQUA DELLE TRE ENCICLICHE DI PIO XI CONTRO NAZISMO, COMUNISMO E MASSONERIA di Roberto de MatteiIl titolo "La Pasqua delle tre encicliche" vuole ricordare tre importanti documenti emanati da papa Pio XI a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro nel marzo del 1937. Tre Encicliche che si rivolgevano a tutti i cattolici del mondo e che mantengono ancora oggi la loro attualità.Pio XI, ottantenne e convalescente dopo una lunga malattia che lo aveva immobilizzato per mesi, affrontava tre gravi sfide poste alla Chiesa dalle ideologie anticristiane del suo tempo: il neopaganesimo della Germania hitleriana, con la Mit brennender Sorge;il comunismo della Russia sovietica, con la Divini Redemptoris; l'anticristianesimo del Messico laicista e massonico, con la Firmissimam constantiam. L'uscita di queste tre encicliche nel giro di due settimane fu un fatto unico nella storia della Chiesa.IL NEOPAGANESIMO DELLA GERMANIA HITLERIANALa prima enciclica, la Mit brennender Sorge, era datata la Domenica di Passione il 14 marzo 1937. Pio XI affermava: «Se è vero che la razza o il popolo, se lo Stato o una sua determinata forma, se i rappresentanti del potere statale o altri elementi fondamentali della società umana hanno nell'ordine naturale un posto essenziale e degno di rispetto; tuttavia chi li distacca da questa scala di valori terreni, elevandoli a suprema norma di tutto, anche dei valori religiosi e, divinizzandoli con culto idolatrico, perverte e falsifica l'ordine, da Dio creato e imposto, è lontano dalla vera fede in Dio e da una concezione della vita ad essa conforme. (...) Sulla fede in Dio genuina e pura si fonda la moralità del genere umano. Tutti i tentativi di staccare la dottrina dell'ordine morale dalla base granitica della fede, per ricostruirla sulla sabbia mobile di norme umane, portano, tosto o tardi, individui e nazioni al decadimento morale. Lo stolto, che dice nel suo cuore: "non c'è Dio", si avvierà alla corruzione morale. E questi stolti, che presumono di separare la morale dalla religione, sono oggi divenuti legione».IL COMUNISMO DELLA RUSSIA SOVIETICALa seconda enciclica, la Divini Redemptoris, fu pubblicata il 19 marzo 1937, festa di S. Giuseppe, patrono della Chiesa e dei lavoratori cristiani. Denunciando il comunismo mondiale e ateo che dalla Russia si diffondeva nel mondo, Pio XI diceva: «Per la prima volta nella storia stiamo assistendo ad una lotta freddamente voluta, e accuratamente preparata dell'uomo contro "tutto ciò che è divino" (...) Procurate, Venerabili Fratelli, che i fedeli non si lascino ingannare! Il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con esso da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana. E se taluni indotti in errore cooperassero alla vittoria del comunismo nel loro paese, cadranno per primi come vittime del loro errore, e quanto più le regioni dove il comunismo riesce a penetrare si distinguono per l'antichità e la grandezza della loro civiltà cristiana, tanto più devastatore vi si manifesterà l'odio dei "senza Dio».Pio XI lanciava un «appello a quanti credono in Dio»: «Ma a questa lotta impegnata dal «potere delle tenebre» contro l'idea stessa della Divinità, Ci è caro sperare che, oltre tutti quelli che si gloriano del nome di Cristo, si oppongano pure validamente quanti (e sono la stragrande maggioranza dell'umanità) credono ancora in Dio e lo adorano. Rinnoviamo quindi l'appello che già lanciammo cinque anni or sono nella Nostra Enciclica Caritate in Christi affinché essi pure lealmente e cordialmente concorrano da parte loro "per allontanare dall'umanità il grande pericolo che minaccia tutti". Poiché - come allora dicevamo, - siccome "il credere in Dio è il fondamento incrollabile di ogni ordinamento sociale e di ogni responsabilità sulla terra, perciò tutti quelli che non vogliono l'anarchia e il terrore devono energicamente adoperarsi perché i nemici della religione non raggiungano lo scopo da loro così apertamente proclamato"».Il Papa aggiungeva: «Dove il comunismo ha potuto affermarsi e dominare - e qui Noi pensiamo con singolare affetto paterno ai popoli della Russia e del Messico, - ivi si è sforzato con ogni mezzo di distruggere (e lo proclama apertamente) fin dalle sue basi la civiltà e la religione cristiana, spegnendone nel cuore degli uomini, specie della gioventù, ogni ricordo. Vescovi e sacerdoti sono stati banditi, condannati ai lavori forzati, fucilati e messi a morte in maniera inumana; semplici laici, per aver difeso la religione, sono stati sospettati, vessati, perseguitati e trascinati nelle prigioni e davanti ai tribunali».IL LAICISMO MASSONICO DEL MESSICOProprio al Messico era dedicata la terza enciclica, Firmissimam constantiam, emanata il giorno di Pasqua, il 28 marzo 1937. In essa il Papa affermava che «quando le più elementari libertà religiose e civili vengono impugnate, i cittadini cattolici non si rassegnino senz'altro a rinunziarvi».'Qualora i poteri costituiti «insorgessero contro la giustizia e la verità al punto di distruggere le fondamenta stesse dell'autorità, non si vedrebbe come dover condannare quei cittadini che si unissero per difendere con mezzi leciti ed idonei se stessi e la Nazione, contro chi si vale del potere pubblico per rovinarla».Pio XI non invitava alla resa, ma ricordava ai cattolici messicani ad avere «quella visione soprannaturale della vita, quella educazione religiosa e morale e quello zelo ardente per la dilatazione del Regno di Cristo che l'Azione Cattolica si propone di dare. Di fronte a una felice coalizione di coscienze che non intendono rinunziare alla libertà rivendicata loro da Cristo (Gal. 4, 31) quale potere o forza umana potrebbe aggiogarle al peccato? Quali pericoli, quali persecuzioni, quali prove potrebbero separare anime così temprate dalla carità di Cristo? (cf. Rm, 8, 35)».I cristeros messicani avevano impugnate le armi in nome di Cristo Re. Pio XI, rivolgendosi ai cattolici messicani, richiamava la sua enciclica Quas primas dell'11 dicembre 1925 in cui proclamava Cristo Re dell'universo. Una verità che opponeva alle ideologie anticristiane che alla vigilia della Seconda guerra mondiale minacciavano il mondo. Ma anche nelle ore più buie la virtù della speranza, alimenta la fede dei cristiani.'Così, nella Divini Redemptoris, Pio XI affermava: «Con gli occhi rivolti in alto, la nostra fede vede i "nuovi cieli" e la "nuova terra", di cui parla il primo Nostro Antecessore, San Pietro (II Petr., III, 13). Mentre le promesse dei falsi profeti in questa terra si spengono nel sangue e nelle lacrime, risplende di celeste bellezza la grande apocalittica profezia del Redentore del mondo: Ecco, Io faccio nuove tutte le cose (Apoc., 21, 5)».È questo il nostro augurio nella Pasqua di Resurrezione del 2024, ricordando la Pasqua delle tre gloriose encicliche di Pio XI del 1937.'
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7703CONCORDATO DEL 1984: QUARANT'ANNI DI SCRISTIANIZZAZIONE di Roberto De MatteiQuarant'anni fa, il 18 febbraio 1984, il presidente del Consiglio Bettino Craxi ed il cardinaleSegretario di Stato Agostino Casaroli firmarono solennemente a Villa Madama, il Nuovo Concordato tra la Santa Sede lo Stato italiano, che rivedeva profondamente i Patti Lateranensi dell'11 febbraio 1929.I Patti Lateranensi del 1929, avevano sancito un nuovo rapporto di collaborazione tra Chiesa e Stato in Italia, la cosiddetta "Conciliazione", dopo il lungo dissidio seguito all'occupazione militare dello Stato pontificio e alla presa di Roma del 20 settembre 1870. Essi avevano il loro principio fondamentale nel riconoscimento della Religione cattolica, apostolica e romana, come la sola Religione dello Stato. Da questo principio scaturivano alcune importanti conseguenze, come l'insegnamento della dottrina cristiana nelle scuole, il riconoscimento giuridico del matrimonio sacramentale, la proclamazione del carattere sacro della città di Roma.La Costituzione repubblicana del 1948, pur essendo animata da un profondo spirito laicista, nel suo articolo 7, recepì i Patti Lateranensi come fondamento dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia. La novità del "Nuovo Concordato", firmato nel 1984, come spiegò lo stesso Presidente del Consiglio Craxi, consisteva invece nel realizzare la «moderna separazione» tra Stato e Chiesa, affermando il principio della "neutralità" dello Stato in materia di religione. Lo stesso cardinale Casaroli precisò che il «fulcro» del Nuovo Concordato era costituito dall'abolizione del "principio originariamente richiamato dai Patti Lateranensi della religione cattolica come sola religione dello Stato». La segreteria di Stato vaticana e la Conferenza episcopale italiana, esprimevano pubblicamente il loro plauso per il nuovo traguardo raggiunto.IL CENTRO CULTURALE LEPANTOL'11 febbraio 1984, una settimana prima della firma del Nuovo Concordato, il Centro Culturale Lepanto, che avevo l'onore di presiedere, pubblicò, come inserto pubblicitario, su alcuni quotidiani nazionali un «manifesto» intitolato «Può un cattolico preferire lo Stato ateo?». Scrivevamo tra l'altro: "Non meraviglia che le forze rivoluzionarie e anticristiane, che professano l'ateismo e l'egualitarismo radicale, esprimano la loro sostanziale soddisfazione verso un progetto concordatario in cui vedono affermato il principio dell'uguaglianza delle religioni, e quindi un implicito ateismo di Stato, destinato ad avere enormi conseguenze in seno alla società civile. Ciò che invece è strabiliante è che la stessa intima soddisfazione per questo Concordato venga espressa pubblicamente dai vertici del mondo cattolico, sia laici che ecclesiastici, tanto da considerarlo molto migliore dell'antico e quindi a questo nettamente preferibile. Il Centro Culturale Lepanto - associazione civico-culturale che si ispira all'immutabile dottrina della Chiesa - rivolge a queste autorità del mondo cattolico italiano una domanda, rispettosa ma pressante: Può un cattolico preferire uno Stato "neutrale" in materia di religione, e quindi implicitamente ateo, ad uno Stato ufficialmente cattolico? Questa preferenza non contraddice la dottrina cattolica e lo stesso buon senso? Negli ultimi due secoli, il Magistero della Chiesa, soprattutto per bocca dei Sommi Pontefici, ha sempre condannato il principio anticristiano del laicismo e della neutralità religiosa, affermando per contro il dovere dello Stato di riconoscere pubblicamente e di sostenere efficacemente la vera Religione. Tra le innumerevoli citazioni, ci limitiamo a riportare questa di san Pio X: «È una tesi assolutamente falsa, un errore pericolosissimo, pensare che bisogna separare lo Stato dalla Chiesa. Questa posizione si basa infatti sul principio che lo Stato non debba riconoscere nessun culto religioso. Essa è assolutamente ingiuriosa verso Dio, poiché il Creatore dell'uomo è anche il fondatore della società umana, e mantiene in vita sia questa che noi singoli individui. Perciò gli dobbiamo non soltanto un culto privato, ma anche un culto sociale ed onori pubblici» (Enc. Vehementer dell' 11 febbraio 1906). Lo stesso buon senso impone del resto che un cattolico abbia il diritto di vivere in una società in cui costumi, leggi e istituzioni subiscano la più profonda influenza da parte della vera Religione. La stessa logica esige che il cattolico reclami l'irrinunziabile diritto di formare una famiglia cattolica, una civiltà cattolica, uno Stato di principio e di fatto cattolico. Assolutamente illogico è invece che un cattolico preferisca uno Stato "neutrale" ad uno Stato animato dallo spirito della Santa Chiesa. Come può infatti egli preferire uno Stato in cui la Religione cattolica perda il suo primato e il suo prestigio per essere trattata alla stregua di una setta qualsiasi? In cui l'insegnamento religioso non venga più impartito nelle scuole, se non su esplicita richiesta? In cui 1e preziose figure dei cappellani debbano abbandonare ospedali, carceri, caserme? In cui l'adorabile immagine del Crocefisso venga estromessa da ogni edificio pubblico? In cui la bestemmia non sia più perseguibile come reato, ma venga considerata una rispettabile opinione? Non sono forse queste le logiche conseguenze del Nuovo Concordato?".CONCLUSIONICiò che era scandaloso non era l'accordo, ma l'elogio che di esso facevano le autorità ecclesiastiche. Esse avrebbero potuto presentare il Nuovo Concordato come un compromesso doloroso, ma necessario, esprimendo il loro rammarico per una oggettiva menomazione dei diritti della Chiesa e ricordando l'ideale dello Stato cattolico, come modello a cui tendere. La CEI, in una dichiarazione ufficiale del 19 febbraio 1984, si vantava invece di aver "dato il deciso contributo di sua competenza nelle fasi dell'elaborazione del testo, lieta ora che il contributo sia stato accolto".Il 12 dicembre 1984 venne posta a Roma la prima pietra della grande moschea islamica che fu ufficialmente inaugurata il 21 giugno 1995, Fu questa una delle prime conseguenze della scomparsa del carattere sacro della città di Roma, tutelato dai Patti Lateranensi.Quarant'anni dopo possiamo confermare ciò che nel 1984, unica voce cattolica in Italia, affermavamo ad alta voce. Il Nuovo Concordato rappresentò una grave tappa nel processo di scristianizzazione del nostro paese.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7702MUORE VITTORIO EMANUELE DI SAVOIA, ESCLUSO DALLA SUCCESSIONE PER IL SUO MATRIMONIO di Stefano ChiappaloneCon la morte di Vittorio Emanuele di Savoia [...] torna sotto i riflettori il casato che ha cinto la corona d'Italia dal 1861 al 1946, ma - insieme alle non poche controversie che lo hanno coinvolto in vita - anche l'annosa questione di chi sia il “vero” capo di casa Savoia, dopo la morte di Umberto II, l'ultimo re d'Italia deceduto in esilio nel 1983. In sintesi: prosegue il ramo Savoia-Carignano, con Vittorio Emanuele e ora suo figlio Emanuele Filiberto? Oppure, come altri sostengono, sarebbero subentrati i cugini del ramo Savoia-Aosta, con Amedeo (morto nel 2021) e ora suo figlio Aimone? E perché? La questione è apparentemente “di nicchia”, ma tutt'altro che priva di interesse, essendo legata alla storia del nostro Paese e - perché no? - a un ipotetico futuro sovrano, in caso di improbabile ma non impossibile ritorno della monarchia, cui si intreccia anche una profezia attribuita a san Pio da Pietrelcina.Il “nocciolo” della disputa risale al 1970 per via del matrimonio tra Vittorio Emanuele e Marina Ricolfi Doria: non essendo la sposa di famiglia reale, in mancanza di assenso di Umberto II, lo sposo sarebbe stato escluso dalla successione. Assenso necessario secondo le norme di casa Savoia per ogni matrimonio (diseguale o meno), ma se «contratto con persona di condizione e stato inferiore (...), tanto i contraenti, che i discendenti da tale matrimonio, si intenderanno senz'altro decaduti dal possesso dei beni e dei diritti provenienti dalla Corona e dalla ragione di succedere nei medesimi». Salvo «qualche singolare circostanza» che spingesse il sovrano a dare il beneplacito, come stabilito nel 1780 dalle Regie Patenti di Vittorio Amedeo III, re di Sardegna.LA SOLENNE AMMONIZIONENorme che Umberto II, non più re ma pur sempre capo di casa Savoia, ribadiva in una lettera del 25 gennaio 1960 al figlio, all'epoca fidanzato con l'attrice Dominique Claudel, «in modo che tu sappia con esattezza in quale situazione verresti a trovarti», richiamandosi «alla legge della nostra Casa, vigente da ben 29 generazioni e rispettata dai 43 Capi Famiglia, miei predecessori, succedutisi secondo la legge Salica attraverso matrimoni contratti con famiglie di Sovrani. Tale legge, io 44mo Capo Famiglia, non intendo e non ho diritto di mutare, nonostante l'affetto per te». Umberto era netto sulle conseguenze: «la tua decadenza da qualsiasi diritto di successione come Capo della Casa di Savoia e di pretensione al trono d'Italia, perdendo i tuoi titoli e il tuo rango e riducendoti alla situazione di privato cittadino. Perciò tutti i diritti passerebbero immediatamente a mio nipote Amedeo, Duca d'Aosta». Vittorio Emanuele il 25 aprile 1960 riconosceva «la situazione nella quale verrei a trovarmi se decidessi di rinunciare alle mie prerogative e mi sposassi con una donna - qualunque essa fosse - non di sangue reale» e la relativa situazione anche «sotto l'aspetto strettamente dinastico».L'ammonimento si ripeté il 18 luglio 1963, quando l'ex sovrano riprese carta e penna dopo aver letto un'intervista al figlio circa le possibili nozze (poi di fatto avvenute) con Marina Doria, vedendosi costretto a «ripeterti, parola per parola, quanto ebbi a scriverti il 23 [sic] gennaio 1960, in una simile circostanza». «L'intervista non rispecchia il mio pensiero», rispose Vittorio Emanuele il 25 agosto in calce alla lettera paterna. Fatto sta che qualche anno dopo quel matrimonio che “non s'aveva da fare” si fece nel 1970 a Las Vegas, con rito civile, all'insaputa del padre. Quello religioso seguì l'anno dopo a Teheran.LA PROFEZIA DI PADRE PIOA dirimere la questione nel frattempo insorta fra i due rami fu chiamata nel 2001 la Consulta dei Senatori del Regno, fondata nel 1955 da ex senatori attivi durante la monarchia e poi man mano rinnovatasi per le evidenti necessità anagrafiche. Il risultato, in breve, fu che invece di sciogliere il nodo si spaccò in due anche la Consulta. Da allora di Consulte ce ne sono due: una, presieduta dal medico Pier Luigi Duvina, che riconosce la successione di Vittorio Emanuele (e di Emanuele Filiberto), l'altra, presieduta dallo storico Aldo Alessandro Mola, che invece riconosce i Savoia-Aosta (Amedeo e Aimone) quali legittimi successori di Umberto II. Il picco di tensione tra i due rami si raggiunse però nel 2004 alle nozze reali di Felipe VI di Spagna quando lo scontro divenne anche fisico e Marina Doria dovette andare a scusarsi con Amedeo che aveva appena rimediato un pugno dal cugino Vittorio Emanuele.Anche prescindendo dalla querelle matrimoniale relativa a Vittorio Emanuele, un altro elemento avrebbe nel tempo giocato a favore del ramo Savoia-Aosta: la legge salica - che attribuisce il trono solo agli eredi maschi - anch'essa richiamata nella lettera di Umberto II del 1960. Emanuele Filiberto non ha fratelli e ha due figlie femmine che pertanto non sarebbero entrate nella linea di successione se il nonno Vittorio Emanuele all'inizio del 2020 non avesse dichiarato abolita la legge salica, legiferando a tutti gli effetti come capo di Casa Savoia e pertanto considerandosi tale. Decisione che ha suscitato malumori tra i rami del casato, dichiarata da Amedeo «nulla, tanto più perché proveniente da persona esclusa dalla successione dinastica», attraverso un comunicato. [...]Da capofamiglia si presenta Aimone, che invia le condoglianze ai parenti dal sito intitolato Casa Reale di Savoia. E c'è chi vede in Aimone l'uomo della profezia sul crollo della monarchia e sul suo ritorno per mano di un ramo collaterale, attribuita a san Pio da Pietrelcina, che negli anni '30 avrebbe predetto - il condizionale è d'obbligo - alla futura regina Maria José: «Un ramo della pianta seccherà, ma un altro ramo germoglierà portando copiosi frutti». [...]Nota di BastaBugie: in merito alla profezia di padre Pio accennata alla fine dell'articolo ecco cosa si trova scritto su Wikipedia.Secondo una profezia, padre Pio da Pietrelcina avrebbe previsto la fine del Regno d'Italia, l'estinzione del ramo principale dei Savoia discendenti da Umberto I e il successivo ritorno della monarchia in Italia con il ramo collaterale dei Savoia-Aosta. Nella cripta dove riposano i resti mortali del frate, a San Giovanni Rotondo, è presente un grande bassorilievo commissionato nel 1968 da Gian Paolo Quinto e modellato dallo scultore Cesarino Vincenti, intitolato Maestà e Bellezza ti stanno intorno. L'opera raffigura la Sacra Famiglia attorniata da un gruppo di persone raccolte in preghiera, fra le quali spicca un uomo che, nonostante l'opera sia stata realizzata quando Aimone aveva solo un anno, ha il viso di Aimone di Savoia-Aosta da adulto, con sulle spalle il collare dell'Ordine supremo della Santissima Annunziata.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7609LA FESTA (DIMENTICATA) DELLA LIBERTA' DAI TOTALITARISMI di Valter LazzariLa legge sul 9 novembre è una delle più brevi del nostro ordinamento, un solo articolo. «Legge 15 aprile 2005, n. 61 Istituzione del "Giorno della libertà". 1° comma. La Repubblica italiana dichiara il 9 novembre "Giorno della libertà", quale ricorrenza dell'abbattimento del muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo. 2° comma. In occasione del "Giorno della libertà", di cui al comma 1, vengono annualmente organizzati cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento nelle scuole che illustrino il valore della democrazia e della libertà evidenziando obiettivamente gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti». Stop, finita. Breve ma da conoscere e far conoscere.Lo scorso anno è balzata alle cronache non già per essere stata onorata, ma per le proteste da parte di presidi, insegnanti, sindacati della Scuola, verso il ministro dell'Istruzione per il solo fatto che, essendo tale legge disattesa, egli esortava ad applicarla. Laddove invece si va diffondendo la pratica di celebrare a scuola una "giornata contro l'omo-bi-trans-eccetera-fobia" nonostante nessuna disposizione la prescriva. Eppure molto sarebbe il materiale, generalmente ignorato, che almeno in questo giorno si potrebbe portare alla discussione.IL TRENTENNALE DEL 1989Ricordiamo, quattro anni fa, come è stato celebrato il trentennale del 1989? Liquidato con qualche articolo il solo giorno del 9 novembre, mentre sarebbe stato notiziabile e commercialmente allettante scandire mese per mese tutto il 2019. Una Rai che, per esempio, aveva poco prima minuziosamente ripercorso e vivisezionato la Grande guerra (occasione per blandire pacifisti e nostalgici della rivoluzione d'ottobre), il 1989 lo ha trattato poco e male. Chiediamoci, è casuale questo obnubilamento del 9 novembre e dell'89? È una svista? O non è ancora una volta la manipolazione ideologica della Storia e della storiografia, l'annoso discorso dell'occupazione gramsciana di tutte le casematte culturali (università, editoria, letteratura (e premi letterari!), cinema, teatro, arti figurative, etc. etc.Il totalitarismo, ci ricorda Hannah Arendt nel suo celebre saggio, non pretende solo la subordinazione politica degli individui, ma invade e controlla anche la loro sfera privata. Questa, una delle principali differenze coi regimi autoritari. Da noi nel ventennio non succedeva che, col pretesto di insegnare norme igieniche, gruppi di "volontari" venissero a ingerire in casa per vedere quali libri, quali simboli religiosi appesi, come invece fanno i "Comités de Defensa de la Revoluciòn" nelle case dei cubani. Da noi non succedeva che a ridosso della Pasqua, si interrogassero capziosamente gli scolaretti delle elementari e dell'asilo, per farsi dire se in casa si dipingevano le uova per la festa. In Albania sì. E successivamente in quelle case faceva irruzione la polizia politica. In Albania per battezzare un bimbo si rischiava la vita: un sacerdote, don Stiefen Kurti, subì la fucilazione per aver battezzato un neonato (20 ottobre 1971). Quegli stessi anni '70 in cui un noto disegnatore satirico recentemente scomparso, in Albania ci passava le settimane estive di volontariato "per l'edificazione del Socialismo" (e non risulta che mai abbia pronunciato ravvedimento). Proprio gli anni in cui Italia e mondo democratico, inscenavano fluviali cortei per la pena capitale eseguita in Spagna su uomini i quali, a prescindere dai loro nobili (?) ideali avevano tuttavia compiuto sanguinari atti di terrorismo con corredo di vittime innocenti. La Spagna non era un regime totalitario, i Paesi del Patto di Varsavia lo erano.STUDIARE HAMAS E ISRAELEOnorando il dettato della legge sul 9 novembre si potrebbe studiare Hamas (anche a prescindere dal contegno che essa tiene verso Israele): spiegare nelle scuole (che paiono essere parecchio simpatizzanti, docenti compresi) come Hamas governa nel suo stesso territorio. Con quali strumenti giuridici ha potuto destinare incommensurabili risorse ricevute dagli Stati amici, o dalla Unione Europea stessa, per armamenti sofisticati, per una rete di cunicoli e una edilizia tutta offensiva, lasciando il suo popolo nella miseria. Uno Stato che opprime il suo popolo al punto da farsene scudo umano, che gli impedisce lo sfollamento in luoghi sicuri e installa il quartiere generale bellico sotto strutture ospedaliere, che elimina fisicamente gli oppositori parlamentari e permette lo stupro delle proprie cittadine se carcerate, che purifica il territorio dagli omosessuali spicciamente defenestrandoli dai grattacieli perché intanto per essi c'è la pena di morte. E se non bastano questi indicatori per configurare il totalitarismo, raccomandiamo ai docenti di esporre semplicemente agli studenti lo statuto di Hamas e le ripugnanti pagine dei manuali scolastici che coi nostri soldi UE hanno potuto editare.Si potrebbe altresì spiegare come funziona Israele, vero Stato di diritto, l'unica democrazia che si possa incontrare a partire dal mare dinnanzi alle Canarie fino all'India. E approfondire di come la minoranza araba è rappresentata in tutti i livelli della Pubblica Amministrazione, fino alla Magistratura e compresa la Corte Suprema. Conoscere della possibilità per la popolazione araba di accedere alle università come Medicina senza numero chiuso (ciò che invece vale per la popolazione ebraica) proprio per favorire l'integrazione e la partecipazione alla vita sociale dello Stato di Israele. Altro che apartheid! Magari pure accennando al Welfare e a una Sanità che cura indistintamente tutti.I sistemi totalitari, ci ricorda ancora la Arendt, perseguono sempre una politica estera bellicista e apertamente diretta al dominio mondiale. È dimostrata l'aspirazione alla pace e alla normalizzazione di Israele verso altri paesi arabi, percorso proficuamente iniziato con gli Accordi di Abramo che invece i regimi totalitari hanno voluto interrompere: perché la guerra è consustanziale al totalitarismo.Tutto questo, anche questo, la legge 61/2005, istitutiva del Giorno della Libertà ci permette di mettere a tema. Occorre solo volerla utilizzare. Coraggio prof!
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2504IL SACERDOTE CHE CON IL SUO GENIO SCIENTIFICO CATALOGO' OLTRE 1000 SPECIE DI FUNGHI di Barbara SartoriI colleghi statunitensi lo consideravano un maestro, «the most learned in the world». Richieste di consulenze gli arrivavano da tutta Europa.Ma, in Italia, al di fuori di una ristretta cerchia di esperti, restava un modesto parroco della Val di Sole.È un sacerdote trentino vissuto a cavallo tra Otto e Novecento il più grande micologo italiano, l'abate Giacomo Bresadola. La Biblioteca della sede piacentina dell'Università Cattolica - che ne conserva gran parte delle opere, vere rarità editoriali, donate da Giuseppe Fogliani, dal 1960 al '92 docente della Facoltà di Agraria - vuol rendere omaggio al suo genio scientifico. Fino al 28 settembre, nell'atrio d'onore, è possibile ammirare alcuni testi originali e riproduzioni delle tavole dipinte dal Bresadola per illustrare i funghi analizzati in cinquant'anni di ricerche. Si calcola, limitandosi alle sole nuove specie, che ne abbia catalogate ben 1017.Nato a Ortisé nel 1847, Giacomo Bresadola è indirizzato dal padre alle scuole tecniche a Rovereto, per farne un ingegnere. Lui preferisce il seminario: nel 1870 è sacerdote.Non dimentica però la passione per le scienze. A Baselga di Piné il giardino della canonica diventa un orto botanico. A Roncegno comincia lo studio delle fanerogame, piante della famiglia dei faggi e degli abeti, sotto la guida Francesco Ambrosi, direttore e bibliotecario del Museo di storia naturale di Trento. È lui a proporgli di occuparsi di muschi e licheni, presentandogli il biologo Venturi. Si deve invece al cappuccino Giovanella da Cembra, se, mentre era curato a Magras, tra il 1878 e l'83, inizia a interessarsi di funghi. Ma i testi su cui lavorare - si accorse il sacerdote - erano imprecisi.Decise perciò di scrivere ad Andrea Saccardo, docente di botanica all'Università di Padova, chiedendogli di inviargli le sue opere e proponendosi «per la ricerca di qualche fungo o altro che riguarda la Micologia, che specialmente in questi paesi montuosi è ricca, e vergine dalle ricerche degli scienziati». È l'inizio della carriera di micologo. Nel 1881 entra in contatto con gli studiosi nordamericani e pubblica la sua prima opera, Fungi tridentini novi vel nondum delineati, un atlante di 281 specie locali, descritte e illustrate dall'autore.Seguiranno Mycromicetes tridentini (1889) e la divulgativa Funghi mangerecci e velenosi dell'Europa media , in italiano (pubblicata postuma).Il rigore dello studio e la finezza del tratto sono la peculiarità del metodo del Bresadola, che non si accontentava di vaghe descrizioni, ma - seguendo l'insegnamento del francese Lucien Quélet - corredava le sue schede con note critiche e minuziosi disegni, frutto di un attento esame al microscopio. Il suo credito crebbe a tal punto che i musei di Londra, Parigi, Uppsala, Liegi, Washington, Kiev gli inviavano da analizzare le loro collezioni più preziose e ancora oggi custodiscono testimonianze del suo infaticabile lavoro. Senza spostarsi da Trento - nel 1884 era stato nominato amministratore all'Ordinariato vescovile e nel 1887 al capitolo della Cattedrale ­ poté revisionare miceti da ogni latitudine, con l'obiettivo di dare ordine alla catalogazione esistente: ottocento specie furono dichiarate non valide.A dispetto dei riconoscimenti ­ nel 1927 la laurea honoris causa in scienze naturali a Padova, il titolo di socio fondatore conferito dall'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, dalla Società micologica britannica e da varie accademie europee - restò l'umile prete di sempre. Le ristrettezze economiche lo costrinsero a vendere al museo di Stoccolma un erbario con 30mila specie. Alcuni editori stranieri avevano messo gli occhi sulla documentazione prodotta in una vita di studio, qualcosa come 1250 tavole a colori, disegnate a mano. Le avrebbero ottenute, se il Museo tridentino di storia naturale e alcuni studiosi italiani non fossero intervenuti per promuovere la monumentale Iconographia Mycologica .Furono raccolte sottoscrizioni in tutto il mondo e, insieme al denaro, arrivavano attestati di stima nei confronti dell'anziano abate. Prima di morire, nel '27, riuscì a vedere pubblicati i primi 12 dei 26 volumi di cui si compone l'opera, conclusa nel '33. Rarissima, sul mercato librario è quotata sui diecimila euro. Ora, grazie alla 'Società Micologica Bresadola' di Trento, gli appassionati possono consultarla in versione digitale.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7569NORMA COSSETTO, LA RAGAZZA STUPRATA E INFOIBATA CHE LA SINISTRA VUOL DIMENTICARE di Giovanni TerranoLa triste vicenda di Norma Cossetto, uccisa barbaricamente ottant'anni fa tra la notte del 4 ed il 5 ottobre 1943, dai partigiani comunisti, non rientra sicuramente nel "politicamente corretto". Questa storia è stata commemorata unicamente in Parlamento, in un convegno organizzato il 3 ottobre scorso da Alessandro Amorese, Nicole Matteoni, Maurizio Gasparri e Rossano Sasso e ricordata, poi, il 5 ottobre dal vicepresidente della Camera e deputato di Fratelli d'Italia, Fabio Rampelli. La storia delle foibe, si sa, va nascosta perché scomoda per la sinistra italiana in quanto pone in risalto le barbarie e le atrocità poste in essere dai partigiani.Norma Cossetto, figlia di un dirigente locale istriano del Partito Nazionale Fascista, era una studentessa universitaria di Lettere dell'Università di Padova di 23 anni che stava preparando una tesi di laurea in geografia proprio sul suo territorio, l'Istria Rossa (in quanto ricco di bauxite). Dopo l'armistizio di Cassibile dell'8 settembre 1943, i partigiani depredarono la casa della famiglia di Norma e quest'ultima si rifiutò di entrare a far parte del movimento partigiano, cosa che le comportò l'arresto presso l'ex caserma della Guardia di Finanza di Parenzo. Successivamente, la sorella, Licia Cossetto, ha raccontato che prima che Norma fosse infoibata ed uccisa, la stessa fu sottoposta anche a sevizi e stupri ad opera dei partigiani. Il suo corpo fu trovato e recuperato, privo di vestiti, dopo il 10 dicembre 1943, a seguito dell'occupazione dell'Istria da parte dell'esercito tedesco.La storia di Norma Cossetto è una delle tante storie di infoibati coinvolti in una razzia storica, di coloro, cioè, che hanno affrontato un'impervia prova senza barattare la propria dignità. Norma è un'eroina, suo malgrado, che ha dimostrato un'accettazione fiera e composta delle barbare violenze dei partigiani, privata, tra l'altro, dei suoi sogni di studentessa universitaria e scaraventata in una realtà di incubi e di morte. Se la realtà partigiana fosse stata realmente giusta, non avrebbe costretto donne come Norma Cossetto a diventare "eroine".Non va dimenticato che il massacro delle foibe, avvenuto tra il 1943 ed il 1945, è un evento storico molto importante, spesso volutamente dimenticato dalla sinistra, che ha dato spazio ad una politica riduzionista se non addirittura negazionista. È noto che sulla strage delle foibe vi sia una forte divisione sul modo di leggere i fatti storici. E, talvolta, alcuni autori hanno tentato di dare palesemente una chiave di lettura faziosa della storia. Vicende tristi come quella di Norma Cossetto non vengono ricordate perché scomode per una certa area politica, e solo il centrodestra ha ritenuto opportuno commemorare gli ottant'anni di tale triste evento, come già detto.Ed è ancora più curioso evidenziare come, qualche giorno prima, sia stato data molta risonanza alle Quattro Giornate di Napoli e all'Anpi, e il Comune di Napoli ha addirittura intitolato ad Antonio Amoretti, ritenuto l'ultimo partigiano delle Quattro Giornate e scomparso qualche mese fa, i giardini di Piazza Quattro Giornate del quartiere Vomero di Napoli. Ma ci sarebbe tanto da dire, a cominciare dal fatto che le Quattro Giornate di Napoli - e, se vogliamo, l'intera Resistenza -, rappresentano un clamoroso falso storico. Ma questo è un altro discorso. Limitiamoci, ora, a ricordare gli ottant'anni dal tragico evento di Norma Cossetto causato dai partigiani, evidenziando, purtroppo, che la storia, spesso, viene letta come la si vuol leggere.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7547IL NOBILE CRISTOFORO COLOMBO, ULTIMO DEI CAVALIERI MEDIEVALI di Michelangelo LongoLa vulgata vorrebbe Cristoforo Colombo marinaio genovese, di umili origini che grazie a una felice intuizione scopre "per caso" un nuovo continente. I dati storici ribaltano questa narrazione. I documenti ci regalando uno spaccato del tardo medioevo assai diverso: il self made man non è semplicemente possibile, ma è possibile l'epopea di un nobile cavaliere spinto dallo spirito di avventura e dal desiderio, per noi post moderni incomprensibile, di portare la fede ovunque.Ma partiamo dalla famiglia. Il cognome per esteso è Colombo di Cuccaro, feudo del marchesato del Monferrato. La famiglia serviva i Marchesi e li seguì fino alla fine della signoria, quando Gian Giacomo Paleologo si dichiarò vassallo dei Savoia per ritornare nel Monferrato dopo l'esilio a Venezia con a seguito i Colombo di Cuccaro. La nobile famiglia dei Colombo si trovò così a servire non più un marchesato nel pieno del suo potere ma un vassallo senza futuro e rendite. A quel punto i Colombo di Cuccaro dovettero trovare altre strade per vivere e una di queste portava al mare...Colombo fu corsaro, mozzo? È plausibile che come cadetto di una nobile famiglia fosse comandante di qualche vascello, magari anche con la licenza di corsa (corsaro appunto). Il figlio Ferdinando riporta episodi che sembrano figli di battaglie atlantiche tra corsari di diverse nazioni, certo è che il futuro Ammiraglio esplora in lungo e in largo l'Atlantico e il Mediterraneo fino ad incontrare il sorgente impero Ottomano a Chio, poche miglia dall'Asia Minore ormai presa dagli infedeli. Forse proprio lì maturò il desidero di trovare una nuova via per l'Asia.Proprio la ricerca di una nuova via per l'Asia ha solleticato la fantasia di innumerevoli detrattori del Medioevo e della Chiesa Cattolica. La leggenda nera vuole la Chiesa schierata su posizioni "terra-piattiste", quando in realtà la consapevolezza della forma sferica della terra era nota ed accettata. Inoltre molti episodi conosciuti alle corti della penisola iberica dimostravano che al di là del mare esistevano terre abitate: le indie? L'Asia? Erano popoli da convertire, con cui commerciare? Il punto era comprendere quanto distasse la terra al di là dell'Oceano. Colombo sosteneva che l'intera circonferenza della terra fosse di 20.000 km (sbagliando), portoghesi, spagnoli non ci credevano. Molti fattori ritardarono l'avvallo all'impresa di Colombo: dubbi sulla rotta proposta, i portoghesi che probabilmente stavano cercando di raggiungere l'altra sponda già da tempo per altre vie, gli Spagnoli che erano ancora intenti a cacciare i mori dalle loro terre, non ultime le consistenti richieste di Cristoforo (la decima parte delle scoperte, l'Ammiragliato, la nomina a vice Re del nuovo mondo). L'idea che un popolano potesse attendere così a lungo, perorare la sua causa con continue trattative con le corti spagnola e lusitana, che potesse intrattenersi con i cartografi e studiosi del suo tempo a discutere di una terra non ancora "scoperta" rimane improbabile. Il nobile Colombo attese con frustrazione uno spiraglio che arrivò dopo un decennio di attesa e, quando era ormai intenzionato a rivolgersi altrove, Isabella e Ferdinando di Castiglia decisero: a don Cristoforo Colombo avrebbero concesso titoli e privilegi nel caso di successo, assegnarono le tre caravelle più famose di tutti i tempi. L'avventura era partita.Quattro viaggi resero Colombo immortale. Dal primo epico e trionfante all'ultimo quasi "normale". Il mondo era entrato in una nuova epoca e i caratteri distintivi dell'Ammiraglio, la testardaggine, la petulanza, l'incapacità al governo, lo resero inviso alle corti del tempo. Morirà lasciando ai posteri un continente e un segno indelebile nella storia.Su di lui si è scritto molto, ma le parole di Leone XIII forse chiariscono il motivo per cui è ancora segno di contraddizione. Nell'enciclica Quarto abeunte saeculo, scritta in occasione del quarto centenario della scoperta del nuovo mondo, scrive "...Colombo è uomo nostro", a sottolineare che Cristoforo non partì per la sete di gloria e di conquista ma per servire Dio, per trovare una via alternativa al Santo Sepolcro, per conquistare nuove anime a Dio. Il nobile Colombo fu l'ultimo dei cavalieri medievali votati al servizio della Cristianità e per questo oggi raccoglie ancora tanto rancore e odio, in un mondo che desidera stare lontano dal Creatore del mondo.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4255QUATTRO BUONE RAGIONI A FAVORE DELLA MONARCHIA di Corrado GnerreIn occasione del 70° anniversario della Repubblica Italiana offro qualche riflessione in merito non alla Repubblica ma alla Monarchia, più specificamente alla Monarchia Cristiana. Prima però mi preme fare due premesse.La prima è più specifica. Confesso (ma penso sia cosa abbastanza prevedibile) di non nutrire alcuna simpatia per Casa Savoia per una serie di motivazioni, prima fra tutte il fatto che essa ha svolto un ruolo decisivo in quel processo, cosiddetto "Risorgimento", che altro non è stato che una sorta di "piemontizzazione" dell'Italia.La seconda premessa è più generale. La Dottrina Cattolica tradizionale (quindi non contaminata da derive modernistiche) accetta diverse forme di governo, sempre che non cadano in derive totalitarie. Ricordo che anche la democrazia, non intesa in senso classico, bensì come puro "democraticismo" (pretesa di poter tutto decidere con il criterio del numero anche cosa è oggettivamente bene e cosa è oggettivamente male) cade inevitabilmente nel totalitarismo, come è ben affermato da Giovanni Paolo II nell'enciclica Centesimus Annus al punto 46: "Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia."Fatte queste due premesse, vengo al dunque. Le buone ragioni della Monarchia sono quattro. La prima è "sociale", la seconda "antropologica", la terza "religiosa" e la quarta "filosofica". Ho utilizzato le virgolette perché il significato di queste aggettivazioni è in senso ampio. 1) RAGIONE SOCIALEUna delle più precise definizioni di Monarchia è "governo di una famiglia su tante famiglie". Infatti, la Monarchia altro non è che la "centralità politica" della Famiglia. Qui ovviamente il riferimento è alla concezione tradizionale e vera della società. Secondo questa concezione la società non può che avere una dimensione comunitaria. Essa non è un insieme di individui ma di famiglie: è una "famiglia di famiglie". La concezione individualistica della società è invece un prodotto tipicamente "moderno". Ed è proprio la forma repubblicana ad esprimere chiaramente l'impostazione individualistica, cioè il governo di uno su tanti, di un individuo su tanti individui.Relativamente a questo discorso va detto che la concezione vera della Monarchia -o meglio: la concezione della Monarchia vera- si espresse non a caso nel medioevo cristiano, che fu un periodo tutto all'insegna della dimensione comunitaria e "familiare". Le stesse corporazioni erano strutturate sul modello familiare.In merito alla famiglia bisogna fare un'altra considerazione. A differenza di altre forme di governo, nella Monarchia Cristiana il Re è tenuto, anche se indirettamente, a render conto di come gestisce la propria famiglia che è parte integrante della sua rappresentatività politica; il tutto nella convinzione che non si può pretendere di governare uno Stato se non si è capaci di saper governare la propria famiglia.2) RAGIONE ANTROPOLOGICAPassiamo adesso ad un'altra buona ragione della Monarchia, che possiamo definire "antropologica". Dico subito che qui il discorso si fa molto più "delicato", non solo nel senso che va ben capito, ma anche perché sembrerebbe offrire argomenti un po' troppo "sottili". Ma si tratta ugualmente di una questione importante.Governare è qualcosa di impegnativo: è un'arte che è difficile improvvisare. Ebbene, nella Monarchia vige il riconoscimento del principio secondo cui sin da piccoli bisogna prepararsi a governare. Può sembrare una sciocchezza, ma non lo è. Lasciamo stare la misteriosa incompetenza di molti politici dei nostri giorni, "misteriosa" perché assume proporzioni tali da sembrare voluta. Spesso mi viene la tentazione di pensare che coloro che ci comandano formalmente siano volutamente scelti per la loro pochezza da coloro che ci comandano sostanzialmente (che stanno dietro le quinte) affinché possano essere più facilmente gestibili. Ma, lasciando stare questo discorso che porterebbe molto lontano, resta il fatto che l'arte del governo è anche l'esito di un apprendimento, di una scuola, di un'educazione. San Luigi IX (che a detta del famoso medievista di formazione laica, Jacques le Goff, è stato il più il più grande Re di Francia) così scrive al figlio che dovrà ereditare il Regno: "Caro Figlio, la prima cosa che ti raccomando è che tu metta tutto il tuo cuore nell'amare Dio. Se Dio ti manda delle avversità, sopportale pazientemente. Confessati spesso e scegli confessori prudenti. Mantieni i buoni costumi del regno e combatti quelli cattivi. Prendi cura di avere in tua compagnia tutti uomini prudenti, sia religiosi, sia secolari. Non sopportare che si dica davanti a te nessun oltraggio verso Dio, né ai Santi. Rendi sovente grazie a Dio di tutti i doni che Egli ti ha fatto, affinché tu sia degno di averne ancora. Le tue genti vivano in pace e in rettitudine sotto te, anche i religiosi e tutte le persone della Santa Chiesa. Dona i benefici di Santa Chiesa. Pacificati piuttosto che porre guerre, sia coi tuoi, sia coi tuoi sudditi, come faceva San Martino. Sii diligente di avere buoni preposti e buoni podestà e buoni inquisitori. Sforzati di impedire il peccato e cattivi giuramenti; fa distruggere le eresie contro il tuo potere. Fa in modo che le spese del tuo palazzo siano ragionevoli. Infine, caro figlio, io ti do tutte le benedizioni che un buon padre pietoso può dare a suo figlio, e che sia benedetta la Santissima Trinità e tutti i Santi ti guardino e ti difendano da ogni male; e che Dio ti dia la Grazia di fare sempre la sua volontà, in modo che Egli sia sempre onorato da te". 3) RAGIONE RELIGIOSASe Dio esiste (ed esiste!) la realtà è gerarchica; e per logica tutto deve essere riconducibile alla sovranità di Colui che è il Re di tutto: il Re dei Re. Se Dio esiste (ed esiste!) la realtà non è né "repubblicana" né "democratica", ma inevitabilmente "monarchica".Qui c'è da aggiungere una cosa interessante. Prima abbiamo detto che simbolicamente la Monarchia rappresenta la centralità politica e sociale della Famiglia; ebbene il Cristianesimo parla di un Dio che è Unico ma anche Comunione, in quanto Trinitario. Dunque, è proprio nel Cristianesimo, più di ogni altra religione, che la Monarchia, come centralità politica della Famiglia, trova il suo fondamento teologico. Possiamo in un certo qual modo dire che il Cristianesimo è strutturalmente monarchico e che la Monarchia è strutturalmente cristiana. 4) RAGIONE FILOSOFICALa Monarchia esprime anche un'altra conformazione, ed è quella alla realtà. Ecco la ragione "filosofica" che è legata al "realismo filosofico", unico criterio per una corretta speculazione razionale.La dimensione gerarchica è nell'ordine naturale delle cose; tant'è che anche negli ambienti che ne teorizzano l'illegittimità e l'innaturalità, questa, cacciata dalla porta, rientra in un certo qual modo dalla finestra. Provare per credere: finanche negli ambienti anarchici il leader finisce sempre con l'emergere.E' nella natura delle cose riconoscere che chi comanda può comandare per sempre, che sui talenti che il Signore dona non c'è data di scadenza. Se la politica diventa un bene di consumo, allora sì che esiste il rischio che vada a male; ma se la politica è promozione e difesa del bene comune (tradizionalmente e metafisicamente inteso) allora non c'è rischio né che vada a male né che possa passare di moda.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=1729HITLER NE ERA CONVINTO: LA PRINCIPALE ATTIVITA' DEI PRETI CONSISTEVA NEL MINARE LA POLITICA NAZISTA di Francesco AgnoliIl pensiero di Hitler e stato consegnato solo in parte, cioè nella prima fase della sua attività politica, al Mein Kampf. In questo testo confuso e logorroico, i pensieri del futuro dittatore si accavallano l'uno sull'altro, risultando spesso indigeribili. Però, per quanto riguarda il tema che a noi interessa, sono già in parte delineati. Hitler, infatti, afferma più volte due concetti: che la Chiesa cattolica è «in conflitto con le scienze esatte e con l'indagine scientifica», e che il cristianesimo si è imposto grazie ad una «fanatica intolleranza». Intolleranza che è propria degli ebrei in generale: «Oggi il singolo deve constatare con dolore - scrive Hitler - che nel mondo antico, assai più libero del moderno, comparve col cristianesimo il primo terrore spirituale».Questi pensieri, espressi nel 1923, possono essere meglio compresi alla luce di quanto Hitler ebbe a dire una volta giunto al potere. Per questo risulta indispensabile la lettura delle Conversazioni a tavola di Hitler, da poco ristampato in Italia (dopo ben 50 anni!) dalla Libreria editrice Goriziana. Si tratta dei discorsi tenuti da Hitler con gli invitati che di volta in volta accedevano a lui: furono trascritti a partire dal 5 luglio 1941 per ordine di Martin Bormann, capo della cancelleria del partito e segretario del Führer.Ebbene, in queste conversazioni a ruota libera, Hitler rivela molto chiaramente il suo pensiero rispetto al cristianesimo, dimostrando che era una delle tematiche che più gli stava a cuore. Nelle quasi 700 pagine in cui discorre di guerra, russi, ebrei, diete, nazismo ecc., i riferimenti al cristianesimo e alla Chiesa cattolica, pur minoritaria all'interno del paese di cui era l'incontrastato leader, sono continui, insistenti e ripetitivi.Anzitutto Hitler ritiene che il cristianesimo sia una delle manifestazioni della perfidia ebraica: parla quindi esplicitamente di «cristianesimo ebraico». «Il cristianesimo - afferma la notte del 20 febbraio 1942 - costituisce il peggiore del regressi che l'umanità abbia mai potuto subire, ed è stato I'Ebreo, grazie a questa invenzione diabolica, a ricacciarla quindici secoli indietro». Cristo, in verità, per Hitler, non era un ebreo, ma un ariano che «attaccò il capitalismo ebraico» e per questo venne ucciso: «Non è escluso che sua madre fosse ebrea»: ma certo non lo fu il padre.La «falsificazione della dottrina di Gesù» fu quindi opera dell'ebreo san Paolo: a lui si deve la creazione della religione cristiana, cioè di una forma di bolscevismo ante litteram. Il cristianesimo infatti si è posto alla testa dei più miserabili, degli schiavi, dei malriusciti, con le sue teorie «egualitarie» nate per «conquistare un'enorme massa di gente priva di radici»; «ha mobilitato la feccia», per «organizzare cosi un pre-bolscevismo».Per Hitler all'equazione ebraismo-cristianesimo, si affianca quella cristianesimo-bolscevismo: l'ebreo Saul e l'ebreo Marx sono i creatori di due ideologie di morte equivalenti tra di loro!«Il colpo più duro che l'umanità abbia ricevuto - dichiara - è l'avvento del cristianesimo. Il bolscevismo è figlio illegittimo del cristianesimo. L'uno e l'altro sono una invenzione degli Ebrei. È dal cristianesimo che la menzogna cosciente in fatto di religione è stata introdotta nel mondo. Si tratta di una menzogna della stessa natura di quella che pratica il bolscevismo quando pretende di apportare la libertà agli uomini, mentre in realtà vuol far di loro solo degli schiavi». Ancora: «L'Ebreo che fraudolentemente introdusse il cristianesimo nel mondo antico, allo scopo di perderlo, ha oggi riaperto questa breccia prendendo, questa volta, il pretesto della questione sociale. È sempre lo stesso gioco dei bussolotti. Come Saul si è trasformato in s. Paolo, così Mardocheo è diventato Karl Marx».Come il bolscevismo è oggi causa di morte e di distruzione, così il cristianesimo, afferma Hitler ribadendo quanto già scritto nel Mein Kampf, è fondato sull'intolleranza: «Il cristianesimo è stata la prima religione a sterminare i suoi avversari in nome dell'amore. Il suo segno è l'intolleranza».La colpa storica della Chiesa cattolica è poi quella di aver fatto crollare l'impero romano, regno dell'arte, della tolleranza e della civiltà. E di averlo sostituito con l'arte barbara delle catacombe, col buio del medio Evo, l'epoca più insignificante della stona umana. Hitler afferma: «Sono sicuro che Nerone non ha mai incendiato Roma. Sono stati i cristiani-bolscevichi». Poi loda Giuliano l'Apostata, e depreca Costantino. Il concetto è sempre lo stesso: i cristiani, figli spirituali dell'ebreo Paolo, sono la causa della caduta dell'Impero e di ogni barbarie degli ultimi 20 secoli.Ai cristiani Hitler imputa di negare «tutte le gioie dei sensi»; di aver proposto una errata «volontà ecumenica», cioè universalistica e non razzista; di essere «contro la selezione naturale» e quindi di instillare una «ribellione contro la natura, una protesta contro la natura» di proporre un «paradiso insipido», tutto canti e alleluia; di essere una «storia puerile», una «invenzione di cervelli malati», una vera e propria «malattia».Soprattutto interessante è il fatto che Hitler condivida coi comunisti-bolscevichi (verso cui dichiara il suo odio, e con cui si alleerà per scatenare il secondo conflitto mondiale) due idee. La prima: che il cristianesimo sia contro la scienza e la ragione. La seconda: che sia condannato a sparire col tempo, automaticamente, soffocato dall'affermarsi del nazismo trionfante e liberatore.Anche Marx aveva creduto lo stesso; anche i bolscevichi spiegavano, in quegli stessi anni, che la Chiesa non avrebbe retto il confronto con la scienza, la modernità ed il progresso, e sarebbe sparita da sola, una volta instaurata la società giusta, perfetta, egualitaria, in una parola, comunista. Senza bisogno di persecuzioni (che invece, poi, ci furono eccome).Riguardo alla prima idea, Hitler, che riteneva «scientifico» il razzismo, afferma: «la religione è in perpetuo conflitto con lo spirito di ricerca. L'opposizione della Chiesa alla scienza fu talvolta così violenta da sprizzare scintille». Quanto alla seconda idea cui accennavo, la scomparsa automatica del cristianesimo, per manifesta «inferiorità», Hitler dichiara di aver creduto, un tempo, sin dai 14 anni, che la soluzione avrebbe dovuto essere violenta, la «dinamite»: sterminare i preti, le loro menzogne e la loro malvagità.Poi, col tempo, sostiene di essersi convinto che sia politicamente più produttivo lasciar morire il cristianesimo «a fuoco lento», come effettivamente cercherà di fare sopprimendo le scuole e i giornali confessionali e attuando una persecuzione spesso soprattutto di tipo culturale e ideologico: «A lungo andare, il nazionalsocialismo e la religione non potranno più coesistere... la soluzione ideate sarebbe di lasciar le religioni consumarsi da sé, senza perseguitarle».Per capire questa prospettiva hitleriana è bene ricordare che Hitler era un uomo molto pragmatico: sapeva che certe operazioni vanno fatte con prudenza e cautela, o addirittura di nascosto, come ad esempio nel caso del programma eutanasico T4. Così più volte rivelava ai suoi collaboratori che l'ora dei conti con la Chiesa e con il cardinal von Galen, il suo più agguerrito avversario, sarebbe arrivata solo alla fine della guerra, per non dividere troppo il paese in un momento difficile. In varie occasioni Hitler frenò addirittura le repressioni contro la Chiesa del suo fidato segretario Bormann, non perché non le condividesse, ma perché temeva «potessero ritorcersi sfavorevolmente sullo stato d'animo del paese in guerra». «Secondo Bormann - scrive il gerarca nazista Albert Speer - un modo per restituire vitalità ed interesse all'ideologia nazionalsocialista era quello di stimolare la lotta contro la Chiesa [...]. Hitler in materia temporeggiava, ma nessuno poteva dubitare che egli intendesse soltanto rinviare il problema ad un momento più favorevole, poiché alla tavola della Cancelleria usava nei confronti della Chiesa parole molto più pesanti e scoperte di quelle che usava all'Obersalzberg, dove la presenza delle signore lo frenava. «Quando avrò risolto tutti gli altri miei problemi - diceva a volte - farò i conti con la chiesa. Allora essa vedrà i sorci verdi» (A. Speer, Memorie del terzo Reich, Mondadori, 1997).
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7509L'ITALIA RICONOSCE L'HOLODOMOR COME GENOCIDIO di Stefano MagniA 90 anni di distanza, anche il Parlamento italiano ha votato per il riconoscimento dell'Holodomor quale genocidio degli ucraini, commesso da Stalin dal 1932 al 1933. Il Senato ha approvato la mozione con 130 voti a favore e 4 astenuti (e tutti gli altri assenti). I 4 astenuti sono senatori di Verdi-Sinistra Italiana e Movimento 5 Stelle.Sull'Holodomor (in ucraino: "morte per fame") è stato fatto negazionismo (vero) da parte del regime sovietico e ancora oggi il dibattito è difficile da affrontare. È innegabilmente un crimine di massa figlio dell'ideologia comunista. Nel 1928 Stalin impose le sue riforme economiche radicali, dopo aver introdotto il primo Piano Quinquennale. L'agricoltura, che era la principale risorsa per l'Ucraina, come per la Russia meridionale, venne considerata come un settore ausiliario dell'industria. Nutrire gli operai: questo doveva essere il compito dei contadini. Poi la grandezza dell'Urss sarebbe arrivata grazie al programma di industrializzazione. L'Ucraina, nei primi anni sovietici, dopo la guerra civile (che l'aveva devastata, con una prima carestia) aveva ottenuto una certa autonomia, per lo meno il permesso di usare la propria lingua e di studiare la propria cultura nazionale. Gli anni '20 furono un periodo di "ucrainizzazione". Stalin, con la sua furia centralizzatrice, volle distruggere l'identità ucraina che lui stesso, da ex ministro delle Nazionalità, aveva concesso. L'Ucraina era un nemico nazionale: con la sua identità rischiava di minare l'unità dell'Urss. Era anche un nemico di classe, dove la Nuova Politica Economica aveva fatto fiorire più che altrove una classe di intraprendenti contadini proprietari, i "kulaki" come venivano chiamati spregiativamente.SI AIZZARONO LE LOTTE DI CLASSEL'ira lucida di Stalin si abbatté sui kulaki. Considerati nemici di classe, vennero aizzate contro di loro le masse contadine. Con processi sommari e linciaggi veri e propri, furono poi tutti deportati in Siberia, in Asia centrale e al Circolo polare. La campagna di "de-kulakizzazione" fece sparire quasi 2 milioni di ucraini e fu devastante per l'economia. Arrivati al 1931, le autorità sovietiche accelerarono la collettivizzazione. La resa dei terreni crollò. Le autorità sovietiche, più che "esperti" di agricoltura mandarono brigate di agit prop. Le stazioni dei trattori e delle macchine agricole erano centri di propaganda, più che fornitori di servizi ai contadini. La collettivizzazione fu una grande ubriacatura ideologica e causò la fine di una società agricola, in quello che era sempre stato il "granaio d'Europa".Ma al Cremlino non ammisero mai alcun errore, il modello doveva funzionare. Quindi alla comparsa delle prime statistiche che dimostravano raccolti molto inferiori alle quote prefissate dal piano, Stalin reagì punendo in massa i contadini. Chiunque era sospetto di nascondere il grano. La polizia politica entrava casa per casa, con pertiche di ferro con cui ispezionava (e distruggeva) le misere capanne di legno dei contadini, sequestrando ogni singolo chicco di grano. Ai contadini stessi non veniva lasciato nulla. Nessuno poteva fuggire. Venne reintrodotto un sistema rigidissimo di passaporti interni. Nessuno poteva neppure raggiungere le città. In tempi di carestia naturale, le città fanno la fame, i contadini hanno sempre qualcosa da mangiare. In una carestia artificiale, come quella provocata da Stalin in Ucraina, le campagne morivano, le città ricevevano provviste dalle autorità centrali, a sufficienza da sfamare operai e funzionari. Chi provava a entrare nelle città, alla ricerca di un po' di cibo, veniva cacciato o arrestato, oppure bastonato e lasciato morire. I casi di cannibalismo si moltiplicarono. La fame provocò un impazzimento collettivo. Testimonianze di sopravvissuti ci ricordano di persone trasformate completamente, ridotte all'inedia o ad una condizione di automi famelici, disperati, pronti a tutto. Tutta l'Ucraina si riempì di fosse comuni.Non esiste una contabilità dell'Holodomor. Esistono solo stime demografiche che variano da 3 a 7 milioni di morti. La più probabile è di 4,5 milioni di vittime, in un unico anno. Una mattanza simile, per dimensioni (anche se in proporzione alla popolazione fu molto maggiore) si vedrà, mezzo secolo dopo, solo in Cambogia, altro regime comunista che collettivizzò di colpo le campagne.UN VERO E PROPRIO GENOCIDIONella lettera di contestazione inviata al governo italiano dall'Ambasciata russa, si leggono i classici tre argomenti contro la definizione di "genocidio": la stessa carestia riguardò non solo l'Ucraina, ma anche il Kazakistan e la Russia meridionale. Non fu deliberato, ma il frutto di "errori gestionali da parte delle amministrazioni regionali delle zone agricole dell'Urss". E infine avvenne in "condizioni climatiche sfavorevoli dei primi anni '30". La prima obiezione non nega il carattere genocida dello sterminio per fame in Ucraina. La popolazione ucraina fu deliberatamente colpita e, contemporaneamente alla fame, venne scatenata anche una purga di tutte le personalità della cultura nazionale locale, un processo di violenta "de-ucrainizzazione". Semmai sono il Kazakistan e i russi delle regioni del Kuban e Caucaso settentrionale che avrebbero tutto il diritto di reclamare la memoria del loro genocidio, ma nessuno può negare che gli ucraini lo abbiano subito. La dinamica della carestia dimostra che fu un atto deliberato. Non solo non vennero inviati soccorsi, ma vennero vietati tutti i possibili aiuti e chiuse tutte le vie di fuga. Quindi non furono "errori gestionali". Infine le condizioni climatiche "sfavorevoli" non impedirono raccolti altrove, in Urss e all'estero, colpirono selettivamente solo le zone agricole soggette a collettivizzazione forzata. Troppo per essere una coincidenza.UNA SISTEMATICA CAMPAGNA DI NEGAZIONISMODell'Holodomor non si parla molto, perché, appunto, il regime staliniano condusse una sistematica campagna di negazionismo in tempo reale. Non si limitò a chiudere l'accesso delle aree colpite dalla carestia, arrivò ad organizzare tour di giornalisti selezionati in zone in cui era stata creata una campagna sovietica completamente artificiale: finti villaggi, comparse, un benessere costruito per essere mostrato all'estero. Ci cascarono in tanti, un giornalista in particolare si fece promotore della disinformazione sovietica: il britannico (premio Pulitzer) Walter Duranty. Tuttora non è chiaro quanto non sapesse o quanto fingesse di non sapere. Ad un diplomatico britannico, successivamente alle sue corrispondenze, confessò di sapere che la popolazione ucraina aveva subito fino a 5 milioni di morti a causa della carestia. Chi sapeva era il console italiano a Kharkov (attuale Kharkiv), Sergio Guadenigo, che inviava a Mussolini fedeli e puntuali rapporti di quanto stava accadendo. Tuttavia, anche l'Italia fascista scelse di non protestare, di non reagire, in un periodo in cui i rapporti con l'Urss era distesi. L'unico giornalista indipendente che documentò fedelmente l'orrore dell'Holodomor fu un altro britannico, Gareth Jones. Tuttavia i suoi articoli non ebbero seguito e furono contestati dalla stessa comunità giornalistica del suo Paese. Jones morì appena due anni dopo, nel 1935, in Manciuria. Si portò nella tomba la verità sconvolgente che aveva visto in Ucraina. Il 1933 fu l'anno dell'ascesa di Hitler in Germania. Da allora, per la stampa internazionale, non ci fu argomento più importante. Quel poco di attenzione per quanto accadeva nell'Urss si spense subito.Il voto in Senato può essere considerato un atto tardivo, può essere visto come un atto interessato per motivare la politica estera italiana sulla guerra in Ucraina. Ma intanto afferma una verità troppo a lungo negata.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7473GLI INGLESI CHE PREFERIRONO LA MORTE PUR DI RIMANERE CATTOLICI di Roberto de MatteiMi sono trovato in Inghilterra il 29 giugno e mi ha molto colpito l'attaccamento che ancora oggi i cattolici inglesi hanno verso il Papa e verso la Chiesa di Roma. Questo attaccamento ha le sue radici nel doloroso scisma che si consumò nel XVI secolo, strappando l'Inghilterra alla vera fede. L'autore di questo scisma fu il re Enrico VIII, che in preda a una diabolica passione per una damigella di Corte, Anna Bolena, divorziò dalla moglie Caterina d'Aragona e, contro il divieto papale, la sposò nel 1533. Papa Clemente VII non riconobbe il matrimonio e l'anno successivo Enrico VIII fece votare dal Parlamento l'Atto di Supremazia con cui il Regno si separava dalla religione cattolica romana e costituiva una chiesa nazionale, detta poi anglicana, di cui il Re era il capo supremo. Il popolo inglese era cattolico ma furono pochi gli ecclesiastici, i dignitari e gli aristocratici, che osarono mettersi contro il sovrano, sfidando la prigione e la morte che li aspettava.SCISMA E GRANDI SANTII primi tra questi furono un eminente laico Tommaso Moro, Cancelliere del Regno, e un vescovo Giovanni Fisher, creato cardinale dal Papa prima del supplizio. Si aprì un periodo di contrastate lotte politiche e religiose, in cui il papa san Pio V scomunicò la regina Elisabetta I, figlia illegittima di Enrico VIII, e il re di Spagna Filippo II tentò di conquistare il Regno d'Inghilterra, ma la Provvidenza aveva disposto altrimenti. Per oltre due secoli la fedeltà a Roma fu testimoniata dall'epopea di una legione di santi, pronti ad affrontare la peggiore delle morti, in difesa della fede cattolica.Il condannato, condotto su un carretto al luogo dell'esecuzione, veniva squartato e orrendamente mutilato, ancora vivo e cosciente. Il carnefice dopo aver castrato il suppliziato, gli praticava un taglio nel ventre estraendone gli intestini, che venivano bruciati in un braciere davanti ai suoi occhi. Poi il carnefice gli tagliava la testa e procedeva allo squartamento del corpo. Con un'ascia lo divideva in quattro parti, prima tagliandolo verticalmente poi, orizzontalmente, quindi in altre due metà. I quarti del suo corpo venivano appesi in diversi angoli della città. Sant'Oliviero Plunkett fu l'ultimo martire cattolico inglese, squartato a Londra nel 1681, in seguito al Complotto papista (Popish Plot), una fittizia cospirazione gesuita per assassinare il re Carlo II di Inghilterra, ma in realtà inventata dal fanatico anglicano Titus Oates, per accreditarsi di fronte al sovrano.Degli innumerevoli martiri cattolici inglesi, Margarete Pole e quaranta compagni furono beatificati da Leone XIII nel 1886, e altri nove nel 1895. Thomas Hereford e altri centosei martiri vennero beatificati da Pio XI il 15 dicembre 1929. Il 25 ottobre 1970 vennero canonizzati da Paolo VI quaranta martiri, undici dei quali appartenevano al gruppo dei beati del 1886 e ventinove a quello del 1929. Il 22 novembre 1987, infine, Georg Haydock e ottantaquattro cattolici di Inghilterra, Scozia e Irlanda, sventrati a Tyburn, sono stati beatificati da Giovanni Paolo II.A Tyburn, proprio accanto al luogo in cui avvenivano le esecuzioni, che si affaccia su Hyde Park, è stato costruito un piccolo convento, dove si prega e si chiede l'intercessione di questi martiri. Vi aleggia lo stesso profumo soprannaturale che si respira in tante cappelle, chiese, santuari e monasteri cattolici del Regno Unito, da Londra fino alle brume della Scozia e alle coste della CornovagliaSANTI PIETRO E PAOLO, FESTA NAZIONALE INGLESELa festa dei Santi Pietro e Paolo che, il 29 giugno in Italia è di precetto solo per la diocesi di Roma, in Inghilterra è festa obbligatoria sul suolo nazionale e quel giorno si recita una bella preghiera che esprime tutto l'amore di questo popolo per la Cattedra di Pietro.Questa è la preghiera, rivolta a San Pietro:"O Beato Principe degli Apostoli, Vicario di Cristo, Pastore di tutto il gregge, Roccia su cui è costruita la Chiesa! Noi ringraziamo il Principe dei Pastori, che nelle epoche della fede ha legato questa terra così dolcemente e fortemente a voi e a quella sede di Roma da cui venne la sua conversione. Noi lodiamo e benediciamo Nostro Signore per quegli intrepidi confessori che hanno dato la vita per il vostro onore e il vostro primato, nell'ora in cui lo scisma e l'eresia divisero la nostra terra. Noi desideriamo ravvivare lo zelo, la devozione e l'amore dei tempi passati. Per quanto è in nostro potere, noi consacriamo il nostro Paese, con fervore ed amore, a Voi. Vi offriamo il nostro omaggio, rinnoviamo la nostra fedeltà al Pontefice, vostro Successore, che ora occupa la Sede Apostolica. Con la vostra potente intercessione confermate e rafforzate la fede dei Pastori e del popolo che vi invoca. Salvateci dall'apostasia, dalla disunione, dall'indifferenza religiosa e dalle perdite a cui l'ignoranza e la tentazione espongono il nostro piccolo gregge. O umilissimo e sincerissimo penitente, otteneteci lacrime di vero pentimento per i nostri peccati ed un amore ardente al Nostro Divin Maestro. O Clavigero del Regno dei Cieli, apriteci le porte del Cielo affinché possiamo entrare nel gaudio del Re della gloria. Ricordatevi del Regno d'Inghilterra che è cresciuto in grazia ed unità sotto la benedetta influenza apostolica per circa mille anni. Pregate Gesù affinché tutti possano ottenere la luce e ritornare al vostro gregge, che è l'unico gregge di Cristo."Non è una preghiera inglese, è una preghiera universale, come ogni preghiera cattolica. Oggi il fumo di Satana che, secondo le parole di Paolo VI, è penetrato all'interno del Tempio di Dio, avvolge la stessa Cattedra di Pietro, ma proprio per questo bisogna aumentare il nostro amore per il Papa e per il Papato, per la Roma immortale, di martiri e di santi, che inviò apostoli e missionari in ogni angolo della terra per diffondere la verità del Vangelo. Oggi c'è bisogno di nuovi apostoli che dall'Inghilterra alla Russia convertano il mondo alla Santa Chiesa romana, l'unica che è veramente una, cattolica e apostolica, e che ha nel successore del Beato Pietro, Vicario di Cristo, il suo fondamento. La preghiera è necessaria.
VIDEO: Martina Navratilova - Jimmy Connors ➜ https://www.youtube.com/watch?v=jGRIf7e6fP0TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7462QUANDO LE WILLIAMS PERSERO DAL TENNISTA MASCHIO NUMERO 203 di Riccardo BistiFosse successo oggi, non li avrebbero collocati sul campo 17 di Melbourne Park. Ci sarebbe stata la diretta TV, migliaia di persone si sarebbero ammassate in tribuna e l'hashtag avrebbe fatto tendenza. Per ricordare l'improvvisata Battaglia dei Sessi di Melbourne, invece, bisogna affidarsi all'antico strumento dei testimoni oculari. Neanche le riviste specializzate dell'epoca - pensate un po' - diedero grande risalto alla lezione che Karsten Braasch rifilò a Serena e Venus Williams, allora giovani rampanti del tour. 23 anni dopo sono diventate star planetarie e ricordano malvolentieri quel pomeriggio del 27 gennaio 1998. Se possono, evitano del tutto. Venus aveva già raggiunto la finale allo Us Open (persa contro Martina Hingis), mentre papà Richard (inascoltato) diceva che la sorella minore sarebbe stata ancora più forte. Le due si affrontarono al secondo turno nel primo episodio di una saga infinita. Ma nessuno immaginava cosa sarebbe successo pochi giorni dopo.Durante una conferenza stampa, alcuni giornalisti confrontarono lo stile aggressivo delle sorelle con quello del tennis maschile. La 16enne Serena rispose a gamba tesa: "Durante il torneo mi sono allenata spesso con gli uomini e li ho visti lavorare. Onestamente credo di poter battere un uomo fuori dai primi 200 ATP". Un tour manager particolarmente arguto pensò che sarebbe stato divertente organizzare la sfida. Diede un'occhiata alla classifica mondiale, la confrontò con i giocatori ancora presenti a Melbourne e si accorse che al numero 203 (qualche settimana prima era stato esattamente n.200) si trovava Karsten Braasch, 31 anni, tedesco. Era stato eliminato al primo turno dopo aver superato le qualificazioni ed era il profilo giusto: ex n.38, in declino, personalità particolare, vizio del fumo, occhiali da vista e un servizio dal movimento stranissimo, imparato chissà dove. Per la sua personalità, in Germania dicevano che era il Mario Basler del tennis. "Mi accennarono la possibilità di questa sfida, pensando che fossi il candidato perfetto - racconta Braasch - non c'è voluto molto per convincermi, mi sembrava divertente".LA SFIDA E LA MANCATA RIVINCITAL'avvicinamento al match non fu semplice, poiché le Williams erano già popolarissime e la sfida fu rinviata un paio di volte a causa dei loro impegni. "In questi casi è importante rimanere rilassati e non prenderla troppo sul serio - dice Braasch, soprannominato "Katze", gatto - la mia preparazione è stata una partita di golf al mattino, poi ho bevuto qualcosa e fumato le mie immancabili sigarette. Mi sono presentato sufficientemente rilassato". Il match si è giocato sul Campo 17, davanti a uno sparuto gruppo di spettatori e un paio di giornalisti. Come era accaduto qualche anno prima a Jimmy Connors contro Martina Navratilova, il tedesco ha rinunciato alla seconda di servizio. Nonostante il vantaggio, per Serena è stato un incubo. In pochi minuti è piombata sullo 0-5: temeva il cappotto, ma ha raccolto il game della bandiera. Non è dato sapere se Braasch gliel'abbia concesso o meno. Sul finire della partita, è arrivata Venus. Aveva appena terminato la conferenza stampa dopo la sconfitta contro Lindsay Davenport. In un atto di solidarietà familiare, ha sfidato Braasch per vendicare la sorella. Risultato? 6-2 per il mancino di Marl, cresciuto nella Germania operosa della Ruhr."Entrambe colpiscono la palla molto bene - dice Braasch - ma se hai frequentato il circuito ATP possiedi alcune armi che le metteranno in difficoltà. Le rotazioni, per esempio: noi siamo in grado di dare effetti che non sono abituate a fronteggiare. E poi la preparazione atletica: hanno tirato alcuni colpi che in campo femminile sarebbero stati vincenti, invece io li ho rimandati di là. Il clima era sereno, non l'abbiamo presa troppo sul serio, ci siamo divertiti". Non tutti ricordano che - dopo la batosta - Venus e Serena hanno rilanciato, abbassando le pretese. Volevano sfidare di nuovo un uomo, spostando però l'asticella al n.350 ATP. "Ho detto loro che bastava aspettare qualche settimana e mi avrebbero potuto sfidare di nuovo!". Già, perché a fine torneo Braasch perse i punti del terzo turno raccolto l'anno prima e a fine torneo precipitò al numero 339. La rivincita non si è mai tenuta: Braasch ha visto Venus qualche mese dopo, al Roland Garros: "La nostra rivincita non si è svolta!" disse la Williams con un sorriso, salvo poi scappare via. Meglio non alimentare l'idea di una rivincita.SERENA: "GLI UOMINI SONO MOLTO PIÙ FORTI"Oggi Braasch è un simpatico 53enne che si diletta nei tornei senior, rassegnato ad essere ricordato soprattutto per quella partita giocata bevendo birra e fumando ai cambi di campo. Come Antonin Panenka per il suo rigore a cucchiaio, o Olivier Panis per la sua vittoria a Monte Carlo, sa che glielo chiederanno fino alla fine dei suoi giorni. Al contrario, Serena ha fatto il possibile per cancellare il ricordo. Nel 2017, anno dell'ultima finale Slam in famiglia, i giornalisti le hanno chiesto un ricordo. "Mi ero già dimenticata di lui - ha risposto imbarazzata - non ricordo nemmeno in che anno sia successo". Qualche mese dopo, John McEnroe ha detto che una Serena al meglio avrebbe potuto collocarsi intorno al numero 700 ATP. Curiosamente, in quel momento si trovava in 701esima posizione Dmitry Tursunov. Qualcuno provò a solleticarlo, ma lui tenne alla larga le suggestioni: "Discutere su questo è come cercare di capire chi è più veloce, l'uomo o la donna. Il tennis richiede grande forza fisica, quindi per una donna è molto complicato battere un uomo".Questa storia quasi dimenticata, tuttavia, è servita a cancellare ogni discussione sulla possibilità di una reale sfida tra sessi. Il mitico Riggs-King ebbe troppe influenze sociali e culturali per essere ritenuto attendibile (e qualcuno giura che Riggs scommise una bella cifra contro se stesso), mentre gli altri match di questo tipo erano state semplici esibizioni. Le sorelle Williams hanno avuto bisogno di toccare con mano il divario per tornare a miti consigli. Nel 2010 Serena ha ammesso l'enorme differenza tra i due circuiti. "Credo che tennis maschile e femminile siano molto diversi. Gli uomini sono molto più forti. È come mischiare mele con pere. Non avrei nessuna possibilità contro un top-100". Qualche anno dopo, Andy Murray (uno dei pochissimi uomini che segue con interesse il tennis femminile) disse che gli sarebbe piaciuto affrontarla. "Davvero? Ne è sicuro? - disse Serena - sarebbe divertente, ma credo che non riuscirei a fare un punto". Realismo travestito da umiltà. Per rendersi conto della realtà, aveva dovuto prendere una stesa da un tabagista tedesco con barba e occhiali da vista. Non fosse successo per davvero, sembrerebbe un film.Nota di BastaBugie: alla voce "Battaglia dei sessi (tennis)" su Wikipedia si possono leggere le seguenti informazioni.Nel tennis il termine battaglia dei sessi (in inglese Battle of the sexes) è riferito a tre famosi incontri giocati tra un uomo e una donna. In particolare il secondo ebbe grande risalto mediatico per via della vittoria della giocatrice.1) BOBBY RIGGS - MARGARET COURT (13 MAGGIO 1973)Il campione degli anni trenta e quaranta Bobby Riggs nel 1973 affermò pubblicamente che nonostante la sua età (55 anni all'epoca) egli sarebbe stato in grado di battere anche le migliori giocatrici donne. Inizialmente sfidò Billie Jean King ma questa rifiutò l'incontro, subentrò quindi Margaret Court (all'epoca trentenne e numero 1 della classifica femminile). Il match apparve fin dall'inizio dall'esito incerto, tuttavia la maggior parte degli appassionati riteneva favorita la Court a causa dell'età di Riggs e del suo essere fuori forma da molti anni ormai.La partita si disputò a Ramona; Riggs si era preparato a dovere fisicamente ma soprattutto tatticamente, infatti utilizzando dei lob e dei drop shot riuscì a mandare subito in crisi la Court, infliggendole una dura sconfitta. Dopo questo incontro Riggs apparve sulla copertina di Sports Illustrated e del Time.2) BOBBY RIGGS - BILLIE JEAN KING (20 SETTEMBRE 1973)Delle tre partite questa è quella che viene maggiormente ricordata, al punto che molti la indicano come La battaglia dei sessi, ignorando le altre. Questa partita fu giocata al meglio dei 5 set.Dopo aver rifiutato il precedente incontro, Billie Jean King, all'epoca ventinovenne e numero 2 della classifica femminile, fu convinta a giocare da una ottima offerta economica. A differenza della Court, King si preparò a dovere all'incontro e giocando frequenti smorzate costrinse Riggs a giocare un Serve & Volley per lui innaturale e soprattutto troppo dispendioso dal punto di vista energetico. Questa strategia portò King alla vittoria di fronte a 30.000 spettatori ed ebbe grande risalto mediatico. La partita fu vista in televisione da oltre 90 milioni di persone.Il film
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7398PER MATTARELLA L'ITALIA E' FIGLIA DELL'ANTIFASCISMO E DELLA RESISTENZA di Roberto De MatteiNegli ultimi giorni, in Italia, si è discusso molto di antifascismo e di resistenza. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, parlando a Cuneo, ha affermato che il 25 aprile è la festa della identità italiana, ritrovata e rifondata dopo il fascismo. L'Italia è figlia dell'antifascismo e della resistenza, ha aggiunto, e le parole del giurista Piero Calamandrei "Ora e sempre resistenza", costituiscono un programma ideale.Osserviamo che il ventesimo secolo è stato il secolo dei totalitarismi e delle dittature: comunismo, nazionalsocialismo, fascismo. Tra il 1939 e il 1945 si è combattuta una guerra mondiale in cui le democrazie occidentali, alleate al comunismo sovietico, hanno vinto il nazismo e il fascismo. Nella seconda metà del Novecento, scomparsi dalla scena nazismo e fascismo, sono rimaste, l'una di fronte all'altra, divise dalla Cortina di Ferro, le democrazie liberali e la Russia comunista, con i suoi paesi satelliti. Il crollo del muro di Berlino, nel 1989, e l'autodissoluzione dell'Unione Sovietica, nel 1991, hanno segnato la fine dell'anticomunismo, ma non quella del comunismo. Lo prova il fatto che oggi mentre tutti si dicono antifascisti, in assenza di fascismo, nessuno si dice anticomunista, in presenza di regimi politici che si richiamano esplicitamente al comunismo, come la Cina, di Xjnping, ma anche la Russia di Putin, che ancora inneggia a Stalin, come ad un eroe nazionale. La storiografia condanna in blocco come male assoluto il fascismo, ma per quanto riguarda il comunismo scompone il blocco tra l'ideale comunista e la sua realizzazione pratica e tra i diversi comunismi che si sono realizzati.IL FANTASMA DELL'ANTIFASCISMOIl filosofo Augusto Del Noce, scomparso nel 1989, ci offriva oltre cinquant'anni fa, una chiave di interpretazione di questa concezione della storia. Ciò che allora accadeva, e che ancora oggi accade, è che i comunisti utilizzavano il fantasma dell'antifascismo e della resistenza, per combattere non il fascismo, ma una concezione della società che con il fascismo non ha niente a che fare, ma al comunismo direttamente si oppone: quella visione tradizionale del mondo, fondata sul trinomio "Dio, patria e famiglia", che il comunismo vuole estirpare nel suo progetto di secolarizzazione della società Per compiere quest'operazione culturale, gli intellettuali progressisti elevano la resistenza da fatto storico quale essa fu a mito ideale, assumendola come spartiacque tra due ere della storia, l'oscura, legata ai valori tradizionali e la progressiva, fondata sull'abbandono di questi valori e sulla mitologia di un uomo nuovo, emancipato da ogni legge naturale e divina.La resistenza, affermava Augusto Del Noce fu un momento della seconda guerra mondiale, ed è in rapporto a essa che, sul piano internazionale, dev'essere intesa. Essa svolse un ruolo storico, ma in Italia si pose in continuità e non in discontinuità con il fascismo, di cui accolse proprio il concetto di "fascio", cioè di coalizione ideale tra forze divergenti per un progetto comune. Il "fascio" di Mussolini in seguito alla sconfitta nella seconda guerra mondiale si frantumò nelle varie forme che unificava e nacque un nuovo "fascio" antifascista, per cui i fascisti di tendenza liberale raggiunsero i liberali antifascisti, i fascisti cattolici si unirono ai cattolici antifascisti, i fascisti di sinistra io socialisti, agli azionisti ai comunisti; e così via. Al momento della caduta di un regime in cui monarchia e fascismo erano unificati, divampò una guerra civile, in cui, sotto l'aspetto ideologico, spesso le due parti, che erano formate da fascisti, antifascisti ed ex-fascisti, si confondevano; e come accade nelle guerre, ogni parte ebbe i suoi eroi e i suoi vili, i suoi ingenui e i suoi furbi, i suoi onesti e i suoi profittatori.TUTTI I BUONI DA UNA PARTE, TUTTI I CATTIVI DALL'ALTRAPer gli intellettuali progressisti, però, tutti i buoni stavano da una parte, tutti i cattivi dall'altra. Da qui la mitizzazione della resistenza, considerata come "unità ideale" delle forze del progresso contro il "male radicale", individuato non tanto nel fascismo, quanto in ogni visione della storia fondata sui valori tradizionali. La resistenza invece di essere un elemento da situare nella storia, divenne il metro stesso della valutazione della storia, l'antifascismo una categoria ideale contro un nemico che non è più il fascismo storico, ma è la visione del mondo di chi resiste alla dissoluzione dei valori e delle istituzioni tradizionali.Dunque le parole "ora e sempre resistenza" non hanno senso se sono applicate a un fascismo inesistente. E' vero che la vita è lotta e dobbiamo resistere contro i nemici che ci aggrediscono. Ma quali sono i veri nemici che ogni giorno ci troviamo a combattere? Innanzitutto il male morale, che ha le sue radici nel peccato originale e che si esprime nella concupiscenza che portiamo dentro di noi. A questo nemico interno si aggiungono il mondo e il demonio. Dobbiamo resistere al mondo, che san Giovanni dice immerso tutto nel male (1 Gv, 5, 19 e dobbiamo resistere al demonio, che è un essere personale e reale, che san Pietro paragona a un leone ruggente che cerca di divorarci (1, Pt, 5, 8). Ma dobbiamo resistere anche ai nemici della Chiesa e della nostra civiltà, che sono quotidianamente all'opera. Questi nemici sono tanti, e tra questi non c'è più il fascismo, ma c'è ancora il comunismo, che definisce fascisti i suoi avversari. Ed è innanzitutto contro il comunismo, in tutte le sue versioni, che proclamiamo "ora e sempre resistenza" il 25 aprile, festa di una ritrovata libertà che rischiamo nuovamente di perdere.Nota di BastaBugie: Stefano Magni nell'articolo seguente dal titolo "Il vero male del fascismo: il culto dello Stato" spiega che la dottrina fascista è una teoria statalista che anche oggi è incontrastata. Per cui l'antifascismo, da questo punto di vista, è identico al fascismo.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 27 aprile 2023:"Fascismo" è la parola più abusata nel dibattito politico di questo mese, che si concluderà, passato il 25 aprile, solo con le celebrazioni del 1° maggio. Si tratta, tuttavia, di un insulto ormai scollegato dalla realtà storica. Si dà del "fascista" al prepotente che non ti lascia parlare, all'estremista che ricorre facilmente alle mani, al politico che vuole imporre legge-e-ordine.Al tempo stesso, il "fascismo" è inteso come periodo storico, una pagina negativa della storia di cui si chiede continuamente una ferma condanna. Gianfranco Fini, autore della svolta che mutò il Movimento Sociale Italiano in Alleanza Nazionale, il 25 aprile ha chiesto pubblicamente a Giorgia Meloni di abiurare il fascismo. La premier ha scritto una lettera aperta al Corriere della Sera, condannando tutti i totalitarismi, in generale, e i suoi critici l'hanno accusata di non aver avuto il coraggio di condannare il fascismo, in particolare. La Russa, dopo una serie di uscite che non lo hanno aiutato certamente a superare la sua etichetta di fascista nostalgico, ha rifiutato di rispondere alle insistenti domande di un cronista de La Stampa che gli chiedeva se si "sentisse antifascista".Ma non sappiamo realmente da cosa si debba prendere le distanze. A rendere complicata la memoria su cosa fu il fascismo, furono i fascisti stessi che aveva idee tutt'altro che chiare. Nel suo manifesto Origini e dottrina del fascismo, del 1932, Mussolini ammette: "Il fascismo non fu tenuto a balia da una dottrina elaborata in precedenza, a tavolino: nacque da un bisogno di azione e fu azione; non fu partito, ma, nei primi due anni, antipartito e movimento".Il fascismo elaborò una sua dottrina solo stando al governo. Ma ciò non vuol dire che non vi fosse un pensiero. Vi è una chiara continuità fra le leggi e le politiche perseguite dal regime almeno dall'inizio della dittatura (1925) alla sua sconfitta militare finale nel 1945.La definizione di "totalitarismo" non è un'invenzione di Hannah Arendt o di qualche politologo del secondo dopoguerra, ma è un'aspirazione del regime fascista. Scriveva Mussolini: "Si può pensare che questo sia il secolo dell'autorità, un secolo di «destra», un secolo fascista; se il XIX fu il secolo dell'individuo (liberalismo significa individualismo), si può pensare che questo sia il secolo «collettivo» e quindi il secolo dello Stato". E più esplicitamente: "Caposaldo della dottrina fascista è la concezione dello Stato, della sua essenza, dei suoi compiti, delle sue finalità. Per il fascismo lo Stato è un assoluto, davanti al quale individui e gruppi sono il relativo. Individui e gruppi sono «pensabili» in quanto siano nello Stato". Il filosofo Giovanni Gentile autore delle Idee fondamentali nella dottrina fascista, nega che la nazione nasca dalla tradizione o dal consenso, ma ritiene che sia lo Stato a plasmarla: "Questa personalità superiore è bensì nazione in quanto è Stato. Non è la nazione a generare lo Stato, secon
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7337NESSUNO ATTENDEVA LA FINE DEL MONDO PER L'ANNO MILLE di Marco Di MatteoUn mito storiografico ci presenta la società europea al termine del X secolo come paralizzata, per colpa di una superstizione cristiana, dal terrore della prossima fine del mondo, che si credeva coincidente con il compimento del millesimo anno dalla nascita di Cristo. Per prepararsi adeguatamente alla mezzanotte di S. Silvestro del 999, gli uomini del tempo avrebbero abbandonato ogni attività e si sarebbero dedicati solo alle opere di preghiera e di penitenza; essi inoltre sarebbero accorsi ad offrire ai monasteri i propri beni e tesori, per ottenere il perdono delle colpe. Vedendo poi spuntare l'alba del nuovo millennio, avrebbero tirato un sospiro di sollievo e si sarebbero impegnati con gioia e rinnovata alacrità in tutti i campi della vita.UN MITO STORIOGRAFICOIn realtà questa ricostruzione è puramente immaginaria e si basa su leggende inventate circa cinquecento anni dopo tali presunti eventi, che compaiono per la prima volta negli Annales del monaco benedettino occultista Giovanni Tritemio (1462-1517).Nel Settecento anche alcuni ecclesiastici, soprattutto benedettini, animati dall'intento di purificare la devozione religiosa da ogni elemento superstizioso, hanno accreditato la leggenda dei terrori dell'anno Mille, che essi intendevano condannare alla stregua di tutte le altre manifestazioni di barbarie del passato. Poi, le immagini di queste presunte paure e superstizioni collettive furono riprese prima e durante la Rivoluzione Francese da philosophes e pamphletisti anticlericali, che accusavano la Chiesa non solo di aver diffuso credenze irrazionali tra il popolo, ma di averle sfruttate ingannevolmente per incitare nobili, borghesi e contadini a donare i loro beni ai conventi e alla Chiesa. Sulla base di tale arbitraria ricostruzione, in Francia, nel 1791, si giustificò la confisca dei beni del clero, che fu presentata come una doverosa restituzione al popolo di ricchezze sottratte con sotterfugi nei "secoli bui".In età romantica diversi storiografi, in primis Jules Michelet, bramosi di scene tragiche e apocalittiche, diedero pieno credito a tali leggende, raccontando in termini melodrammatici le angosce del popolo cristiano alla vigilia del Millennio. Nel 1876 Le Dictionnaire Universel Larousse conferì un'ulteriore consacrazione a questo mito storiografico, contribuendo a diffonderlo nei manuali scolastici. In Italia soprattutto Giosuè Carducci accreditò tali fantasie nei suoi Discorsi sullo svolgimento della letteratura nazionale.LA VERITÀ STORICASe questa è la leggenda, che cosa in realtà ci raccontano le fonti coeve o di poco posteriori al Mille?Cominciamo col dire che anche questa, come tutte le menzogne, parte da un nucleo di verità: da un lato l'attesa escatologica, biblicamente fondata, della seconda venuta di Cristo, che ha sempre accompagnato la storia della cristianità, soprattutto medievale (alimentando talvolta tendenze millenaristiche poi condannate dalla Chiesa); dall'altro, l'evidente fioritura demografica, economica, artistica ed intellettuale che ha caratterizzato l'Europa dopo il Mille.Tutto questo però non avalla la tesi dei terrori dell'anno Mille, perché dalle fonti non risulta alcun indizio del fatto che l'umanità, al volgere del X secolo, fosse triste e inerte nell'attesa della fine. Al contrario, tutti i documenti ci presentano un'umanità che vive come sempre, lavorando e progettando per il futuro, come se avesse davanti a sé tutto l'avvenire. Le centocinquanta bolle papali pubblicate dal 970 al 1000 non fanno menzione della fine del mondo. I venti concili svoltisi dal 990 al 1000 non accennano a questa drammatica scadenza, al contrario legiferano per gli anni successivi al Mille, a dimostrazione che i vescovi non credevano all'imminente catastrofe (ad esempio nel 998 il concilio di Roma imponeva al re di Francia Roberto II una penitenza di sette anni, quindi fino al 1005). Il 31 dicembre 999 Silvestro II riconfermava Arnoldo arcivescovo di Reims. I Veneziani si impadronivano dell'Istria e della Dalmazia nel 998-999 e, nello stesso periodo, Stefano d'Ungheria otteneva dal Papa il titolo di re. Inoltre dal 950 al 1000 solo in Francia furono costruiti o restaurati circa centoventi monasteri. [...]Ci sono inoltre chiare attestazioni di come gli uomini di Chiesa si adoperassero per sconfessare le profezie apocalittiche circolanti in certi ambienti: quando il 22 dicembre 968 si verificò un'eclissi totale di sole che spaventò l'armata di Ottone I, il vescovo di Liegi rassicurò i soldati sostenendo il carattere naturale del fenomeno; Abbone di Fleury (945-1004) racconta di aver dovuto in due occasioni confutare pubblicamente false profezie sul prossimo avvento dell'Anticristo.Da quanto riportato risulta evidente che la leggenda dell'Anno Mille, come ha riconosciuto anche lo storico Georges Duby, rappresenta una delle tante manifestazioni di ingiustificato disprezzo nei confronti delle proprie radici medievali da parte della cultura occidentale.
VIDEO: George Lemaître e il Big Bang ➜ https://www.youtube.com/watch?v=q1MUSvVb41A&list=PLolpIV2TSebWIWP-3gYxkN2LbjB79Fu2FTESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7299IL MEDIOEVO, UN'EPOCA DI STRAORDINARIA LUCE di Francesco AgnoliDa dove nasce l'espressione, oggi così spesso impiegata, del «buio Medioevo»? Semplice: dagli "illuministi". È noto che mentre Socrate afferma di «sapere di non sapere», Agostino d'Ippona e Nicola Cusano definiscono l'uomo un «dotto ignorante» e Isaac Newton si paragona a un bambino, pieno di curiosità e d'ignoranza insieme, gli illuministi si considerano invece "adulti" pienamente razionali, avviati verso le «magnifiche sorti e progressive» tanto derise da Giacomo Leopardi. Il marchese di Condorcet, nel suo Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano, descrive infatti la storia umana come un'arrestabile ascesa verso la felicità. Per costui, dopo i secoli medievali, oscuri e tetri, la storia ha ormai preso una piega differente. «Lo stato attuale dei lumi», scrive, «ci dice che essa [l'epoca ventura, ndr] sarà felice...» perché sta per giungere «il momento in cui il Sole non illuminerà più sulla terra che uomini liberi che non riconoscano altra guida che la ragione: in cui i tiranni e gli schiavi, i preti e i loro sciocchi o ipocriti strumenti non esisteranno più che nella storia o nei teatri». La pensa così anche il più agguerrito polemista del Settecento, quel Voltaire che bolla i secoli più segnati dal cristianesimo come «tenebrosi e intolleranti» e vede nel Rinascimento l'annuncio della luce piena, giunta, finalmente, con l'Illuminismo (e con lui stesso). A ben vedere tutto il Settecento è segnato da questa convinzione, che sarà ereditata dai secoli successivi: il passato da buttare, il presente e il futuro forieri di una vera e propria salvezza e redenzione terrena, di un regnum hominis capace di svelare l'onnipotenza della ragione umana. Poco importa che poi la luce della ragione trionfi solo nella fantasia e che lo stesso Condorcet finisca condannato a morte da quei giacobini che tagliano teste a ritmo continuo per eliminare "fanatici" e oscurantisti, compreso quell'Antoine-Laurent de Lavoisier, padre della chimica moderna, ucciso nel "radioso" 1794.MARX E MUSSOLINIOggi sappiamo bene che la marcia trionfale dell'uomo illuminista si schianta sulla ghigliottina e sui 23 anni di guerra scatenati dai giacobini... eppure quel sogno continuerà a vivere anche dopo. «Civette del Medioevo» è l'insulto con cui il leader socialista Benito Mussolini apostrofa i sacerdoti cattolici, mentre ripete con Marx che «la religione è l'oppio dei popoli» e annuncia un radioso futuro: «Dietro di noi, quindi, un passato di tenebre; davanti, un avvenire di luce». [...] Non possiamo qui soffermarci sulla luce irradiata dal terrore dei giacobini e dei loro epigoni (in primis i comunisti), ma solo chiederci cosa ci sia di vero nella descrizione del Medioevo cui si è accennato, ricordando, per brevità, che accanto al Medioevo vero e proprio esiste un fanta-Medioevo, zeppo di torturatori, terrapiattisti e cinture di castità, esistito soltanto nella penna dei romanzieri e dei falsari dell'Ottocento, desiderosi di venire incontro al gusto diffuso per il macabro e il gotico. La realtà storica però fu diversa. In estrema sintesi, ricordiamo anzitutto che il Medioevo è diviso in due: l'alto Medioevo, dal 476 al 1000, e il basso Medioevo, dal 1000 al 1492. Ebbene, la prima parte è sicuramente la più cupa: l'Impero romano è crollato, le invasioni barbariche e islamiche rendono la vita dell'Europa piuttosto grama. Eppure questo buio è come quello del grembo materno: annuncia una nascita, un venire alla luce.LA REALTÀ STORICAInfatti, con l'affermarsi di una pace duratura, esplode una civiltà nuova, davvero luminosa, segnata tra l'altro dalla civilizzazione dei germani e degli altri barbari. Sì, la cristianità basso medievale è un periodo storico, che, pur evitando eccessive idealizzazioni, ha pochi paragoni nella storia: nascono i Comuni medievali, la massima espressione di libertà e di "democrazia" realizzata sino ad allora, e con essi le banche, i Monti dei pegni e i primi ospedali degni di questo nome. È in quest'epoca che la ragione umana, intesa come dono di Dio, genera le università e stimola una corsa alla produzione libraria assolutamente unica, portando all'invenzione della carta di Fabriano e a quella della stampa (imprimendo così un'accelerazione inaudita nella diffusione della conoscenza); è in questi secoli che Mondino de' Liuzzi apre alla nascita dell'anatomia moderna, e che Nicola di Oresme, Nicola Cusano e molti altri "scienziati in tonaca" minano l'astrologia superstiziosa degli antichi, segnando il passaggio dall'astrolatria all'astronomia e alle intuizioni del devoto canonico Niccolò Copernico. Ma tornando all'immagine della luce e del buio, il basso Medioevo è inondato di luce: è il periodo in cui nascono le vetrate delle chiese e delle case; in cui vengono inventati gli occhiali (probabilmente da un frate di un convento veneziano), e in cui, nell'università francescana di Oxford, prende forma un'importantissima disciplina scientifica, l'ottica o perspectiva. In generale, la luce esercita un fascino incredibile: il frate Ruggero Bacone conosce la scomposizione della luce in vari colori per mezzo di un bicchiere pieno d'acqua e comprende le leggi della riflessione e della rifrazione (sarà un altro religioso, padre Francesco Maria Grimaldi, nel 1665, a scoprire la diffrazione).LA BONTÀ DELLA CREAZIONETutto ciò in continuità con il suo maestro, il vescovo Roberto Grossatesta, autore di un trattatello, il De luce, che viene oggi considerato un capolavoro scientifico. In esso Grossatesta, prendendo spunto dal Fiat lux della Genesi e dai suoi studi su luce, iride e arcobaleno, propone una cosmologia per certi aspetti anticipatoria dell'ipotesi del Bing Bang (anch'essa figlia, secoli più tardi, dell'ingegno di un sacerdote, George Lemaȋtre): l'universo sarebbe nato da un punto di luce, in un istante atemporale che avrebbe dato cominciamento a materia, spazio e tempo, producendo così una "mundi machina", cioè la macchina ordinata del mondo materiale. Al di là delle considerazioni scientifiche [...] quello che emerge da questa visione tipicamente medievale è la bontà della creazione e della natura, che Dio avrebbe creato tramite la luce, cioè il corpo più sottile e spirituale che esista. [...] Il mondo, per questi oscurantisti medievali, è dunque fatto di luce-energia, di una luce che è a suo modo immagine stessa di Dio, perché capace di mostrare la verità, donare bellezza, scaldare e vivificare ogni altra realtà. Il Medioevo che ama i colori, affresca interamente i suoi ospedali, che produce lo «stile della luce» (le cattedrali gotiche), vede la vita dell'uomo come un progressivo aprirsi alla luce: dal buio del grembo materno, alla luce della nascita, sino alla luce piena del Paradiso («che solo Amore e Luce ha per confine»). L'idea che Dio sia la Luce vera, piena, «che illumina ogni uomo che viene in questo mondo» è, allora, ciò che non può essere perdonato al medioevo dagli illuministi e da quanti ritengono che l'uomo possa essere luce e salvezza a se stesso!
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7287SMENTITA ANCORA UNA VOLTA LA LEGGENDA NERA DELL'EVANGELIZZAZIONE DELL'AMERICAI missionari spagnoli nelle Americhe furono una benedizione del Signore con buona pace dell'ideologia woke e dell'attivismo stile Black Lives Matterdi Mauro FaverzaniIl ruolo svolto dai missionari spagnoli nelle Americhe? Una benedizione del Signore con buona pace dell'ideologia woke, delle sue teorie false e fuorvianti e dell'attivismo stile Black Lives Matter.È quanto emerso con chiarezza dalla tavola rotonda sul tema «La prima globalizzazione a partire dal Vangelo», svolta nei giorni scorsi dalla facoltà di Teologia dell'Università ecclesiastica «San Damaso» di Madrid. Il prof. Andrés Martínez, docente di Storia della Chiesa presso lo stesso ateneo, non ha dubbi: non si è trattato di «conquista», bensì di opera di «evangelizzazione» di quei territori d'Oltreoceano. Benché dubbi siano stati sollevati circa la genuinità delle intenzioni di re Ferdinando II detto «il Cattolico», mosso, secondo alcuni storici, più da motivi economici che religiosi, «sappiamo con certezza - ha proseguito il docente - come, nella mente di Isabella la Cattolica, vi fosse un progetto sicuramente di evangelizzazione», come si evince da quanto scritto nel suo testamento, dove riconosce pari dignità ai suoi sudditi dalla parte opposta del mondo, nonché dalla bolla di papa Alessandro VI, che dava ai monarchi cattolici diritto di conquista a condizione che evangelizzassero.L'EVANGELIZZAZIONE ERA IL MOTIVO PRINCIPALE«C'è stato chi ha detto che l'evangelizzazione fosse solo una scusa», ha dichiarato la professoressa Maria Saavedra, docente di Storia presso l'Università CEU San Paolo di Madrid, ma non fu così e, francamente, si è detta anche un po' «annoiata» da questa sorta di "leggenda nera", fugata, pur tra luci e ombre, dai buoni e positivi frutti ottenuti proprio grazie alla presenza missionaria spagnola. Quali frutti? I numeri parlano chiaro: mille ospedali, trenta università, un numero incalcolabile di scuole e molte confraternite sono le cifre incontestabili di autentiche e concrete opere di misericordia quotidiana. Secondo la professoressa Saavedra, di fatto, «i sovrani cattolici avviarono per la prima volta nella Storia una vera politica indigenista», riconoscendo subito agli indios lo status di sudditi della Corona di Castiglia. Si stima che, all'epoca, 20 mila missionari spagnoli, tra sacerdoti secolari e religiosi, fecero di tutto per annunciare Cristo ovunque, rispettando sempre la popolazione locale, le sue tradizioni ed il suo patrimonio linguistico e culturale, mai eliminato ma sempre documentato e, ad oggi, conservato proprio grazie al materiale prezioso raccolto dagli uomini di Chiesa, il che ha consentito il sorgere e lo svilupparsi della scienza etnografica. «Non vi fu alcun etnocidio - ha proseguito la professoressa Saavedra - in quanto le realtà culturali non sono state cancellate. Si è verificato un processo di transculturazione, durante il quale i cattolici hanno accettato e valorizzato il buono di quelle culture, rifiutando solo quanto risultasse incompatibile col Vangelo, come il cannibalismo o la magia» oppure i sacrifici umani. Non a caso l'America plasmata dagli spagnoli è la sola area del Continente a vantare ancora oggi una popolazione a maggioranza indigena o meticcia, altro che sterminio!L'IDEOLOGIA WOKE E I MOVIMENTI INDIGENISTILa professoressa Pilar Gordillo, storica dell'arte e delegata per fede e cultura dell'Arcidiocesi di Toledo, ha evidenziato come l'ideologia Woke si opponga per principio a tutto quanto sia stato fatto dalla "cultura bianca", diffamandola ed accusandola persino di aver distrutto le culture indigene, il che è totalmente falso, come mostrano i documenti originali dell'epoca, che comprovano come i pochi eccessi siano stati puniti in modo esemplare. Scontri si sono avuti da entrambe le parti, ma, in generale, si può dire che vi sia stato un sostanziale rispetto per la dignità degli indigeni, rispetto confluito poi nella celebrazione di matrimoni misti e nella liberazione di gruppi etnici sottomessi da altre tribù più aggressive e violente. «Dobbiamo essere orgogliosi del lavoro svolto dalla Spagna», ha commentato la professoressa Gordillo. Sulla stessa linea anche il prof. José María Calderón, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie e direttore della cattedra di Missiologia presso l'Università Ecclesiastica San Damaso: «Vogliamo mostrare la verità - ha detto - in modo che certe dottrine non continuino ad essere diffuse». Per questo ha annunciato di voler impegnare l'intero anno accademico ad approfondire la storia dell'evangelizzazione e l'attività missionaria svolta dalla Chiesa in America. Un proposito più che opportuno per almeno due motivi. Il primo consiste nel mostrare quante ostinate faziosità ed odiose menzogne siano state volutamente propalate per motivi ideologici da una letteratura antispagnola ed anticattolica, iniziata nel Cinquecento negli ambienti protestanti ed ancora oggi alimentata e diffusa tramite movimenti indigenisti, ecologisti, neomarxisti, terzomondisti, pauperisti, nonché dai cosiddetti cattolici progressisti. Il secondo motivo consiste, invece, in positivo, nel far conoscere il patrimonio di opere concrete, realizzate da conquistadores e missionari: dalle case alle chiese, dall'agricoltura all'allevamento, dall'artigianato alle opere di carità, dagli ospedali alle università, dall'arte all'architettura, tutto a beneficio soprattutto delle popolazioni locali in una felice sintesi tra culture sotto l'egida di una comune fede. Checché ne dicano i detrattori...
VIDEO: Clodoveo ➜ https://www.youtube.com/watch?v=qB293nyWv88TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7255IL BATTESIMO DI CLODOVEO NEL 496 CAMBIA LA STORIA D'EUROPAOltre a convertire i barbari, la Chiesa doveva renderli capaci di sviluppare una grande civiltà. Tale era il piano divino e a questo scopo Essa aveva bisogno di un potente aiuto, di una spada che prendesse le sue difese, di un guardiano che preservasse i suoi diritti dalle aggressioni, di un potere secolare che fosse garante della sua indipendenza e le assicurasse, nel nuovo ordine di cose, una certa sovranità temporale diventatale più indispensabile che mai. Insomma, per assecondare l'azione della Chiesa, era necessario un popolo che unisse la rettitudine dell'animo, il carattere energico, il potere delle armi, un alto spirito di proselitismo e un ardore cavalleresco e cristiano per la causa della religione.Questo popolo stava per comparire e inaugurare una missione che per 14 secoli sarebbe stata consacrata dalla famosa formula: "Gesta Dei per francos". I franchi, uno dei popoli barbari, avrebbero avuto questa missione provvidenziale.Al contrario della maggioranza dei germani, che aveva abbracciato l'arianesimo, i franchi erano ancora pagani. Dall'anno 481 era alla loro testa un grande guerriero, Clodoveo, che nel 493 aveva sposato una nipote del Re dei burgundi, la principessa Clotilde. Il Re dei burgundi aveva assassinato tutta la famiglia di Clotilde (rimanendo così solo a governare), odiata dalla sua coscienza e dalla sua fede, che erano ariane come tutta la corte dei burgundi. Clotilde, infatti, era cattolica fervente e aveva sofferto la persecuzione degli ariani fanatici, temprando così le virtù che la dovevano sostenere nella sua grande missione.Divenuta sposa di Clodoveo, ella seppe presto conquistare il cuore del barbaro per mezzo della sua dolcezza e santità e, a poco a poco, riuscì a moderare le feroci abitudini di Clodoveo. Ella gli parlava spesso della inutilità degli idoli e della grandezza e soavità della religione cristiana, così come della speranza nell'eternità ad essa congiunta.Clodoveo, per quanto abbagliato, non voleva darsi per vinto. L'influenza di Clotilde era comunque tale che egli permise il battesimo del suo figlio primogenito; la creatura però morì e Clodoveo rimproverò aspramente la sua sposa attribuendo la morte del bambino alla collera degli dei. Tuttavia l'amore per Clotilde fece sì che ella riuscisse a far battezzare anche il secondo figlio. Ma quando, come il primo, anche questo bambino cadde gravemente malato, la collera del Re esplose in modo terribile. Iddio, che voleva mettere alla prova per l'ultima volta la fede della sposa, guarì miracolosamente la creaturina per le preghiere della madre: Clodoveo rimase profondamente impressionato da questo fatto.Poco dopo, nel 496, un altro popolo barbaro, quello degli alemanni, attraversò il Reno. Clodoveo ingaggiò battaglia contro esso vicino a Colonia, nella pianura di Tolbiac. Nel cuore della battaglia l'esercito di Clodoveo sbanda, la vittoria gli sfugge ed egli stesso è sul punto di cadere in potere dei suoi nemici; in quel momento gli tornano alla memoria gli insegnamenti di Clotilde. "Dio di Clotilde - grida a tutto petto - dammi la vittoria e non avrò altro Dio all'infuori di te!"; pochi istanti dopo l'esito della battaglia si rovescia, gli alemanni sono presi dal terrore, retrocedono, fuggono e quelli che non vengono uccisi si arrendono.Clodoveo mantenne il suo giuramento di rozzo, ma forte e lealissimo uomo naturale. Dopo Tolbiac, egli accettò di essere istruito nella fede da due santi vescovi (uno dei quali era il famoso S. Remigio, vescovo di Reims).Un episodio, avvenuto nel corso della sua istruzione religiosa, è utile per dare un'idea del forte spirito guerriero e del coraggio di questo capo dei franchi: all'udire che Gesù, uomo innocente e suo Salvatore, era stato impunemente crocifisso proruppe in un violento grido: "Infami assassini! fossi stato presente io coi miei franchi non sarebbe finita così!".Clodoveo si fece battezzare la vigilia di Natale del 496. Tremila suoi guerrieri, disposti a lasciare, come il loro capo, il culto degli idoli per quello di Gesù Cristo, lo circondavano nell'imponente cerimonia la cui grandezza era accresciuta dalla presenza di numeroso clero e dal canto degli inni sacri. Nel battezzarlo S. Remigio, detto il Samuele francese, fece udire a Clodoveo queste sublimi parole, formula di tutto il nuovo ordine che stava per sorgere: "Abbassa il capo, condottiero; adora quel che bruciasti e brucia quel che adorasti!".La conversione del Re e dei principali guerrieri franchi provocò la conversione della nazione, e l'esempio di Clodoveo contagiò anche le nazioni vicine, venendo imitato anche da altri capi franchi, come Valarico e i suoi figli. Due sorelle di Clodoveo, una pagana e l'altra ariana, ricevettero rispettivamente il battesimo e la riconciliazione con la Chiesa.La conversione di Clodoveo decise il futuro religioso di tutta la sua razza, poiché egli non tardò ad estendere il suo dominio sui territori che dipendevano da altri capi e a riunire tutte le tribù sotto un'unica monarchia. Il battesimo dei franchi fu, dunque, un evento di immensa portata. La conversione di un potente popolo germanico alla fede cattolica portava il sigillo del trionfo del cristianesimo contro l'eresia ariana e se tre tribù di germani abbandonarono la dottrina di Ario nel corso del VI secolo, lo si deve alla conversione dei franchi al cattolicesimo.Sarà necessario lavorare ancora per molto tempo per far penetrare la vita cristiana e sradicare i resti del paganesimo nel popolo franco, tuttavia la sua fedeltà alla Chiesa Romana non verrà smentita; la sua storia domina a partire da allora quella degli altri popoli e si lega strettamente alla storia della Chiesa. Esso salverà nel VII secolo la Cristianità contro l'invasione dell'Islam. Esso difenderà il papato minacciato dai longobardi e opererà sotto Carlo Magno per la conversione della Germania e, più tardi, dei Paesi Bassi. L'Inghilterra riceverà la civiltà da un popolo di cavalieri che l'aveva ricevuta dai franchi. I popoli scandinavi riceveranno da missionari franchi le prime scintille della fede. L'Oriente, durante le crociate, rimarrà tanto meravigliato dalle prodezze di questo popolo cavalleresco, che conserverà fino ai nostri giorni l'abitudine di identificare la fede romana con la civiltà francese.Nota di BastaBugie: Massimo Viglione nell'articolo seguente dal titolo "Il battesimo e la consacrazione di Re Clodoveo" parla dell'ampolla del sacro crisma portato dal cielo per mezzo d'una colomba, che servì a consacrare Clodoveo e tutti i re di Francia, suoi successori.Ecco l'articolo pubblicato su Radio Roma Libera l'8 maggio 2020:Clodoveo, figlio del capo della tribù dei Sicambri, aveva 11 anni quando nel 476 cadde per sempre l'Impero Romano d'Occidente. Quattro anni dopo divenne Re dei Franchi Salii, e da sovrano seppe sempre scegliere come suoi consiglieri vescovi cattolici, sebbene egli fosse ancora pagano e metà del suo popolo cristiano ma ariano. [...]Nel 493, dopo una serie di vittorie, l'esercito di Clodoveo stava per essere distrutto nella Battaglia di Tolbiac. Nel momento del più grande timore, Clodoveo ebbe la forza di imitare Costantino, giurando che qualora la sorte della battaglia si fosse rovesciata egli si sarebbe battezzato. [...]La vittoria arrise miracolosamente e subitaneamente a Clodoveo, il quale, incoraggiato anche dalla nascita del desiderato erede, nella notte di Natale del 496, assistito dalle preghiere di Clotilde, ricevette il Battesimo da san Remigio. [...]Ma un miracolo ancor più grande stava per avvenire, destinato a segnare per sempre la storia della Francia monarchica. Per un banale incidente, era venuto a mancare l'olio benedetto; san Remigio allora si mise a pregare, e subito, come riporta mons. Delassus, [...] che riprende il racconto del Baronio: Dio volle mostrare visibilmente quello che dice a tutti i fedeli: "Quando due o tre sono riuniti in mio nome, io mi trovo in mezzo a loro". Infatti, tutto ad un tratto, una gran luce, più risplendente che quella del sole, riempì tutta la cappella e in pari tempo s'intesero queste parole: "La pace sia con voi. Son io non temete: mantenetevi nel mio amore".Poi, dette queste parole la luce disparve e un odore d'ineffabile soavità profumò il palazzo, a fine di provare evidentemente che l'autore della luce, della pace e della dolcezza era venuto, perché, eccettuato il Vescovo, nessuno degli astanti aveva potuto vederlo, perché erano tutti abbagliati dallo splendore della luce. Il suo splendore penetrò il santo Vescovo, e la luce che raggiava da lui illuminava il palazzo con maggior splendore delle luci che lo rischiaravano.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7048CINQUANT'ANNI FA LE MARTELLATE SULLA PIETA' DI MICHELANGELO di Valerio PeceAlle undici e mezza del mattino del 21 maggio 1972, un uomo si fa largo tra la folla di pellegrini, schiva cinque guardie, si arrampica sulla balaustra e al grido di «sono Gesù Cristo!» e sferra dodici colpi di martello sulla Pietà di Michelangelo. Il suo nome è Laszlo Toth, geologo australiano di origini ungheresi. I colpi mandano totalmente in frantumi il braccio sinistro della Vergine e scheggiano gravemente il naso, l'occhio sinistro e il velo.Quel giorno di 50 anni fa il mondo puntò gli occhi sul gruppo scultoreo posto all'inizio della navata destra della basilica di San Pietro. Prima di essere ricoperta da un drappo, poco dopo le 14, la Pietà venne visitata da Papa Paolo VI. Dal New York Times si legge che il Pontefice bresciano «apparve nella Cappella della Pietà per ispezionare i danni. Si inginocchiò brevemente per pregare davanti alla scultura vandalizzata. Poi indossò gli occhiali mormorando con un'espressione più seria del solito: "Sono gravissimi anche i danni morali"». Le cronache raccontano che dopo aver benedetto in silenzio la folla radunata davanti alla cappella, Paolo VI fece collocare davanti alla Pietà il mazzo di rose bianche e gialle che gli era stato donato quella mattina, domenica di Pentecoste.UN RESTAURO PERFETTOIl restauro della scultura realizzata a ridosso del giubileo del 1500 - quando il cardinale Jean Bilhères commissionò al giovane Buonarroti «una Vergine Maria vestita con Cristo morto, nudo in braccio» - diede risultati insperati. I timori iniziali degli esperti erano più che fondati: le martellate inferte avevano fatto cadere una cinquantina di frammenti più o meno grandi, alcuni completamente polverizzati, come quelli della palpebra sinistra. L'asso nella manica, per quella che all'epoca molti consideravano un'impresa impossibile, fu il calco di gesso dell'opera, realizzata nel 1933 e conservato nei Musei Vaticani. Fu grazie all'utilizzo di quella copia dimenticata che l'équipe di restauratori (tutti italiani) poté ottenere le matrici per realizzare le parti mancanti. Sebbene a distanza ravvicinata può intravedersi un leggerissimo ingiallimento rispetto al marmo dell'opera (il timore era che, con l'invecchiamento naturale del marmo, le protesi sarebbero saltate all'occhio in maniera molto più evidente), a distanza di 50 anni il restauro continua a regalare all'opera un aspetto assolutamente omogeneo.Laszlo Toth, capelli lunghi e barba rossiccia, dopo di versi minuti di violenza inaudita, fu prima bloccato da un vigile del fuoco, quindi immediatamente arrestato. Sandro Barbagallo, curatore delle collezioni storiche dei Musei Vaticani, per spiegare il ritardo con cui l'autore del gesto fu fermato, ha riferito con candido realismo che «i fedeli erano sotto shock, tanto che nessuno capì realmente cosa stesse succedendo». L'entità dei crimini commessi avrebbe dovuto portare ad una reclusione di nove anni. I giudici, però, ritennero Toth infermo di mente, così, dopo due anni passati in un manicomio italiano, il geologo con brama d'artista fu trasferito in Australia. Da allora se ne sono perse le tracce.Il suo nome, però, sopravvive ancora, specie in certi ambienti artistici di area radicale, in cui Toth viene evocato come un innovatore. Donald Novello, attore e regista italo-americano (noto per aver creato la figura di padre Guido Sarducci, uno dei personaggi più longevi del Saturday Night Live) ha intitolato un suo libro Le lettere di Laszlo. Ken Friedman, compositore americano, ha scritto un oratorio musicale in onore di Laszlo Toth. Esiste perfino una Scuola d'arte, la Laszlo Toth School of Art, che elogia «l'artista del martello», il quale - si legge sul sito - «ha modellato alcune sculture popolari di Michelangelo a una sensibilità più moderna». Un altro intellettuale debitore di chi ha vandalizzato la Pietà Vaticana è Roger Dunsmore, docente di letteratura all'Università del Montana, vincitore di diversi premi di poesia. Dunsmore ha pubblicato un libro-omaggio dal titolo inequivocabile, Laszlo Toth, in cui, tra gli altri, spicca questo verso: «Dove sei Laszlo Toth, dal martello gentile?».VIOLENZA DELIRANTECosa spinse Laszlo Toth a scagliarsi con quella violenza sulla Pietà michelangiolesca non è così semplice da dire (le suore spagnole, responsabili dell'ostello per pellegrini dove Toth visse negli ultimi quattro mesi, riferirono che il geologo era stato «un ospite modello»). Se certi sfregi alle opere d'arte sono dovuti all'azione di squilibrati, altre volte la causa è il puro teppismo. Altre volte ancora - ma sono categorie interscambiabili - i danni alle opere d'arte sono opera di artisti falliti, che riversano la loro insoddisfazione sui capolavori altrui. Celebre è il caso di Pietro Cannata, ex studente di estetica e pittore mancato, autore di una serie-record di sfregi. Non pago di aver rotto il dito del piede sinistro al David di Michelangelo, ha prima scarabocchiato con un pennarello "Sentieri ondulati", quadro di Pollock, per poi vandalizzare, nel duomo di Prato, "Le esequie di Santo Stefano" di Filippo Lippi.Per cercare di capire come si comporta il nostro cervello di fronte ad un capolavoro, da non molti anni le neuroscienze hanno cominciato a interessarsi di arte. Ursula Valmori - esperta del ramo e collaboratrice di State of Mind, rivista di scienze psicologiche - scrive: «Il corpo del fruitore reagisce come se fosse esso stesso direttamente coinvolto nella scena raffigurata». Ciò è risultato con maggiore evidenza soprattutto dopo lo studio dei neuroni-specchio, «capaci», spiega Valmori, «di elaborare, contemporaneamente, una rappresentazione dei propri atti e di quelli altrui».Se la Pietà di Michelangelo, simbolo di bellezza ed armonia, ha potuto provocare turbamenti così violenti da arrivare a quello scandaloso atto vandalico, il motivo va forse ricercato nella perfezione con cui Michelangelo, a soli 23 anni, impressionò il suo tempo. Troppa era la bellezza di quel Cristo, sorretto da una Vergine così dolce e giovane da essere, anche in quel marmo di Carrara, "figlia del suo figlio".
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6977IL VERO MOTIVO DELL'AFFONDAMENTO DEL TITANIC FURONO LE BESTEMMIE SULLO SCAFOTra le centinaia di operai che lavoravano alla costruzione di quel colosso, alcuni, per dispetto ai loro compagni cattolici, avevano scritto sulla carcassa della nave bestemmie e scherzi sacrileghi, ad esempio: Nemmeno Cristo potrà farti colare a piccoda I Tre SentieriIl 10 aprile 1912 il grande e lussuoso transatlantico Titanic partiva da Southampton alla volta di New York. Aveva a bordo 2201 passeggeri più l'equipaggio. Era il primo e ultimo viaggio.La Domenica in Albis, nella notte tra il 14 e il 15 aprile, mentre si trovava a 300 miglia (555 km) a sud-est di terranova e a metà della traversata, urtò improvvisamente contro un iceberg. Erano le 23,40. L'urto non risvegliò neppure i viaggiatori addormentati, ma la nave era colpita a morte. In dieci secondi l'iceberg aprì una breccia di 100 metri (un terzo della lunghezza totale al di sotto della linea di immersione). Si lanciarono l'S.O.S. e dei razzi mentre l'orchestra di bordo continuava a suonare musica da ballo.L'acqua montava raggiungendo le caldaie e la stiva. Si decise di mettere in acqua i 16 canotti di salvataggio e le 4 zattere. All'una di notte la prua si inabissava. Poco dopo tutta la parte anteriore veniva sommersa. Seicentosessanta persone presero opposto nelle imbarcazioni di salvataggio. Scene terribili di spavento e di follia si verificarono.Millecinquecento passeggeri rimasero a bordo. Si pensò di invocare l'Onnipotente. L'orchestra accompagnò il canto, divenuto poi celebre in tutto il mondo: "Più vicino a Te, mio Dio... Più vicino a Te". Altri passeggeri in ginocchio sul ponte inclinato pregavano con fervore. Poi fu l'oscurità completa. La prima ciminiera si spezzava e rotolava in mare trascinando parecchi naufraghi. Dopo due minuti (ore 2,20) l'enorme transatlantico, orgoglio della marina mercantile britannica, colava a picco. Le vittime furono 1750, i superstiti 711.Ed ecco alcuni precedenti venuti alla luce quando si faceva l'inchiesta. Tra le centinaia di operai che lavoravano alla costruzione di quel colosso, alcuni, per dispetto ai loro compagni cattolici, avevano scritto sulla carcassa della nave bestemmie e scherzi sacrileghi: "Nemmeno Cristo potrà farti colare a picco". Al di sopra della linea di immersione in lettere enormi si leggeva: "No God, no pope" (Né Dio, né Papa) e dall'altra parte: "Né la terra né il cielo possono inghiottirci".Benché fossero state coperte dalla vernice, parecchie di queste iscrizioni non tardarono a riapparire, anzi un impiegato cattolico del Titanic, che le aveva viste, scrisse ai suoi parenti di Dublino in una lettera che essi conservarono come reliquia: "Sono persuaso che la nave non arriverà in America a causa delle scritte blasfeme che ricoprono i suoi fianchi." Le parole "No God, no pope" furono letteralmente tagliate a metà dall'iceberg che attaccò la linea di immersione dove erano scritte. Queste medesime affermazioni blasfeme furono poi ripetute dal comandante della nave Smith durante l'ultimo pranzo. Poco dopo egli stesso pagava con la vita la sua empia temerarietà.È stato osservato che la bestemmia è più diffusa tra i popoli che hanno più vivo il senso religioso: fenomeno piscologico spiegabile. Quando nella vita domina il pensiero della Divinità che tutto governa, è spontaneo nel momento che le cose vanno male, dapprima lamentarsi con Dio, poi arrivare ad ingiuriarlo come se Egli fosse la causa dei nostri mali. Il bestemmiatore faccia appello al vero buon senso, risvegli la sua fede sopita e la liberi dalle incrostazioni dell'errore.Allora non troverà difficile sostituire l'espressione blasfema, l'imprecazione a Dio, che equivale ad una invocazione di maledizione su di sé, con l'invocazione filiale per la ricerca di aiuto al Datore di ogni bene.
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