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Comunismo - BastaBugie.it

Author: BastaBugie

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L'ideologia che ha prodotto più di 100 milioni di morti innocenti
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=705E' MORTO IL SEGRETARIO DI PALMIRO TOGLIATTI di Massimo CapraraEsiste solo qualche parola, o forse nessuna, come la parola ideologia che abbia dominato, anzi oppresso, il nostro tempo: il secolo appena passato "delle idee assassine". Di esse non vi parlo come uno storico di professione, perché tale non sono. Vi parlo della concretezza, del mio vissuto, vi reco una testimonianza che alimenta e nutre una riflessione critica. Non è quindi la Storia, ma la mia storia: la storia di un ideale che degenera in ideologia, di come un ideale si trasforma, si corrompe, si separa dall'esperienza e diviene un sistema dogmatico, una corazza di false verità totalizzanti e assolute.IDEOLOGIA, NON SUCCEDE MAI NIENTE DI IMPREVISTOIn questo senso, ideologia è contrario della realtà, contrario del Vero, suo pregiudizio, sua contrapposizione, suo non pensare. Nell'ideologia ogni passaggio è scontato. Essa è incurante dell'evidenza, è tempo senza tempo, incapacità di cercare il Vero, di riconoscerlo, di volerlo, di amarlo, ma capace solo di esecrarlo e negarlo. In uno dei maggiori suoi teorici, l'ideologia è «potere di una classe organizzata per opprimerne un'altra». Così Karl Marx nei Manoscritti economici - filosofici del 1844 e nell'Ideologia tedesca del 1846, descrive l'intrinseca violenza, prevedibile e prevista, che è la sostanza dell'ideologia. [...]Se parlo con durezza, con ostinazione e contrarietà, se parlo così di Ideologia non è certo per metafisica accademica. Parlo della mia vita. Ho vissuto per oltre 25 anni all'interno di una Ideologia, in una delle sue versioni più drammatiche, attivistiche, dottrinarie. Dal 1948 al 1968 ho fatto parte del Partito comunista italiano, del suo massimo pensatoio e dirigenza ossia della Nomenklatura comunista, nella sua confessione togliattiana. Sono stato membro del suo Comitato centrale, Sindaco di Portici, Deputato alla Camera per vent'anni. In quella ideologia ho militato con convinzione, allora con calore e ardore. Ho visto da vicino, ogni giorno, il volto e la maschera di una cultura e di una Ideologia autoritaria e costrittiva, che non può essere obliterata e che lascia un segno di memoria e di trauma. Ho vissuto il male dell'Ideologia sino in fondo. Ma proprio dal fondo dell'errore, ho ricevuto una spinta, un recupero, un desiderio del bene e della Verità, ho sentito, se così posso dire, il profumo della Bellezza.Di questo passato, io non mi assolvo. Ne vedo gli errori, le responsabilità personali e collettive, ne porto il peso materiale e morale. Non mi assolvo, ma neppure mi fustigo sterilmente. Di tutti i diritti di cui disponiamo, io non posso avere il diritto di tacere. Scrivo libri, ragiono, discuto, mi confronto per capire e giudicare, per suggerire i temi di un dialogo liberatorio, necessario e durevole.UN PASSATO FALLITO. E CHE MINACCIA IL PRESENTEPerché l'ideologia, in particolare e soprattutto quella comunista, è contraria alla Verità? Lo è per l'egualitarismo che contraddice e sopprime la libertà personale. Lo è per il totalitarismo che concentra in pochi il destino di molti. Ne vincola l'intera vita sociale, stermina il dissenso e lo reprime come inammissibile e imperdonabile. Lo è in quanto derivazione perversa e contraddittoria dal settecentesco Secolo dei Lumi. L'ideologia comunista comincia con il finto amore per l'Uomo, ma esso, nell'intelletto e nella pratica, finisce con l'orrore della vita. Io ho vissuto nel Partito impraticabili, estranianti ideali, io ho vissuto l'ideologia dell'avversione all'uomo. Mi sforzo di indurre gli altri a fare i conti con un passato che è praticamente fallito, ma non è morto. Mi batto perché esso non venga rimosso senza essere stato affrontato criticamente e senza una contestazione civile, ma implacabile. Parlo perché altri non cadano nell'errore mio e di una intera generazione. La mia rottura con l'Ideologia è stata difficile, forse lenta, sicuramente sofferta. Lottare contro l'ideologia è lottare contro la solitudine, la violenza, l'inganno. Significa prepararsi a cogliere il vero Ideale della Bellezza: la presenza irresistibile di Dio.
VIDEO: Intervista a Lenin ➜ https://www.youtube.com/watch?v=OBvlp4ih4Oo&list=PLolpIV2TSebWlrsMU4QrkYZXezTH-BCY6TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7740IL CENTENARIO DELLA MORTE DI LENIN, UNO DEI PEGGIORI CRIMINALI DELLA STORIA di Roberto de MatteiUn'atmosfera di penombra ha avvolto il centenario della morte di Vladimir Ilich Ul′janov, noto con lo pseudonimo di Lenin, una delle figure più criminali della storia. Morto il 21 gennaio 1924 a Mosca, a causa di una paresi, era nato 54 anni prima a Simbirsk, sulla sponda occidentale del Volga. Figlio di un ispettore scolastico, Vladimir Ul′janov fu un tipico prodotto di quella Russia fine secolo, nella quale, come scrisse Curzio Malaparte, «il fanatismo piccolo borghese andava dal liberalismo marxista al cristianesimo marcio di Tolstoi» (Il buonuomo Lenin, Adelphi, 2018, pp. 22-23). La sua giovinezza fu segnata dalla vicenda del fratello maggiore Aleksandr, impiccato nel maggio 1887 per aver complottato contro la vita dello zar Alessandro III. Vladimir Ul′janov, che già cominciava a leggere le opere rivoluzionarie, si convinse dell'errore dei populisti che intendevano sollevare i contadini compiendo atti terroristici esemplari. Fondamentale fu poi l'incontro con il padre del marxismo russo Georgji Plechanov (1856-1918), esule in Svizzera. Discepolo di Marx, ma anche dello stratega prussiano Carl von Clausewitz (1780-1831), Lenin sviluppò una teoria che faceva della Rivoluzione una scienza. Nell'autunno 1895 fondò a Pietroburgo il circolo Osvoboždenie truda ("Emancipazione del lavoro"), per l'unificazione dei gruppi rivoluzionari, ma nel dicembre venne arrestato e scontò quattordici mesi di carcere e tre anni in Siberia. Esiliato nel 1900, si trasferì a Monaco di Baviera e infine a Zurigo, dove con Plechanov e Julji Martov (1873-1923), fondò il periodico Iskra ("Scintilla") allo scopo di diffondere l'ideologia comunista in Russia. Nel libro Che fare? (1902), progettò un partito comunista fortemente centralizzato guidato da «uomini la cui professione è l'azione rivoluzionaria» (Opere scelte, Progress, 947, vol. I, p. 331).Scoppiò la Prima guerra mondiale e Lenin viveva in una modesta camera della Spiegalgasse, a Zurigo, quando, nel febbraio 1917, la rivoluzione di Aleksander Kerensky (1881-1970) rovesciò il regime zarista. Lo Stato maggiore tedesco decise di inviare in Russia «i batteri della peste rossa», per fare crollare il fronte interno dell'esercito nemico. Il 17 aprile 1917, trentadue esponenti rivoluzionari, tra cui Vladimir Ul′janov, lasciarono Zurigo su un "treno piombato" alla volta di Pietrogrado.LA VIOLENZA PER CONQUISTARE IL POTEREGiunto in Russia, Lenin esortò il partito bolscevico ad assumere il potere, teorizzando in Stato e rivoluzione (1917) la conquista violenta del potere e la dittatura del proletariato, alla quale sarebbe seguito, il "deperimento" dello Stato, cioè lo spontaneo passaggio dalla fase inferiore alla fase superiore della società comunista senza classi.Quando, nell'ottobre del 1917, il partito bolscevico, guidato da Lenin riuscì con un colpo di Stato a conquistare il potere, la "undicesima tesi" di Marx su Feuerbach (1845), secondo la quale, il compito dei filosofi non è quello di conoscere il mondo, ma di trasformarlo, sembrò essersi storicamente realizzata nella sua persona. La violenza fu il metodo per conquistare il potere e per mantenerlo. Il 20 dicembre 1917 Lenin creò la Čeka, la polizia politica a cui affidò il compito di annientare la classe borghese. George Leggett calcola in 140.000 le sole esecuzioni compiute dalla Čeka tra il 1917 e il 1922 (The Cheka: Lenin's political Police, Clarendon Press, 1981, p. 467). La Čeka è stata la prima di una serie di organizzazioni, il GPU, il NKVD, il KGB, fino all'attuale FSB, che hanno raffinato, ma sostanzialmente non mutato i propri metodi. Un altro strumento di repressione creato da Lenin furono i campi di concentramento per gli oppositori, i famigerati Gulag. Nell'ottobre del 1923 erano già 315 con 70.000 prigionieri, mentre si succedevano spettacolari processi politici che portarono all'eliminazione della classe dirigente russa, degli ufficiali, degli aristocratici, dei borghesi, dei sacerdoti. Circa 100 vescovi e 10.000 preti ortodossi furono imprigionati, 28 vescovi e 1215 preti fucilati (Marco Messeri, Utopia e terrore. La storia non raccontata del comunismo, Piemme, 2003). Nella prospettiva leninista la religione, la proprietà privata e la famiglia dovevano essere estirpate alle radici. Il 17 dicembre 1917, poche settimane dopo la conquista del potere, venne introdotto il divorzio; l'aborto fu legalizzato nel 1920; era la prima volta nel mondo che ciò avveniva senza alcuna restrizione.La proclamazione dell'Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche, il 30 dicembre 1922, fu il trionfo di Lenin. Quando il fondatore dell'Urss morì due anni dopo, divorato dal suo odio, tutto il potere venne accentrato nelle mani di Stalin, che, richiamandosi al suo compagno e maestro, condusse una feroce lotta contro due fronti: la "deviazione di destra" di Bucharin e la "deviazione di sinistra" di Trotzkj. Entrambi finirono assassinati da Stalin assieme a molti loro seguaci.MICHAIL GORBAČËV E VLADIMIR PUTINIl marx-leninismo è stato la dottrina dell'Unione Sovietica fino alla sua dissoluzione nel 1991. Anche nell'ultima fase del regime, Michail Gorbačëv (1931-2022) dichiarò che la fonte ideologica della perestrojka era Lenin, insistendo sulla necessità di ritornare allo «spirito creativo del leninismo» e «di rileggere» le opere di Lenin per comprendere in profondità il metodo leninista (La casa comune europea, Mondadori, 1989, p. 267).In quegli anni, i "teologi della liberazione" si recavano in pellegrinaggio in Unione Sovietica per venerare la mummia di "san" Lenin, esposta per volontà di Stalin nel mausoleo della Piazza Rossa. Nel 1987, descrivendo la lunga fila che attendeva per vedere «il corpo imbalsamato del grande rivoluzionario», padre Clodovis Boff lo definiva «un atto di vera devozione, di autentica venerazione, che un teologo non ha difficoltà a spiegare». Dopo aver contemplato la mummia, «tutti nella processione, con gli occhi fissi sull'eroe, si sentono obbligati ad avanzare con la testa voltata indietro per non perdere nemmeno una goccia di quell'istante di grazia» (Fede e perestroika. Teologi della liberazione in Urss, Cittadella, 1988, p. 39).Dopo l'auto-dissoluzione dell'Unione Sovietica, il mito di Lenin si è oscurato e le migliaia di statue del fondatore dell'Urss sono state demolite in tutto lo spazio post-sovietico. In Ucraina il fenomeno ha assunto contorni talmente grandi da essere indicato con il termine Leninopad, forse il maggior movimento d'iconoclastia politica del Novecento. Antonella Salomoni, storica dell'Università di Bologna, ha raccontato l'ascesa e il declino del culto di Lenin attraverso la storia del suo corpo e delle sue immagini (Lenin a pezzi. Distruggere e trasformare il passato, Il Mulino, 2024).Il nuovo zar, Vladimir Putin, considera Stalin, e non Lenin il suo campione, ma non ha espulso Vladimir Ul′janov dal Pantheon russo. La mummia imbalsamata di Lenin continua ad essere mèta di pellegrinaggio nel cuore della piazza Rossa, mentre un museo storico di Stato è dedicato al fondatore dell'Urss a 35 chilometri da Mosca. Che cosa si sarebbe detto se, dopo il 1945, fosse stato riservato uno spazio pubblico a Mussolini o a Hitler nel centro di Roma o di Berlino? Ma oggi l'anticomunismo si è dissolto e gli stessi critici di Putin, in Occidente, lo definiscono "fascista" e non "comunista". Il comunismo continua così a diffondere i suoi errori nel mondo. [...]
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7716LA DISASTROSA SITUAZIONE DEL BRASILE SOTTO IL COMUNISTA LULA di Roberto Bertogna"La destra è viva, anzi è la maggiore forza politica oggi in Brasile. Lula non sarebbe mai stato capace di organizzare una simile manifestazione".Ecco quanto commentava un noto opinionista di sinistra sulla gigantesca manifestazione contro il socialismo e a favore dell'ex presidente Bolsonaro, tenutasi domenica scorsa a San Paolo del Brasile. Il pubblico, calcolato dal Ministero dell'interno in oltre ottocentomila persone, riempiva da un estremo all'altro l'Avenida Paulista, una delle principali vie del capoluogo.Dal 2013, quando sono iniziate le grandi manifestazioni di piazza contro la sinistra, il Brasile ha assistito a un risveglio dell'opinione pubblica, con la formazione di un pubblico sempre più consistente e più radicato nelle idee conservatrici. Questo blocco comprende anticomunisti, cattolici di destra, evangelici di varie confessioni, liberali classici e centristi di varie sfumature. Dopo anni di sonnolenza, il Brasile autentico si è risvegliato.Incapace di contenere in modo democratico questa sana reazione, la sinistra ha buttato nella mischia le sue truppe d'assalto: la stampa e il Potere giudiziario. Ha quindi iniziato una tremenda campagna di manipolazione e intossicazione dell'opinione pubblica. Non contava, però, con le nuove tecnologie. Per contrastare la propaganda del regime, è sorta una fitta rete di canali, pagine, blog, pubblicazioni online, ecc. di centro-destra, che è riuscita egregiamente a bypassare la gioiosa macchina da guerra mediatica della sinistra. È comune, per esempio, per un blogger di centro-destra avere 2-3 milioni di follower.Il contrattacco del Potere giudiziario, invece, si è dimostrato molto più efficace.Durante il mandato del presidente Bolsonaro (2019-2022), il Supremo Tribunal Federal (Corte Suprema) è intervenuto a gamba tesa in più di 120 occasioni, calpestando le funzioni organiche dell'Esecutivo. Molti collaboratori di Bolsonaro sono finiti sotto inchiesta. Basta fare un discorso anticomunista in Parlamento per beccarsi un'inchiesta giudiziaria, che spesso e volentieri finisce con la pena di carcere, in barba all'immunità parlamentare. Sì, cari amici, in Brasile oggi ci sono prigionieri politici, come in Cuba. Non pochi esponenti del centro-destra hanno dovuto fuggire all'estero, mentre altri - tra cui lo stesso Bolsonaro - hanno avuto il passaporto confiscato.I GIUDICI DI SINISTRAIl parti pris delle toghe rosse a favore di Luiz Inácio "Lula" da Silva, leader del Partito dei Lavoratori, di matrice marxista, arriva al limite del surreale. Nonostante una condanna penale, passata in giudicato in tre diverse istanze fino alla Corte d'Appello, egli è stato scarcerato e dichiarato vincitore delle elezioni generali del 2022. Come mai? Semplice: non per l'innocenza dell'imputato, ma perché un Ministro della Corte Suprema (sì, uno!) ha "sospeso" la condanna per "incompetenza di foro" (sic). Lascio ai signori avvocati la qualifica di un tale atto…L'auge è arrivato quando, per ordine del magistrato Alexandre de Moraes - dichiaratamente comunista - si è proceduto all'invasione, e conseguente confisco delle apparecchiature, di molti organi di comunicazione legati al centro-destra. Più di un giornalista è finito in galera. La maggiore radio conservatrice del Paese, la Jovem Pam, è stata costretta a cambiare linea editoriale, pena la chiusura. Un numero imprecisato di blogger e youtuber si è rifugiato negli Stati Uniti. Per impedire la diffusione online di idee contrarie al socialismo, de Moraes è giunto all'estremo di proibire in Brasile diverse piattaforme digitali.Mentre il centro-destra è così bastonato, i rappresentanti della sinistra hanno la totale protezione del Potere giudiziario. Un caso clamoroso è quello di José Dirceu, militante del PT ed ex ministro di Lula. Condannato in appello a trent'anni di carcere, è stato messo in libertà dal Supremo Tribunal Federal.Era naturale che, di fronte a questa palese ingerenza nella vita democratica delle toghe rosse, si creasse un clima di grande insoddisfazione popolare.Per protestare contro il clima di persecuzione giudiziaria, Bolsonaro convocò una manifestazione pubblica, che si è svolta domenica scorsa nel centro di San Paolo. Mentre la Polizia Federale parlava di quasi ottocentomila persone, uno studio dell'Università di San Paolo calcolava attorno a 750mila. Il pubblico gridava slogan contro il socialismo e il comunismo, a favore della proprietà privata, di biasimo all'ideologia gender, alla cultura woke e all'aborto.UNA DELLE PIÙ GRANDI MANIFESTAZIONI NELLA STORIA DEL BRASILENonostante sia stata una delle più grandi manifestazioni nella storia del Brasile, la stampa italiana quasi non ne ha parlato. Il Corriere della Sera l'ha liquidata con un trafiletto.Si fa largo l'opinione secondo cui la manifestazione di domenica scorsa segna uno spartiacque nella storia del Paese. Commenta il noto opinionista Breno Altman, membro dell'ala più a sinistra del PT: "Mi duole dirlo, ma la manifestazione è stata gigantesca, scientificamente. Bolsonaro attirò tre volte più persone di Lula, quando questi celebrò la sua vittoria in quello stesso posto due anni fa. Non possiamo nasconderci. Con un dettaglio: mentre Lula aveva convocato il popolo della sinistra per celebrare, Bolsonaro lo convocò per lottare. È diverso. È stata una gigantesca manifestazione di forza dell'estrema destra".Prosegue il portavoce del PT: "La grande domanda è: la sinistra è in grado di rispondere a questa sfida? La sinistra darà una sterzata, oppure continuerà con la stessa tattica di reazione al neo-fascismo, cioè appaltando l'opposizione al Potere giudiziario? Non lo so. Non credo che, da sola, questa manifestazione cambi la situazione politica di Bolsonaro. Ma il fatto è che non possiamo non tenerne conto. Si è trattato della più grande manifestazione politica degli ultimi anni. Non c'è niente di paragonabile nella storia recente del Brasile. Bisogna ammetterlo: la sinistra, il PT, i sindacati non sono in condizione di dare una risposta all'altezza".Toccando il nodo della questione, Altman si domanda: "La sinistra continuerà a usare nel combattimento contro il neo-fascismo il Supremo Tribunal Federal? Oppure assumerà la lotta in prima persona? Secondo me, se la sinistra non assume questa lotta, ci sarà una trasferta di voti verso l'estrema destra. Una cosa è certa: io non conosco nella storia una coalizione politica che riesca a mantenersi nel potere se perde la piazza".Chiediamo a Nostra Signora Aparecida, Patrona del Brasile, che non permetta che la grande nazione brasiliana soccomba nelle grinfie dei suoi nemici giurati.Nota di BastaBugie: Luca Volontè nell'articolo seguente dal titolo "Le mani di Zuckerberg sul voto europeo: Meta censurerà la destra" parla di Meta, l'azienda proprietaria di Facebook e Instagram, che sta preparando una rete di controllori (di sinistra) che modereranno i contenuti degli europei per le elezioni. La censura sarà spietata.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 29 febbraio 2024:Meta, la società guidata da Mark Zuckerberg che governa Facebook, Instagram, WhatsApp e Threads, il social media rivale di X (ex Twitter), sta predisponendo la rete di controllori che modereranno i contenuti degli utenti europei, in vista delle prossime elezioni di giugno che, come descritto su La Bussola già nei giorni scorsi, stanno trasformandosi nel più imponente tentativo di influenzare l'esito della campagna elettorale, oggi favorevole ai partiti di centro destra. Cosa aspettano i governi conservatori degli Stati dell'Unione europea ad impedire la manipolazione e censura elettorale in atto?Un dettagliato articolo pubblicato sul quotidiano on-line The European Conservative dei giorni scorsi rivelato la rete di collaboratori di Meta, dopo che il capo degli affari europei, Marco Pancini, ha annunciato come il gigante dei social si stia preparando già da un anno per le elezioni europee. Un investimento di «20 miliardi e 15mila revisori, sui 40mila totali, che si dedicano specificatamente ad esaminare i contenuti su Facebook, Instagram e Threads in più di 70 lingue, comprese tutte le 24 lingue ufficiali dell'Ue». I censori vigileranno secondo tre direttrici principali: lottare contro la disinformazione; limitare ed eliminare le operazioni di influenza; contrastare i «rischi legati all'abuso» delle tecnologie dell'Intelligenza Artificiale. Nella stessa si scopre che i post che trattano delle elezioni, ma non violano queste norme, saranno revisionati e valutati da una rete di 29 organizzazioni e teams di partner "indipendenti" in tutta l'Ue, per tutte le lingue e nazioni europee.I criteri di valutazione forniti da Meta indicheranno la pericolosità e dunque la censura di post o messaggi saranno indicati da Meta, attraverso strumenti di «rilevamento delle parole chiave», che aiuterà
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4410LA MORTE DI BERNARDO CAPROTTI PROTAGONISTA DELLA RESISTENZA DELL'ESSELUNGA CONTRO LE COOP ROSSE di Renato FarinaLa morte di Bernardo Caprotti è accaduta come tutti vorremmo capitasse a noi stessi. A tarda età, ma mentre si vive. Al punto che a Boris pare di avere interrotto il suo discorso con lui un attimo prima. Sui giornali ci era finito ancora pochi giorni fa da protagonista, uno che tiene la frusta sul cavallo, non per colpirlo, ma per far vedere chi comanda, indicandogli una strada. C'è qualcosa in lui di molto italiano, e qualcos'altro di diversissimo dai costumi italici, e di molto russo. Mi accorgo di aver usato l'indicativo presente, perché mi sembra impossibile si possa sotterrare uno così.Caprotti è stato l'uomo che ha inventato il supermercato in Italia. In viale Regina Giovanna trasformò una vecchia autorimessa in un grande negozio, con gli scaffali, dove i clienti potevano scegliersi le merci e posarle in un carrello. Era il 27 novembre 1957. Nasceva così Esselunga, un nome derivato dall'insegna Supermarket con la consonante sibilante che si estendeva sul resto della scritta. I bottegai - ne sono consapevole - non l'hanno amato, ma il passaggio a questa nuova dimensione, alla grande distribuzione, era inevitabile per lo sviluppo delle tecnologie e per l'impulso americano. Alcuni negozi di vicinato hanno saputo resistere, tenere accese le vetrine, altri si sono arresi: in fondo l'innovazione punisce sempre chi non sa estrarre talenti dalla tradizione e si siede su di essa, invece che inventare, consorziarsi con amici e concorrenti, provare il nuovo sul suolo antico ma concimato dal proprio sudore e da quello delle nuove generazioni.Caprotti è stato italiano in due sensi. La caparbietà dell'inventiva, il reggere alla concorrenza straniera. In un capitalismo italiano bravo solo a farsi sovvenzionare dallo Stato e a trovare accordi nei salotti buoni per non rischiare nulla, Caprotti ha avuto il coraggio di giocarsela. Ha puntato su se stesso e i suoi collaboratori (li chiamava così, non impiegati o dipendenti, e sono più di 22 mila), e cioè sul lavoro, invece che sulla finanza. Non ha venduto per godere plusvalenze miliardarie dalla vendita a francesi o americani del suo business. Di certo non avrebbe mai venduto alla Coop. Non sopportava il comunismo in teoria, ma soprattutto l'affarismo dei comunisti nella pratica. Nove anni fa scrisse Falce e carrello, dove dimostrò i legami ammorbanti tra le amministrazioni delle Regioni rosse (Emilia-Romagna, Toscana in primis) e la proliferazione di supermercati del medesimo colore. A lui, al suo modo di intendere l'imprenditoria, non si lasciava spazio. La sua denuncia fece sapere all'Italia molte cose. Le sanno benissimo anche gli altri imprenditori delle medesime regioni. Ma per quieto vivere e per realismo non hanno potuto permettersi lo stesso coraggio. Negli ultimi tempi, sentendo che l'età gli imponeva delle decisioni, aveva stabilito di vendere tutto. In mani sicure, capaci di non sprecare il suo tesoro, frammentarlo, tradendo il suo spirito. In Italia non vedeva nessuno. Detestava l'ingordigia francese. Pensava piuttosto agli americani. [...]Non ha fatto a tempo a vendere, Caprotti. Per il bene di questo nostro paese e della sua discendenza, ci auguriamo che le liti ereditarie non portino a tagliare in pezzi questo diamante unico, che è così italiano. Riposi in pace, cavalier Bernardo. Anzi, venga giù a dare una mano.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7514L'ASFISSIANTE PROPAGANDA DEL GOVERNO NELLE CHIESE IN CINA di Manuela AntonacciDal 1° settembre, a Pechino, entreranno in vigore 76 nuove Misure finalizzate a rafforzare il controllo del governo cinese sulle attività religiose. Si tratta di un ulteriore giro di vite che ha lo scopo reprimere il "sottobosco" delle organizzazioni religiose riluttanti a farsi risucchiare dal "mercato rosso" delle religioni ufficiali in Cina, ovvero le cinque associazioni permesse dal Partito Comunista Cinese, il quale ne nomina pure i responsabili: l'associazione buddista, l'associazione taoista, l'associazione musulmana, l'associazione protestante (la Chiesa delle Tre Autonomie) e l'associazione cattolica (l'Associazione patriottica cattolica cinese)Di più, le nuove misure convertiranno i luoghi di culto in veri e propri rami del sistema di propaganda del Partito Comunista Cinese, come riporta Bitter Winter. Infatti, queste Disposizioni sostituiscono quelle del 2005 e confermano che i luoghi in cui si svolgono le attività religiose (monasteri, templi, moschee e chiese) dovranno trasmettere attivamente la propaganda del Partito Comunista Cinese, altrimenti rischieranno la liquidazione. Sono state stabilite disposizioni più severe per includere contenuti di propaganda addirittura nei sermoni e per creare gruppi di studio che si formino sui documenti del Partito Comunista Cinese in tutti i luoghi di culto. Viene inoltre sottolineato che «è vietato costruire grandi statue religiose all'aperto al di fuori di templi e chiese» e il divieto vale anche per privati cittadini o donatori.Di fatto tutto questo si configura come l'ennesimo tentativo di uniformare il credo dei cittadini alla propaganda di Stato, anche se nell' Articolo 1 si ha il coraggio di affermare «Queste misure sono formulate [...] per proteggere le normali attività religiose e salvaguardare i diritti e gli interessi legittimi dei luoghi di culto e dei cittadini credenti». Lo spirito liberticida che pervade queste norme emerge bene dall'Articolo 3, in cui si legge «I luoghi in cui si svolgono le attività religiose devono sostenere la leadership del Partito Comunista Cinese e del sistema socialista, attuare completamente l'ideologia del socialismo di Xi Jinping con caratteristiche cinesi per la nuova era, rispettare la Costituzione, le leggi, le norme e i regolamenti e le disposizioni pertinenti la gestione degli affari religiosi, praticare i valori fondamentali del socialismo, aderire alla direzione della sinicizzazione delle religioni cinesi, aderire al principio di indipendenza, autonomia e autosufficienza e salvaguardare l'unità del paese, l'unità nazionale, l'armonia religiosa e la stabilità sociale».Ovviamente anche gli insegnanti di religione dovranno adeguarsi all'ideologia del Partito: nell' Articolo 6 si legge che nei luoghi di culto «vi è un insegnante di religione che deve presiedere alle attività religiose in conformità con le norme e i regolamenti del gruppo religioso nazionale». Dopo aver stabilito a chiare lettere, nelle prime disposizioni, il totale subordinamento delle attività religiose al regime di Pechino, nelle norme successive, vengono fornite una serie di indicazioni burocratiche minuziose riguardo i luoghi di culto: all' Articolo 66 si specifica, ad esempio, che «il Dipartimento degli affari religiosi deve supervisionare e ispezionare i luoghi in cui si volgono le attività religiose in termini di conformità alle leggi».Insomma, l'ennesimo sistema creato ad hoc che costringa le comunità religiose a far passare tutte le loro iniziative al vaglio del regime di Pechino. Un sistema di cui il Dipartimento per gli affari religiosi rappresenta la longa manus con il suo controllo continuo, fatto passare per "assistenza e supervisione". In soldoni, non c'è scampo per chi non si adegui al regime. Anzi questo forse rappresenta il vero e proprio colpo di grazia alla libertà religiosa in Cina.Nota di BastaBugie: Riccardo Cascioli nell'articolo seguente dal titolo "Nuovo vescovo a Shanghai, in Cina decide solo il Partito comunista" parla della nomina a vescovo di Shanghai che è stata presa senza il consenso della Santa Sede, in violazione dell'Accordo del 2018.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 6 aprile 2023:La Cina decide e la Santa Sede abbozza. È ormai questa la trama dei rapporti tra Pechino e Vaticano da quando nel 2018 è stato firmato l’accordo segreto sulla nomina dei vescovi. E l’ennesima conferma è arrivata in questi giorni con la nomina del nuovo vescovo di Shanghai, monsignor Giuseppe Shen Bin, decisa dal regime attraverso la voce del Consiglio dei vescovi cinesi (la Conferenza episcopale non riconosciuta dalla Santa Sede), di cui lo stesso Shen Bin è presidente. L’ingresso in diocesi è avvenuto il 4 aprile e i preti erano stati invitati alla celebrazione senza rivelare il nome del prescelto, mentre la Santa Sede - come afferma un comunicato vaticano - era stata informata della decisione solo pochi giorni prima e ha saputo dell’insediamento solo a cose fatte e dai media internazionali.Shanghai è una sede episcopale importantissima per la Chiesa cinese, qui c’era la comunità cattolica più vivace quando i comunisti arrivarono al potere alla fine degli anni ’40 e qui c’è stata immediatamente la repressione più dura. Arcivescovo titolare di Shanghai era allora il cardinale Ignazio Kung Pin-mei, figura eccezionale del cattolicesimo, che fu arrestato nel 1955 e rilasciato solo dopo 30 anni di carcere per poi essere esiliato negli Stati Uniti, dove morì nel 2000. Fu creato cardinale “in pectore” da Giovanni Paolo II nel suo primo Concistoro nel 1979 e ricevette la porpora nel 1991.Nel territorio della diocesi c’è anche il santuario nazionale mariano di Nostra Signora di Sheshan, a cui Benedetto XVI chiese di rivolgersi nella Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina istituita nel 2007 e ricorre ogni anno il 24 maggio.La sede di Shanghai era vacante dal 2013, quando morì monsignor Aloysius Jin Luxian, vescovo patriottico che solo nel 2005 chiese e ottenne di tornare nella piena comunione con il Papa. L’anno prima, nel 2012, la Santa Sede - con il consenso di Pechino, aveva nominato come vescovo ausiliare monsignor Taddeo Ma Doqin, ma subito dopo l’ordinazione fu posto agli arresti domiciliari per aver manifestato l’intenzione di dimettersi dall’Associazione Patriottica della Chiesa cattolica, l’organismo con cui il regime comunista guida le attività della Chiesa. Da allora monsignor Ma Doqin è confinato a Sheshan, anche se poi è tornato sui suoi passi riguardo al rapporto con l’Associazione patriottica. In ogni caso i fedeli di Shanghai si aspettavano che fosse lui a essere nominato arcivescovo della diocesi.Ma l’elemento più importante è certamente il fatto che il regime cinese abbia preso la decisione senza consultare la Santa Sede, una chiara intenzione di riaffermare il proprio potere che non può essere limitato da nessuno, men che meno da quella che viene percepita come una potenza straniera. Era già successo pochi mesi fa, novembre 2022, poche settimane dopo il rinnovo dell’accordo sino-vaticano, quando monsignor Giovanni Peng Weizhao, dal 2014 vescovo di Yujiang, è stato nominato dal regime cinese come vescovo ausiliare della diocesi dello Jiangxi, un raggruppamento di cinque diocesi non riconosciuto dalla Santa Sede.Allora dal Vaticano arrivò una nota di protesta, a cui però non c’è stato seguito. In questo caso invece la Sala Stampa della Santa Sede ha detto che non ci sono dichiarazioni riguardo alla valutazione dell’accaduto. È però facile prevedere che prevarrà ancora una volta la volontà di mantenere l’accordo inalterato non alzando i toni e accettando il fatto compiuto.Lo dimostra l’immediato intervento dei “pompieri” - intellettuali, giornalisti e movimenti grandi sponsor dell’accordo con il regime cinese - sempre pronti a giustificare Pechino. Ne è un esempio l’analisi di Agostino Giovagnoli, docente di Storia Contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore ed esponente di spicco della Comunità di Sant’Egidio, pubblicata da Avvenire. Pur (delicatamente) rimproverando a Pechino l’incapacità di cogliere la «natura universale propria della Chiesa», tende a minimizzare la gravità della decisione di Pechino notando anzitutto che nel caso di Shen Bin si tratta di uno spostamento da una diocesi all’altra e non di una nuova ordinazione. Monsignor Shen Bin era infatti vescovo dal 2010 - nominato dalla Santa Sede con il consenso di Pechino - di Haimen (Jiangsu): «Nulla a che vedere, dunque, con le tante ordinazioni illegittime che ci sono state in Cina dal 1958 al 2018».Il che è vero, ma non si può far finta di non sapere che anche la destinazione è parte dell’ordinazione, quindi anche gli spostamenti da una diocesi all’altra sono prerogativa del Papa e quindi devono essere necessaria
VIDEO: The soviet story ➜ https://rumble.com/vwywp3-origini-comuni-di-comunismo-e-nazismo.htmlTESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7415STALIN, LA TENTAZIONE DI ESTIRPARE IL MALE CON LA VIOLENZA di Vincenzo SansonettiMosca, 1° marzo 1953, interno del Cremlino, di tarda mattina. Due guardie sono davanti all'ufficio di Iosif Vissarionovič Dzugasvili, 74 anni, un bolscevico di umili origini nativo della Georgia, che si è dato il nome di battaglia di Stalin ("l'uomo d'acciaio"). Da oltre un trentennio è il segretario generale del Partito comunista, in sostanza l'indiscusso capo dello Stato sovietico nato dalla rivoluzione del 1917. "Degno continuatore dell'opera di Lenin" (come lui stesso si definiva), Stalin sta preparando l'ordine di deportazione nella Manciuria orientale, più precisamente nel territorio del Birobidian, di tutti gli ebrei sottoposti al suo potere; non solo quelli che vivono nell'Unione Sovietica (circa tre milioni), ma anche quelli degli Stati satelliti dell'Europa orientale (particolarmente numerosi in Romania, dove i nazisti ne avevano deportati solo una minima parte).Il motivo? Dirà ai suoi più stretti collaboratori, stupiti e increduli per questa scelta, dal momento che proprio gli ebrei occupavano molti posti di responsabilità nel partito: "Tutti gli ebrei russi non guardano forse alla Palestina, ormai? Chi di loro pensa più alla costruzione del comunismo? Non ci offende abbastanza questo? O forse dovremmo attendere addirittura che i nostri ebrei diventino fra noi la quinta colonna dello Stato di Israele?".Le sue parole non si discutono. "Io non dubito, né dubiterò", cantano in coro le guardie. E aggiungono: "Chi può ormai più dubitare che il comunismo è la dottrina che sanerà i mali del mondo?".Così comincia la tragedia Processo e morte di Stalin, opera meno nota ma fondamentale dello scrittore e saggista brianzolo Eugenio Corti (1921-2014), autore del long seller Il Cavallo rosso (più di trenta edizioni in quarant'anni). Racconta gli ultimi giorni di vita del dittatore sovietico, immaginando che sia stato vittima di una congiura ordita dai suoi ex "fedelissimi: Beria, Bulganin, Caganovic, Crusciov, Malencov, Micoian, Molotov e Voroscilov, che effettivamente si spartiranno il potere alla sua morte. Lo sottopongono a processo e con l'aiuto di medici compiacenti lo faranno morire procurandogli un'emorragia cerebrale, che fu effettivamente la causa del suo decesso. Ma Stalin si difende, affermando che i suoi seguaci si comporteranno in maniera spietata esattamente come lui, se vogliono davvero difendere il comunismo. E infatti il primo ad essere eliminato, pochi mesi dopo, sarà Beria, il feroce capo della polizia segreta.UN CAPOLAVORO (PESANTEMENTE STRONCATO DALLA STAMPA DI SINISTRA)La stesura della tragedia risale agli anni 1960-1961 e fu subito ritenuta un capolavoro da Mario Apollonio, il maggior critico e storico del teatro del dopoguerra. Venne rappresentata a Roma il 3 aprile 1962 al Teatro della Cometa - proprio su suggerimento e con il patrocinio di Apollonio - dalla Compagnia Stabile di Diego Fabbri, con la regia di Orazio Costa, ma "mutilata" e ridotta a semplice lettura scenica, quasi per ridurne e affievolirne la potenza drammatica ed evocativa, in quanto forte denuncia dei crimini staliniani (milioni e milioni di vittime, "nemici del popolo" ed "elementi ostili ed estranei alla società", come i kulaki, letteralmente fatti morire di fame). L'opera rimase in cartellone per quasi due settimane, con un buon successo di pubblico e giudizi favorevoli di almeno una parte della critica, ma fu pesantemente stroncata dalla stampa marxista o fiancheggiatrice del marxismo. Malgrado la destalinizzazione, non si poteva parlar male di Stalin e soprattutto del comunismo, peraltro in modo cosi chiaro ed esplicito. Ci fu quindi la censura, l'ostracismo, l'oblio, che crebbe con il passare degli anni, perché nel frattempo si era andata sempre più affermando in Italia l'egemonia marxista sul mondo della cultura in tutte le sue espressioni. La tragedia avrà fortuna solo negli ambienti della dissidenza russa e polacca.Quasi mezzo secolo dopo, l'opera dell'autore de Il cavallo rosso è tornata ad essere rappresentata (24, 25 e 26 giugno 2011) al Teatro Manzoni di Monza. Questa volta un' azione teatrale vera, molto efficace, non una scialba lettura scenica. Tutto esaurito e lunghi applausi al termine di ogni rappresentazione. A impersonare Stalin l'attore Franco Branciaroli, perfettamente nella parte di un uomo solo, stanco, tormentato dai fantasmi degli orribili massacri compiuti e accerchiato dai "lupi" e dai "maledetti cani" (così il dittatore chiama i suoi nemici interni, pronti a liberarsi di lui).STALIN HA APPLICATO CON RIGORE IL COMUNISMOLa regia è affidata ad Andrea Maria Carabelli, che in quell'occasione commentò: "Il personaggio ha dentro di sé tutta la tragicità del Novecento. È il massimo della coerenza. Lui ha applicato con rigore il comunismo, il suoi ideale. E non importa se per fare questo è arrivato persino a distruggere i legami familiari". Per il regista "Stalin rappresenta la tentazione di ogni uomo. Perché la tentazione più grande non è tanto il male che compiamo, fosse anche fatto di milioni di morti, ma pensare che il male possa essere estirpato dall'uomo e dal mondo" con le nostre sole forze. Eliminare il male dalla società ignorando o combattendo Dio significa che "alla fine bisogna eliminare l'uomo".Il momento più drammatico e rivelatore della tragedia è nelle parole rivolte da Stalin alla nuora Olga Goliscéva: "La realtà siamo noi. Se la realtà storica non ci viene dietro, e quindi sbaglia, noi possiamo anche cambiare la storia". Per Branciaroli, nella raffigurazione scenica di Corti "Stalin è convinto della possibilità di cambiare il mondo attraverso il marxismo. Il sangue versato lo reputa necessario. Ma la cosa non lo diverte. Lui uccide per ideologia, perché è un comunista. Lo ammette: più ci si avvicina al socialismo, più gli oppositori aumentano, più è necessario essere implacabili".Ci crede fino in fondo. E dopo di lui le cose non cambieranno, non si illudano i congiurati, i "fedelissimi" uomini del Politburo venuti nella sua dacia per arrestarlo e processarlo. Si devono arrendere al lucido ragionamento del loro capo: "Potete illudervi di fare a meno della violenza solo fino a quando rimarrà negli uomini il salutare terrore per le repressioni da me esercitate, ma non oltre". Una profezia su cui riflettere soprattutto da quando, negli ultimi anni, in epoca putiniana, sono riapparsi i fiori sulla tomba di Stalin.Negli anni del terrore staliniano l'ideologia che stravolgeva la società e la storia era il marxismo-leninismo, con le sue propaggini in Occidente, capaci di influenzare e orientare la politica e soprattutto la cultura. Oggi - in maniera più subdola e apparentemente meno lesiva della libertà e perciò più pericolosa - impera il nichilismo ecologista, frutto estremo del liberalismo più spinto. Ma, come sempre, l'ideologia quando ingabbia la realtà non può che produrre violenza e distruggere l'umano.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7338IL PD DI ELLY SCHLEIN E' AGGRESSIVO DA FAR PAURA di Paolo PiroLa vittoria di Elly Ethel Schlein alle primarie del PD, suggerisce diverse riflessioni. Ai vertici di quello che fu il "glorioso" Partito Comunista Italiano, arriva una leader dai tratti antitetici a tutto ciò che è tradizionale. La Schlein ha tre cittadinanze, la diremmo cittadina del mondo, negazione della Patria. Si dichiara paladina degli LGBT+, negazione della natura. E' plenipotenziaria di tutti i diritti immaginabili - utero in affitto, libera cannabis, pillola abortiva Ru486 gratis, adozione da parte delle coppie gay, eutanasia, aborto - insomma l'individualismo libertario più radicale, negazione di ogni identità. Viene votata, da non tesserata, a segretaria del PD, da molti non tesserati al partito, gli uomini qualunque dei 5Stelle, negazione di ogni appartenenza. Con la Schlein, i motivi dominanti della sinistra non saranno più i diritti sociali (lavoro, welfare) ma i diritti civili, in un quadro di precarietà ed instabilità sociale ed esistenziale, dato per acquisito.Nel 1943 Palmiro Togliatti torna in Italia dall'URSS, con un progetto condiviso e "benedetto" da Stalin. Un piano che prevede quanto, in effetti, accadrà successivamente: la partecipazione dei comunisti al governo Badoglio, il referendum tra monarchia e repubblica etc..., ma soprattutto calibrato, come lui stesso afferma: "per cambiare gli italiani nel modo di essere e di sentire", attraverso l'affermazione dell'egemonia culturale gramsciana ed il divieto della rivoluzione armata, surrogata da una lenta, progressiva e vincente occupazione di tutti gli spazi socioculturali. È il partito radicale di massa, l'obiettivo individuato da Togliatti che con la Schlein, si compie. Il dimenticato Augusto Del Noce in "Il Suicidio della Rivoluzione", aveva visto giusto anche perché il fine del marxleninismo è l'anarchia come modello politico e umano. Togliatti aveva spiegato bene che "il marxismo non è un dogma ma una guida per l'azione politica". Una parte dei militanti del PD non capiranno questa progressione, ma non dimentichiamo quel genio di Giorgio Gaber ed il suo "Qualcuno era Comunista". I motivi per far parte di quel partito erano i più eterogenei. Una eterogeneità che non fa problema ai 5S, evanescenti come sono, ma farà qualche problema ai cattocomunisti. I pronipoti di Don Sturzo, De Gasperi, Moro, Martinazzoli, come concilieranno la radicalizzazione del partito con la loro militanza? Ci sarà ancora posto per i cattolici nel Pd? Per alcuni il problema non c'è perché hanno già completato quel trasbordo ideologico che li ha transitati dalla fede cattolica ad una fede disincarnata, privatizzata, protestantizzata, approdando ad una chiesa pneumatica, che Papa PIO XII aveva previsto e condannato negli anni cinquanta. Per altri sarà più difficile sposare il loro progressismo cattolico con il radicalismo della Schlein, anche perché la linea ambientalista ed immigrazionista, acquisirà presto un inevitabile sapore religioso e quando la politica si eleva a religione diventa totalitarismo. Il PD si batterà per reintrodurre a pieno titolo il reddito di cittadinanza, sconfiggere il "malcostume" dell'obiezione di coscienza del personale sanitario sulla 194, combattere ogni obiezione alla ovvietà del relativismo in ogni campo. I cattocomunisti, dovranno decidere se diventare definitivamente i chierici della "nuova" chiesa globalista/ambientalista. Una chiesa che giudica tutti sulla base di criteri morali leninisti dove la "moralità è ciò che serve alla distruzione della vecchia società" o di quel che ne rimane, e per l'avvento di un uomo nuovo che cambia dall'esterno verso l'interno, come e dove il potere vuole. Il sorriso delle sardine, Santori e Schlein è tutt'altro che innocente, ha il volto giacobino della "violenza per il tuo bene" e dell'imposizione del relativismo come verità assoluta. Un relativismo ambiguo, che ignorando il principio di non contraddizione, riuscirà a mettere insieme il voto per l'invio delle armi in Ucraina, con un pacifismo modello Imagine di Lennon, senza rinunciare, per amore ai 5S, alla convinzione che le armi non risolvano i conflitti. La Schlein è nata a Lugano, figlia di due professori universitari, sorella di una diplomatica in carriera e di un matematico, è agiata, poliglotta, intellettuale e cosmopolita, esponente dell'alta borghesia progressista ed incarna il prototipo dell'oltredonna di Nietzsce, potrà stare vicino agli eredi di un'altra storia? La nuova segretari* è sponsorizzata dai capicorrente del Partito Democratico, Franceschini, Zingaretti, Cuperlo, Orlando, Bersani e Bettini e, udite, udite, da Romano Prodi, ultimo elemento, questo, che fa comprendere le delicate parole che Mons. Corrado Lorefice, vescovo di Palermo, le ha dedicato in un intervista sul Giornale di Sicilia. Il cattocomunista Beppe Fioroni è già fuori dal partito, ma ad una certa età... si sa... certe emozioni...! E tutti gli altri? Alla fine il cattocomunista medio, dopo decenni di militanza rivoluzionaria, è diventato evanescente nelle idee e numericamente irrilevante e trascurabile in quanto elettore. Quasi certamente finirà con il transitare l'impegno politico, dai diritti sociali ai diritti civili, dissolvendosi nel partito radicale di massa. Una parte probabilmente sarà fagocitata da Renzi, mentre la riserva indiana bolognese nella quale sono ridotti i cattodem d'èlite, continuerà a sostenere il PD, anche perché, da chi potrebbero andare? Voi li prendereste?
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7303DANIEL ORTEGA, IL ''VOLTO UMANO'' DEL COMUNISMO IN NICARAGUA di Mauro FaverzaniA chi ancora credesse al volto umano dell'ideologia comunista - qua e là nel mondo tradottasi o nella dittatura del partito unico o nella tragedia di un immorale radicalismo di massa -, varrebbe la pena di dedicare, quale esempio, la situazione odierna del Nicaragua di Daniel Ortega, tornato al potere nel 2007 col partito sandinista, partito di estrema sinistra impregnato di marxismo, socialismo, antimperialismo e teologia della liberazione.Come noto, questo Paese dell'America centrale è formalmente una repubblica presidenziale, col ritorno di Daniel Ortega però subito trasformata in un regime e dei più oscuri. Per citare solo l'ultimo periodo di una lunga e contrastante carriera politica, lo scorso 16 dicembre il vescovo di Rockford, mons. David Malloy, ha chiesto agli Stati Uniti ed alla comunità internazionale di esercitare pressioni per ottenere il rilascio del vescovo di Matagalpa, amministratore della diocesi di Estelí e segretario per i media della Conferenza episcopale, mons. Rolando Álvarez, prelevato dalla Polizia nazionale dal suo palazzo nelle prime ore dello scorso 19 agosto e poi posto dal governo prima e dai giudici poi agli arresti domiciliari con le incredibili accuse di «cospirazione per attentare all'integrità nazionale e propagazione di notizie false attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione a danno dello Stato e della società nicaraguense», semplicemente per aver rivolto comprensibili critiche ad un esecutivo, distintosi per la politica di aggressione e intimidazione fisica scatenata contro la Chiesa cattolica, da oltre un anno perseguitata per un presunto sostegno dato ad oppositori e dissidenti.L'anno scorso il governo sandinista ha espulso dal Paese il nunzio apostolico Waldemar Stanislaw Sommertag e 18 suore Missionarie della Carità, ha imprigionato 7 sacerdoti e 2 collaboratori laici, chiuso 9 stazioni-radio cattoliche, ritirato 3 canali cattolici dalla programmazione televisiva in abbonamento, impedito processioni e pellegrinaggi. Profanazioni del Santissimo Sacramento e di immagini sacre, arresti ingiusti ed ingiustificati, violenze, divieto di rientro in Patria imposto ai sacerdoti all'estero sono solo alcune delle più evidenti prevaricazioni poste in essere da un regime rivoluzionario, pronto a calpestare libertà religiosa e diritti umani (quelli veri...), impedendo l'avvio di un processo di ripristino dello stato di diritto nel Paese, come evidenziato dal vescovo Malloy, che ha anche lanciato un drammatico allarme: «L'aspetto fisico deteriorato di Álvarez testimonia le condizioni particolarmente difficili degli arresti domiciliari».La risposta non si è fatta attendere. Lo scorso 20 dicembre Daniel Ortega, durante la cerimonia di consegna dei diplomi ai cadetti dell'Accademia di Polizia, si è scagliato a muso duro contro la Chiesa cattolica, incolpando i vescovi del bagno di sangue avvenuto nel 2018, quando migliaia di nicaraguensi scesero in piazza per protestare contro il regime sandinista. 300 dissidenti furono massacrati solo per aver chiesto un cambio di governo. Senza vergogna, Ortega ha accusato di tutto questo sacerdoti e vescovi, bollati come «farisei» e «sepolcri imbiancati», concludendo il discorso con un giudizio senza appello: «Non ho mai avuto rispetto per i vescovi».La data del processo al vescovo Álvarez non è stata ancora fissata. Ma le stesse accuse di «diffusione di notizie false» e «cospirazione» si sono già tradotte anche nell'arresto di altri 3 sacerdoti, 2 seminaristi, un diacono ed un laico, un fotografo cattolico per la precisione. Tra questi figura anche Padre Ramiro Reynaldo Tijerino Chávez, rettore dell'Università «Giovanni Paolo II». Tutti proclamano la propria innocenza. Probabilmente la loro "colpa" è quella d'esser considerati collaboratori del vescovo Álvarez. Le medesime accuse comunque sono state rivolte anche a don Uriel Antonio Vallejos, parroco della chiesa di Gesù della Divina Misericordia, a Sébaco, salvo solo perché in esilio. Su di lui pende un mandato d'arresto sempre pronto, sempre valido.Ecco, non fosse bastata l'esperienza dell'Unione Sovietica (i cui metodi sembran piacere ancora a tanti, troppi suoi nostalgici "nipotini") e non fosse sufficiente quel che oggi avviene in qualsiasi Paese a trazione comunista (Cina, Corea del Nord, Cuba e via elencando), il Nicaragua oggi, in questi stessi giorni mostra quale sia il vero volto del marxismo. In ogni epoca ed a qualsiasi latitudine.
VIDEO: I migliori anni ➜ www.youtube.com/watch?v=e6b22FCDwbM&list=PLolpIV2TSebVtj34zS7A0AabuQ9cf1UxpTESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7279LA CINA AMMETTE (IN RITARDO) I DATI SUI MORTI DI COVID: E' LA FINE DEL BLUFF di Stefano MagniLa Cina ammette di aver subito quasi 60mila morti di Covid nell'ultimo mese e incassa il plauso dall'Oms: almeno una stavolta ha reso pubblico un dato reale.L'ultima stima è il risultato del colloquio, sabato, fra il capo della Commissione Nazionale per la Salute cinese, Ma Xiaowei e il direttore generale dell'Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus. I morti sono 59.938, il 90% sono anziani con più di 65 anni. Finora, le autorità cinesi avevano dichiarato appena 30 morti di Covid dalla fine dei lockdown. Come mai tanta differenza fra le stime precedenti e le attuali? Il modo di contare: le autorità erano autorizzate a contare come "morto per Covid" solo il paziente che non aveva altre patologie pregresse. È questo il tipo di contabilità che risulta da una nota del Centro per la Prevenzione e il Controllo cinese del 21 dicembre scorso, trapelata alla stampa. Quindi una minoranza estrema. La stessa nota contava 250 milioni di infetti nei primi venti giorni di dicembre e dà l'idea di quanto sia già diffusa la nuova ondata.I CONTI NON TORNANOCerto è che, con la contabilità cinese abbiamo sempre dovuto fare i conti. La pandemia, dal gennaio 2020 al dicembre 2022, secondo le autorità di Pechino, avrebbe provocato in tutto 5.272 morti (in Italia, per fare un paragone, sono stati 185.417). Adesso, dopo questa ammissione, si scopre che i trenta morti di dicembre e gennaio erano in realtà quasi 60mila. Quindi in un solo mese sono morte 12 volte il totale delle vittime di Covid degli ultimi due anni? C'è ovviamente qualcosa che non torna.La rivelazione di questi dati compromette la narrazione cinese, ma non solo quella. Infatti svela il bluff che c'era dietro alla politica di lockdown, volta ad eradicare il virus e non solo a contenerne la diffusione. Se appena finite le misure della strategia "zero Covid" la malattia riprende a circolare e fa decine di migliaia di vittime, vuol dire che non c'è alcuna possibilità di eradicare il virus tramite le chiusure. Neppure se imposte a tutti con le maniere brutali delle autorità della Cina, con metodi che solo un regime totalitario può permettersi. Quando Pechino ha annunciato la fine improvvisa delle chiusure lo ha fatto affermando che il virus fosse sconfitto. E invece non lo era. Motivo in più per pensare che il cambio di rotta sia avvenuto sia per motivi politici (la paura che le proteste dilagassero), sia per motivi economici (la crisi dovuta alle chiusure e i costi della politica zero Covid stavano diventando insostenibili). E questo in un Paese che già dichiarava definitivamente sconfitto il virus l'8 aprile 2020 e che ha puntato il dito contro virus "da importazione" dopo ogni caso registrato successivamente a quella data.TUTTO SBAGLIATO, TUTTO DA RIFAREGhebreyesus si è complimentato con le autorità cinesi per aver accettato di condividere per la prima volta dei dati reali. Ora le prega di essere più trasparenti anche sull'origine della pandemia. Anche questa domanda svela un bluff a cui ha partecipato la stessa Oms di Ghebreyesus per almeno un anno. Prima l'Organizzazione mondiale ha aderito ai tempi dettati da Pechino, dando l'allarme solo quando il regime cinese ha deciso di proclamare l'emergenza, mentre Taiwan, soprattutto, era in allerta dal mese precedente (il 31 dicembre 2019, contro il 23 gennaio 2020, data ufficiale di inizio emergenza). Questo ritardo è risultato fatale per la diffusione del virus nel mondo. Poi, sulla causa iniziale, l'Oms non ha mai mostrato alcun dubbio sull'origine naturale del virus, come Pechino voleva. Si veniva censurati anche sui social network se si provava a parlare di una possibile origine in laboratorio. Dopo la prima ispezione dell'Oms a Wuhan del febbraio 2021, però, è diventata un'ipotesi legittima e sempre più diffusa. La Cina si è finora trincerata dietro una barriera impenetrabile di silenzio e negazione. Ma se ha mentito così clamorosamente sul numero dei morti, c'è da fidarsi quando parla della storia della pandemia?Di fronte alle cifre che arrivano dalla Cina, ora, possiamo avere differenti reazioni, in Europa. Una reazione sbagliata è il panico: 60mila morti in un mese è un numero che incute timore, ma è poco se rapportata ad una popolazione di un miliardo e mezzo di cinesi ormai liberi di muoversi ed assembrarsi. In compenso, reintrodurre restrizioni in Europa sarebbe un errore, soprattutto considerando che proprio la Cina dimostra come le restrizioni (le più dure e dolorose del mondo) servano, al massimo, a rimandare il contagio e non a eradicare il virus. Una migliore reazione, al contrario, è quella di una sana diffidenza nei confronti delle informazioni che ci giungono da un regime totalitario comunista dove, come abbiamo appreso ancora una volta, la statistica è usata come un'arma politica. Se solo pensiamo che la risposta al coronavirus, nel 2020, è stata elaborata sulla base delle informazioni ufficiali di Pechino, possiamo ben realizzare in che mani siamo (stati).
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7254PROCLAMARE SANTO IL VESCOVO CAMARA SIGNIFICA CANONIZZARE IL COMUNISMOIl vescovo brasiliano Helder Camara potrebbe essere dichiarato venerabile: fu protagonista della teologia della liberazione, benevolo verso Urss e Cina, nella sua diocesi si pianificava la lotta armata rivoluzionariadi Stefano ChiappaloneUn deciso passo in avanti per la causa di beatificazione di mons. Helder Camara (1909-1999), il "vescovo rosso" brasiliano che a breve potrebbe essere dichiarato venerabile. Lo ha reso noto l'arcivescovo mons. Fernando Saburido, suo successore nell'arcidiocesi di Olinda e Recife, retta da Camara tra il 1964 e il 1985. Un prelato sui generis, schierato con l'ala più progressista dei padri conciliari e poi, a concilio concluso, desideroso di un Vaticano III che superasse il secondo (naturalmente a sinistra). Protagonista della teologia della liberazione, sul piano politico, si mostrò decisamente benevolo verso le dittature comuniste, dall'Unione Sovietica, alla Cina, a Cuba, sempre all'insegna della "difesa dei poveri" con cui è stato propagandisticamente identificato in vita e in morte. Qualora un giorno mons. Camara salisse agli onori degli altari, costituirebbe un modello a dir poco controverso. A sostenerlo, auspicando che la causa venga sospesa, è Tradizione Famiglia Proprietà (TFP), rete di associazioni nata proprio in Brasile dall'opera di Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), leader cattolico e impegnato nella "battaglia culturale" su posizioni opposte a quelle di dom Camara. Ne parla a La Bussola Julio Loredo, presidente della TFP italiana.Loredo, potremmo avere dunque un "vescovo rosso" sugli altari?Dom Helder Camara è stato una figura chiave del progressismo ecclesiale dagli anni ‘30 fino alla morte, protagonista della svolta a sinistra dell'Azione Cattolica in Brasile. In seno a questo processo è sorta anche la teologia della liberazione. Inoltre negli anni '50 e '60 ha avuto un ruolo centrale nel ricambio (generazionale ma anche ideologico) dell'episcopato brasiliano, favorendo la nomina di prelati progressisti insieme al nunzio dell'epoca, mons. Armando Lombardi.Una parabola partita però dal fronte opposto...E non da semplice militante: era il numero due del partito filo-nazista Azione Integralista Brasiliana, fondato da Plinio Salgado. Quando fu ordinato sacerdote, nel 1931, sotto la talare indossava la divisa delle milizie integraliste. Grazie a uno studio di Plinio Correa de Oliveira, che ne mostrava l'incompatibilità con la dottrina cattolica, venne meno l'appoggio ecclesiastico al movimento, poi messo fuorilegge dal presidente Getulio Vargas. Dopo la dissoluzione e l'esilio di Salgado, Camara iniziò il suo trasbordo ideologico verso sinistra - che abbiamo descritto in apertura - fino alla teologia della liberazione e alla costituzione di comunità ecclesiali di base (CEB), prefigurate dal pedagogo brasiliano marxista Paulo Freire, ispiratore del Movimento de Educação de Base.Come si mosse dom Camara durante il Concilio?Pur non avendo mai preso la parola in aula, è stato assolutamente centrale dietro le quinte del Vaticano II. Era lui a coordinare gli incontri fra esponenti dell'ala progressista (curiosamente anche sul fronte tradizionalista la spinta veniva dal Brasile, grazie agli incontri coordinati da Plinio Correa de Oliveira dai quali scaturì il Coetus Internationalis Patrum). In questi anni dom Helder, già parte integrante della teologia della liberazione, portava avanti il dissenso dal magistero anche sul piano morale fino alla critica della Humanae Vitae di Paolo VI e alla difesa dell'aborto.Un politico più che un vescovo?Nel 1969 tenne un celebre discorso a New York in cui appoggiava il comunismo internazionale. Difendeva l'URSS e la Cina di Mao. Al Sessantotto risale uno degli episodi più scioccanti: il documento Comblin. Nel giugno 1968 trapelò questo documento che pianificava una rivoluzione comunista armata in Brasile. Joseph Comblin era un sacerdote belga, professore presso l'istituto teologico di Recife. Dunque, nella diocesi e sotto l'egida di mons. Camara, il quale non negò l'autenticità del documento, limitandosi a dire che non era ufficiale. Il progetto contemplava, per esempio, l'abolizione della proprietà privata, delle forze armate, la censura di stampa, radio e tv, i tribunali popolari. In pratica una rivoluzione bolscevica in Brasile. Correa de Oliveira raccolse 2 milioni di firme chiedendo l'intervento di Paolo VI per bloccare questa infiltrazione marxista nella Chiesa brasiliana, ma non ebbe risposta.Anzi, il controverso presule rimase in carica fino ai 75 anni canonici.Nel 1984 Giovanni Paolo II nominò suo successore José Cardoso Sobrinho, che ha cercato di mettere un po' d'ordine nella diocesi, addirittura chiudendo l'istituto teologico e creandone un altro. Nello stesso anno usciva l'istruzione vaticana Libertatis Nuntius che condannava gli aspetti esterni della teologia della liberazione, ma era come chiudere la stalla con i buoi già scappati.E lui personalmente non ha mai ritrattato le sue posizioni?Non risulta. E alla sua morte, nell'agosto 1999, godeva di una sorta di canonizzazione mediatica. Alcuni giornali italiani titolavano: «Profeta dei poveri», «Santo delle favelas», «Voce del Terzo Mondo», e addirittura «San Helder d'America».Una "fama di santità" ideologica, più che religiosa.Un'eventuale canonizzazione di dom Helder Camara sarebe la canonizzazione del comunismo, della teologia della liberazione, del dissenso. Lo chiamano già "Santo dei poveri", ma lui difendeva regimi che provocano la povertà, come aveva sintetizzato Indro Montanelli: «La sinistra ama tanto i poveri, che ogni volta che sale al potere ne aumenta il numero». Riguardo alla «falsificazione della fede cristiana» operata dalla teologia della liberazione, Benedetto XVI disse che « bisognava opporsi anche proprio per amore dei poveri e a pro del servizio che va reso loro».Nota di BastaBugie: mons. Helder Câmara appoggiava un progetto di rivoluzione comunista per l'America Latina conosciuto come il "Documento Comblin" preparato nel giugno 1968 sotto l'egida di mons. Helder Câmara dal sacerdote belga Joseph Comblin, professore presso l'Istituto Teologico (Seminario) di Recife. Si trattava di un Rapporto destinato al Consiglio Episcopale Latinoamericano. Il documento proponeva, senza veli, un piano eversivo per smantellare lo Stato e stabilire una "dittatura popolare" di matrice comunista.In mezzo all'accesa polemica che ne seguì, padre Comblin non negò l'autenticità del documento, ma disse trattarsi "soltanto di una bozza".Eccone alcuni punti, riportati dal sito di Tradizione, Famiglia, Proprietà:CONTRO LA PROPRIETÀNel documento, il p. Comblin difende una triplice riforma - agraria, urbana e aziendale- partendo dal presupposto che la proprietà privata e, quindi, il capitale siano intrinsecamente ingiusti. Qualsiasi uso privato del capitale dovrebbe essere vietato dalla legge.UGUAGLIANZA TOTALEL'obiettivo, afferma p. Comblin, è stabilire l'uguaglianza totale. Ogni gerarchia, sia nel campo politico-sociale sia in quello ecclesiastico, va quindi abolita.RIVOLUZIONE POLITICO-SOCIALEIn campo politico-sociale, questa rivoluzione ugualitaria propugna la distruzione dello Stato per mano di "gruppi di pressione" radicali i quali, una volta preso il potere, dovranno stabilire una ferrea "dittatura popolare" per imbavagliare la maggioranza, ritenuta "indolente".RIVOLUZIONE NELLA CHIESAPer consentire a questa minoranza radicale di governare senza intralci, il documento propone il virtuale annullamento dell'autorità dei vescovi, che sarebbero soggetti al potere di un organo composto solo da estremisti, una sorta di Politburo ecclesiastico.ABOLIZIONE DELLE FORZE ARMATELe Forze Armate vanno sciolte e le loro armi distribuite al popolo.CENSURA DI STAMPA, RADIO E TVFinché il popolo non avrà raggiunto un accettabile livello di "coscienza rivoluzionaria", la stampa, radio e TV vanno strettamente controllati. Chi non è d'accordo deve abbandonare il Paese.TRIBUNALI POPOLARIAccusando il Potere Giudiziario di essere "corrotto dalla borghesia", p. Comblin propone l'istituzione di "Tribunali popolari straordinari" per applicare il rito sommario contro chiunque si opponga a questo vento rivoluzionario.VIOLENZANel caso in cui non fosse stato possibile attuare questo piano eversivo con mezzi normali, il professore del seminario di Recife considerava legittimo il ricorso alle armi per stabilire, manu militari, il regime da lui teorizzato.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7222IL MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE RICORDA IL MALE DEL COMUNISMO di Roberto De MatteiIn occasione del Giorno della Libertà, istituito dal Parlamento, per il 9 novembre, data in cui nel 1989 fu abbattuto il Muro di Berlino, il ministro della Pubblica Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, tramite i dirigenti scolastici, ha inviato a tutti gli studenti italiani una lettera in cui invita i ragazzi a riflettere sull'anniversario di questo evento che «gli storici hanno molto studiato e continueranno a studiare», ma che merita di essere giudicato anche da chi frequenta le aule scolastiche. La lettera del Ministro non è lunga ed ecco il suo testo integrale.TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA DEL MINISTRO"Care ragazze e cari ragazzi, la sera del 9 novembre del 1989 decine di migliaia di abitanti di Berlino Est attraversano i valichi del Muro e si riversano nella parte occidentale della città: è l'evento simbolo del collasso del blocco sovietico, della fine della Guerra Fredda e della riunificazione della Germania e dell'Europa. La caduta del Muro, se pure non segna la fine del comunismo - al quale continua a richiamarsi ancora oggi, fra gli altri paesi, la Repubblica Popolare Cinese - ne dimostra tuttavia l'esito drammaticamente fallimentare e ne determina l'espulsione dal Vecchio Continente.Il comunismo è stato uno dei grandi protagonisti del ventesimo secolo, nei diversi tempi e luoghi ha assunto forme anche profondamente differenti, e minimizzarne o banalizzarne l'immenso impatto storico sarebbe un grave errore intellettuale. Nasce come una grande utopia: il sogno di una rivoluzione radicale che sradichi l'umanità dai suoi limiti storici e la proietti verso un futuro di uguaglianza, libertà, felicità assolute e perfette. Che la proietti, insomma, verso il paradiso in terra. Ma là dove prevale si converte inevitabilmente in un incubo altrettanto grande: la sua realizzazione concreta comporta ovunque annientamento delle libertà individuali, persecuzioni, povertà, morte. Perché infatti l'utopia si realizzi occorre che un potere assoluto sia esercitato senza alcuna pietà, e che tutto - umanità, giustizia, libertà, verità - sia subordinato all'obiettivo rivoluzionario. Prendono così forma regimi tirannici spietati, capaci di raggiungere vette di violenza e brutalità fra le più alte che il genere umano sia riuscito a toccare. La via verso il paradiso in terra si lastrica di milioni di cadaveri. E si rivela drammaticamente vera l'intuizione che Blaise Pascal aveva avuto due secoli e mezzo prima della Rivoluzione russa: «L'uomo non è né angelo né bestia, e disgrazia vuole che chi vuol fare l'angelo fa la bestia».Gli storici hanno molto studiato il comunismo e continueranno a studiarlo, cercando di restituire con sempre maggiore precisione tutta la straordinaria complessità delle sue vicende. Ma da un punto di vista civile e culturale il 9 novembre resterà una ricorrenza di primaria importanza per l'Europa: il momento in cui finisce un tragico equivoco nel cui nome, per decenni, il continente è stato diviso e la sua metà orientale soffocata dal dispotismo. Questa consapevolezza è ancora più attuale oggi, di fronte al risorgere di aggressive nostalgie dell'impero sovietico e alle nuove minacce per la pace in Europa.Il crollo del Muro di Berlino segna il fallimento definitivo dell'utopia rivoluzionaria. E non può che essere, allora, una festa della nostra liberaldemocrazia. Un ordine politico e sociale imperfetto, pieno com'è di contraddizioni, bisognoso ogni giorno di essere reinventato e ricostruito. E tuttavia, l'unico ordine politico e sociale che possa dare ragionevoli garanzie che umanità, giustizia, libertà, verità non siano mai subordinate ad alcun altro scopo, sia esso nobile o ignobile."LE REAZIONICon questa lettera Valditara assolve a un compito educativo che è proprio del Ministero di cui ha la responsabilità: istruire e formare le giovani generazioni. Le parole del Ministro si limitano a ricordare ciò che è avvenuto nei Paesi governati dai comunisti, ma la sinistra italiana ha inscenato una pretestuosa polemica contro la sua lettera. Il Partito Democratico ha accusato il ministro di "fare propaganda politica", mentre il segretario di Sinistra Italiana Fratoianni ha affermato che "oggi tocca al titolare dell'Istruzione ergersi sulle macerie del Muro di Berlino, per dare una lezione quanto mai stantia sul comunismo".Però in questo mese di ottobre, in occasione del centenario della Marcia su Roma sono usciti una caterva di libri e di articoli rievocando e condannando, giustamente il fascismo, senza che negli ultimi trent'anni, si sia mai sentita qualsiasi condanna del comunismo. Del comunismo possono parlare solo i comunisti, i post-comunisti, i neo-comunisti, ma agli anticomunisti è interdetta la parola. Il vizio ideologico della sinistra è ancora quello che il filosofo Augusto Del Noce denunciava negli anni Ottanta del Novecento: considerare non il comunismo, ma il fascismo, il male assoluto del secolo, e su questo principio costruire una strategia di demonizzazione dei propri avversari politici. Ma mentre il fascismo è storicamente tramontato, il comunismo è ufficialmente professato dalla Cina, ed è ancora esaltato in Russia. Chi, come la sinistra italiana e internazionale, celebra l'antifascismo, ma nega il diritto di condannare pubblicamente il comunismo, dimostra con questo atteggiamento che il comunismo non è morto. Il che conferma quanto sia stata opportuna la lettera del ministro Valditara.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7128TUTTI I FALLIMENTI DI GORBACIOV di Stefano MagniGli articoli e gli editoriali sulla morte di Gorbaciov, in questi due giorni dopo la sua morte, sono tutti più o meno celebrativi. L'ultimo presidente sovietico fu l'uomo che pose fine alla guerra fredda, dunque viene ricordato soprattutto per il suo ruolo di pace. Ma non si comprende come mai in patria, sia in Russia che nelle altre repubbliche ex sovietiche, sia ricordato con estrema ostilità. Benché rispettato dal nuovo regime, Putin stesso gli ha reso omaggio, non ha ottenuto funerali di Stato. È una figura, ormai storica, divisiva e impopolare. Perché?Si fa presto ad affermare che Gorbaciov sia odiato dai nostalgici dell'Urss, che con Putin sono tornati in auge. Certamente, questa fu l'opposizione più visibile ed anche più violenta. Nel periodo dal 1985 al 1989, il Kgb era ben consapevole dei limiti economici, militari e strutturali dell'Unione Sovietica. Fu il Kgb a incoraggiare la promozione di Gorbaciov a Segretario Generale, dopo la morte di Chernenko, approvata poi dal Comitato Centrale con voto unanime. Gorbaciov era già uomo di fiducia di Andropov, storico direttore del Kgb e poi segretario generale dell'Urss dal 1982 al 1984. Gorbaciov venne selezionato perché relativamente "giovane" (54 anni nel 1985) e aperto di mente, ma fedele al sistema comunista. Il Kgb stesso promosse e in un certo senso incoraggiò l'abbandono dei regimi dell'Est europeo, con quella che venne informalmente chiamata la "dottrina Sinatra": ciascuno per la sua strada. Tuttavia, l'atmosfera cambiò repentinamente quando nei regimi ex comunisti le elezioni vennero vinte da partiti non comunisti, a partire dalla Polonia.Esercito e Kgb si coalizzarono per impedire che la disgregazione del blocco orientale divenisse disgregazione anche della stessa Urss. E pretesero che Gorbaciov imponesse l'ordine alle repubbliche secessioniste, anche proclamando lo stato d'emergenza. Il segretario generale usò la forza (contro Kazakistan, Georgia, Azerbaigian, Lituania e Lettonia), ma rifiutò il cambio di passo preteso da militari e servizi. Fu questo rifiuto che portò al tentativo di golpe contro di lui, nell'agosto del 1991. Il resto è noto: il golpe fallì, Gorbaciov ottenne una vittoria apparente, ma di fatto aveva già perso il potere. Eltsin, il presidente della Repubblica Socialista Federativa Russa, si oppose in prima persona ai militari e divenne lui il leader politico carismatico della nuova stagione russa che portò alla disgregazione dell'Urss. Dopo il collasso sovietico, esercito, ex servizi segreti, burocrazia statale, non perdonarono mai a Gorbaciov di aver causato il "crollo" dell'impero, di essersi lasciato sfuggire di mano il processo di riforme e decentramento che loro stessi avevano avviato.LE REPRESSIONI FINITE NEL SANGUENelle repubbliche ex sovietiche, al contrario, non perdonano a Gorbaciov quelle ultime repressioni della stagione di sangue del 1986-91, volte a tenere assieme un'Urss in piena frammentazione. In Kazakistan ricordano gli oltre 200 morti civili del massacro di Alma Ata del dicembre 1986. Quando Gorbaciov sostituì il segretario generale locale Dinmukhamed Kunaev con il russo Gennadij Kolbin, i kazaki inscenarono proteste che vennero schiacciate con la forza delle armi. Gli armeni non perdonano a Gorbaciov di aver permesso (o non ostacolato abbastanza) i primi massacri compiuti dagli azeri nel Nagorno Karabakh nel 1988 e 1989. Gli azeri, al contrario, non dimenticheranno mai il massacro di Baku, il "gennaio nero" del 1990, quando le forze regolare e le truppe speciali del KGB entrarono nella capitale azera per stroncare sul nascere il locale Fronte Popolare (indipendentista e anti-armeno), uccidendo da 130 a 170 persone, in gran parte civili, fra il 19 e il 20 gennaio. I lituani non dimenticano la "domenica di sangue", culmine di tre giorni di intervento militare sovietico (11-13 gennaio 1991) contro la repubblica baltica, dopo la sua proclamazione di indipendenza. Mentre il mondo era distratto dalla Guerra del Golfo, che sta appena iniziando, i sovietici nella notte fra il sabato 12 e la domenica 13 gennaio 1991, tentarono di occupare la capitale lituana, a partire dalla conquista della sede della televisione. La folla inerme oppose resistenza, vi furono meno morti rispetto ai precedenti massacri (14 le vittime), ma fu comunque traumatico, il tutto ripreso quasi in diretta dai media locali e internazionali. Contemporaneamente, e per lo stesso motivo, i carri sovietici entravano anche a Riga, ma dopo dieci giorni di confronto fra manifestanti (protetti da numerose barricate in cemento) ed esercito, l'Armata si ritirò. Non prima di aver fatto altri 6 morti, fra cui due poliziotti lettoni.I DISSIDENTI RUSSISe nelle repubbliche ex sovietiche vedono in Gorbaciov l'ultimo dei dittatori occupanti, non meno repressivo dei suoi predecessori, anche i dissidenti russi tendono a considerarlo come uno storico bluff. Significativa la reazione di Kasparov, campione di scacchi e poi dissidente: al momento della morte dell'ultimo leader sovietico ha twittato "Come giovane campione del mondo sovietico e beneficiario della perestrojka e della glasnost, ho spinto ogni muro della repressione per testare i limiti improvvisamente mutevoli. Era un periodo di confusione e di opportunità. Il tentativo di Gorbaciov di creare un 'socialismo dal volto umano' fallì, e grazie a Dio". Le pagine più drammatiche di denuncia, le scrisse un altro dissidente, Vladimir Bukovskij, nel suo Gli Archivi Segreti di Mosca: "Per quanto ci affannassimo a spiegare che il sistema sovietico non era una monarchia e che il segretario generale non era uno zar, chi in quel momento non avrebbe comunque augurato il successo al nuovo zar-riformatore? Delle centinaia di migliaia di politici, giornalisti e accademici, solo un minuscolo gruppetto conservò una sufficiente lucidità per non cedere alla seduzione, e un gruppo ancor più sparuto di esprimere apertamente i suoi dubbi".La repressione del dissenso interno non finì affatto con l'ascesa al potere di Gorbaciov. Come documenta Bukovskij, dai files presi negli archivi del Cremlino, ancora nel 1987, il KGB organizzava campagne per arrestare i dissidenti, far fallire le iniziative a favore dei diritti umani, impedire l'ingresso di intellettuali e attivisti stranieri. Il tutto era ordinato da Chebrikov, direttore dei servizi segreti, con il pieno appoggio di Gorbaciov. Nella sua monumentale opera Gulag, la storica Anne Applebaum, ci ricorda come gli ultimi campi di concentramento vennero chiusi nel 1992, l'anno dopo la fine dell'Urss. "Tipica di quel periodo è la vicenda di Bohdan Klimchak - scrive la Applebaum - un tecnico ucraino arrestato per aver tentato di lasciare l'Unione Sovietica. Nel 1978, temendo di essere arrestato con l'accusa di nazionalismo ucraino, aveva varcato la frontiera sovietica con l'Iran e chiesto asilo politico, ma gli iraniani lo avevano rimandato indietro. Nell'aprile 1990 era ancora detenuto nella prigione di Perm. Un gruppo di congressisti americani riuscì a fargli visita e scoprì che, in pratica, a Perm la situazione rimaneva immutata. I prigionieri si lamentavano ancora per il freddo che dovevano patire e venivano rinchiusi nelle celle di rigore per 'reati' come il rifiuto di allacciare l'ultimo bottone dell'uniforme".LE MALDESTRE RIFORME ECONOMICHETuttavia fu un altro prigioniero politico ucraino, Anatolij Marchenko, che determinò un primo grande cambiamento nel sistema concentrazionario sovietico. Per protesta contro le orribili condizioni degli internati nei campi, intraprese lo sciopero della fame e fu lasciato morire l'8 dicembre 1986. La vicenda fece scalpore anche all'estero e Gorbaciov si decise ad approvare un'amnistia generale. Non fu, appunto, la fine del sistema dei campi in quanto tale (che come abbiamo visto chiuse solo nel 1992), ma la fine del Gulag come metodo statale repressivo. Il Kgb accettò, sia secondo la Applebaum, che secondo voci dissidenti come quella di Bukovskij, perché l'amnistia ormai "costava" poco al regime. Non si doveva fare alcuna retromarcia ideologica: i prigionieri, graziati, dovevano comunque firmare delle dichiarazioni di pentimento. E giunti alla fine degli anni Ottanta, la dissidenza, ridotta allo stremo, non era considerata più un pericolo per il regime, come si legge dai documenti di allora.I dissidenti sono, appunto, una minoranza. La maggioranza dei russi ha pessimi ricordi di Gorbaciov per le sue maldestre riforme economiche. "Mi trovai ben presto - ricorda l'allora ambasciatore Sergio Romano al Corriere - ad osservare criticamente gli avvenimenti. Rimproveravo a Mikhail Sergeevic (Gorbaciov, ndr) di non avere un vero programma economico. Va bene concedere più libertà: tutti erano giustamente contenti. Ma cosa fare del sistema di produzione collettivo? Lui parlò della creazione di una 'industria sociale': ma non spiegò mai in cosa consistesse".Gli anni di Gorbaciov furono anni di ristrettezze. E anche di proibizionismo dell'alcool, che aggiunse ulteriore disperazione ad uno scenario lugubre di suo, con code per il pane e razionamenti. Particolarmente catastrofica fu la "riforma monetaria" del 22 gennaio 1991. A sorpresa, nottetempo, per stroncare i proventi del lavoro nero e del contrabbando, vennero confiscate tutte le banconote da 50 e 100 rubli. La procedura di sequestro permise di ritirare dalla circolazione 14 miliardi di rubli in contanti, ma bruciò i risparmi di decine di milioni di sovietici, soprattutto quelli più benestanti.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7029ARRESTATO E POI RILASCIATO IL CARDINALE CINESE ZEN di Alessandro FerroArrestato e poi rilasciato su cauzione il cardinale di Hong kong, Joseph Zen Ze-kiun, accusato di collusione con le forze straniere: ecco cos'è successo e perchè è osteggiato dal governo di PechinoOre incredibili e convulse quelle che hanno riguardato il cardinale e attivista cattolico Joseph Zen Ze-kiun, vescovo emerito di Hong Kong che nel pomeriggio era stato arrestato dalla polizia "per la sicurezza nazionale" come riferito dal South China Morning Post. L'accusa con cui il 90enne era stato fermato alcune ore fa insieme a un ex deputato di opposizione del governo cinese Margaret Ng Ngoi-yee, e alla cantante Denise Ho Wan-sze è stata per "collusione con forze straniere", uno dei quattro reati che prevede la legge che grava su Hong Kong che era stata decisa da Pechino nel giugno 2020 e condannata a livello internazionale perché può comportare pene severissime che arrivano anche all'ergastolo.L'INTERROGATORIO, POI IL RILASCIOIl cardinale Zen ha passato alcune ore all'interno di una stazione di polizia per un interrogatorio come aveva dichiarato a AdnKronos Padre Bernardo Cervellera, missionario del Pime adesso a Hong Kong. "La Polizia per ora non ha detto niente". Durante il pomeriggio, poi, anche la Santa Sede si era espressa in merito alla vicenda apprendendo "con preoccupazione la notizia dell'arresto del cardinale Zen" e seguendo "con estrema attenzione l'evolversi della situazione". Nelle ore convulse si era fatta sentire anche la Lega sottolineando come si trattasse dell'ennesimo attacco "alla libertà di professare la propria fede religiosa" dove è fondamentale che anche tutta l'Europa facesse "sentire la propria voce" contro il regime di Pechino che "non può continuare a ridurre al silenzio ogni voce libera che crede negli stessi valori e principi su cui poggiano i pilastri dell'Occidente".Poi, però, è arrivata la lieta notizia del rilascio tramite cauzione come ha fatto sapere la piattaforma Hong Kong 01. Gli altri due arrestati assieme a Zen non erano persone casuali ma facevano del "612 Humanitarian Relief Fund", un Istituito che offre assistenza finanziaria ai partecipanti delle proteste a favore della democrazia nel 2019. Tra l'altro, ieri era stato arrestato anche un altro amministratore del fondo che stava per decollare alla volta della Germania.LA FIGURA DEL CARDINALEQuanto accaduto non è un fatto nuovo: il cardinale Zen è da tempo sotto la lente d'ingrandimento della Cina. A gennaio ebbe alcuni attacchi dove veniva accusato di aver incitato alcuni studenti a ribellarsi, nel 2019, contro alcune misure decise da Pechino. Ed è proprio nella capitale cinese che il religioso viene visto con avversione per le critiche al controllo del Partito comunista cinese verso le comunità religiose. Ha da sempre difeso i diritti civili a Hong Kong e nella Cina, come ricorda AsiaNews, Zen "ha spesso assistito alle udienze che vedono imputati politici e attivisti filo-democratici, finiti alla sbarra con l'accusa di aver violato il provvedimento sulla sicurezza nazionale".Zen è una figura delle figure, se non la figura, più importante sia per la guida spirituale di Hong Kong che a livello politico per il movimento democratico. Si è sempre schierato contro le malefatte della polizia e le pressioni cinesi su quella che era l'ex colonia. In passato, poi, aveva criticato apertamente le politiche del Vaticano e le trattative con i leader comunisti cinesi dopo che furno nominati in maniera congiunta alcuni vescovi. Per Zen quell'episodio fu "irriguardoso" verso milioni di credenti che anche rischiando la propria pelle continuano a credere e coltivare la propria fede anche in un regime come quello cinese che reprime e condanna queste forme religiose."L'arresto di un cardinale di 90 anni per le sue attività pacifiche è un altro episodio scioccante per Hong Kong, che mostra bene la caduta libera della città per quanto riguarda i diritti umani negli ultimi due anni", ha affermato, infine, Human Rights Watch.Nota di BastaBugie: Stefano Magni nell'articolo seguente dal titolo "Joseph Zen arrestato a Hong Kong, anche la libertà religiosa ha le ore contate" parla dell'arresto del cardinale, 90 anni da poco compiuti, che poi è stato liberato su cauzione. Non è un incidente di percorso, ma l'ultima tappa di un disegno ben congegnato ed accelerato nel 2019.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 12 maggio 2022:Ad Hong Kong le autorità hanno arrestato il cardinale Joseph Zen. La notizia ha sconvolto la Chiesa, il Vaticano ha espresso preoccupazione per la sorte del vescovo emerito di Hong Kong. Il cardinale, 90 anni da poco compiuti, è stato liberato su cauzione. In ogni caso, resta aperto il procedimento contro di lui. Dopo la libertà politica e quella di espressione, ad Hong Kong, sempre più indistinguibile dal resto della Cina, sta scomparendo anche la libertà di religione. È l'ultima tappa di un percorso già segnato ed accelerato nel 2019.Joseph Zen è da sempre la voce critica di Hong Kong sia sull'accordo segreto fra Cina e Vaticano, sia sul regime comunista cinese. Si è esposto in prima persona in difesa dei manifestanti democratici, nel corso della rivoluzione "degli ombrelli" (2014) e poi delle manifestazioni di massa contro la legge sull'estradizione del 2019. Il regime di Pechino lo aveva preso nel mirino, con articoli denigratori sulla stampa ufficiale. L'arresto è motivato dalla presunta violazione della nuova Legge per la sicurezza nazionale, imposta a Hong Kong da Pechino, proprio a seguito delle manifestazioni del 2019. L'accusa rivolta a Joseph Zen è quella di sospetta collusione con "forze straniere": era uno dei cinque amministratori del Fondo 612, con cui erano stati aiutati i manifestanti democratici nel pagamento delle spese legali o sanitarie che dovevano affrontare. Con Zen sono stati fermati dalla polizia due altri amministratori: la cantante Denise Ho Wan-sze, e l'ex parlamentare dell'opposizione Margaret Ng Ngoi-yee. Il giorno prima si era proceduto all'arresto di un quarto amministratore, il professor Hui Po Keung, fermato all'aeroporto internazionale mentre stava per imbarcarsi su un volo diretto in Germania"La Santa Sede ha appreso con preoccupazione la notizia dell'arresto del Cardinale Zen e segue con estrema attenzione l'evolversi della situazione", è il comunicato scritto rilasciato da Matteo Bruni, direttore della Stampa della Santa Sede. Anche gli Stati Uniti hanno espresso la loro protesta, nel giorno dell'arresto, chiedendo il rilascio di "coloro che sono stati arrestati e accusati, ingiustamente, come il cardinale Joseph Zen".L'arresto e la successiva liberazione su cauzione del cardinal Zen, segna l'inizio del "regno" di John Lee, nuovo capo dell'esecutivo di Hong Kong, insediatosi da appena due giorni. Nel 2019 era a capo della polizia ed ha gestito direttamente la repressione delle manifestazioni di piazza. Ha anche supervisionato l'imposizione della nuova Legge per la sicurezza nazionale. John Lee e funzionari fedeli a Pechino come lui, erano esattamente il motivo per cui buona parte della popolazione di Hong Kong era scesa in piazza per protesta.Lo spiegava proprio il cardinale Zen, nell'intervista che aveva rilasciato alla Nuova Bussola Quotidiana nel 2020: «I comunisti non capiscono cosa è una società libera e non possono tollerare che Hong Kong sia autonoma. Dovevamo essere autonomi per 50 anni, ma non siamo neppure a metà del percorso che ci hanno già tolto tutto. Con la nuova Legge sulla sicurezza nazionale, se ci arrestano possiamo essere privati dell'assistenza di un avvocato, non è permesso che i parenti vengano a trovarci in carcere, possiamo essere deportati in Cina e sparire. Esortiamo tutti ad essere prudenti e a non fornire pretesti, ma qualunque parola può essere usata contro di noi. La cosa più dolorosa è vedere tanta gente, soprattutto i giovani, che non può trattenersi più, vede che ci stanno togliendo tutto e non pensa più alla propria incolumità, al proprio futuro. E incontra la brutalità della polizia».L'elezione di John Lee, domenica, è stata praticamente una cooptazione in cui il voto si è ridotto a un rito formale. È stato infatti scelto dal voto di un comitato di 1500 membri, accuratamente selezionati in base al loro "patriottismo". Hong Kong non è mai stata democratica, né quando era una colonia britannica, né dopo la sua restituzione alla Cina nel 1997. Ma il percorso che stava intraprendendo verso una maggiore libertà, è stato interrotto. Ora il sistema della città autonoma è ancor più oligarchico e, quel che conta: direttamente controllato dal Partito Comunista Cinese.Se la riforma elettorale voluta da Pechino è la dimostrazione che nell'enclave di Hong Kong non ci sono più speranze per la libertà politica, la precedente imposizione della Legge per la sicurezza nazionale ha invece segnato la fine del sistema giudiziario indipendente, con le sue garanzie e il rispetto dell'habeas corpus derivati dalla tradizione britannica. Ora i reati puniti dalla nuova legge sono definiti in modo talmente ideologico (secessione, sovversione, sabotaggio...) ed arbitrario, da segnare, di fatto, la fine dell'equo processo. La libertà di espressione ha subito un durissimo colpo con l'arresto dell'imprenditore ed editore cattolico Jimmy Lai e la chiusura di Apple Daily, punto di riferimento dell'opposizione democratica al comunismo. L'arresto di Zen è il chiaro segnale che anche la libertà di religione ha le ore contate.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6968PALMIRO TOGLIATTI, IL COMUNISTA CHE COMBATTE' LA CHIESA (E GLI ITALIANI) di Martina CamonitaPalmiro Togliatti nasce a Genova, una domenica di marzo del 1893. Era la domenica delle Palme, da lì il suo nome: Palmiro.Cresce in una famiglia cattolica, da genitori praticanti, la mamma è una maestra di scuola, il padre un amministratore dei convitti. Togliatti scrive: "per abitudine si andava a messa tutte le domeniche, ma non sentii mai il problema religioso con troppa intensità". A scuola è il primo della classe tanto da guadagnarsi l'appellativo de "il migliore". Frequenta il liceo classico con ottimi risultati. In concomitanza della maturità, nel 1911, suo padre muore. La famiglia attraversa un periodo di difficoltà economiche e per andare avanti negli studi Palmiro partecipa al concorso per la borsa di studio. Si classificherà al secondo posto, il nono posto sarà appannaggio di un giovane sardo, di nome Antonio Gramsci. Palmiro vorrebbe intraprendere gli studi di filosofia ma, per assicurarsi un futuro più sicuro ed aiutare la famiglia, sceglie giurisprudenza. Si laurea con il massimo dei voti, 30/30, discutendo la tesi su "Il regime doganale delle colonie" con il professore Luigi Einaudi. Continua a seguire la sua passione per la filosofia ma, durante gli studi universitari frequenta Gramsci e matura il suo avvicinamento agli ideali socialisti rivoluzionari. Palmiro vive la sua gioventù nel clima del primo grande boom industriale del nord ovest italiano, dove sono ubicate fabbriche come la FIAT e l'ANSALDO che vedranno crescere una nuova, numerosa e forte classe operaia. Nel 1914 si iscrive al partito socialista. Il clima che si respira in quegli anni vive degli echi della rivoluzione bolscevica del 1917, della figura di Benito Mussolini che infervora gli animi dei giovani socialisti e che firma la testata dell'Avanti. Molti giovani percepiscono gli effetti dell'atmosfera ottimistica lasciati dalla belle époque, dal montante futurismo, c'è un'aria di attesa messianica e di grandi rivoluzioni nel sociale che la prima guerra mondiale metterà in crisi. Nel 1919 insieme a Gramsci, Terracini e Tasca fonda il giornale L'ordine Nuovo. Le masse operaie hanno bisogno di una guida, Togliatti intuisce che la politica "era una cosa troppo importante e troppo seria per lasciarla fare alla gente comune" guidare le masse verso la rivoluzione socialista diverrà la sua vocazione.I DUE PARTITI GEMELLIIntanto il Mussolini socialista diventa il Mussolini fascista, rappresentando con quel partito, come dicevano i socialisti de L'Ordine Nuovo: "la parte peggiore della borghesia italiana".Le squadre fasciste diventano molto attive, sono uno degli strumenti con cui l'incombente regime spazzerà via ogni opposizione.A Livorno, nel 1921, da una scissione del Partito Socialista, nasce il Partito Comunista d'Italia, che da lì a poco, insieme a Togliatti e tanti altri attivisti, sarà votato alla clandestinità. Nel 1926 Antonio Gramsci è arrestato, il carcere segnerà il suo destino piegherà il suo fisico e, nel 1937, lo porterà alla morte. In quell'anno Togliatti raccoglierà il testimone di segretario del partito comunista che ricoprirà fino al 1964, anno della sua morte.Nel 1924 Togliatti sposa la compagna Rita Montagnana, l'anno successivo nascerà suo figlio Aldo. Da lì a poco, insieme alla famiglia, andrà esule in Unione Sovietica dove resterà 17 anni fino al 1943. A Mosca diverrà membro, importante e stimato da Stalin, del Comintern il gotha del comunismo mondiale.Palmiro Togliatti è un uomo dal carattere riflessivo, diffida dei sentimentalisti e degli entusiasti, preferisce le decisioni pensate, prima che un militante ed attivista, sarà uno stratega. Fonderà lo stile della sua politica sul suo carattere ponderato, e sul convincimento che "il marxismo non è un dogma ma una guida per l'azione politica". Sposa la linea leninista che considera i primi nemici, i più pericolosi, quelli interni. Non pochi dirigenti e militanti comunisti fuggiti come lui in URSS, subiranno processi, esecuzioni, gulag e carcerazioni per avere, in vario modo ed a vari livelli, dissentito dal partito. Il Togliatti pragmatico, ritiene plausibile perseguire i dissidenti perché mettono in pericolo la "causa". Togliatti sposerà la logica per cui il "partito ha sempre ragione, anche quando ha torto". Nel 1930 diventa cittadino sovietico. Nel 1935 è inviato in Spagna durate la guerra civile, come commissario del Comintern. Vi rimarrà fino al 1939. In quel periodo lancia un appello ai fascisti italiani, invitandoli a tornare al primo ideale socialista.LA CHIESA CATTOLICA È IL NEMICOAl rientro dalla Spagna in URSS, sarà messo sotto inchiesta perché sospettato di avere sabotato la liberazione di Gramsci nonché per via del sequestro, da parte della polizia francese, di un carteggio del PSE - partito comunista spagnolo. Palmiro è un uomo colto, competente, conosce bene la parte avversaria soprattutto la Chiesa Cattolica. Per lui il Vaticano è "l'avversario irreconciliabile e organizzato, di una trasformazione democratica dell'Italia". Un avversario del quale ha grande rispetto, si arrabbia quando sente i suoi compagni denigrare o sottovalutare la Chiesa e il cattolicesimo, perché il nemico va conosciuto e considerato se lo si vuol combattere. Togliatti sa che il cattolicesimo, in Italia, è un modo di pensare, radicato nella mente dei più anziani e coltivato nei giovani. Ecco perché per attaccare il "nemico" è necessario conoscerlo a fondo.Nel 1943 Palmiro torna in Italia sotto l'identità di Ercole Ercoli. Ha elaborato un progetto "per cambiare gli italiani nel modo di essere e di sentire" che sottopone a Stalin, il quale non manca di condividere e "benedire" il piano. Il progetto prevede quanto, in effetti, accadrà successivamente: la partecipazione dei comunisti al governo Badoglio, il referendum monarchia-repubblica, una costituzione nella quale inserire principi e formule che favoriscano la rivoluzione, governi di unità nazionale etc... tutte cose che puntualmente si realizzeranno compresa "l'amnistia Togliatti". Un provvedimento di clemenza per un rapido avvio del Paese a condizioni di pace politica e sociale. L'amnistia comprendeva i reati comuni e politici, compresi quelli di collaborazionismo con il nemico e reati annessi, ivi compreso il concorso in omicidio. Il provvedimento sarà promosso da Togliatti, a in qualità di Ministro di Grazia e Giustizia del primo governo De Gasperi.Lo stile politico del leader comunista è pacato, argomentato, tiene testa ai suoi avversari con raziocinio, facendo riferimento, spesso, a fatti davanti ai quali l'interlocutore rimane spiazzato per mancanza di memoria o di preparazione. Ignazio Silone dirà di lui "nessuno poteva stargli alla pari aveva un suo modo di ascoltare a lungo ma quando prendeva la parola era come se leggesse, veniva fuori la lunga riflessione, sapeva collegare fatti apparentemente secondari, a cui nessuno aveva pensato".LE PIROETTE SU STALINRicorre anche alla contraddizione, non la teme, come quando alla morte del dittatore "canonizza" il grande Stalin "Stalin è un gigante del pensiero e dell'azione, col suo nome verrà chiamato un secolo" salvo successivamente, in epoca destalinizzante, affermare che "Stalin divulgò tesi esagerate e false, fu vittima di una prospettiva di persecuzione etc...".Nel 1948 Togliatti subisce un grave attentato, tre colpi di pistola lo attingono mettendone in pericolo la vita. L'Italia è sull'orlo della guerra civile. L'Italia è ancora un Paese armato, Palmiro ha la forza di ordinare ai suoi di non reagire militarmente, nonostante ciò sulle piazze si conteranno i morti. Al risveglio dall'intervento chirurgico proferirà una frase in latino "Omnes actiones non ridere, non lugere neque detestari, sed intelligere". Dalla sua formazione intellettuale, Palmiro ha imparato che dietro ogni azione dell'uomo vi è un motivo che occorre capire, e che dietro ogni istituzione c'è sempre un essere umano. Questa considerazione fonderà un metodo di conquista dell'avversario che egli instillerà nei suoi dirigenti e nei militanti del PCI. Un metodo di conquista che gioca sul "cerchiamo ciò che ci unisce e non ciò che divide", Palmiro sa che "nelle file della DC ci sono masse di intellettuali, contadini, giovani, con le nostre stesse aspirazioni (...) vogliono una Italia democratica e progressiva". Uno stile dialogante che non vale, ovviamente, per gli irriducibili.Nel 1951 Mosca gli propone di diventare il numero uno del Cominform, la direzione mondiale del partito comunista. Lui rifiuterà. In Italia il PCI ha bisogno di Togliatti, c'è da cambiare l'Italia, le sue istituzioni e, soprattutto, gli italiani, occorre avviare la via italiana al socialismo. Nelle elezioni politiche del 1963 porterà il PCI al 25,6%, un grande successo, il PCI è il partito comunista più importante dell'occidente.Nel 1964 si reca in vacanza a Jalta in Crimea, vuole parlare con Kruscev, è preoccupato della frattura creatasi fra Mosca e Pechino, ma muore all'improvviso a seguito di un infarto. Al suo funerale a Roma, in Piazza San Giovanni accorreranno più di un milione di persone. Un popolo che riconosceva in lui una guida sicura, la guida de "il migliore". L'URSS gli dedicherà un francobollo e una città, Togliattigrad.La figura di Togliatti può essere definita elitaria perché incarna un politico che pensa, che studia, un politico colto, abile e pragmatico, uno che concepisce progetti politici a lunga scadenza, un uomo che ha una visione del mondo e della società, la si condivida o meno.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6921IL CARDINALE JOSYF SLIPYJ E LA SUA UCRAINA di Roberto de MatteiVi sono uomini che incarnano le virtù e i valori più profondi di un popolo. Tale fu il cardinale Josyf Slipyj, arcivescovo maggiore di Halyč e di Leopoli degli Ucraini, di cui ricorre il 130esimo anniversario della nascita, proprio mentre la sua terra natale conosce una nuova immane tragedia.Nato 17 febbraio 1892 a Zazdrist, nell'Ucraina occidentale, a diciannove anni Josef Slipyj entrò nel Seminario di Leopoli, dove fu ordinato sacerdote il 30 settembre 1917 e poi inviato a Roma per completare i suoi studi presso l'Istituto Orientale e l'Università Gregoriana. Nel 1925 venne nominato Rettore del seminario di Leopoli e nel 1929 dell'Accademia teologica della stessa città. L'Ucraina intanto era caduta sotto il giogo sovietico e Stalin, tra il 1932 e il 1933, requisì tutta la produzione agricola per imporre la collettivizzazione forzata del paese attraverso la carestia, conosciuta come Holodomor [il miglior film che parla dell'Holodomor è senza dubbio Raccolto amaro del 2017; per approfondimenti e per vedere il trailer, clicca qui http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=80].Mentre si avvicinava la guerra, il metropolita greco-cattolico dell'Ucraina Andrej Szeptycki (1865-1944), che lo aveva avviato al sacerdozio, lo richiese a Pio XII come suo coadiutore con diritto di successione. Così, nel 1939, mons. Josef Slipyj venne nominato esarca dell'Ucraina orientale e alla morte del metropolita Szeptycki, il 1° novembre 1944, divenne Capo e padre della Chiesa cattolica ucraina. Era un momento terribile per il suo Paese, stretto tra la morsa dei nazisti e dei comunisti. L'11 aprile 1945 il metropolita Slipyj venne arrestato dai sovietici e condannato a otto anni di lavori forzati nei gulag, mentre veniva inscenato un Sinodo illegale che proclamava la "riunificazione" della Chiesa cattolica ucraina con il Patriarcato ortodosso di Mosca, dominato dal regime sovietico. Le chiese dei greco-cattolici, circa 3.000, vennero date agli ortodossi e quasi tutti i vescovi e i sacerdoti furono uccisi o incarcerati. Nel 1953 l'arcivescovo Slipyj subì una seconda condanna a cinque anni di Siberia e nel 1958 una terza a quattro anni di lavori forzati. Nel 1962, a settant'anni, patì la quarta condanna, consistente nella deportazione a vita nel durissimo campo di Mordovia. In tutto, l'eroico presule passò 18 anni nelle carceri e nei gulag.PIO XII E GIOVANNI XXIIIIl padre gesuita Pietro Leoni (1909-1995), sopravvissuto ai lager sovietici, descrivendo gli orrori del campo di transito di Kivov, racconta che un giorno alcuni detenuti furono introdotti nella sua cella. "Sull'imbrunire mi sentii chiamare da una voce sconosciuta: un uomo anziano, con la barba, stava in piedi davanti al mio posto; mi porse la mano presentandosi: Giuseppe Slipyj. Fu allo stesso tempo una gioia e un dolore sapermi insieme al mio metropolita".Pio XII intervenne ripetutamente in favore degli ucraini e del loro metropolita incoraggiandoli a resistere alle persecuzioni, soprattutto con l'enciclica Orientales Omnes Ecclesias del 23 dicembre 1945. Tuttavia, nel 1958, dopo la morte di Pio XII, i rapporti tra la Russia e il Vaticano iniziarono a mutare. Quando Giovanni XXIII annunciò il Concilio Vaticano II, volle che ad esso partecipassero i rappresentanti del Patriarcato di Mosca. Le autorità del Cremlino imposero come condizione il silenzio del Concilio sul comunismo. Un accordo segreto fu siglato, nell'agosto del 1962, nella cittadina francese di Metz tra il cardinale Tisserant, rappresentante del Vaticano, e il vescovo ortodosso Nikodim da parte russa. La grande assemblea convocata per discutere sui problemi del proprio tempo avrebbe taciuto sulla maggiore catastrofe politica del Novecento.In quegli anni i gulag comunisti pullulavano di prigionieri per motivi religiosi, specialmente della Chiesa cattolica ucraina. Sarebbe stato uno scandalo se nell'aula del Concilio fossero stati assenti i vescovi vittime della persecuzione e presenti invece gli esponenti del Patriarcato di Mosca, che appoggiavano i carnefici. Fu svolta dunque una trattativa tra la Santa Sede e il Cremlino, per permettere al metropolita Slipyj di partecipare al Concilio. Il capo della Chiesa ucraina non voleva abbandonare il suo paese, ma ubbidì al Papa e prima di lasciare Mosca consacrò clandestinamente vescovo il sacerdote redentorista ucraino Wasyl Welyckowskyj.Giunse a Roma il 9 febbraio 1963, ma non tacque. L'11 ottobre 1963 Slipyj intervenne in Concilio parlando della testimonianza di sangue della Chiesa ucraina e proponendo di elevare la sede di Kiev-Halyč al rango patriarcale. Egli ricorda di aver rivolto questa richiesta numerose volte a Paolo VI ma di avere sempre ricevuto un diniego per ragioni politiche. Il riconoscimento del Patriarcato ucraino avrebbe infatti ostacolato l'Ostpolitik e il dialogo ecumenico con la chiesa ortodossa di Mosca. Però, il 25 gennaio 1965 fu creato cardinale da papa Paolo VI, che elevò la Chiesa greco-cattolica ucraina al rango di Arcivescovato maggiore di Leopoli degli Ucraini.IL FUTURO DELLA CHIESA UCRAINAFra il 1968 e il 1976, malgrado l'età avanzata, il cardinale Slipyj intraprese lunghi e faticosi viaggi presso le comunità della diaspora ucraina nelle Americhe, in Australia e in Europa, continuando a svolgere il ruolo di Pastore del suo popolo. Nel 1976 lanciò un appello alle Nazione Unite in favore delle vittime del comunismo e nel 1977, in un drammatico intervento presso il Tribunale Sakharov, denunciò ancora una volta la persecuzione religiosa in Ucraina. Il mondo guardava a lui e al cardinale József Mindszenty (1892-1975) come a due grandi testimoni della fede cattolica nel Novecento.Per assicurare il futuro della Chiesa ucraina, il cardinale Slipyj non arretrò di fronte a gesti estremi. Peter Kwasniewski ha recentemente ricordato come il 2 aprile 1977 egli ordinò clandestinamente tre vescovi, senza l'autorizzazione di Paolo VI, incorrendo automaticamente nelle censure canoniche previste dal can. 953 del Codice allora vigente. Però, a differenza di quanto accadrà per mons. Marcel Lefebvre, scomunicato nel 1986 per la stessa infrazione della legge canonica, nessuna misura scattò ipso facto, nei confronti del cardinale Slipyj. Uno dei vescovi da lui ordinati era mons. Lubomyr Husar (1933-2017), che Giovanni Paolo II nominò, dopo Slipyj, arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica e cardinale. A lui successe come primate Svjatoslav Ševčuk, che si trova in questo momento sotto le bombe nella città assediata di Kiev. Nel 2004 la sede dell'arcivescovato maggiore è stata trasferita a Kiev e ha mutato il proprio nome in quello attuale di Kiev-Halyč.Il cardinale Josef Slipyj morì in esilio a Roma a novantadue anni il 7 settembre 1984 ed è ora sepolto a Leopoli, nella cripta della cattedrale di San Giorgio, accanto al metropolita Andrej Szeptycki. Giovanni Paolo II lo definì «uomo di fede invitta, pastore di fermo coraggio, testimone di fedeltà eroica, eminente personalità della Chiesa» (L'Osservatore Romano, 19 ottobre 1984).Mentre l'identità religiosa e politica della sua terra è ancora una volta brutalmente calpestata, la memoria dell'eroica resistenza del cardinale Josyf Slipyj ci aiuta a confidare nel futuro dell'Ucraina. Kiev fu il luogo della conversione del popolo russo alla Chiesa cattolica, e da Kiev, non da Mosca, è destinata a partire la seconda grande conversione della Russia annunciata dalla Madonna a Fatima. Del messaggio di Fatima il cardinale Slipyj fu un grande zelatore. Nel 1980 egli presentò a Giovanni Paolo II due milioni di firme raccolte dall'Armata Azzurra, insistendo in un lungo colloquio con il Papa sulla necessità di consacrare la Russia al Cuore Immacolato di Maria. Questa consacrazione non è ancora avvenuta secondo le modalità richieste dalla Beatissima Vergine, alla quale il cardinale Slipyj così si rivolse nel suo testamento: «Seduto sulla slitta e facendomi strada verso l'eternità... recito una preghiera alla nostra protettrice e Regina del Cielo, la sempre Vergine Madre di Dio. Prendi la nostra Chiesa ucraina e il nostro popolo ucraino sotto la tua efficace protezione!». Facendo nostre le sue parole in questo momento tragico della storia del mondo non possiamo che proclamare a voce alta: "Onore al cardinale Slipyj e al suo popolo martire".
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6879IL 2021 NERO DI HONG KONG: GIORNALI CHIUSI, ATTIVISTI IN CARCERE, FAVOLE PER BAMBINI VIETATE di Leone GrottiNon si poteva chiudere in modo più tragicamente emblematico il 2021 di Hong Kong. Il 29 dicembre oltre 200 poliziotti per la sicurezza nazionale hanno fatto irruzione nella redazione e negli uffici del giornale online pro democrazia Stand News arrestando sei giornalisti, tra i quali l'attuale e l'ex direttore e caporedattore. L'accusa è di aver «cospirato per distribuire pubblicazioni sediziose»: un modo come un altro per tappare la bocca a chiunque si azzarda a criticare il governo.Gli arresti a Stand News, che ha già chiuso sito e social media, concludono un 2021 disastroso, durante il quale la democrazia e i diritti dei cittadini di Hong Kong sono stati cancellati con impressionante violenza e rapidità. Il regime comunista cinese, sfruttando le norme e prerogative della legge sulla sicurezza nazionale, imposta al territorio nel luglio 2020, ha distrutto in appena 18 mesi il modello "Un paese, due sistemi", violando il trattato internazionale firmato con il Regno Unito e spazzando via con oltre 20 anni d'anticipo l'autonomia promessa all'isola.L'anno era iniziato con l'arresto di massa a gennaio di 53 importanti personaggi della galassia democratica di Hong Kong con il dispiegamento di oltre mille poliziotti. Politici e attivisti sono stati accusati di aver tenuto delle primarie democratiche con l'obiettivo di conquistare il Parlamento attraverso le elezioni. Un primo importante segnale della morte della democrazia sull'isola. A febbraio tutti sono stati accusati di sovversione, capo d'imputazione che potrebbe valere loro l'ergastolo.HONG KONG AI PATRIOTI COMUNISTISempre a febbraio, i consiglieri distrettuali (quasi tutti democratici dopo una clamorosa vittoria alle elezioni del 2019) sono stati obbligati a prestare giuramento di fedeltà al governo e alla Cina con l'obiettivo di escluderli dall'amministrazione della città. E per la prima volta in 32 anni, il banchetto floreale di raccolta fondi per ricordare le vittime di Piazza Tienanmen alla fiera per il capodanno cinese è stato smantellato.A marzo la Cina ha approvato le modifiche alla legge elettorale di Hong Kong per assicurare che la città venga guidata soltanto da "patrioti". Il nuovo sistema, in sostanza, diminuisce il numero di parlamentari eletti dal popolo e istituisce una commissione in grado di porre il veto preventivo a tutti i candidati al Parlamento e alla carica di governatore che non si sottomettono alla Cina e al Partito comunista. In tutte le scuole di ogni ordine e grado, inoltre, vengono introdotti libri di indottrinamento dal titolo La mia casa è la Cina.Ad aprile il governo assegna nuovi poteri all'ufficio della Dogana per vietare a chiunque di lasciare Hong Kong, senza bisogno di fornire spiegazioni, una mossa per impedire che gli attivisti democratici lascino l'isola. Carrie Lam lancia anche la "Giornata di educazione sulla sicurezza nazionale", dove ai bambini viene richiesto di scrivere frasi patriottiche e dove si insegna loro a maneggiare mitra, granate e lanciarazzi. Molti negozi legati alla galassia democratica vengono chiusi ed è introdotta una legge per punire chi inciterà altri a votare scheda bianca alle elezioni di dicembre.CENSURA ONNIPRESENTEA maggio la veglia annuale per ricordare le vittime di Piazza Tienanmen viene bandita un'altra volta con la scusa del Covid-19, i libri degli attivisti democratici vengono ritirati dalle librerie e decine di insegnanti sono licenziati per aver protestato contro il governo nel 2019. A giugno 500 poliziotti fanno irruzione negli uffici dell'Apple Daily, il cui fondatore è già in carcere, e arrestano cinque giornalisti. Il giornale viene poi chiuso: l'ultima edizione è uscita il 24 giugno. Il governo decide inoltre che chiunque vorrà acquistare una sim telefonica dovrà fornire tutti i propri dati personali.A luglio è stata condannata la prima persona in base alla legge sulla sicurezza nazionale: un 24enne ha ricevuto una pena pari a 9 anni di carcere. Cinque psicoterapeuti vengono arrestati per aver scritto un libro per bambini nel quale si racconta la storia di una pecora che protegge il villaggio dai lupi. Secondo la polizia, la favola «incita all'odio contro il governo».Ad agosto il più grande sindacato degli insegnanti si scioglie per timore che i suoi leader vengano arrestati. Scompare anche il Civil Human Rights Front, organizzatore della storica marcia democratica dell'1 luglio. A settembre chiude anche l'Alleanza di Hong Kong, che dal 1990 organizzava la veglia per le vittime di Tienanmen. Per evitare l'incarcerazione, chiude i battenti pure la più grande coalizione di sindacati dell'isola (Hkctu). Il governo impedisce alla popolazione di portare in carcere agli oltre 100 attivisti democratici finiti in prigione cioccolata e giornali.A ottobre scompare il sindacato degli studenti, in tutte le scuole viene introdotto l'obbligatorio alzabandiera settimanale con il drappo cinese. A novembre la mannaia della censura si abbatte anche su film e concerti. A dicembre, oltre alla chiusura di Stand News, viene smontata e rimossa, dopo 20 anni di permanenza, dal campus dell'università di Hong Kong la statua che commemorava le vittime della strage di Piazza Tienanmen: la "colonna della vergogna". Decine di attivisti, tra i quali Lee Cheuk-Yan e Jimmy Lai, ricevono nuove ingiuste condanne.Che cosa pensano i cittadini di Hong Kong di questo scempio compiuto dalla Cina? Alle elezioni farsa del 19 dicembre, oltre il 70% dei aventi diritto non si è recato alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. Un segnale forte che dimostra come un anno di indottrinamento, arresti, persecuzione e terrore non sia stato sufficiente a cambiare la testa dei cittadini. Hong Kong ha resistito all'ingiustizia e all'oppressione, ora però qualcuno deve aiutarla.Nota di BastaBugie: Roberto Fabbri nell'articolo seguente dal titolo "La Cina come i talebani fa sparire da Hong Kong la statua di Tienanmen" spiega come l'università stessa ha rimosso il "Pilastro" che ricorda il massacro di regime... che ora rischia la distruzione, proprio come fanno i musulmani ogni volta che conquistano un territorio: distruggono tutto ciò che ricorda la storia di quel popolo. Altro che grande reset.Ecco l'articolo completo pubblicato su Il Giornale il 24 dicembre 2021:Continua senza sosta l'opera di «normalizzazione» di Hong Kong ordinata dal leader comunista cinese Xi Jinping dopo le proteste di massa del 2019. Anche il cosiddetto «Pilastro della Vergogna», la statua che da 24 anni si ergeva nel campus dell'Università per commemorare le vittime del massacro di piazza Tienanmen a Pechino del giugno 1989, è stata rimossa. La statua in rame, alta otto metri, rappresenta plasticamente l'orrore di quella strage, e raffigura cinquanta volti stravolti in un groviglio di corpi torturati. L'autore, l'artista danese Jens Galschiot, ha espresso il suo «assoluto choc» per l'accaduto, ma davvero non si può parlare di una sorpresa: da quando, il 1° luglio 2020, è entrata in vigore a Hong Kong la draconiana legge sulla sicurezza nazionale che vieta ogni minimo accenno di critica al regime, la governatrice Carrie Lam non ha fatto che attuare gli ordini dei suoi padroni e cancellare passo dopo passo gli elementi di democrazia che distinguevano l'ex colonia britannica tornata sotto sovranità cinese il 1° luglio 1997 dal resto della Repubblica Popolare. Le manifestazioni sono state proibite con il pretesto dell'emergenza sanitaria, i leader democratici incluso il famoso capo studentesco Joshua Wong sono stati arrestati e condannati al carcere, i giornali indipendenti sono stati chiusi e i loro editori a loro volta arrestati e incarcerati, la legge elettorale è stata cambiata per cancellare ogni parvenza di opposizione.É stato anche chiuso il museo dedicato alle vittime del giugno 1989 e sono finiti in galera i dirigenti della Hong Kong Alliance in Support of Patriotic Democratic Movements in China, l'associazione che ogni anno organizzava la manifestazione per Tienanmen e a cui Galschiot aveva donato la sua opera nel 1997. Mancava quasi solo l'eliminazione della statua commemorativa degli studenti cinesi pro democrazia. E a farla smantellare ha provveduto nel corso della notte - la stessa Università che la ospitava, che in una nota ha spiegato di aver dovuto agire così «sulla base di un parere legale esterno, valutando il rischio per il miglior interesse dell'ateneo». Una volta rimossa, la statua è stata montata su un container e trasportata in un magazzino, dove verrà custodita «mentre l'Università cercherà un parere legale per qualsiasi azione appropriata in seguito».Questo anche perché Galschiot, che valuta la statua 1,4 milioni di dollari, aveva chiesto alle autorità di Hong Kong un'esenzione dalla famigerata legge sulla sicurezza per potersi presentare a recuperare la sua opera e riportarla in Europa (non è chiaro se abbia ottenuto risposta), promettendo al tempo stesso di chiedere un indennizzo qualora la statua venisse danneggiata. Anche se c'è chi si dice certo che lontano da sguardi indiscreti la statua verrà distrutta.Normalizzazione a vele spiegate dunque, con relativo spiegamento dell'immancabile propaganda menzognera. Dopo aver diffuso un incredibile «libro bianco» dedicato ai «sinceri sforzi profusi per la democrazia a Hong Kong», il regime di Pechino ha ritenuto opportuno manifestare il suo pieno apprezzamento alla governatrice della città per il lavoro svolto. Il presidente Xi ha elogiato le recenti elezioni per il rinnovo del Parlamento, che hanno attuato «il principio dei patrioti che governano Hong Kong stabilendo un modello politico di partecipazione ampia ed equilibrata di tutti i settori della società».
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6843QUANDO I COMUNISTI SOVIETICI ABOLIRONO IL NATALE di Giuliano GuzzoLa polemica di alcuni giorni fa sulle linee guida della comunicazione «inclusiva» dell'Unione europea - poi ritirate - che sconsigliavano l'uso di nomi e festività cristiane, ha portato alcuni a gridare al falso allarme. L'Europa, hanno infatti voluto precisare alcuni fact-checker, ossia i «cacciatori di bufale» sempre pronti a mettere i punti sulle i, non ha mai inteso «abolire il Natale». Ed è vero. Ciò però non toglie come quelle linee guida fossero imbarazzanti, tanto che poi sono state revocate, e non toglie neppure come l'abolizione del Natale non sia affatto uno scenario impossibile. Per un motivo semplice: nella storia, è già stata decretata.Neppure i più zelanti «cacciatori di bufale», categoria che spesso orbita nell'area politica progressista, potranno difatti negare il precedente - clamoroso eppure non molto conosciuto - dell'Unione Sovietica. In breve, accadde questo.L'ABOLIZIONE DEL NATALENell'aprile 1929, il Partito comunista - che aveva già preso a chiudere le chiese e a perseguitare i religiosi - fece un pesante passo avanti abolendo in toto il periodo delle festività natalizie e, con esso, l'albero, «usanza dei preti» accusato d'essere strumento con cui la Chiesa adescava i più piccoli, perché, si pensava allora, «la religiosità dei bambini inizia con l'albero di Natale», perciò occorreva evitare che si intossicassero col «veleno religioso».Qualche anno dopo, nel 1935, in Unione Sovietica si decise di introdurre poi una festa sostitutiva, quella del Capodanno. Sì procedette in tal senso sulla scorta di quanto apertamente suggerito sulle colonne della Pravda, l'organo ufficiale del Partito, dall'influente uomo politico Pavel Postyshev (1887-1939), il quale proponeva di restituire ai bambini sovietici «l'atmosfera di fiaba e magia» da alcuni anni rimossa. Le festività di fine dicembre furono insomma ripristinate. Ad una condizione, però: nessun riferimento, neppure remoto, alla religione.In effetti, già nel 1929 i sovietici furono a dir poco inflessibili nel loro intento di sradicare il Natale di Cristo dal loro immenso territorio. Basti qui ricordare che, nell'inverno di quell'anno, pattuglie di volontari si misero all'opera perlustrando palmo a palmo le città così come i villaggi. L'ordine era chiaro: garantire l'abolizione del Natale, osservando - con un'obbedienza al regime degna della penna di George Orwell - fin dentro le finestre delle case, al fine di assicurare compiuta esecuzione al decreto governativo. Ecco che allora il Natale si fece evento clandestino e, con esso, l'albero.VIETATO L'ALBERO DI NATALESignificativa, in proposito, la prima pagina della rivista L'ateo alla macchina da lavoro uscita nel 1931. Vi era ritratto un uomo che fissava un abete sui cui rami si trovava un cartello molto esplicito: «Divieto di tagliare l'albero di Natale». Ciò nonostante, come si diceva, l'usanza dell'albero tornò nel 1935. Ci fu però chi ritenne che la pur laicissima operazione presentasse dei rischi. Così ecco che apparvero sull'albero soldati, atleti, pionieri, esploratori e piloti. Per non lasciare nulla al caso, pure l'antica stella Cometa venne sostituita dalla stella rossa a cinque punte. La messa al bando delle festività natalizie, insomma, continuò all'insegna del massimo rigore.Ciò però, come sappiamo, non ha impedito all'Urss, dopo decenni di feroci persecuzioni anticristiane, di crollare. E di crollare, tra l'altro, in tempi e modo tutt'altro che casuali. La fine dell'impero sovietico fu infatti stabilita l'8 dicembre 1991, festa dell'Immacolata Concezione, mentre la firma delle carte e la bandiera rossa ammainata dalla piazza rossa datano il 25 dicembre 1991. Precisamente il giorno di Natale. Fu Dio stesso, insomma, a voler metter la firma sulla fine dell'ateismo di Stato e della feroce utopia irreligiosa. Pur immobile nella sua mangiatoia, Gesù Bambino ha così battuto, in un solo colpo, Marx, Lenin e Stalin. Ma di tutta questa incredibile vicenda storica, chissà come mai, ancora oggi si fatica a parlare.
VIDEO: Il racket dei trapianti e il prelievo forzato di organi in Cina ➜ https://www.youtube.com/watch?v=lQEIppK88RoTESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6811LA CINA PUBBLICA IL TARIFFARIO DEI TRAPIANTI DI ORGANI (PRELEVATI FORZATAMENTE) di Marco RespintiUn fegato? 260mila yuan, cioè 40.700 dollari statunitensi. Un rene ne vale invece 160mila (25.000 dollari), un cuore 100mila (15.600 dollari) e un polmone 80mila (12.500 dollari). Per un pancreas servono 50mila yuan (7.800 dollari), come per un intestino tenue, mentre le cornee vengono via a 10mila yuan al pezzo, cioè solo 1.600 dollari.Per il regime neo-post-nazional-comunista è prassi mandare a morte qualche migliaio di prigionieri politici ogni anno, espiantandone gli organi per alimentare il mercato nero dei trapianti. Ma la novità introdotta dal "modello cinese" di Xi Jinping, che diversi vorrebbero importare in Occidente, è la normalizzazione tecnocratica dell'orrore e così adesso arriva anche il tariffario.Come riporta il quotidiano statunitense The Epoch Times, in prima linea nel denunciare gli obbrobri di Pechino, diverse fra province e città della Cina hanno messo in pratica quanto previsto da un'ordinanza diramata in luglio dal governo in tema di parcelle e gestione finanziaria dei trapianti. Entro il 1° settembre, cioè, le amministrazioni locali e le regioni autonome (il nome dietro cui la burocrazia nasconde l'occupazione militare e coloniale di zone come il Tibet, lo Xinjiang e la Mongolia cosiddetta «interna») erano tenute a stilare listini prezzi e così hanno fatto.Nell'Henan, per esempio, cuore storico del Paese, 167mila kmq per 95 milioni di abitanti, se ne sono occupati con zelo sei dipartimenti, tra cui la Commissione Salute, il dicastero delle Finanze e l'Amministrazione per la supervisione del mercato. Sì, perché in Cina un mercato c'è, libero quanto serve allo Stato per incatenare i cittadini lucrandoci, e lo dimostra proprio la predazione di organi. L'Henan e lo Hubei (provincia sempre centrale di 186mila kmq per 58 milion di abitanti) sfoggiano prezzi diversi, diversi anche per organi di bambini e di adulti.Il che però aumenta lo sgomento: se gli organi predati agli adulti vengono dai prigionieri politici giustiziati, da dove vengono quelli dei bambini? La domanda, angosciante, fa parte del mistero persistente dei trapianti cinesi. Il numero degli organi disponibili è infatti enorme e i conti non tornano, come documentano il «China Tribunal», svoltosi a Londra dal dicembre 2018 all'aprile 2019 e conclusosi con un atto di accusa di oltre 560 pagine. [...]La Red Cross Society of China dice ufficialmente da sempre che gli organi disponibili sarebbero frutto di donazioni volontarie. Ma la Red Cross Society of China non c'entra con la Croce Rossa Internazionale e dipende dal governo cinese. Parlando al Circolo della stampa di Bruxelles il 27 ottobre, Hamid Sabi, consulente del «China Tribunal» citato da The Epoch Times, ha ricordato come il database delle donazioni di organi, gestito dal Partito Comunista al potere dal 1949, sostenga di ottenere da ogni singolo donatore volontario ben 2,8 organi: il che è letteralmente da Superman, essendo la cifra 180 volte superiore a quanto fanno Europa e Stati Uniti.Ma anche fosse, non si arriverebbe lo stesso ai 10mila trapianti vantati annualmente dalle stime ufficiali. Del resto è dal 2006 che David Kilgour (ex segretario di Stato canadese per l'area indo-pacifica), l'avvocato canadese David Matas e il giornalista Ethan Guttmann, oggi ricercatore sulla Cina della Victims of Communism Memorial Foundation di Washington, aggiornano studi e statistiche parlando di una forbice tra i 60mila e i 100mila trapianti reali l'anno.Cifre da capogiro, ma c'è un aspetto ancora più raccapricciante. Il tariffario del regime non è solo un distillato di cinismo: serve anche a puntellare la bugia. Cosa di meglio se non "legalizzare" l'abuso attraverso una regolare prezzatura della merce? È ciò che dice a The Epoch Times il dottor Wayne Shih-wei Huang, chirurgo, direttore di IRCAD Taiwan, il maggior centro di formazione per la chirurgia non-invasiva di tutta l'Asia.Una finzione colossale per fingere domanda e offerta. I costi per gli organi dei bimbi dovrebbero infatti essere più alti, e non inferiori, di quelli degli adulti, e non ha senso che un rene abbia un costo maggiore di quello di un cuore, più difficile da prelevare, conservare e trasportare. Bugie, insomma, persino raccontate male. Ma vale tutto, se non c'è chi voglia vedere.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6793 UNA FAMOSA TENNISTA SPARISCE PER AVER CRITICATO IL REGIME CINESE (POI RIAPPARE, MA...)E intanto la giornalista che denunciò quello che accadeva a Wuhan sta morendo in carceredi Francesca BurattinPeng Shuai, 35 anni, una delle star del tennis più famose della Cina, è oggetto di speculazioni e preoccupazioni internazionali dopo che il 2 novembre ha pubblicato una lunga dichiarazione su Weibo (la piattaforma di social media cinese simile a Twitter), in cui accusava l'ex vicepremier del paese, Zhang Gaoli, di averla aggredita sessualmente.Peng ha dichiarato che lei e Zhang Gaoli, che ora ha 75 anni, hanno avuto per diversi anni una "relazione" extraconiugale, ma Zhang Gaoli aveva smesso di contattarla dopo essere salito nei ranghi del partito comunista. Circa tre anni fa però l'ha invitata a giocare a tennis con lui e sua moglie e poi l'ha aggredita sessualmente a casa sua.Il post è stato cancellato dalla rigida censura cinese in meno di 30 minuti, ma è comunque diventato virale. I censori hanno bloccato parole chiave come "tennis", disabilitando i commenti sull'account di Peng e rimuovendo numerosi riferimenti a lei da Internet in tutta la Cina.L'EMAIL SCRITTA DALLA TENNISTA... O DAL REGIME?L'emittente televisiva statale cinese, CGTN, ha poi rilasciato un'e-mail, sostenendo che fosse stata scritta da Peng, dopo che le preoccupazioni per la sua sicurezza avevano iniziato a crescere: «Ciao a tutti, sono Peng Shuai. Per quanto riguarda le recenti notizie rilasciate sul sito ufficiale della WTA, il contenuto non è stato confermato o verificato da me stesso ed è stato rilasciato senza il mio consenso. Le notizie contenute in quel comunicato, compresa l'accusa di aggressione sessuale, non sono vere. Non sono dispersa, né in pericolo. Sono a casa e va tutto bene. Se la WTA (Women's Tennis Association) pubblica altre notizie su di me, per favore verificatele con me e rilasciatele solo con il mio consenso. Come tennista professionista, ringrazio tutti per la vostra considerazione. Spero di promuovere il tennis cinese con tutti voi se ne avrò la possibilità in futuro. Spero che il tennis cinese diventi sempre migliore. Ancora una volta, grazie per la vostra stima».Il presidente della Women's Tennis Association (WTA) Steve Simon ha condiviso una dichiarazione confermando di aver letto l'e-mail, ma ha chiesto ulteriori prove che fosse stata scritta da Peng. «La dichiarazione rilasciata oggi dai media statali cinesi... solleva solo le mie preoccupazioni sulla sua sicurezza e su dove si trovi. Ho difficoltà a credere che Peng Shuai abbia effettivamente scritto l'e-mail che abbiamo ricevuto o a credere a ciò che le viene attribuito», ha detto. «La WTA e il resto del mondo hanno bisogno di prove indipendenti e verificabili che sia al sicuro. Ho più volte cercato di contattarla tramite numerose forme di comunicazione, senza alcun risultato». Il ministero degli Esteri cinese rifiuta di commentare la posizione della star del tennis Peng Shuai.LA GIORNALISTA CHE DENUNCIÒ QUELLO CHE ACCADEVA A WUHANLa giornalista e attivista Zhang Zhan, che denunciò per prima quanto stava accadendo a Wuhan, invece, si trova attualmente in carcere, dove ha iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione. La sua famiglia dice che non si aspettano che sopravviva all'inverno se non viene al più presto rilasciata per motivi di salute.Zang è scomparsa a Wuhan nel maggio 2020, dove si trovava per riportare ai media la situazione della gestione epidemica lì, dove tutto ha avuto inizio. In seguito è emerso che era stata presa dalle autorità cinesi e detenuta a Shanghai, dove è stata condannata a quattro anni di detenzione per «aver provocato disordini» a seguito di un processo farsa.Nel giugno 2020, Zhang Zhan ha iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione. A dicembre, il suo corpo era così debole che ha dovuto partecipare al processo su una sedia a rotelle. Prima del processo, le autorità l'hanno alimentata forzatamente e l'hanno tenuta bloccata per giorni interi per impedirle di rimuovere il sondino con cui la nutrivano. Hanno anche costretto Zhang a indossare catene alle mani 24 ore al giorno per più di tre mesi come punizione per il suo sciopero della fame.Il 31 luglio 2021 è stata ricoverata in ospedale a causa della grave malnutrizione. Tuttavia, è stata riportata in prigione dove continua a praticare uno sciopero della fame parziale nonostante il grave rischio per la sua salute, che continua a peggiorare a un ritmo drammatico. Dopo il suo processo, le autorità si sono rifiutate di permetterle di parlare con il suo avvocato o di incontrare la sua famiglia di persona. Le sono state consentite solo telefonate o videochiamate occasionali con i parenti e sempre sotto supervisione.«Zhang Zhan, che non avrebbe mai dovuto essere imprigionata, ora sembra essere seriamente a rischio di morire in prigione. Le autorità cinesi devono rilasciarla immediatamente in modo che possa porre fine al suo sciopero della fame e ricevere le cure mediche appropriate di cui ha disperatamente bisogno», ha affermato Gwen Lee, attivista cinese di Amnesty International.Le storie di Peng Shuai e Zhang Zhan, in attesa di seguirne l'evolversi, sono altre due brutte storie che arrivano da Pechino. Storie di regime.Nota di BastaBugie: dopo la crescente pressione internazionale la tennista cinese Peng Shuai è riapparsa in video. La giocatrice ha parlato in videoconferenza con il presidente del Comitato olimpico internazionale (Cio), rassicurandolo sulle sue condizioni dicendo: "Sto bene e sono al sicuro".Eppure Luigi Conte su Yahoo Notizie il 22 novembre, commenta così questo video:La Cina tenta di seppellire il caso Peng Shuai con la benedizione del Comitato olimpico internazionale (Cio): non usa mezzi termini Le Monde dopo la video chiamata di domenica fra la star cinese del tennis e Thomas Bach.A quest'ultimo Peng ha detto di "stare bene" ma ha anche chiesto il rispetto della privacy. [...]Il quotidiano francese solleva dubbi circa la reale condizione in cui si trova la 35enne ex numero uno mondiale del doppio: "Nulla ci dice che è libera".Secondo Human Rights Watch, la conversazione tra Bach e Peng è stata condotta sotto "coercizione"."Il Cio è complice della macchina della propaganda e di un caso di coercizione e sparizione forzata da parte del governo cinese", ha twittato un attivista dell'organizzazione.Le Monde osserva che il comunicato diffuso dal Cio dopo il colloquio fra Bach e l'atleta è "particolarmente leggero" aggiungendo che il Comitato, "che si appresta a organizzare i Giochi olimpici invernali a Pechino, il prossimo febbraio, non ha citato le accuse di stupro rivolte a Gaoli"."Stando a quanto afferma il Cio, va tutto bene per Peng Shuai ed è meglio lasciarla in pace", prosegue il quotidiano.Il New York Times ha inoltre evidenziato che Peng era affiancata da un "amico" durante la video chiamata, per aiutarla a esprimersi in inglese. Ma la tennista "lo parla correntemente dopo aver giocato per 15 anni nel circuito internazionale", osserva ancora Le Monde sottolineando che "in passato la Cina ha spesso messo in scena confessioni forzate di dissidenti, intellettuali o dirigenti silurati"."Il Cio ha coronato gli sforzi propagandistici di Pechino", si legge ancora nell'articolo, firmato da Simon Leplatre, corrispondente da Shanghai."È dall'inizio della vicenda che il Cio si è distinto per la sua compiacenza con Pechino", conclude il giornalista francese osservando che, "al contrario, l'associazione delle giocatrici di tennis, la Wta, ha deciso di tenere testa alla Cina, anche se rischia di perdere importanti incassi con i circa dieci tornei organizzati nel Paese e i relativi diritti tv". [...]La storia continua ad essere completamente censurata dai media e dai social cinesi, e anche il segnale in diretta di alcune reti internazionali come la Cnn sbiadisce quando i suoi giornalisti iniziano a parlare del caso, ha denunciato la stessa emittente sulla sua pagina web.Il ministero degli Esteri cinese insiste sul fatto che il caso "non è una questione diplomatica".
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6678TAIWAN HA VINTO 10 MEDAGLIE ALLE OLIMPIADI, MA... di Leone GrottiAlla cerimonia di premiazione del doppio maschile di badminton alle Olimpiadi di Tokyo, Lee Yang e Wang Chi-lin sono saliti sul gradino più alto del podio. Ma la bandiera issata dagli organizzatori non era quella del loro paese e l'inno suonato non era quello che avrebbero voluto cantare. Lee e Wang, infatti, sono taiwanesi e nonostante abbiano battuto in finale la coppia cinese, ad aver vinto sul piano diplomatico è stata ancora una volta la Cina.Dal punto di vista formale Lee e Wang non competono per "Taiwan" ma per "Taipei cinese": è questo il compromesso raggiunto dal paese per partecipare alle competizioni internazionali dal 1981. Anche la bandiera sotto la quale gli atleti taiwanesi hanno sfilato durante l'inaugurazione dei Giochi non è quella rossa con un rettangolo blu che reca un sole bianco con dodici raggi. Bensì un fiore di susino stilizzato su campo bianco con al centro il sole e i cerchi olimpici. L'accordo raggiunto con il Comitato olimpico internazionale prevede infatti che gli atleti asiatici non possano utilizzare alcun simbolo che faccia intendere che Taiwan è una nazione sovrana.Nonostante Taiwan esista come paese autonomo e indipendente dal 1949, la Cina considera l'isola di Formosa come un elemento dell'unica Cina da riunire alla madrepatria e impedisce di riconoscerne l'indipendenza a livello internazionale. Per questo Taiwan è stato estromesso dall'Onu nel 1971 e non ha potuto partecipare durante la pandemia neanche alle riunioni dell'Oms. Soltanto 15 paesi, tra cui il Vaticano, mantengono rapporti diplomatici con Taiwan e non con la Cina.DA 30 ANNI LA CINA CANCELLA TAIWANLo scontro politico tra Taiwan e Cina influisce sulla partecipazione alle Olimpiadi degli atleti dell'isola da trent'anni. Nel 1952, Taiwan si chiamò fuori per la presenza della Cina. Nel 1956 partecipò come "Formosa-Cina", nel 1960 come Taiwan, nel 1972 come Repubblica di Cina, nel 1976 boicottò i Giochi per poi essere sospesa su pressione di Pechino e nel 1981 riprese a gareggiare con il nome di compromesso "Taipei cinese". La soluzione piace agli atleti dell'isola, che non vogliono rischiare di rimanere esclusi dalla competizione.Questo però non significa che intendano adeguarsi anche al di fuori del rituale delle cerimonie. Dopo la vittoria nel badminton, Lee non si è fatto sfuggire l'occasione di dedicare su Facebook «questa medaglia d'oro al mio paese: Taiwan». Anche il Giappone, sempre più spaventato dall'aggressività cinese, ha voluto giocare uno scherzetto a Pechino: durante l'inaugurazione dei Giochi, infatti, il commentatore ha salutato la discesa in campo degli atleti dell'isola parlando di "Taiwan" e non di "Taipei cinese".FISCHIA L'INNO CINESE: ARRESTO A HONG KONGPer il regime guidato da Xi Jinping anche lo sport è politica e le Olimpiadi sono un'ottima occasione per riaffermare il predominio geopolitico del Partito comunista cinese. Così venerdì è stato arrestato a Hong Kong un uomo di 40 anni per aver fischiato in un centro commerciale dell'ex città autonoma l'inno cinese suonato a Tokyo in occasione della vittoria della medaglia d'oro da parte dello schermidore Edgar Cheung Ka-long. Durante la premiazione sventolava la bandiera di Hong Kong, ma l'inno era quello cinese. L'uomo, tradito da un video online nel quale ha gridato «Noi siamo Hong Kong!», rischia tre anni di carcere.Anche prima della premiazione di venerdì, un giocatore di badminton di Hong Kong, Angus Ng, è stato criticato da un partito pro Pechino per aver giocato con un completo nero. Il colore nell'isola è associato alle proteste oceaniche contro la legge sull'estradizione. L'atleta ha spiegato che ha dovuto indossare il completo nero solo perché gli è stato impedito di stampare la bandiera di Hong Kong sulla sua maglietta.Mentre la Cina non perde occasione per rivestire di politica anche le Olimpiadi, i megafoni del Partito come il Global Times elogiano «l'importante lezione dello sport che trascende i confini per l'umanità in un momento in cui il mondo deve affrontare un'ondata di nazionalismo e populismo senza precedenti». Gli atleti competono per l'oro, certo, «ma la comprensione reciproca e l'unità trascendono nazionalità e razze». Come sempre, il lupo comunista è abilissimo a travestirsi da agnello.
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