DiscoverScuola - BastaBugie.it
Scuola - BastaBugie.it
Claim Ownership

Scuola - BastaBugie.it

Author: BastaBugie

Subscribed: 1Played: 1
Share

Description

Se l'educazione è l'incontro della persona con il vero, il bello e il buono, in ogni materia non può mancare Gesù Cristo
32 Episodes
Reverse
VIDEO: Alberto Sordi alla Biennale ➜ https://www.youtube.com/watch?v=lj438bBpX9wTESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7688ARTE MODERNA, IL CULTO DEL NONSENSO E DEL BRUTTOL'opera dei critici diventa uno strumento per cambiare lo sguardo nelle masse nella realtà (VIDEO IRONICO: Alberto Sordi alla Biennale)di Valentina SessaOggigiorno dilaga un vero e proprio culto del nonsenso e del brutto, che oscilla tra il banale e il volgare o lo squallido, sia estetico che morale. La produzione artistica purtroppo non fa eccezione, in particolare dal secondo dopo guerra a oggi: costituisce esperienza diffusa non solo una certa fatica a comprenderne il significato, ma molto spesso, anche l'impressione che essa sia banale, fastidiosa, laida, "brutta". Alcuni esempi di famose opere discutibili sono: La fontana (orinatoio) di Marcel Duchamp, le tavole monocrome di Yves Klein, la Merda d'artista di Piero Manzoni, le Marylin o le Zuppe Campbell's di Andy Warhol, gli animali imbalsamati e immersi in formaldeide di Damien Hirst, i tagli di Lucio Fontana, i bambini impiccati di Maurizio Cattelan, i telai di Maria Lai. Altrettanto può dirsi per le innumerevoli installazioni fatte con oggetti di qualsiasi tipo.GLI INTERPRETI DEL BELLOEppure la critica giudica molte di queste opere "capolavori", sollevando nel pubblico la sensazione di non avere gli strumenti culturali per comprendere tali "opere". Ma è corretto questo giudizio? Non dovremmo riuscire tutti a comprendere il significato di quanto vediamo, soprattutto quando l'opera non è espressione di una cultura diversa dalla nostra? E il senso della bellezza non è innato, così che ciascuno abbia titolo di esprimere un giudizio estetico pur non essendo uno storico o un critico dell'arte? Queste domande sono fondamentali per valutare tante opere - esaltate come produzione di "artisti" eretti a icone del nostro tempo - che, in realtà non sono capolavori come si vorrebbe far credere.Negli ultimi decenni, infatti, l'enorme potenziamento dei mezzi di comunicazione ha consentito a una élite di imporre una vera e propria dittatura culturale attraverso strumenti di comunicazione sofisticatissimi, con cui viene corrotta la concezione di cosa sia "bello" e cosa "brutto", di cosa sia di valore e cosa banalità.Nei bambini esiste una capacità giudicare se l'opera che vedono sia bella o meno: questa capacità nel tempo può essere sviluppata o, al contrario, annichilita dal contesto culturale.Nella nostra società, molti perdono il senso critico o, anche qualora lo mantengano, davanti a un'opera che non trasmette alcun significato o che è brutta, stentano a dare un giudizio negativo. Infatti, la dittatura culturale attiva a livello psicologico una serie di meccanismi che inducono a non esprimere un giudizio o ad acquistare una percezione corretta scorretta del valore delle opere. Tale atteggiamento remissivo o acritico viene generato istillando nelle persone un complesso di inadeguatezza culturale, attraverso la persuasione che l'arte moderna e contemporanea, prevalentemente concettuale, sia qualcosa di troppo alto per essere alla portata di chiunque: cosi l'osservatore, anziché esprimere un eventuale giudizio negativo sull'opera, finisce per credere di essere semplicemente inadeguato a capirla.Chi resiste all'idea della superiore comprensione dei critici rispetto agli altri, della necessaria correttezza dei loro giudizi, subisce dalla comunità indottrinata e plagiata una forma di "isolamento sociale": facendo leva sulla paura inconscia delle persone di restare sole, essa accorda l'integrazione nel contesto dei "colti" in cambio del tributo di valore che il singolo renda alle opere proposte.Si tratta di un'operazione culturale aggressiva e massiccia, perpetrata mediante l'operazione congiunta di diversi attori: da una parte la critica d'arte ha contribuito a diffondere nel pubblico alcune opere e i loro autori dando a interpretare con la sua autorità che quelle opere così poco belle agli occhi del singolo (privo di una competenza specifica), siano capolavori; dall'altra, case d'asta, galleristi, direttori di istruzioni culturali e museali di vario genere, che con queste opere hanno creato un fiorente mercato, indirizzando investimenti indigenti in direzioni prescelte, a tutto discapito di altre forme di arte più autentica.ÉLITE E MASSALe motivazioni di queste operazioni sono sostanzialmente due. La prima, influenzare il mercato dell'arte: esaltando dei finti artisti non solo si evita l'onerosa ricerca degli artisti veri, ma si creano fenomeni controllabili da parte di chi detta il gusto fenomeni che muovono ingenti investimenti di compratori collezionisti.La seconda, più subdola, consiste nell'indirizzare il gusto estetico delle masse, quindi nell'esercitare su di esse un potere: la deformazione percettiva di cosa sia "bello", infatti, a lungo andare influenza la percezione stessa della realtà, diventa persuasione prima concettuale e poi morale, plagiando l'identità e la libertà della persona. Infatti, chi è in grado di imporre il proprio concetto di bellezza, è in grado di ammaestrare le masse, indirizzandole verso una "non cultura" priva di spessore, di stabilità e intelligenza, oltre che di valore estetico. È così possibile trasmettere contenuti scadenti, che progressivamente affievoliscono il senso del bello, addomesticando la capacità critica, e che allontanano dalle riflessioni profondo e ricche di significato - che la vera e grande arte può favorire: non a caso Dostoevskij scriveva che "la bellezza salverà il mondo" - e dalle emozioni autentiche, anziché educare la persona, si creano individui che rinunciano ad aspirare alle cose grandi, li si priva della capacità di discernere nella realtà ciò che è di valore, li si abitua a un'esistenza povera e volgare che, a sua volta, non sarà in grado di creare cose belle. In sostanza, sfruttando la scarsa educazione del senso critico, dapprima si distorce la percezione della realtà, presentandola come conoscenza più profonda della realtà medesima, attribuendole significati di cui invece è priva e, infine, la si giustifica sul piano estetico e ideale. In tal modo si plasma l'identità di un individuo che, pur persuaso di essere padrone di se stesso e, anzi, appagato dal ritenere di avere avuto accesso a una cultura "alta" che non tutti capiscono, è in realtà debole e manipolato delle élite intellettuali.RIEDUCARE IL GUSTOLe conseguenze per l'esercizio effettivo della libertà e la maturazione della persona sono dunque drammatiche. Com'è possibile opporre resistenza a tale violenza del potere culturale? È fondamentale educare. Senza educazione alla bellezza non vi è alcuna possibilità di discernere cosa è di valore da cosa non lo è. Ma questa educazione non è la comprensione eterodiretta del significato delle opere. Se così fosse, si ricadrebbe nell'idea che per "capire" l'arte occorre formarsi attraverso la mediazione di una élite intellettuale detentrice delle chiavi di lettura dell'arte.Ciò non vuol dire negare l'importanza di studiare la storia dell'arte e il contesto storico in cui sono state prodotte le opere, ma bisogna utilizzare tali conoscenza per meglio comprendere opere che, già da sole, sono in grado di comunicare con la parte più interiore dell'uomo.Occorre dunque innanzitutto aiutare a riscoprire la bellezza vera, ripartendo dai grandi maestri, dalla tradizione, a cominciare da quella classica, medievale e rinascimentale, senza denigrare le vere (poche) opere d'arte contemporanee.La grandezza della vera arte sta infatti nella capacità di veicolare significati ed emozioni a prescindere da una pre-comprensione intellettualistica dalle intenzioni dell'artista; nel suo essere universale, in quanto, pur toccando ciascuno in relazione alla propria storia e sensibilità, è in grado di comunicare con tutti.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7681NON BASTA ISTRUIRE, BISOGNA EDUCARE di Maurizio SchoepflinNel 41° paragrafo dell'Esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi (1975), il santo Pontefice Paolo VI scrisse: "l'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni". Con queste parole papa Montini, oltre a porre l'accento su un'evidenza indiscutibile, andò deliberatamente a toccare una delle questioni più importanti e delicate dell'educazione nel suo complesso, quella relativa alla figura della persona investita del compito di insegnare.LA FIGURA DEL MAESTRO NELL'ANTICHITÀFin dall'antichità il ruolo del maestro è stato costantemente al centro dell'attenzione, in quanto si comprese subito che tale ruolo si situava al cuore di quella che i greci chiamavano paideia con humanitas, volendo significare in tal modo un'attività indirizzata alla trasmissione dei valori che esaltano la dignità dell'uomo. In merito all'educazione dei giovani, famoso è rimasto lo scontro tra i Sofisti e Platone: i primi interessati a insegnare le tecniche utili a ottenere il successo politico ed economico, il secondo preoccupato di costruire personalità orientate verso la verità, la bellezza e la bontà, fonti di quella felicità autentica che è punto di approdo della vera educazione. In questo contesto si situa La figura di Socrate, il maestro di Platone, che affascinò i discepoli non solo per le sue abilità e competenze, ma anche per la limpida coerenza di vita, che li fece affrontare con serenità persino la morte con cui la città di Atene lo condannò ingiustamente. La grande cultura classica comprese bene la decisiva rilevanza del maestro, e tutte le maggiori correnti filosofiche dell'antichità - dal Platonismo all'Aristotelismo, dall'epicureismo allo stoicismo - ebbero alla loro origine una personalità di rilievo che suscitò ammirazione e ottenne la fiducia dei discepoli, sia in ragione della propria sapienza, sia a motivo di una condotta di una vita virtuosa e coerente. Non va dimenticato, a tale proposito, che quasi tutti i filosofi greci ritennero che soltanto il sapiente fosse in grado di fare il bene.LA NUOVA CONCEZIONE CRISTIANA DELL'EDUCAZIONEAnche nell'ambito dell'educazione, l'avvento del cristianesimo comportò alcune significative novità, sebbene i cristiani seppero conservare e rinvigorire ciò che di buono avevano ereditato dal mondo classico. Tra i diversi elementi innovativi introdotti nella cultura del tempo dal nascente cristianesimo, ve n'è uno che condizionò in maniera particolare la teoria e la prassi educativa: si tratta della speciale accentuazione e dello straordinario risalto che i cristiani dettero al valore della coerenza personale, ovvero della corrispondenza fra professione di fede e testimonianza di vita. Riguardo a ciò, i credenti in Cristo ravvisarono in una parte della concezione classica della cultura e dell'educazione il pericoli della vacuità e dell'esteriorità, nonché il rischio di privilegiare gli aspetti formali rispetto a quelli sostanziali: per loro, il nodo cruciale di ogni discorso educativo risiedeva non tanto nella ripetizione di formule e concetti, quanto piuttosto nella capacità di testimoniare una verità e di suscitare, mediante questa testimonianza, un'autentica volontà di cambiamento e di conversione da parte degli ascoltatori. Di qui l'importanza attribuita all'esempio personale, quell'esempio che trovò nelle figure dei martiri, uomini e donne morti pur di non rinnovare il proprio credo, la più fulgida dimostrazione. Facendo tesoro di alcune riflessioni dei compianti Antonio Quacquarelli, noto patrologo, e Gino Corallo, importante storico della pedagogia, possiamo affermare che i cristiani non accettarono che esistesse alcuna cesura tra intelligenza e volontà, religione e morale; e se lo scopo delle antiche scuole di retorica era insegnare le tecniche della persuasione, l'obbiettivo dell'educazione cristiana era l'affermazione della coerenza tra la fede e i costumi.Il vero maestro vive e insegna la piena armonia di pensiero, parola e azione; l'assenso razionale è necessario, ma non basta. L'adesione al vangelo esige che vi sia corrispondenza tra ciò che si crede (lex credendi) e ciò che si fa (lex operandi). L'educazione educativa del cristiano perde ogni carattere di fredda ripetitività, per assumere la fisionomia di un atto d'amore, che mette in gioco la vita stessa dell'educatore e dell'educando attraverso il meccanismo dell'emulazione, che spinse immediatamente i cristiani a identificare la figura del maestro con quella del testimone da imitare. Per i seguaci di Gesù fu subito chiaro che ciò che abilitava l'insegnamento non era solo e principalmente il bagaglio di conoscenze possedute dal docente, ma la sua autorità morale e la coerenza di una vita vissuta secondo la parola di Dio. Gli educatori cristiani mirano a una formazione integrale dell'uomo, secondo una concezione che, escludendo qualsiasi riduzionismo, guarda alle diverse componenti della persona umana, prime fra tutte quella spirituale e quella etica.LA SITUAZIONE ATTUALE: IL PREDOMINIO DEL FUNZIONALISMOChe cosa è rimasto oggi della grande lezione del pensiero classico e, soprattutto, della luminosa tradizione cristiana che dalle origini è giunta sino a noi anche attraverso la testimonianza e l'opera di straordinarie figure di maestri? Quanti sono coloro che pensano all'insegnante come un modello esistenziale, in grado di influenzare positivamente i propri discepoli e di fungere da punto di riferimento morale? Non v'è dubbio che il maestro debba essere competente e disposto a far crescere gli allievi nella libertà, ma ciò non significa ridurre il suo ruolo a quello di un esperto tecnologo o, peggio ancora, di un animo burocrate. Attualmente anche in ambito educativo e scolastico ha preso campo una sorta di funzionalismo interessato soltanto alle prestazioni e ai risultati economico - produttivi degli studenti e dell'insegnamento è spesso concepito come una mera trasmissione di tecniche: forse stiamo dimenticando la fondamentale differenza che intercorre tra educazione e istruzione. La competenza dottrinale e il ruolo professionale del docente non possono mettere in secondo piano la dimensione più squisitamente umana ed educativa della sua figura, soprattutto in un momento storico, qual è il nostro, in cui la presenza di maestri credibili si impone come un'urgente necessità. La sfida consiste, dunque, nel trovare uomini e donne che vivono l'esperienza educativa così come viene descritta da San Clemente Alessandrino con le seguenti parole: "la pedagogia secondo Dio è l'indicazione del cammino dritto della verità in vista della contemplazione di Dio e l'indicazione di una santa condotta in un'eterna perseveranza".
VIDEO: Salviamo i nostri figli dalla scuola di Stato ➜ https://www.youtube.com/watch?v=6MsQNTL6IQcTESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7672LA REGOLA DI SAN BENEDETTO VALE ANCHE NEL RAPPORTO GENITORI-FIGLI di Loredana Basili e Maurizio BertoniL'inizio dell'anno è tempo di primi bilanci per i genitori con figli che da poco hanno intrapreso il percorso scolastico. Se questo discorso è vero per coloro con bambini che hanno da poco iniziato a frequentare la scuola pubblica, è tanto più urgente per i genitori che hanno deciso di intraprendere il percorso dell’istruzione parentale.Spesso, quando si inizia un percorso simile, si è portati a mettersi in discussione e a porsi diverse domande: sarò un bravo insegnante per mio figlio? Da cosa è necessario partire? Quali sono gli obbiettivi che mi prefiggo? Che tipo di formazione voglio dare? Come conciliare il ruolo di genitore con quello di insegnante? È meglio essere un genitore/insegnante particolarmente rigido e severo o meglio amorevole e paziente?Come genitori di bambini che da poco tempo hanno iniziato la scuola parentale, desideriamo condividere questa nostra, seppur breve esperienza, con l’auspicio di poter essere di aiuto per altri che si pongono o si sono posti gli stessi interrogativi, perché non "si accende una lucerna per metterla sotto il moggio" (Mt, 5,15) e perché anche altri, confrontandosi "vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt. 5,16).Essendo una famiglia molto legata e devota di San Benedetto, ci è venuto naturale trovare una risposta alle nostre domande nel testo della Regola: quello che possiamo dire, è, che a nostro avviso, essa costituisce davvero un valido strumento di partenza, una sorta di prontuario, capace di rispondere alle nostre domande, semplicemente sostituendo alla voce "abate", quella di "maestro o genitore" e a quella di "monaci" la parola "figli". Non a caso il termine "regula" indicava in latino "l’asticella per misurare": essa risulta quindi un modo per misurare il proprio lavoro, per comprenderne i limiti e la portata.La scelta della Regola è stata per noi però anche legata ad un aspetto pragmatico: essa ha finito per eliminare tutte le altre regole del mondo antico, in quanto più equilibrata e meno dura e allo stesso tempo ci è parsa una scelta "vincente", non perché debba dimostrare, in un futuro più o meno prossimo, dei risultati, ma perché ha già vinto, confermandosi "ricetta" di una religiosità, modo di vivere e di lavorare che ha attraversato i secoli, consegnandoci le nostre radici: quelle del mondo classico e del mondo cristiano.LA REGOLAPercorrere tutto, non sarebbe possibile in poche righe, ma basterà scorrerne pochi passi, in particolare l’inizio del Prologo e il secondo capitolo.Già dall’incipit, infatti, appaiono chiari i soggetti coinvolti nell’educazione, i loro ruoli e il fine: "Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno, in modo che tu possa tornare attraverso la solerzia dell’obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato".Non è un caso che il Prologo si apra proprio con un invito all’ascolto, rivolto da un padre/maestro ad un figlio ("Ascolta, figlio"!), seguito da un’esortazione a quest’ultimo ad aprire "docilmente il tuo cuore". Non dobbiamo, infatti, dimenticare che la parola "abate" richiama proprio l’ebraico "abbà", "padre" e che l’apprendimento passa innanzitutto dal... cuore e non dalla testa, proprio perché vincolato ad un forte legame affettivo. Quante volte, al contrario, nel mondo di oggi sentiamo la negazione del ruolo di genitore/insegnante, quando ascoltiamo frasi come: "Non voglio rispiegare gli argomenti scolastici a mio figlio, il mio metodo sarebbe diverso da quello della maestra, si finisce poi per rovinare il rapporto tra genitori e figli".In questa società, le figure del maestro e del genitore tendono infatti a differenziarsi sempre più, escludendosi vicendevolmente; la Regola, invece ci invita a riscoprire la nostra prima vocazione di genitori, cioè quella di educare e di insegnare: un lavoro che, aggiunge, deve essere fatto "con amore paterno", dove nell’aggettivo, rimarca ancora di più il ruolo educativo del padre di famiglia.Ci dice anche come deve disporsi, da parte sua, il figlio/discepolo, chiamato ad "accogliere volentieri" e "a mettere in pratica con impegno"."Volentieri" ed "impegno" sono due parole che sembrano incompatibili, laddove l’impegno viene visto solo come mortificazione o finalizzato ad altro.Invece quella dell’impegnarsi volentieri, resta la chiave: trovare gratificazione nel proprio lavoro, nella propria fatica (in latino "labor" è propriamente la "fatica sotto cui si vacilla") di figlio/discepolo, resta la chiave del giusto orientamento; porsi in un atteggiamento positivo è il modo di santificare quel lavoro.L’OBBEDIENZA AL MAESTRO/GENITOREInfine, nel testo si delinea chiaramente l’obbiettivo da raggiungere: "in modo che tu possa tornare attraverso la solerzia dell’obbedienza, a Colui dal quale ti sei allontanato".L’obbedienza al maestro/genitore da parte del figlio/discepolo è l’obbiettivo da raggiungere, perché prefigura l’obbedienza poi al Padre/Maestro che lo salverà per la vita eterna. "Bisogna dunque istituire una scuola del servizio del Signore" recita il Prologo. In proposito, aggiunge la Regola nel secondo capitolo, definendo la figura dell’abate: "Sappiamo infatti per fede che in monastero egli tiene il posto di Cristo, poiché viene chiamato col suo stesso nome" e "l’abate deve sempre ricordarsi quel che è e come viene chiamato nella consapevolezza che sono maggiori le esigenze poste a colui al quale è stato affidato di più".È chiaro quindi che il tempo del nostro obbiettivo è l’eternità stessa e si capisce quindi la lontananza rispetto alla scuola che conosciamo, dove al centro è posto l’alunno solo e il maestro è un semplice facilitatore degli apprendimenti, dove manca non solo la presenza di Dio, ma quella di un vero progetto futuro a lungo termine. La vera domanda è: cosa, desidero per questo bimbo da qui all’eternità?La risposta ci viene fornita chiaramente da questo frammento: "Perciò l’abate non deve insegnare, né stabilire o ordinare nulla di contrario alle leggi del Signore, anzi il suo comando e il suo insegnamento devono infondere nelle anime dei discepoli il fermento della santità". E ancora: "si guardi dal perdere di vista o sottovalutare la salvezza delle anime di cui è responsabile, per preoccuparsi eccessivamente delle realtà eterne transitorie e caduche, ma pensi sempre che si è assunto l’impegno di dirigere delle anime di cui un giorno dovrà rendere conto" (cap. II, 4-5). La santità è e deve essere il nostro fine di genitori/educatori e, siccome "nessuno si salva da solo", la nostra stessa salvezza sarà legata a quella dei nostri discepoli/figli, di cui risponderemo davanti a Dio: "Si ricordi sempre che nel tremendo giudizio di Dio dovrà rendere conto tanto del suo insegnamento, quanto dell’obbedienza dei discepoli e sappia che il pastore sarà considerato responsabile di tutte le manchevolezze che il padre di famiglia avrà potuto riscontrare nel gregge" (cap. II, 6-7).I modi in cui noi genitori/maestri dobbiamo perseguire tal fine sono due: "mostrando con i fatti più che con le parole tutto quello che è buono e santo" e confermando con la condotta "che bisogna effettivamente evitare quanto ha presentato ai discepoli come riprovevole" (cap. II, 3-4).ADATTAMENTO AL SINGOLO CASOLa Regola ci fornisce anche i metodi da adattarsi alle diverse personalità dei nostri figli/studenti, prevedendo semplici piani personalizzati (come si dice oggi) ante litteram calibrati sulle capacità e sul carattere di ognuno: "in altri termini, insegni oralmente i comandamenti del Signore ai discepoli più sensibili e ricettivi, ma li presenti esemplificati nelle sue azioni ai più tardi e grossolani". E ancora, riferendosi al maestro, gli rammenta di doversi lui stesso predisporre ad un insegnamento differenziato, capace di stimolare i più meritevoli, senza lasciare indietro quelli con difficoltà: "bisogna che prenda chiaramente coscienza di quanto sia difficile e delicato il compito che si è assunto di dirigere le anime e porsi al servizio dei vari temperamenti, incoraggiando uno, rimproverando un altro e correggendo un terzo: perciò si conformi e si adatti a tutti, secondo la rispettiva indole e intelligenza (cap. II, 12-13)".A chi si domanda se essere un genitore /maestro rigido piuttosto che amorevole, la Regola risponde: "...alternando i rimproveri agli incoraggiamenti, a seconda dei tempi e delle circostanze, sappia di
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7637GESU' MAESTRO, IL LIBRO DI DON STEFANO BIMBI SULLA SCUOLA PARENTALE CATTOLICA di Fabio Piemonte«La scuola dell'obbligo non esiste, mentre esiste il diritto da parte dei genitori di dare un'istruzione ai propri figli. È l'istruzione a essere obbligatoria, afferma l'articolo 34 della Costituzione, non la scuola. L'istruzione è in primis una responsabilità dei genitori». È quanto afferma don Stefano Bimbi nel suo volume Gesù Maestro, giunto recentemente alla seconda edizione. Collaboratore della Nuova Bussola con la rubrica "Schegge di Vangelo", don Bimbi ha fondato a Staggia Senese una scuola parentale cattolica che accoglie bambini dalle elementari alle medie per farli diventare uomini e donne maturi, radicati in Cristo, pronti a dare ragione della propria fede attraverso una risposta generosa alla propria vocazione.A Staggia don Stefano arriva nel 2003. In un paesino di neanche tremila anime il gruppo giovani ha solo quattro ragazze. Ma il tenace sacerdote non si dà per vinto; anzi, rispolverando un po' di sana apologetica su temi storici e d'attualità, riesce a ridestare la fede e l'interesse nei parrocchiani per la Verità. Di qui fiorisce il centro culturale "Amici del Timone"; sorgono iniziative quali gli esercizi spirituali; nascono famiglie anche con più di tre figli che all'indottrinamento di Stato preferiscono l'insegnamento della Chiesa. Alla scuola fondata da don Stefano gli alunni sono molto seguiti, massimo dieci per classe, in modo da consentire a ciascuno «di sviluppare tutte le sue qualità, e aiutarlo nelle difficoltà». C'è poi lo "zaino leggero", ossia si lavora sostanzialmente in classe, così da avere tempo libero al pomeriggio per coltivare talenti e interessi e vivere la dimensione familiare. La giornata scolastica, dal lunedì al venerdì, è così suddivisa: ingresso alle ore 8:20, preghiera; lezioni 8:30-10:30; intervallo di mezz'ora; lezioni 11-13.MACCHÈ CAMPANA DI VETRO!Don Bimbi sfata poi alcuni falsi miti legati alle scuole parentali. In primo luogo l'accusa mossa dai suoi detrattori di far crescere i figli in delle "bolle" per l'eccessiva protezione che genererebbe una chiusura verso il mondo esterno. La realtà però dimostra il contrario: «I bimbi sono più socievoli crescendo in un ambiente sano in cui ciascuno è riconosciuto e apprezzato per le sue qualità. Non si formano gruppetti perché, essendo pochi, sono un unico gruppo». Insomma, di bullismo e standardizzazione del metodo alla scuola di don Bimbi non c'è traccia, perché ciascuno è invitato a fiorire nella propria dimensione personale. Senza troppa burocrazia, poi, gli alunni di "Gesù Maestro" fanno almeno una gita al mese, per cui a scuola ci vanno più che volentieri.La maestra unica è anche mamma perché non c'è relazione educativa che non sia generata dall'amore. Inoltre, la divisione in classi omogenee consente di rispettare le caratteristiche di apprendimento differenti tra maschi e femmine, favorendo risultati migliori. Di qui i bambini, dati i tempi d'attenzione decisamente più ridotti rispetto alle bambine, possono finire prima la lezione e andare a giocare a pallone, mentre le ragazze hanno modo di intrattenersi con la maestra per far domande con serenità. Inoltre se «l'educazione è l'incontro della persona con il vero, il buono e il bello, in ogni materia non può mancare Gesù Cristo». Non si può perciò fare storia dimenticando che si divide in prima o dopo Cristo e il ruolo della Chiesa; letteratura; storia dell'arte o persino matematica senza tener conto che essa è il linguaggio col quale il Creatore ha progettato e realizzato il mondo. D'altra parte non bisogna dimenticare che le scholae le ha inventate proprio la Chiesa.Don Bimbi evidenzia gli ingredienti fondamentali per la riuscita di una scuola parentale cattolica: un gruppo di amici radicati nella fede; mamme che siano casalinghe felici, perché la vocazione della donna è quella di essere sostanzialmente madre; famiglie con tanti figli, perché «i doni si accolgono. I figli sono doni. E più doni hai e più ringrazi chi te li ha fatti».PREFAZIONE DI CAMILLO BORTOLATODon Bimbi valorizza in modo particolare il metodo preventivo di don Bosco e mette in guardia dai cattivi maestri infarciti di teosofia ed esoterismo, in particolare Rudolf Steiner e Maria Montessori, o di marxismo, come don Lorenzo Milani.Perciò alla scuola di Staggia non ci si annoia, si coltiva «la disponibilità ad apprendere» - per dirla con le parole della prefazione di Camillo Bortolato - e si privilegia la visione d'insieme, e non quella analitica della scuola pubblica, decisamente fallimentare nella misura in cui mira «al controllo cognitivo attraverso programmazioni senza fine» e parcellizza la realtà, frantumandone così gli stessi saperi. Al contrario, osserva ancora Bortolato, «il Metodo Analogico invita tutti i bambini a volare alto nei cieli della conoscenza, come fa il pettirosso Pitti, perché proprio da lì alto si può capire tutto. La visione d'insieme, lo sguardo panoramico in anteprima, la leggerezza che permette di volare evitando il peso delle concettualizzazioni, sono i connotati che rovesciano la prospettiva in ogni materia di insegnamento. È in questo modo che la competenza si sprigiona come "insight", in forza delle analogie. I bambini per la loro semplicità hanno il dono di apprendere che tutti rimpiangiamo e a cui è faticoso ritornare. [...] La scuola Gesù Maestro di Don Stefano Bimbi ha accolto questo approccio con grande fiducia ed è per me una grande soddisfazione sapere che ora quei bambini possono vivere un tempo scolastico più gioioso, accorciando i tempi sui banchi per dedicarsi ancor più, come nel loro programma a tante altre attività per incontrare gente, visitare luoghi e vivere esperienze più ampie di vita.»
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7491STUDENTI DEVASTATI DA SCHERMI E MEZZI DIGITALI: LA SOLUZIONE E' TORNARE AL LIBRO di Manuela AntonacciNegli ultimi anni, l'impiego del digitale a scuola, ha avuto una forte accelerazione: si credeva che tutti ciò che era digitale potesse costituire il miglior mezzo di apprendimento, ma ultimamente è cominciato un graduale dietrofront sulla questione.Inizialmente la politica educativa, soprattutto in Spagna, era basata sul sistema "one-to-one": un computer o tablet per ogni studente. Indicazione che però non si è mai concretizzata veramente e questo costituisce un dato non da poco. Se infatti, per anni, si è sempre detto che l'uso e l'abuso della televisione non favorisse certo l'apprendimento, ma anzi portasse a sviluppare un atteggiamento di passività, non si capisce come mai i colossi del Big Tech (Apple, Amazon, Microsoft, Google e Facebook -Meta-) ad un certo punto abbiano invaso le scuole. Forse per creare, semplicemente, un nuovo canale di business molto redditizio?IL SUCCESSO INIZIALE DEI DISPOSITIVI DIGITALIInizialmente le scuole erano ossessionate dai dispositivi digitali che aprivano infinite possibilità di ludicizzazione che, in teoria avrebbero dovuto accrescere la motivazione negli studenti. Il libro sembrava un mezzo ormai relegato nel passato. La digitalizzazione della scuola, invece, sembrava indiscutibile. E anche a casa: i bambini hanno giocato e imparato davanti agli schermi. Tuttavia, la questione era più complessa di quanto sembrasse. Infatti man mano è emersa tutta una serie di possibili ostacoli all'apprendimento che una massiccia digitalizzazione delle scuole comporta. Si è progressivamente scoperto che i dispositivi digitali in classe ostacolano l'attenzione. È come se lo studente scomparisse dietro lo schermo sviluppando, peraltro, conoscenze limitate e superficiali. L'Hi-tech diminuirebbe anche il gusto per la lettura e la comprensione del testo scritto.Ma più di ogni altra cosa, due sono i problemi principali che emergono dall'uso delle nuove tecnologie: nei bambini gli schermi producono isolamento e danneggiano la salute provocando un aumento di ansia e depressione e ingenerando una serie di problematiche legate al sonno. Ciò emerge da molte ricerche, una tra tutte, lo studio di Jean Twenge professore di psicologia alla San Diego State University, da cui risulterebbe che in età scolare, l'attivazione del sistema di anticipazione del piacere generato dalla dopamina darebbe origine a comportamenti di dipendenza. Di conseguenza, gli schermi non contribuiscono pienamente all'apprendimento, ma anzi distraggono e diminuiscono l'attenzione in classe, durante lo studio e la lettura. E ovviamente nella vita in generale.ANSIA, DEPRESSIONE & CO.I danni derivanti dall'uso eccessivo del tablet e dello smartphone, nei bambini, è documentato da un altro importante studio The Use of Social Media in Children and Adolescents: Scoping Review on the Potential Risks (2022) Si tratta di una rassegna di numerosi lavori in cui questi temi sono stati studiati a livello internazionale negli ultimi anni e che vengono analizzati dal mondo della pediatria italiana. Elena Bozzola, Giulia Spina e Rino Agostiniani hanno riscontrato sintomi di ansia, depressione e problemi del sonno, dipendenze, problemi legati al sesso, problemi comportamentali, problemi alla vista che colpiscono i minori che fanno un uso eccessivo degli schermi.C'è anche un secondo studio del 2021 che è una comparazione tra la lettura su libri stampati e la lettura in formato digitale: A Comparison of Children's Reading on Carta. In esso May Irene Furenes, Natalia Kucirkova e Adriana G. Bus (dell'università della Norvegia e della Gran Bretagna) passano in rassegna numerose ricerche che dimostrano scientificamente la superiorità cognitiva della lettura di libri, o testi stampati, rispetto alla lettura di testi digitali. Per non parlare del consorzio Seattle Public Schools (ben 114 scuole) che ha citato in giudizio Big Tech per i danni inflitti ai suoi studenti sotto forma di dipendenza, ansia, depressione, ecc. direttori di questo consorzio di scuole ritengono che questi problemi di salute interferiscano con il rendimento scolastico dei loro studenti.Insomma, studi ed esperienza pratica alla mano, sia nel mondo della scuola sia della ricerca, sta emergendo in maniera sempre più evidente, che le moderne tecnologie, per quanto accattivanti possano essere, non potranno mai sostituire i tradizionali metodi di apprendimento, in particolare la carta stampata e che anzi, il loro uso va decisamente limitato nella scuola, come nella vita.
Troppa scuola fa male

Troppa scuola fa male

2023-07-0508:14

TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=617TROPPA SCUOLA FA MALE di Mario PalmaroSi, avete letto bene: troppa scuola può far male ai nostri ragazzi, ed è pura illusione pensare che più ore trascorse dentro l'edificio scolastico siano sempre un bene. Non è così e, in un certo senso, non è mai stato così nemmeno in passato.PRIMI IN EUROPAMa andiamo con ordine e partiamo dai fatti. Oggi l'Italia si ritrova in testa a una classifica molto particolare: le scuole Primarie del Bel Paese - quelle che i comuni mortali e le persone di buon senso continuano a chiamare "elementari" - impegnano i bambini in una maratona di 980 ore per anno scolastico. è il dato più alto di tutta Europa. In Germania - dove la gente è notoriamente tutt'altro che pigra e men che meno ignorante - i kinder stanno in classe 698 ore. Qualche cosa come 300 ore in meno dei coscritti italiani, circa 60 giorni di differenza. La media europea per le scuole Primarie è di 755 ore all'anno, nettamente al di sotto della prassi italica. L'unico Paese con un monteore molto simile al nostro è la Francia (958), ma è notizia di queste settimane - invero clamorosa - che oltralpe si prepara una controrivoluzione dell'orario: il governo Sarkozy ha deciso di ridurre i giorni di scuola da 5 a 4, lasciando i fanciulli a casa il mercoledì, oltre che il sabato. Fra l'altro, è curioso notare che la "vacanza centrale" fu inventata proprio in Francia da Jules Ferry (1832-1893), il padre dell'insegnamento pubblico e gratuito, che volle la chiusura delle scuole il giovedì con lo scopo di "permettere ai genitori di dare ai figli un'istruzione religiosa fuori dagli edifici scolastici". Insomma: un curioso "giorno del catechismo" che nasceva dal giacobinismo francese, ma che alla fine conteneva anche aspetti positivi per la Chiesa e i cattolici.IL CASO ITALIANOIntendiamoci: non è detto che l'Europa sia sempre un modello, e nessuno ci obbliga ad allinearci con le abitudini del vecchio continente, che spesso sono lontane anni luce dal buon senso e dalla tradizione cristiana. Ma, in questo caso, è l'Italia a essere in errore. E a pagare un prezzo altissimo al peso enorme che la cultura marxista ha giocato - e continua a giocare - nella nostra società. [...]TUTTO NELLA SCUOLA, NIENTE AL DI FUORI DELLA SCUOLAIl tutto avviene sotto l'abile regia del Partito comunista italiano e nella sostanziale indifferenza del partito dei cattolici, la Democrazia cristiana. Anzi, il modello pedagogico marxista viene progressivamente assunto come valido anche in larghe fette del mondo cattolico. I "miti" della scuola progressista conquistano il cuore e la mente di politici, intellettuali, presidi di formazione cattolica. E fra questi miti, su tutti trionfa il "tempo pieno". Esso si fonda sull'idea - di impronta tipicamente hegeliana - che l'intera crescita umana e culturale del bambino debba essere guidata e gestita dallo Stato attraverso la scuola, e che il resto - a cominciare dalla famiglia - abbia un ruolo residuale, accidentale, sostanzialmente inadeguato, insufficiente. Come disse il filosofo Umberto Galimberti, columnist di Repubblica, «i genitori non sono in grado di educare i propri figli». È il capovolgimento della dottrina cattolica della "sussidiarietà", in base alla quale l'uomo, la famiglia e la società debbono essere liberi dì fare da sé tutto ciò che è buono e lecito, lasciando allo Stato il compito di intervenire solo dove il cittadino non ce la fa da solo. In questa visione la scuola non è il fulcro della crescila del bambino, ma un supporto al padre e alla madre, che non possono delegare. Per ragioni evidenti, il pensiero comunista e, in seguito, progressista e liberal-radicale, ha attaccato frontalmente questa idea, per strappare alla famiglia il timone dell'educazione dei figli. Non è un caso che la pur discutibile "Riforma Moratti" avesse introdotto la "straordinarietà" della scuola al pomeriggio, e che invece l'attuale Governo di sinistra abbia reintrodotto trionfalmente il "tempo pieno".PIÙ SCUOLA, MENO FAMIGLIA: IN FUGA DALLA FEDEIn questo processo di tragica spoliazione, la cultura di sinistra è stata supportata da fette importanti del mondo cattolico, che ha creduto di aiutare la famiglia e soprattutto le fasce meno abbienti della società con un sistema scolastico ispirato all'idea del "parcheggio prolungato": più tempo i figli stanno in classe, e meno sono esposti ai pericoli del mondo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: i famosi "pencoli" - che prima attendevano i nostri figli per le strade, come la droga o la devianza o il bullismo - adesso sono entrati trionfalmente nella scuola, che non sa come (e talvolta nemmeno vuole) reagire. Parole come ordine e disciplina, concetti come fede e pudore, sono stati defenestrati dai contenuti educativi, per essere rimpiazzati dall'ambientalismo e dal pacifismo. Un tempo il bambino imparava dal maestro laico dello Stato sabaudo il valore del sacrificio e il saluto alla bandiera del re; oggi il pupo si erudisce sulla raccolta differenziata e si inchina davanti alla bandiera arcobaleno. Non solo: imbottendo le liste dei docenti di Stato di uomini e donne di sinistra - oggi traghettati sulle sponde di uno squallido nichilismo gaio pansessualista - si è giunti a capovolgere la positività originaria del tempo trascorso in aula. Per cui oggi - salvo lodevoli eccezioni - più tempo il figlio trascorre in aula, più ideologia conformista assorbe. Meno resta in famiglia, meno educazione riceve, meno è introdotto in un cammino di fede cattolica.UNA SCUOLA A MISURA DI ADULTOA dar manforte all'idea totalizzante di scuola ha contribuito il modello di sviluppo capitalistico, esploso in Italia con il boom economico degli anni Sessanta. Occorreva spingere le donne fuori dalla casa, e convincerle non solo della legittima opportunità, ma addirittura della doverosa necessità di lavorare in fabbrica o in ufficio, abbandonando le tradizionali incombenze femminili, soprattutto educative e assistenziali. Questa strada ha prodotto spesso nelle madri lavoratrici dolorose lacerazioni - in realtà il lavoro va ad aggiungersi agli impegni domestici - e ha incentivato ancor di più l'idea di una scuola per tutto il giorno, tutti i giorni. Affiancata dal mito che "più asili nido aiutano la famiglia", cavalcato ancora una volta dai governi progressisti, con il beneplacito di cattolici un po' ingenui. Il risultato è che oggi noi abbiamo a che fare con modelli scolastici che non sono pensati per il bene dei nostri figli, ma - riconosciamolo - per i comodi degli adulti: da un lato, l'interesse della corporazione sindacale degli insegnanti, che ottenne ad esempio l'assurda riforma dei tre maestri per classe, al solo scopo di salvare posti di lavoro; dall'altro, i bisogni dei genitori, effettivamente costretti non di rado a lavorare entrambi. Certo, uscire da questa situazione non è facile. Ma, almeno, riconosciamo qual è il vero bene per i nostri bambini. Che cosa c'entra tutto questo discorso con l'apologetica e con la fede cattolica? Beh, un giorno fu proprio Gesù a dire: «Lasciate che i bambini vengano a me». Se la scuola li allontana sempre più dal Maestro buono e dai genitori, c'è davvero qualche cosa che non funziona.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7350BOB DYLAN VIETA I CELLULARI AL SUO CONCERTO PER GODERE LO SPETTACOLO SENZA DISTRAZIONIIn Italia poche scuole hanno preso sul serio l'invito del ministro dell'istruzione Valditara il quale non ha avuto il coraggio di imporlo, come invece ha fatto l'anziano cantante ai suoi fansdi Valerio PeceA luglio Bob Dylan tornerà in Italia per cinque concerti (due a Milano, uno al Lucca Summer Festival, poi a Perugia per l'Umbria Jazz e infine a Roma), appuntamenti preziosissimi per i suo i tanti fan ma scanditi da un patto non negoziabile: sarà vietato l'uso dei telefonini. Non solo non si potranno fare foto né riprese video, ma gli eventi saranno «phone free», ovvero sarà necessario riporre gli smartphone in una custodia chiusa e assistita da personale dedicato.Una condizione obbligatoria che il premio Nobel spiega con un comunicato elegante e convincente: «Avendo sperimentato questa modalità senza telefono durante i tour recenti, crediamo che essa crei un'esperienza migliore per tutti i presenti. I nostri occhi si aprono un po' di più e i nostri sensi sono leggermente più acuti quando perdiamo la stampella tecnologica a cui ci siamo abituati». Una consapevolezza che oggi si fa compassata e sapienziale, ma che è maturata attraverso momenti decisamente più tonici. Come quando, in un concerto a Vienna, indispettito dai flash e dal mare di telefonini alzati, interruppe di colpo Blowin' in the wind, bloccò con sguardo severo i suoi musicisti e interpellò la platea così: «Possiamo cantare o dobbiamo metterci in posa?».SE DYLAN "FA SCUOLA" SOLO FUORI DALLA SCUOLAMa se Dylan reclama più rispetto per la sua musica, cosa dire delle scuole, luoghi in cui il deficit di autorevolezza è da tempo autoevidente? Ebbene, nei sacri luoghi di formazione, dove ben più che in uno stadio il rispetto e l'educazione dovrebbero regnare sovrani, il divieto degli smartphone in classe è considerato dalla maggior parte dei presidi assolutamente impraticabile. E che gli insegnanti si arrangino. E ciò malgrado la circolare emanata dal Ministro dell'Istruzione Valditara lo scorso 20 dicembre, la quale altro non faceva che ribadire quanto scriveva nel 2007 l'allora ministro del Pd Giuseppe Fioroni: niente telefonini in aula. Le parole di Valditara, cadute nel vuoto, appaiono quasi banali nella loro inconfutabilità: «Distrarsi con i cellulari non permette di seguire le lezioni in modo proficuo ed è inoltre una mancanza di rispetto verso la figura del docente, a cui è prioritario restituire autorevolezza».Tranne lodevoli eccezioni, pochi dirigenti scolastici hanno preso sul serio l'input del ministro. Per pavidità, certo, ma anche per un problema di fondo. Con la sua circolare, infatti, l'allora neo eletto Valditara - probabilmente per non dare l'impressione di pronunciare diktat (il "pericolo fascismo" in Italia è sempre dietro l'angolo, specie in ambiente scolastico) - non ha introdotto sanzioni disciplinari per chi disobbedisce. Richiamando tutti ad un generico «senso di responsabilità» e invitando le scuole a scrivere regolamenti in autonomia - cosa che nella maggior parte dei casi non è avvenuta - il non prevedere sanzioni si è rivelato un grosso errore. Una mancanza di coraggio che i ragazzi pagano a caro prezzo.Eppure, se i fan italiani di Bob Dylan vorranno ascoltare Like a Rolling Stone e altre perle, sapranno che qualcuno che non conoscono, a luglio, all'ingresso del Teatro degli Arcimboldi come nell'Arena Santa Giuliana di Perugia, sigillerà il loro sacro smartphone. Ma lo accetteranno di buon grado, sapendo che ciò avverrà per «godersi lo spettacolo a pieno, senza distrazioni di sorta». Insomma, il menestrello 81enne non fa sconti eppure "fa scuola" (ma purtroppo solo fuori dalla scuola).NULLA DI DIVERSO DALLA COCAINAMa c'è di più. L'elemento sconcertante e non a molti noto che aggrava l'atteggiamento pilatesco dei presidi italiani, è quello relativo a ciò che è stato allegato alla circolare arrivata ai dirigenti scolastici di ogni ordine e grado. E cioè un'accurata relazione effettuata dalla VII Commissione permanente del Senato in cui vengono evidenziati gli effetti dannosi - fisici e psicologici - che l'uso eccessivo degli smartphone può provocare. L'elenco è lungo.Si va dalla miopia al diabete, dall'ipertensione all'aggressività, dall'alienazione alla dipendenza, dalla diminuzione della capacità di concentrazione ai deficit di memoria. «A preoccupare di più», scrivono i senatori sulla base dello studio commissionato ad équipe di esperti, «è la progressiva perdita di facoltà mentali essenziali [...]: la capacità di concentrazione, la memoria, lo spirito critico, l'adattabilità, la capacità dialettica». Sugli effetti dell'abuso di smartphone e videogiochi, nell'indagine-shock del Senato si legge che non c'è «nulla di diverso dalla cocaina. Stesse, identiche, implicazioni chimiche, neurologiche, biologiche e psicologiche».Siamo di fronte alla più profonda rivoluzione antropologica del secolo, che andrebbe governata - come specifica il documento allegato alla circolare ministeriale - attraverso divieti inderogabili per scuola e famiglie. Qualche esempio di obblighi citati ma colpevolmente lasciati cadere nel vuoto: «Scoraggiare l'uso di smartphone e videogiochi per i minori di quattordici anni; rendere cogente il divieto di iscrizione ai social per i minori di tredici anni; prevedere l'inibizione all'accesso a siti per adulti sui cellulari dei minori; favorire la riconoscibilità di chi frequenta il web; vietare l'accesso degli smartphone nelle classi; educare gli studenti ai rischi alla navigazione sul web; [...] incoraggiare, nelle scuole, la lettura su carta, la scrittura a mano e l'esercizio della memoria».Nulla di tutto questo è stato fatto. Oltretutto - ed è la beffa finale - dal documento ministeriale si legge che «dal ciclo delle audizioni svolte e dalle documentazioni acquisite dal Senato non sono emerse evidenze scientifiche sull'efficacia del digitale applicato all'insegnamento». La chiusa finale della Commissione del Senato ha dell'incredibile: «Anzi, tutte le ricerche scientifiche internazionali citate dimostrano, numeri alla mano, il contrario. Detta in sintesi: più la scuola e lo studio si digitalizzano, più calano sia le competenze degli studenti sia i loro redditi futuri». Un necrologio alla scuola digital (almeno per com'è concepita ora).In ogni caso, in barba agli esperti, alle circolari ministeriali e ai loro scottanti (e sottaciuti) allegati, molto prosaicamente va registrato che ogni mattina che Dio manda in terra un insegnante deve vigilare (e a volte sgolarsi) affinché gli studenti ripongano i cellulari nello zaino. Cosa che poi accade, sì, ma appena per quella manciata di minuti che servono per allungare di nuovo la mano e ricontrollare il proprio smartphone (si chiama "nomofobia", termine entrato nei vocabolari, e sta per stato ansia collegato alla paura di non essere connessi). Una giostra perenne, un ping pong frustrante che la scuola non merita.Eppure la piccola-grande lezione di Bob Dylan ci dice che volere è potere. Se si vuole, si può. La risposta (al deficit d'attenzione e di rispetto) sembrerebbe allora non soffiare più nel vento, ma in regole semplici e chiare. Via il cellulare, via la dipendenza, via le nevrosi da disconnessione. Per poi domandarsi: «How does it feel?».
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4394LA SCUOLA DI STATO E' UN ABUSO!La responsabilità dell'educazione è dei genitori (e della Chiesa)di Stefano FontanaNell'Ottocento la Chiesa contestava allo Stato il monopolio dell'educazione. Partita persa dato che oggi essa è completamente in mano allo Stato. Partita persa perché incentrando la scuola sull'educando e non su Dio, si è diffusa l'idea di averla fissata su un obiettivo laico, che anche lo Stato poteva perseguire. Fu così che la scuola confessionale fu considerata "di parte" mentre la scuola statale fu considerata non di parte. La realtà è esattamente il contrario. Già nell'Ottocento lo Stato nelle proprie scuole insegnava una sua religione, la religione massonica di un umanitarismo universale sul tipo del libro "Cuore" in cui la parola Dio non viene mai pronunciata. Oppure la religione del prete apostata Ardigò: il positivismo. Oppure la religione del vate Giosuè Carducci e del suo "Inno a Satana".LA DRAMMATICA SITUAZIONE DI OGGIOggi, però, lo Stato non è da meno. Anche oggi, in un clima di apparente pluralismo culturale ed educativo, nella scuola statale si insegna una nuova religione che, nel caso migliore, è la religione del relativismo e nel caso peggiore è quella del neo-catarismo. La penetrazione della ideologia del gender e dell'omosessualismo nella scuola pubblica è una penetrazione organizzata e sistematica che, in progressione, non lascerà nessuno spazio di libertà. Ma anche lasciando da parte queste forme acute di oppressione educativa, la scuola di Stato veicola un pensiero unico penetrante e invasivo:1) elimina sistematicamente alcuni autori,2) dà una visione antireligiosa del sapere,3) assume un'ottica illuminista o neoilluminista,4) tace su interi periodi della storia umana come il Medio Evo,5) uniforma i testi scolastici alla medesima ideologia,6) denigra la storia della Chiesa,7) assume il criterio cronolatrico secondo cui il nuovo è anche migliore,8) condanna con forme di damnatio memoriae personaggi e periodi storici considerandoli ideologicamente il male assoluto.LA SCUOLA DI STATO NON EDUCA ED INOLTRE LIMITA LE PARITARIELeone XIII, nel 1879, davanti al dilagare della religione positivista nelle scuole italiane, scrisse l'enciclica Aeterni Patris, con la quale rilanciava la filosofia di San Tommaso. Egli aveva percepito la gravità del problema. Aveva capito che la scuola di Stato non era neutra ma governata da un assoluto naturalista e razionalista sostanzialmente anticristiano e che, se non contrastata, avrebbe distrutto l'educazione stessa. Oggi, molti si chiedono se la scuola statale educhi ancora. Molti rispondono di no e questo senza nulla togliere alla grande e solerte dedizione di molti insegnanti.Molti si chiedono anche se il sistema della scuola paritaria sia sufficiente a ridare alla Chiesa degli spazi veri di azione educativa nella scuola. Un sistema pubblico integrato, come avviene nella scuola italiana a parte l'aspetto della parità economica che non viene garantito, sembrerebbe idoneo a quello scopo. C'è però da dire che la scuola cattolica paritaria viene inserita in un contesto che ne limita di molto la libertà. La programmazione delle abilità, i criteri di valutazione, i sistemi di valutazione, la tipologia delle prove sono elementi che la scuola di Stato impone alle scuole paritarie. Essi non sono mai neutri, ma funzionali ad un modello di educazione. Le circolari, gli orientamenti, le indicazioni per il recupero delle difficoltà, la normativa per le attività complementari o di sostegno sono emesse dallo Stato e vengono recepire dalle scuole paritarie cattoliche con scarsissima creatività. Molto spesso, a parte casi di forte identità nelle convinzioni degli operatori, nelle scuole paritarie si insegna nello stesso modo delle scuole statali, solo, magari, con la messa all'inizio e alla fine dell'anno scolastico.LA SCUOLA NON DEVE ESSERE DELLO STATO, MA DELLA CHIESALa scuola non può essere dello Stato. A questa concezione la Chiesa ha sempre opposto che la scuola è della Chiesa, e questo lo abbiamo già visto sopra, e che la scuola è delle famiglie. Se nella scuola e nell'educazione avviene qualcosa di molto più fondamentale che non l'apprendimento di alcuni rudimenti e comportamenti, la prima titolarità educativa appartiene ai genitori, che per primi si sono assunti il compito di educare i loro figli davanti a Dio e secondo i suoi insegnamenti. Nella scuola il bambino mette in rapporto la propria più profonda intimità con la verità e, così facendo, si mette in cerca dell'Assoluto, perché niente di relativo lo soddisferà mai più. Questo rapporto dell'educazione con l'assoluto, che era già stato messo in evidenza da Socrate, richiede che a sorvegliarne il processo siano i genitori, gli unici ad avere le chiavi dell'intimità dei propri figli non in assoluto ma secondo il progetto di Dio su di loro. I genitori cristiani hanno una sapienza del cuore rispetto alla vita dei loro figli che deriva loro dall'averli concepiti nella luce di Dio. Ma c'è anche una sapienza naturale che conferisce ai genitori questa capacità, anche se senza la fede rischia di non avere sufficiente sostegno nella vita concreta.Intesa in questo modo, la responsabilità dei genitori nell'educazione dei figli coincide in fondo con la responsabilità della Chiesa. Rivendicando il primato dei genitori sullo Stato, la Chiesa non si limita a rivendicare un elemento di diritto naturale, ma vi aggiunge anche un motivo squisitamente religioso: i figli sono di Dio e, vicariamente, dei genitori che li educano nel progetto di Dio. Tramite la centralità della famiglia, la Chiesa riconduce il tema al suo vero cuore: la centralità di Dio.A questo fine giunge in aiuto la dottrina della sussidiarietà, secondo cui lo Stato non può sostituirsi alla famiglia nei compiti che le sono propri per natura e per disegno divino, deve piuttosto aiutarla a perseguirli con le sue forze o con l'aiuto delle società superiori che tuttavia non deve mai essere di sostituzione, ma di aiuto sussidiario e supplente.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4393LA CENTRALITA' DI DIO NELL'EDUCAZIONE SCOLASTICA di Stefano FontanaLa scuola è lo snodo fondamentale di tutti i percorsi per la costruzione della società. Essa, educando o diseducando, contribuisce a formare i cittadini e il capitale umano. Come dice la Caritas in veritate, c'è una professionalità lavorativa e imprenditoriale ma prima c'è una professionalità umana da formare senza della quale anche quella lavorativa e professionale - e la cosa vale per tutti i campi - viene meno e si degrada. [...]Normalmente si pensa che nell'educazione sia centrale la persona dell'educando e che, quindi, nella scuola sia centrale la figura dell'alunno o dello studente. La cosa ha una sua verità, dato che nella scuola si cerca la verità e la si trasmette alle nuove generazioni per la loro maturazione completa. Questa centralità dell'educando è stata riscoperta anche nella cultura cattolica tramite le correnti del personalismo cristiano del Novecento e, dopo il Concilio Vaticano II, la centralità della persona "principio soggetto e fine della società" ha ulteriormente accentuato questa impostazione.LA SCUOLA È PER L'ALUNNO... MA L'ALUNNO PER CHI È?Come si dice che la società è per la persona, si tende anche a dire che la scuola, che è come una società in piccolo, è per l'educando. Ma l'educando per chi è? Qui si dividono due modi molto diversi di intendere la scuola.La Chiesa cattolica ha sempre sostenuto che la persona è per Dio e che, quindi, il fine ultimo della società lo si persegue ordinandola a Dio in tutte le sue dimensioni. Così è anche per la scuola. Anch'essa deve essere ordinata a Dio, che deve avervi un posto centrale. Solo in questo modo può essere perseguito anche il bene dell'educando, che non è il fine ultimo.Si va invece imponendo la visione opposta: se la scuola ha come fine la persona, Dio non può trovarvi posto o, comunque, avrà un posto laterale e secondario ma non centrale. Il personalismo educativo ha quindi prodotto delle conclusioni non previste, ha favorito l'allontanamento di Dio dall'educazione ponendo al primo posto la persona. Ma in questo modo anche questo obiettivo è diventato impossibile perché senza Dio la persona non sa chi è, gli educatori non sanno chi sia l'uomo che essi devono educare. Si sono così configurate due tipi di scuola: una scuola che, avendo al centro Dio e assumendo come Maestro Gesù Cristo, si ritiene essere un luogo comunitario di educazione di quanti vi operano alla loro vocazione trascendente; oppure una scuola che si concentra orizzontalmente sui bisogni umani dell'educando, dimenticando la prospettiva religiosa.La stessa scuola cattolica, col passare del tempo, ha di molto tralasciato la centralità di Dio nel processo educativo e si è adattata a modelli molto più laici. In tutti questi casi il punto di passaggio è stata la centralità dell'educando.Nel XIX secolo gli Stati liberali europei iniziarono a togliere alla Chiesa il monopolio dell'educazione. Dal punto di vista della sostituzione della centralità della persona alla centralità di Dio, risulta incomprensibile la lotta contro di loro sostenuta dai Sommi Pontefici. Risulta invece comprensibile e addirittura auspicabile quella richiesta degli Stati. Il Giuseppinismo consisteva nel chiudere le scuole gestite dalla Chiesa dando vita ad un insegnamento pubblico statale. Questo insegnamento pubblico non era neutro. In esso mancava ogni riferimento a Dio e la sua filosofia di fondo divenne il Positivismo, che nella seconda metà dell'Ottocento era diventata una specie di religione civile degli Stati europei, a cui non si sottrasse nemmeno lo Stato italiano di Depretis e Crispi. La scuola pubblica statale, quindi, si contraddistingueva in negativo per la sua contrapposizione alla scuola della Chiesa, e in senso positivo perché mirava alla creazione di una mentalità e cultura nazionale capace da fare da collante spirituale laico allo Stato.LA CHIESA HA IL DIRITTO E IL DOVERE DI GOVERNARE L'EDUCAZIONE PUBBLICADi fronte a questo processo di esclusione della religione cattolica dalla pubblica educazione e/o di subordinazione della stessa al potere civile, i Pontefici dell'epoca reagirono con vigore, rivendicando per la Chiesa un diritto originario di governare l'educazione pubblica.Le proposizioni 45, 46 e 47 del Sillabo, annesso all'enciclica Quanta Cura di Pio IX dell'8 dicembre 1954, sono a tal proposito molto chiare.Viene condannata la proposizione 45, che afferma: «Tutto il regime delle scuole pubbliche, nelle quali si educa la gioventù di qualsiasi stato cristiano, fatta eccezione soltanto in qualche modo per i seminari vescovili, può e deve essere attribuito all'autorità civile, e attribuito inoltre in modo tale, da non riconoscersi ad una qualsiasi altra autorità nessun diritto di immischiarsi nell'organizzazione delle scuole».Viene condannata la proposizione 47 secondo la quale «La condizione ottimale della società civile richiede che le scuole popolari … siano sottratte ad ogni autorità, forza di regolamentazione, ingerenza della Chiesa, e che siano sottoposte al pieno controllo dell'autorità civile e politica».Non sarebbe corretto valutare questa posizione solo come dettata da contingenze storiche, oppure sostenere che in precedenza la Chiesa aveva svolto un'opera di supplenza nei confronti di uno Stato assente che ora giustamente si prendeva le proprie responsabilità, oppure che la Chiesa aveva sbagliato a pretendere per sé quel ruolo centrale nell'educazione in quanto non era ancora emersa nel modo corretto la laicità del secolo. Queste ed altre spiegazioni non colgono una aspetto centrale di quella rivendicazione che, invece, la rende valida ancora oggi e per sempre.L'aspetto centrale della questione è duplice: da un lato esso dice che non è possibile educare senza l'Assoluto Divino, dall'altro dice che se lo si nega si finisce per impostare l'educazione in base ad un altro assoluto, non-divino o anti-divino. Ciò che risulta, comunque, è l'impraticabilità della via personalistica, ossia di considerare la persona dell'educando come il centro e il fine dell'educazione e della scuola. Aver praticato questa strada e continuare a farlo è indice di ingenuità educativa.LE SCUOLE NON POSSONO CHE ESSERE CATTOLICHEDicevamo che quella posizione dei Sommi Pontefici risulta oggi incomprensibile a chi ha intrapreso la strada della centralità della persona nella scuola. Ed infatti è una posizione che viene condannata e rigettata. Essa però poneva in forme adatte ai tempi un nodo difficilmente eludibile. Cosa può indurre una persona a penetrare così nel profondo di sé e trarne fuori verità talmente assolute da dare un senso ultimo alla sua esistenza se non Dio? Chi, se non Lui, può salvare il percorso educativo dal suo sempre possibile esito nichilistico? L'uomo non afferra se stesso se non viene a sua volta afferrato da Dio. Come giustificare un percorso di ricerca della verità se non in virtù di Colui che è la Verità? Se l'educazione è un percorso di libertà, non potrà essere certo la singola persona a liberarsi – dato che è proprio essa a manifestare il bisogno di essere liberata – ma Dio. La comunità degli educatori da dove riceve il diritto di intervenire così in profondità nella vita dell'educando se non per il bene assoluto di quella persona e chi può sostenere questo bene assoluto se non Dio, che è il Bene?La Chiesa dell'Ottocento rivendicava a se stessa un diritto originario ed assoluto sull'educazione e sulla scuola. Le scuole non potevano che essere cattoliche. Ciò non per un desiderio di potere o per gestire un monopolio lucrativo. Se l'educazione è l'incontro della persona con il vero, il bello e il buono, poteva forse mancare da questo luogo Gesù Cristo? E il vero, il bello e il buono potevano darsi, sarebbero stati raggiungibili senza Gesù Cristo? Nella scuola la persona si incontra con Gesù perché vuole incontrarsi fino in fondo con se stessa, questo è il punto, e quindi lì la Chiesa deve esserci.L'educazione della persona ha sempre un carattere assoluto, perché la ricerca dell'uomo non si ferma fino a che non arriva al fondamento ultimo del senso. Questo fondamento ultimo ha sempre carattere assoluto e non può essere l'uomo: un umanesimo assoluto è una contraddizione in termini e una cosa funesta. Ecco perché l'educazione o giunge a Dio o giunge ad un altro assoluto, che possieda l'anima dell'educando con la stessa forza ma non nella stessa libertà. L'educazione non mira all'autodeterminazione, essa mira sempre, in un caso o nell'altro, a consegnarsi a Qualcuno. Se questo è Cristo la consegna di sé significa anche il respiro della vera libertà, se è altri si sperimenta il fallimento, non meno assoluto però.Per questi motivi è necessario che i cattolici ricomincino a pensare ad una scuola con Dio al centro. Questo vale sia per gli aspetti strettamente educativi, ma anche per l'organizzazione sociale e politica della scuola stessa nella società attuale. [...]
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7168LA DISTRUZIONE PIANIFICATA DELLA SCUOLA ITALIANA di Julio LoredoSulla scia della rivoluzione bolscevica del 1917 in Russia, diversi pensatori marxisti iniziarono a esplorare le possibilità per replicarla in Occidente. Giunsero rapidamente alla conclusione che da noi fosse impraticabile. Era necessaria una nuova strategia. Gli sforzi più importanti in questo senso furono portati avanti dall'Institut für Sozialforschung dell'Università Johann Wolfgang Goethe in Germania, meglio conosciuto come Scuola di Francoforte, anche dopo che i suoi membri si trasferirono prima in Francia e poi negli Stati Uniti.I membri di questa scuola applicarono il marxismo a una teoria sociale radicale e interdisciplinare, utilizzando le intuizioni della psicoanalisi, della sociologia, della filosofia esistenziale e di altre discipline per disegnare un piano di Rivoluzione totale. Nel 1936, ad esempio, coniarono l'espressione "rivoluzione sessuale" per descrivere l'utilizzo della decadenza morale già allora in atto per distruggere la mentalità "borghese" e forgiarne una nuova socialista.Forse meno noto a livello internazionale ma, in più di un modo, maggiormente importante fu il lavoro di Antonio Gramsci, cofondatore del PCI. Ampliando il concetto marxista di egemonia - che considerava l'economia la "struttura" e tutti gli altri ambiti (politico, culturale, ecc.) semplici "sovrastrutture" - Gramsci esplorò gli aspetti culturali dell'egemonia, sviluppando le basi di quella che poi divenne nota come Rivoluzione culturale. Insisteva sul fatto che prendere il controllo del governo non è l'obiettivo più importante (come invece sosteneva Lenin). Secondo lui, la sinistra doveva piuttosto controllare alcuni settori chiave della società, in particolare l'istruzione, la cultura e la magistratura. Istruzione e cultura sono intimamente legate. Mentre una cultura di sinistra plasma il sistema educativo, un'educazione di sinistra forma i giovani che in seguito svilupperanno la cultura, creando un circolo vizioso che lentamente ma inesorabilmente cambia le mentalità. Le trasformazioni politiche, sosteneva Gramsci, sarebbero arrivate in seguito come naturale conseguenza di questi cambiamenti nella cultura."L'educazione è da sempre strumento per il consolidamento di qualsiasi egemonia - scrivono Lorenzo Caruti e Giammarco Serino - l'educazione [è] strumento imprescindibile di egemonia politica (...) l'educazione plasma le influenze geopolitiche".La sinistra ha avuto un enorme successo nell'applicare questa strategia. La cultura occidentale moderna - lingua, arti, musica, teatro, fotografia, cinema, letteratura, poesia, televisione, moda, pubblicità - è massicciamente orientata a sinistra. Non esiste una cultura "conservatrice" o "tradizionalista" di qualche rilievo. Se prendiamo gli elementi della cultura definiti da Andrew Brown, autore di Organisational Culture - artefatti, storie, rituali, eroi, simboli, credenze, atteggiamenti e valori - ci accorgiamo che sono tutti egemonizzati dalla sinistra.Lo stesso per l'istruzione. La sinistra ha avuto un enorme successo nell'infiltrare il sistema educativo fino a controllarlo virtualmente. In Italia, ad esempio, indipendentemente da chi è al governo, l'istruzione cammina sempre a sinistra.Come possiamo definire la Rivoluzione culturale?Nel descrivere lo spirito che anima il processo rivoluzionario, Plinio Corrêa de Oliveira afferma: "Due nozioni concepite come valori metafisici esprimono bene lo spirito della Rivoluzione: l'uguaglianza assoluta, la libertà completa. E due sono le passioni che più le servono: l'orgoglio e la sensualità". Se analizziamo le riforme dell'istruzione negli ultimi decenni, tutte si riducono a questo: più uguaglianza e più libertà. Teniamo conto, però, che quando la Rivoluzione proclama la completa libertà come principio metafisico, lo fa solo per giustificare il libero corso delle peggiori passioni e degli errori più perniciosi. Quando è al potere, limita facilmente, e persino con gioia, la libertà del bene.LA DISTRUZIONE PIANIFICATA DELLA SCUOLANegli ultimi decenni abbiamo assistito in Italia a quella che un analista ha definito "la distruzione pianificata della scuola". Già visibile negli anni ‘60, questa distruzione subì una brusca accelerazione negli anni ‘90, durante i governi del comunista Massimo D'Alema e del "cattolico adulto" Romano Prodi. Il suo principale promotore fu allora il ministro comunista dell'Istruzione Luigi Berlinguer. Scrive Luciano Benadusi: "A partire dall'assunzione della titolarità ad interim dei due rispettivi ministeri da parte dell'on. Luigi Berlinguer, la politica scolastica ed universitaria italiana è entrata in una fase di grande dinamismo, tradottosi nell'ideazione - sebbene non ancora nell'approvazione - di importanti riforme". Queste riforme erano guidate da un "chiaro disegno strategico", di ispirazione comunista.Il concetto stesso di "educazione" cambiò radicalmente. Se tradizionalmente l'educazione era concepita come trasmissione di conoscenze e formazione del carattere secondo determinati valori condivisi, oggi l'educazione è concepita come un mezzo per distruggere nei bambini e nei ragazzi i vecchi modelli di riflessione, volizione e sensibilità, sostituendoli gradualmente con forme di pensiero, deliberazione e sensibilità sempre più egualitarie e libertarie.Vediamo alcuni aspetti di questa distruzione.SOCIALISMO AUTOGESTIONARIOUn primo elemento è stato il decentramento del sistema educativo. In breve, ogni scuola è libera di scegliere il proprio stile e i propri contenuti. Alle scuole fu data autonomia "nell'organizzazione, nell'istruzione, nella ricerca e nello sviluppo"; fu concessa "libertà di pianificazione" e la "libera scelta di metodi, contenuti e tempi". D'altra parte, gli studenti dovevano essere sempre tenuti in considerazione quando si prendevano decisioni che avrebbero riguardato la scuola. Nacquero così le assemblee scolastiche. Tutto questo ispirato al cosiddetto socialismo autogestionario. Chissà per quale motivo, però, nell'applicare la "libertà di scelta", la quasi totalità delle scuole adottò esattamente le stesse riforme rivoluzionarie...1) Abolizione dei votiL'istruzione si è sempre basata sul premiare i più intelligenti e i più diligenti, cercando di stimolare i meno intelligenti e i meno diligenti. L'impegno era premiato, mentre la pigrizia veniva punita. Questo creava naturalmente una gerarchia: alcuni erano i primi della classe, altri gli ultimi. Questo si scontra con lo spirito egualitario della Rivoluzione.Così, in Italia, negli anni è cresciuto il movimento per l'abolizione dei voti. Il primo a essere abolito, nel 2017, è stato il voto di condotta. Poi, nel 2019, agli insegnanti delle scuole elementari è stato vietato di dare voti. Una mia amica, insegnante nella scuola locale, mi ha raccontato che non appena hanno attuato questa legge, il livello accademico della sua classe è crollato. I bambini non erano più stimolati a studiare in maggior misura. Ha avuto allora un'idea brillante: invece di dare voti (vietati dalla legge), ha assegnato dei colori, come quelli dell'arcobaleno. Il rosso per il voto più alto, il viola per il più basso. Immediatamente i bambini hanno iniziato a fare a gara per ottenere un rosso e il livello scolastico generale è tornato alla normalità. Ebbene, la direttrice l'ha rimproverata, perché una simile politica creava disuguaglianze.2) Abolizione dell'ora di religioneSecondo il Concordato del 1929 firmato tra lo Stato italiano e il Vaticano, le scuole devono insegnare la religione cattolica. Il nuovo Concordato del 1984 ha reso questo insegnamento facoltativo: gli studenti potevano scegliere se svolgere o meno l'ora di religione. Da allora la frequenza all'ora di religione è diminuita costantemente e in molte scuole è di fato inesistente. Oggi c'è un movimento crescente per abolire del tutto l'ora di religione, come parte di uno sforzo per cancellare la religione dalla vita pubblica.3) Educazione affettiva e sessualeSeguendo una tendenza visibile in altri campi, la scuola italiana si è spostata da un'educazione basata sulla conoscenza a una basata sulla psicologia. In altre parole, non è tanto importante ciò che si impara, ma come ci si relaziona con il mondo: abbiamo di fronte agli altri un atteggiamento "corretto", cioè liberale, tollerante, non giudicante? O piuttosto un atteggiamento "sbagliato", cioè basato su verità e valori oggettivi?Tutto è iniziato con l'"educazione all'affettività". Secondo un documento, "l'educazione all'affettività ha l'obiettivo di sviluppare l'intelligenza emotiva a partire dalla consapevolezza delle proprie sensazioni, delle proprie emozioni e dei propri sentimenti e di accrescere le abilità affettive con l'obiettivo di favorire una buona relazione interpersonale". È destinata alle scuole elementari e inizia con la domanda "Chi sono io?". Naturalmente è vietata qualsiasi identità di genere. La conclusione è: "Non so chi sono. Io divento. Sono fluido". Nella seconda fase, "Io e gli altri", si esplorano le relazioni interpersonali. Ai bambini a partire dai cinque anni viene chiesto di esplorare il proprio corpo e quello dei colleghi. Questo porta alla terza fase, "Affetto e sessualità", in cui i bambini sono stimolati a relazionarsi anche sessualmente con i loro compagni.4) Agenda LGBTL'imposizione dell'agenda LGBT merita un capitolo a sé. Nel 2014, il Ministero della Pubblica Istruzione emanò un decreto che imponeva un "Programma di educazione all'affettività e alla sessualità". Gli studenti dovevano essere istruiti da membri dell'ArciGay. Gli insegnanti dovevano seguire "corsi di aggiornamento" tenuti da questi stessi militanti.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7124ENRICO LETTA (PD): ASILO OBBLIGATORIO PER TUTTI... COME NEI ''MIGLIORI'' REGIMI TOTALITARI di Giuliano GuzzoÈ forse il solo vero tema nuovo che il Partito democratico di Enrico Letta è stato capace di portare in campagna elettorale; eppure è un tema quanto meno divisivo e che, non a caso, sta sollevando non pochi malumori in settori significativi del Paese come dimostrano, per esempio, i fischi che il segretario dem ha incassato al Meeting di Rimini. Stiamo naturalmente parlando della scuola materna obbligatoria. Una proposta che, nelle intenzioni di chi la condivide, dovrebbe portare ad una scolarizzazione di 150.000 bambini, che andrebbero ad aggiungersi agli 1,2 milioni - l'89% del totale - che risultano già iscritti alle scuole dell'infanzia statali e paritarie.Ciò nonostante, in tanti stanno criticando quest'idea, che giudicano lesiva della libertà educativa familiare nonché un progetto dal sapore ideologico e che non considera come meriterebbe un aspetto rilevante: in non pochi Comuni italiani, specie nella parte meridionale della penisola, l'offerta di posti di nidi e asili non arriva al 15% dei bambini residenti. Oltre che contestabile, dunque, la proposta di Letta - il cui costo si aggirerebbe sui 300 milioni di euro - risulterebbe di fatto inapplicabile. Non è finita. Esistono anche riscontri di come l'istruzione obbligatoria dai 3 anni in avanti possa generare ripercussioni negative...proprio sui minori.CONTRO GLI ASILI NIDOLo suggerisce un testo di Paola Liberace, giornalista e studiosa di solide basi - si è formata alla Normale di Pisa - uscito qualche anno fa e intitolato, eloquentemente, Contro gli asili nido (Rubbettino, 2009). In quel volume, tra le altre cose, si ricorda che la pioniera a livello europeo, capace di «organizzare un sistema capillare di servizi educativi per la prima infanzia in Europa, fu la Germania dell'Est. Più di qualsiasi altra nazione industriale dell'Occidente, la DDR assunse su di sé l'onore dell'allevamento dei bambini. Ai tedeschi dell'est si deve il copyright degli asili nido "universali" [...] gli orari di apertura seguivano fedelmente gli orari lavorativi delle loro madri: un minimo di dodici ore, con la possibilità di ospitare i bambini anche il sabato» (p.28).Peccato che quell'esperienza non diede risultati felicissimi sui bambini, tutt'altro. Liberace infatti segnala che «le ricerche sulle fonti disponibili parlano di ripercussioni deleterie, derivanti dalla precoce e drastica separazione dei bambini dalle madri e dall'educazione rigorosamente collettiva, che lasciarono segni indelebili sulle loro coscienze: dall'aggressività nei confronti degli stranieri all'incapacità relazionale» (p.30). Eh ma allora c'era un regime, si dirà; nel 2022 e soprattutto in democrazia sarebbe diverso. Peccato che riscontri più recenti e studi eseguiti anche in contesti democratici vadano nella medesima direzione.RIDUZIONE DEL QUOZIENTE DI INTELLIGENZAPer esempio, una indagine sugli asili nido a Bologna, pubblicata nel 2020 sul Journal of Political Economy, ha messo in evidenza come una permanenza più prolunga all'asilo nido, per i figli di nuclei economicamente non poveri, sia associata ad una riduzione nientemeno che del quoziente di intelligenza. Similmente, in un lavoro pubblicato nel 2019 sull'American Economic Journal: Economic Policy e focalizzato sull'esperienza canadese del Québec - che ancora nel 1997 aveva istituito l'assistenza all'infanzia per l'intera giornata e tutto l'anno per tutti i bambini di età inferiore ai 5 anni -, si è scoperto come in terza elementare gli alunni che avevano sperimentato più ore di assistenza non parentale fossero stati valutati dagli insegnanti come dotati di minori abilità sociali e propensioni all'applicarsi.Non solo: più tempo trascorso negli asili nido era associato pure a più comportamenti problematici fino alla prima media e, nell'adolescenza, a più condotte a rischio come l'uso di alcol, tabacco e droghe, furto o danneggiamento di proprietà; e tutto questo, attenzione, a prescindere da quali fossero la qualità dell'asilo nido e il background socioeconomico della famiglia di provenienza. [...]Tutto questo qualcuno di buona volontà dovrebbe farlo presente pure ai dem, specificando che il fatto che in Europa alcuni Paesi abbiano già preso questa strada non la rende più attraente, anzi: soprattutto vedendo qual è stato il primo [la Germania dell'Est, N.d.BB].
AUDIO: Trasmissione Radio Maria, La dottrina sociale della Chiesa oggi ➜ https://radiomaria.it/puntata/la-dottrina-sociale-della-chiesa-oggi-18-06-2022/TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7059E' IL MOMENTO DELLA VERA SCUOLA CATTOLICA da Osservatorio Card. Van ThuânLa Scuola Cattolica esprime l'attività educativa pubblica di ordine naturale e soprannaturale della Religione cattolica.L'educazione cattolica nella Scuola cattolica è dovere/diritto fondativo e originario della Chiesa cattolica, è dovere/diritto originario non fondativo dei genitori ed è compito derivato, sussidiario e ordinato al bene comune della comunità politica.La Chiesa ha un dovere/diritto fondativo e originario in quanto chiamata per essenza e per missione ad annunciare la salvezza di Cristo a tutti gli uomini, assumendo, confermando, e purificando la dimensione naturale della loro vita. La Chiesa ha un ruolo pubblico "sopra-eminente" nel campo educativo e non semplicemente di supplenza o di complemento.La Chiesa tramite l'educazione cattolica e la Scuola cattolica genera cultura e produce civiltà, essendo che la verità di Cristo illumina tutti i diversi ambiti della cultura e della civiltà, inducendoli ad essere fino in fondo se stessi nella loro legittima autonomia, ciò che avviene non in un regime di laicità ma solo nel rapporto strutturato di dipendenza della ragione rispetto alla fede nella rivelazione.L'educazione cattolica nella Scuola cattolica assume le discipline da insegnare secondo la loro naturale struttura epistemica (contenutistica e metodologica) e dentro un quadro organico del sapere nel quale alcune discipline hanno carattere architettonico in quanto capaci di auto-fondarsi - la Metafisica dell'essere sul piano naturale e la Sacra dottrina su quello soprannaturale - mentre altre hanno una autonomia in dipendenza da principi di altre scienze. La Scuola cattolica educa quindi alla Sapienza, da intendersi come la capacità di conferire unità di senso alla vita secondo i principi primi e in vista dei fini ultimi.Il naturalismo educativo e il personalismo educativo sono posizioni incongrue e riduttive in quanto ammettono una autonomia non più legittima dell'educazione naturale rispetto alla dimensione soprannaturale e della ragione rispetto alla rivelazione. Esse sono l'inizio della secolarizzazione dell'educazione che produce effetti via via più radicali, accentuando progressivamente l'esodo della educazione dai propri presupposti religiosi dapprima e naturali ed etici in seguito.I genitori hanno un ruolo originario in quanto dettato dalla natura, essendo l'educazione una continuazione della procreazione. Non hanno tuttavia un diritto assoluto, in quanto per natura hanno prima di tutto un dovere, il dovere di educare i figli al bene, alla verità, alla giustizia, alla bellezza, all'ordine secondo le finalità naturali e soprannaturali della loro persona e secondo l'ordine e la legge naturale e divina.La comunità politica ha un dovere educativo in quanto responsabile del bene comune ma non fondativo né originario, né diretto bensì derivato. La comunità politica deve esercitarlo non direttamente e in assoluto ma in ordine al bene comune, quindi all'ordine finalistico naturale e divino della società, assumendo compiti indiretti e sussidiari tendenti a garantire le condizioni perché i soggetti fondativi e originari - Chiesa e genitori - possano svolgere la propria azione educativa.Lo Stato moderno e contemporaneo deforma i legittimi compiti educativi della comunità politica, accentrando in sé il compito educativo ed esautorando sia la Chiesa, mediante una erronea concezione della laicità dell'educazione, sia i genitori, dato che il fondamento naturale del dovere educativo di questi ultimi viene perduto senza il sostegno della dimensione religiosa della religio vera.Lo statalismo educativo non è solo profondamente sbagliato dal punto di vista di "chi" deve educare, lo è anche per quanto riguarda "cosa" educare. Dato il suo accentramento e la sua visione assoluta di sé, lo Stato finisce per imporre i propri contenuti educativi, plasmando le anime di alunni e studenti secondo i propri principi e insegnando i contenuti di una "religione civile" artificiosa e strumentale. Questo totalitarismo educativo è espresso non solo dai regimi autoritari ma anche dalle democrazie liberali. Esso consiste in un sistema diseducativo, ideologico e ateo.Oggi lo Stato è diventato strumentale rispetto a poteri globali e recepisce nella propria "religione civile", insegnata sistematicamente nel sistema educativo pubblico, le esigenze operative di centri di interesse sovra-statali. All'ideologia diseducativa statalista si aggiunge ora l'ideologia diseducativa globalista.La Chiesa cattolica in genere oggi considera il proprio compito educativo pubblico non come qualcosa di essenziale per sé, accettando la primaria titolarità dello Stato in questo campo e intendendo la propria azione o come una azione di supplenza, quando il presunto legittimo titolare dell'educazione sia nella impossibilità di esercitarla, oppure come una attività di animazione sociale indirizzata a generici valori umanistici di solidarietà e fraternità. Di fatto essa nega di avere un ruolo educativo pubblico "sopra-eminente" in quanto Chiesa ed accetta la laicità educativa che è destinata a diventare laicismo educativo. Questa posizione della Chiesa è evidente in tre ambiti:a) la presenza di insegnanti cattolici nella scuola di Stato è intesa come funzionale agli obiettivi educativi dello Stato, compreso l'Insegnamento della Religione Cattolica;b) la scuola paritaria cattolica è interna al sistema pubblico integrato e quindi dipende normativamente e finalisticamente dalle indicazioni dello Stato;c) la scuola parentale cattolica viene solitamente contrastata dalle istituzioni ecclesiastiche.Le esigenze dell'Educazione cattolica e della Scuola cattolica richiedono di uscire dallo Stato e anche dalle realtà ecclesiastiche istituzionali laddove esse condividano e collaborino al sistema diseducativo statalistico e globalista. Ciò è possibile a tutti e tre i livelli della presenza di insegnanti cattolici nella scuola statale, della scuola cattolica paritaria e della scuola parentale cattolica a cui assimiliamo l'homeschooling. È altresì evidente che le limitazioni e le costrizioni sono maggiori nel primo caso e poi via via minori negli altri due. Questo dice che oggi la scuola parentale cattolica, pur con le sue difficoltà, è la via principale da battere per garantire all'educazione cattolica la coerenza. La scuola parentale cattolica deve però evitare due errori di impostazione. Il primo è di dimenticare la propria natura di educazione "pubblica", ovvero tesa al conseguimento del vero bene comune, finendo per privatizzarsi in qualche modo. Il secondo è di compiacersi della propria "eroica esistenza autonoma" quando invece la scuola libera cattolica deve intendersi come via "dal basso" affinché la Chiesa si riappropri della consapevolezza del proprio dovere sopra-eminente di svolgere un ruolo educativo pubblico.Siamo consapevoli che in questa fase storica ed ecclesiale bisogna partire dal basso.Nota di BastaBugie: questo Manifesto è stato scritto dall'Osservatorio cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa dopo il convegno tenutosi a Lonigo il 4 giugno. Chi vuole può aderire al Manifesto semplicemente scrivendo una mail a info.ossvanthuan@gmail.com specificando se siete:1) educatori di homeschooling,2) Scuola cattolica parentale (quale),3) Scuola cattolica paritaria (quale),4) docente cattolico nella scuola statale.Attenzione: l'invito è rivolto al mondo della scuola perché con chi aderisce l'Osservatorio conta di poter fare in futuro un lavoro di maturazione degli obiettivi e di formazione per cui non comunichi la sua adesione chi fosse solo interessato alla scuola cattolica, ma non vi opera in qualche modo, diretto o indiretto che sia, non appartenendo alle quattro realtà sopra menzionate.Chiariamo che chi aderisce al Manifesto non entra in una nuova associazione, semplicemente dichiara di condividerne l’impostazione e si rende disponibile ad accogliere e a partecipare alle attività in questo senso dell’Osservatorio, nella speranza che ciò possa generare un ampio movimento. Sarà impegno dell’Osservatorio dare seguito a questo Manifesto con iniziative rivolte agli aderenti tese allo studio delle ragioni dottrinali dell’educazione cattolica, alla formazione dei docenti cattolici e alla promozione pubblica del principio non negoziabile della vera libertà educativa.
VIDEO: Descrizione in minuscolo ➜ https://www.youtube.com/watch?v=m5NvNxhDpAc&list=PLolpIV2TSebVLUetRlYxAQgaHFOcG_4PaTESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7019L'ULTIMA FOLLIA: LA MATEMATICA DIVENTA UN'OPINIONEIl movimento antirazzista americano punta a cancellare la matematica per agevolare i bambini che appartengono alle minoranze nere ed ispaniche (VIDEO: La matematica è un'opinione?)di Luca VolontèLa matematica è diventata una opinione. Questa la nuova trovata revisionista del movimento antirazzista americano che, volendo eliminare ogni possibile retaggio con la storia, ora punta a cancellare la «razzista e bianca matematica». I paradossi? Non solo la rivoluzione è profumatamente pagata con le donazioni del "bianco" Bill Gates, ma i bambini asiatici sono più molto più bravi dei bianchi nelle materie matematiche.Si diffonde negli Usa la matematica anti razzista grazie al programma educativo Pathway e la sua attenzione all'insegnamento matematico anti razzista per gli alunni dagli 11 ai 13 anni. Si legge nella guida che "il percorso offre risorse che gli educatori possono utilizzare, mentre pianificano il loro curriculum, offrendo anche opportunità per una continua auto-riflessione, mentre cercano di sviluppare una pratica matematica anti-razzista".La prima guida, Dismantling Racism in Mathematics Instruction, chiede agli insegnanti di osservare come la matematica sia usata «per sostenere visioni capitaliste, imperialiste e razziste».I fogli di lavoro inclusi nel toolkit chiedono agli insegnanti di creare una lista di qualità antirazziste da coltivare durante l'anno scolastico. A novembre di ogni anno, gli educatori devono riflette su come includono "autenticamente" le minoranze e gli studenti multilingue nelle lezioni di matematica.SMANTELLARE LA MATEMATICA IN CINQUE PASSIA maggio, gli insegnanti valuteranno come «smantellare le strutture di potere in classe». Il percorso matematico si trova in 5 guide progettate per aiutare gli insegnanti di matematica della scuola media:1. Smantellare il razzismo nell'istruzione della matematica;2. Promuovere la comprensione profonda;3. Creare le condizioni per prosperare;4. Collegare le intersezioni critiche;5. Sostenere una pratica equa.I professori non dovranno correggere con la matita rossa gli errori, bensì onorare gli studenti che sbaglieranno nella risoluzione dei problemi, valorizzare anche i percorsi logici errati, identificare le «pratiche di supremazia bianca» all'interno delle classi, evitare di richiamare l'attenzione per ottenere le risposte "giuste" o richiedere agli studenti di mostrare il loro lavoro.Gli errori non sono un problema, anzi non esistono, perché se esistesse l'errore esisterebbe anche la perfezione ed insieme il "paternalismo" degli insegnanti che dovrebbero correggere. Tutto abolito. Un modo semplice per eliminare la cultura della supremazia bianca, secondo le guide, è abolire l'ordine in classe (non far alzare le mani agli studenti per mostrare di conoscere le risposte) e spiegare la matematica attraverso narrazioni che includono "danza, musica, canzoni e altri modi culturali di comunicazione".L'approccio antirazzista all'educazione matematica potrebbe includere uno o tutti i suggerimenti suggeriti dal sito web per insegnanti dell'intero percorso scolastico americano K-12 (dai 5 ai 17 anni) : «La discussione della conoscenza matematica delle antiche civiltà al di fuori dell'Europa e dei contributi non europei alla conoscenza e alla scoperta della matematica; l'evitare gli stereotipi razziali quando si formano e si comunicano le aspettative sui risultati degli alunni in matematica; l'evitare stereotipi razziali o pregiudizi culturali nei materiali di classe, nei libri di testo, negli argomenti dei compiti e nelle domande d'esame».VALORIZZARE OGNI POSSIBILE STRAFALCIONE DI CALCOLOL'insegnamento matematico anti-razzista non insegna innanzitutto la matematica ma vuole «correggere gli squilibri sui punteggi dei test e sui risultati degli esami in alcuni gruppi minoritari». A questo gap di conoscenza non si risponde con più lezioni, esercizi o compiti ma con più generici discorsi di odio contro la cultura (matematica) occidentale e bianca e col valorizzare ogni possibile strafalcione di calcolo.2+2=4 come può esser razzista? Il nuovo dogma del politicamente corretto americano, che cancella tutto ciò che ritiene sbagliato, ora impone agli insegnanti di correggere gli squilibri (tra bravi e somari) e se molti bambini che appartengono alle minoranze nere ed ispaniche non raggiungono gli standars minimi di profitto in matematica, ha spiegato Libby Emmons del gruppo Post Milleninals durante una intervista su Fox news la scorsa settimana, «quegli standard devono essere cambiati».Tutti più somari, tutti livellati verso il basso. Moltissimi distretti scolastici e Dipartimenti statali per l'istruzione negli USA hanno preso provvedimenti, sull'onda delle proteste antirazziste dello scorso anno, per introdurre in varie forme insegnamenti critici del razzismo nei curricula degli studenti di tutte le scuole.Oregon, California, Nord Carolina hanno già introdotto nei curricula i nuovi insegnamenti antirazzisti, inclusa la matematica antirazzista e molti altri Stati, per lo più governati dai Democratici, si apprestano a farlo dal prossimo Settembre.La matematica non può essere una opinione e la mancanza di lezioni e problemi matematici non aiuteranno nessuno a far fortuna nella vita reale. Il «revisionismo matematico» tra l'altro si scontra con i dati oggettivi delle ricerche sulla bravura studenti americani in matematica, i migliori dei quali sono quelli di origine asiatica (gialla) non di origine europea (bianca). Già ma cancellando la realtà, tutto vale.
VIDEO: Sono un untore ➜ https://www.youtube.com/watch?v=IKtMfB6yM00&list=PLolpIV2TSebVLUetRlYxAQgaHFOcG_4PaTESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6991LA PERSECUZIONE DEGLI INSEGNANTI NON VACCINATI di Marco LeporeAnche aprile se n'è andato. Poche settimane ancora di scuola ci separano dall'ultima campanella di quello che potremo probabilmente definire (sperando di non dover assistere in futuro a spettacoli ancora peggiori) l'anno scolastico più assurdo e diseducativo della storia del nostro malconcio Paese.Non bastavano, infatti, le mascherine, i distanziamenti, le quarantene, la DAD, le finestre aperte nelle aule anche in pieno inverno e una lista infinita di precauzioni per resistere alla diffusione della "peste del XXI secolo", malattia che in realtà si cura, nella maggior parte dei casi, con semplici antinfiammatori e pochi altri farmaci già noti e di uso comune, come sottolineato anche in occasione dell'incontro dell'ordine dei medici di Venezia tenutosi in questi ultimi giorni....No, non bastavano. Quest'anno si sono aggiunte le sospensioni dal lavoro senza stipendio del personale che si è opposto alla inoculazione forzata del cosiddetto "vaccino contro il Covid", e, infine, il rientro al lavoro dopo alcuni mesi, ma in regime di isolamento sociale. Ne abbiamo già parlato, ma vale la pena tornare a dire qualcosa perché ci troviamo di fronte a storie (inconcepibili fino a pochi mesi fa) di insegnanti rinchiusi in stanze da soli, impossibilitati a insegnare, abbandonati dai dirigenti, talvolta fatti entrare da ingressi separati, nella migliore delle ipotesi destinati a lavori non di loro competenza, come bibliotecari o sostituti del personale Ata.RIPROVAZIONE SOCIALE E ISOLAMENTOTutto questo, poi, sarebbe ancora poco, perché in filigrana persiste un clima di riprovazione sociale e di isolamento anche da parte di quei colleghi, non pochi, che probabilmente condividono le motivazioni del Ministero, riferite senza vergogna alcuna dal Ministro per i rapporti con il Parlamento, Federico D’Inca, il 30 marzo scorso. È forse utile riportarle per esteso: "[...] Il Consiglio dei ministri ha unanimemente deciso di mantenere, fino al 15 giugno, l’obbligo vaccinale. Nello stesso tempo, però, ha ritenuto di eliminare la sospensione dal servizio per coloro che non ottemperano l’obbligo, superando la severa implicazione di non riconoscere neppure il cosiddetto assegno alimentare. Peraltro, sottrarsi all’obbligo vaccinale per gli insegnanti ha una peculiare conseguenza: la vaccinazione costituisce un requisito essenziale per lo svolgimento delle attività didattiche a contatto con gli alunni. Di qui l’utilizzazione del docente non vaccinato in attività di supporto alla istituzione scolastica, quali le attività anche a carattere collegiale, di programmazione, progettazione, ricerca, valutazione, documentazione, aggiornamento e formazione e la conseguente sostituzione, per l’attività didattica, con supplenti. La motivazione di tale disposizione risiede nella speciale rilevanza che la figura del docente ricopre nella comunità educante. La disposizione coniuga, infatti, due esigenze: quella di attenuare le conseguenze di inadempimento all’obbligo vaccinale senza deflettere, però, rispetto al principio di responsabilità dei docenti dinanzi agli alunni. La violazione di un obbligo non può restare priva di conseguenze. Si tratta dunque di un messaggio forte e coerente, che si è voluto dare ai nostri giovani. Gli insegnanti inadempienti disattendono il patto sociale ed educativo su cui si fonda la comunità nella quale sono inseriti. Il puro e semplice rientro in classe avrebbe comportato un segnale altamente diseducativo. Per questo si è dovuto trovare un ragionevole equilibrio tra il diritto dei docenti non vaccinati di sostentarsi e il loro dovere di non smettere mai di fornire il corretto esempio."LO STATO ETICOVale nulla che dietro a quei numeri, dietro a quelle sospensioni, ci fossero famiglie, cittadini, figli, persone che già avevano subito ingiustamente, in sfregio ad ogni norma costituzionale, la sospensione del proprio stipendio, provato difficoltà economiche, vissuto frustrazione e disagio psicologico legato ad una condizione ricattatoria che mai potrà essere definita "una libera scelta", come molti affermano. Occorreva dunque una punizione esemplare per non aver fornito il "corretto esempio", quello necessario per insegnare ai giovani a non ragionare con la propria testa ma secondo il pensiero mainstream, a mettere alla gogna chi difende i propri diritti, a calpestare la Costituzione (su questo i nostri governanti hanno dato un esempio luminoso...), a raggirare e utilizzare a proprio piacimento le leggi, a favorire le ingiustizie e i soprusi usando la violenza e i ricatti...In questo grottesco capovolgimento, il segnale diseducativo - secondo il Ministro - lo hanno dato gli insegnanti che hanno dimostrato senso del sacrificio e che si sono battuti per la difesa dei propri diritti e della libertà di non sottoporsi come pecore a una "cura" ordinata da un ente politico, contrastando così un sistema perverso che ha imposto in modo ricattatorio la vaccinazione obbligatoria senza obbligo di legge.Cosa stanno imparando i nostri giovani, da questa schizofrenica deriva? Molti di questi saranno gli insegnanti di domani o anche i futuri difensori della legge... ma con quali valori?Una sola cosa è certa, al momento: la scuola italiana, che già da decenni era terreno di semina delle ideologie, ma che ancora conservava alcuni spazi di libertà, ha tradito la propria missione originale e svelato definitivamente il proprio volto, quello di uno Stato etico che non ha alcun interesse a educare ma solo a indottrinare.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6691NON ESISTE LA SCUOLA DELL'OBBLIGO, PUOI TENERE I FIGLI A CASA di Giulia TanelIn questo particolare periodo storico, segnato dall'emergenza Covid-19, vediamo un considerevole aumento di genitori che decidono di non mandare i propri figli "a scuola", bensì che optano per l'homeschooling o che si riuniscono con altre famiglie per dare vita a una scuola parentale. Come legge questo fenomeno?Lo leggo positivamente. E' un fenomeno promettente ma nello stesso tempo devo notare che può essere dettato da motivi contingenti. Ritengo che l'occasione vada sfruttata per rafforzare le motivazioni e permettere quindi al fenomeno di avere una consistenza e una durata che vada ben oltre l'emergenza. Le difficoltà legate al Covid e ai ritardi della scuola di Stato sono il motivo pressante al momento, la critica allo statalismo nell'educazione e il recupero dei motivi fondanti la responsabilità educativa dei genitori permetteranno di proseguire anche se in futuro l'emergenza Covid dovesse (ammesso e non concesso) finire.Alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, tuttavia, il diritto/dovere dei genitori di educare i propri figli non può essere disgiunto dal diritto/dovere "sopraeminente" della Chiesa di educare. Nella pratica, cosa significa?Vediamo prima di tutto il rapporto tra il diritto dei genitori ad educare i propri figli e il loro dovere di farlo. Cominciamo dal diritto. I figli sono dei genitori e non dello Stato, si dice giustamente. Questo principio è vero perché è il diritto naturale a dirci che la procreazione dei figli continua con l'educazione, sicché i genitori che li hanno procreati sono per natura anche i primi responsabili di quella "seconda nascita" che si fa con l'educazione. La famiglia - come insegnava già la Rerum novarum - è una società vera che precede lo Stato e ha quindi compiti propri nei cui confronti eventualmente lo Stato deve essere sussidiario.Il diritto dei genitori, però, non si fonda su se stesso, perché il diritto naturale non dà ai genitori il diritto di educare i figli in qualsiasi modo essi vogliano, ma per il loro bene morare e religioso, in modo che raggiungano il loro fine naturale e soprannaturale.Il punto decisivo è quindi questo: il diritto è fondato sul dovere, il dovere naturale è fondato sul dovere soprannaturale. Non i genitori e meno che meno lo Stato, ma la Chiesa ha il primordiale dovere/diritto pubblico di educare. Pio XI nell'enciclica "Divini illius magistri" parlava di un dovere/diritto "sopraeminente" della Chiesa.Quindi, dei genitori che oggi decidessero di dare vita a una scuola parentale o di fare homeschooling in ottica cattolica, quali punti fermi dovrebbero considerare imprescindibili?Dovrebbero secondo me non pensare solo di esercitare un diritto, magari appellandosi alla Costituzione, ma andare al dovere che ne sta alla base e al suo fondamento ultimo che è Dio. In altre parole dovrebbero pensare che attraverso la loro azione di educatori è la Chiesa stessa che si riappropria di una sua funzione essenziale che la secolarizzazione le ha sottratto. La Chiesa esercita una "maternità soprannaturale" che le assegna un compito educativo pubblico essenziale. Pubblico, non privato e nemmeno come espressione di una agenzia sociale. So bene che oggi la Chiesa stessa non la pensa più così e che i vescovi spagnoli - per fare un esempio di questi giorni - hanno chiesto allo Stato di inserire la religione cattolica nella materia della educazione ai valori. Ma ormai capita spesso che i laici cattolici debbano fare scelte per la Chiesa anche se non hanno il sostegno ecclesiastico.Tuttavia, ancora oggi, per molti, la scolarizzazione promossa dallo Stato rimane l'unica via percorribile. Quali sono i principali limiti di questa visione? E quali quelli della scuola di Stato in sé?Purtroppo la mentalità comune è che all'educazione deve provvedere lo Stato. Oggi consegniamo allo Stato i nostri figli dall'asilo nido all'università senza nemmeno chiedere cosa esso ne voglia fare. Si pensa che l'educazione sia buona in quanto statale e statale in quanto pubblica. Come mai la massa la pensa così? Perché da quanto, due secoli fa, lo Stato sottrasse alla Chiesa l'educazione si è formato un centralismo statale in molti campi, e non solo in quello educativo, per cui i cittadini sono abituati al fatto che le leggi, il fisco, l'assistenza al disagio, la sanità e così siano servizi in capo allo Stato. Ma non è sempre stato così e non è giusto che sia così. Lo Stato è a servizio della comunità politica la quale viene prima dello Stato ed è articolata al proprio interno in società naturali come la famiglia, in corpi sociali intermedi, in comunità territoriali che hanno il dovere di operare in prima persona per il loro bene comune e non devono essere sostituiti, semmai aiutati a farlo, dallo Stato.A inizio ottobre, dalla Francia, è arrivata la notizia che il presidente Emmanuel Macron sarebbe intenzionato a vietare le scuole parentali e la homeschooling. [vedi http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6673] In molti hanno commentato soffermandosi sul venir meno della libertà di scelta dei genitori: condivide questa posizione o la trova lacunosa?La valutazione è giusta ma non completa. Facciamo un esempio. Ammettiamo che in una classe la volontà dei genitori sia di lasciare le cose in mano allo Stato: anche in questocaso sarebbe rispettata la libertà educativa. Oppure poniamo il caso che la volontà dei genitori sia di avere insegnamenti sistematici di omosessualismo e gender in aula. In questi casi la libertà dei genitori esprimerebbe un astratto diritto non radicato in un dovere, quello di educare i figli non in qualsiasi modo ma secondo la morale naturale, la retta ragione e la vera religione. Come non è sovrano lo Stato in campo educativo non lo sono nemmeno i genitori. Certo hanno una priorità verso lo Stato ma non un diritto assoluto di fare quello che vogliono dei figli. Si vede qui la differenza tra un diritto dei genitori inteso in senso liberale, ossia senza limiti, e un diritto inteso nel senso dell'etica naturale e della visione cattolica, vale a dire come conseguente ad un dovere.Ad ogni modo, la realtà rimanda un dato di fatto: per motivi contingenti (che siano i vaccini, o il gender, o altro) ma, in ottica cristiana, anche per non venir meno alla propria responsabilità, oggi i genitori si trovano di fronte a compito molto impegnativo. Dove possono trovare le risorse per non soccombere?A sentire più di tutti questo problema sono i genitori cattolici, perché la fede ha la capacità straordinaria di svegliare anche la ragione. Partire con esperienze di scuola parentale o homeschooling è oneroso, perché tutta l'organizzazione della società e del lavoro dei coniugi rama contro. Inoltre il potere politico o mette i bastoni tra le ruote oppure addirittura vieta questi fenomeni. Anche le democrazie conoscono forme di dittatura. A ciò bisogna aggiungere che la Chiesa di oggi non ci crede, anzi ostacola questi fenomeni. La teologia pastorale di oggi rifiuta l'etichetta cattolica sulle iniziative sociali perché la considera erroneamente una forma di ideologia. Nonostante queste difficoltà, però, il fenomeno è in aumento perché molti sentono la necessità di costruire delle arche nel diluvio per la salvezza dei loro figli. Le cose più importanti sono due: andare al fondo delle motivazioni perché nelle difficoltà solo motivazioni forti ci possono sostenere, e poi collegarsi non solo per consigli operativi ma per sostenersi a vicenda nell'impresa.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6673LA FRANCIA VIETA L'INSEGNAMENTO PARENTALE... A PROPOSITO DI LIBERTE' di Valerio PeceDopo un aspro dibattito durato sette mesi - con un testo rimbalzato tra Camera, Assemblea nazionale e Senato - il 23 luglio scorso il disegno di legge "anti-separatista" è stato approvato dal Parlamento francese. 49 voti favorevoli, 19 contrari e 5 astenuti.Si tratta di un pacchetto legislativo mirato a rafforzare «il rispetto dei principi della Repubblica» al fine di tenere sotto controllo estremismo e l'islam radicale (il disegno di legge è stato presentato a dicembre, dopo che la Francia è stata colpita da una serie di attacchi, tra cui l'accoltellamento dell'insegnante Samuel Paty). Nello stesso tempo è innegabile come lo stesso provvedimento si sia trasformato in una ghiotta occasione per dichiarare guerra totale all'homeschooling.Se la nuova legge punta a vietare (giustamente) poligamia, matrimoni forzati, rilascio di certificati di verginità, attraverso un articolo inserito del tutto strumentalmente, il 21 (da qui il lancio dell'hashtag #2021sansarticle21), il popolo francese rischia seriamente di perdere l'ennesima sua libertà costituzionalmente garantita: quella relativa alla scelta educativa per i propri figli. Il testo definitivo sarà promulgato dal Presidente della Repubblica entro 15 giorni dal voto in Parlamento, se non interverrà a dichiararlo incostituzionale il Consiglio costituzionale.Senza irrituali stop, quindi, l'abolizione del sistema dichiarativo di educazione familiare (IEF, Instruction En Famille) verrà sostituito da un sistema di autorizzazione preventiva, subordinata a condizioni tanto rigorose quanto soggettive, privando di fatto 62.398 bambini (cifra più che triplicata rispetto soltanto all'anno scolastico 2010-2011) di una modalità di insegnamento perfettamente legale e regolarmente monitorata dai servizi dello Stato.IL VOTO AL BUIO DEI DEPUTATIIn un duro e dettagliato comunicato stampa, la Fondation pour l'école (dal 2008 fondazione riconosciuta di pubblica utilità), oltre ad informare di aver già presentato una memoria scritta presso il Consiglio costituzionale al fine di chiedere l'annullamento della legge, ha ricordato che il voto del 23 luglio è stato ottenuto in spregio di «numerosi avvertimenti e obiezioni delle nostre istituzioni». Nel Comunicato si legge che «un primo parere del Consiglio di Stato su questa legge, modificato all'ultimo minuto su pressione del governo, era nettamente contrario all'abolizione dell'IEF». In effetti anche Le Figaro, il più longevo quotidiano francese, aveva esplicitamente parlato di un Consiglio di Stato che «ha dichiarato la sua incostituzionalità... prima di ritrarre», di «una versione definitiva che è stata sostanzialmente modificata», e di «un'inversione a U che interroga i difensori dell'homeschooling».La Fondation pour l'école ricorda anche che «la Commissione Consultiva Nazionale per i Diritti Umani (CNCDH) [...] ha espresso parere sfavorevole [...] al disegno di legge», e che lo studio sull'impatto del provvedimento presentato dal Governo «non ha fornito dati che dimostrino i massicci abusi separatisti che sarebbero derivati dall'IEF». L'ultimo avvertimento completamente disatteso dalle autorità riguarda il fatto che «la Direzione Generale dell'Istruzione Scolastica (DGESCO) ha rifiutato di rendere pubbliche e di comunicare all'Assemblea due relazioni emanate sull'argomento, costringendo così i deputati a votare "al buio"». La mancanza di trasparenza appare incontestabile.Il comunicato stampa della Fondation pour l'école si chiude con un sarcasmo amaro: «Così, l'Assemblea nazionale avrà disprezzato tutti i pareri espressi dalle varie istituzioni repubblicane... in nome del rispetto dei principi della Repubblica: l'ironia della situazione non sfugge a nessuno».Anne Caffinier, presidente dell'associazione Créer son école, aveva ampiamento previsto l'inasprimento in atto, e già a metà febbraio (all'atto della votazione in prima lettura del disegno di legge contro il "separatismo", comprensivo dell'articolo che ha dato luogo al dibattito più acceso, quello sull'homeschooling) aveva descritto perfettamente quanto è poi avvenuto venerdì 23 luglio nel parlamento parigino: «Passeremo da un regime di libertà controllata a un regime di divieto basato su deroghe in cui sarà necessario giustificarsi costantemente. È un regresso». All'intervistatore che le ricordava di come il governo prevedesse un regime di transizione fino all'anno scolastico 2024, svelando la strumentalità del provvedimento Anne Caffinier così rispondeva: «Ciò dimostra che lo Stato non è a suo agio con quello che sta facendo. Il governo ha preferito riaccendere la guerra della scuola piuttosto che fare una guerra all'islamismo. La vicenda Samuel Paty non si è svolta in casa o in una scuola fuori contratto».LA SCUOLA È LA NUOVA CHIESAIn realtà è anche indicativo il fatto che nessun Ispettore che monitora l'attività delle famiglie dell'IEF sia stato sentito dal Parlamento, specie se - dato di pubblico dominio ma evidentemente non funzionale - oltre il 97 per cento delle loro relazioni annuali abbia sempre dato esiti positivi. Va anche segnalato come dall'annuncio del disegno di legge, famiglie e bambini dell'Instruction En Famille siano stati sottoposti ad un linciaggio gratuito (e inaudito) da parte dell'esecutivo, con il ministro dell'Interno Gérald Darmani che ha descritto i bambini come «piccoli fantasmi della Repubblica», e il ministro dell'Educazione, Jean-Michel Blanquer, che addirittura li ha chiamati «selvaggi» (qui è possibile leggere la bella e tonica testimonianza di Adeline Facy e Romain Sardy, genitori di due... "bambini selvaggi").Per comprendere quanto siano da prendere seriamente le preoccupazioni delle associazioni educative e scolastiche francesi basterebbe andare a rileggere le dichiarazioni di Vincent Peillon, ministro del governo socialista di Francois Hollande, voglioso di fondare una nuova «religione repubblicana» all'insegna di quella "Carta della laicità" che già nel 2013 fece affiggere in tutte le scuole della République. Preparando la strada, Vincent Peillon - con cui l'attuale ministro dell'Educazione Jean-Michel Blanquer è in perfetta continuità - affermò solennemente: «La scuola gioca un ruolo fondamentale, perché la scuola deve strappare il bambino da tutti i suoi legami pre-repubblicani per insegnargli a diventare un cittadino. È come una nuova nascita, una transustanziazione che opera nella scuola e per la scuola, la nuova chiesa con i suoi nuovi ministri, la sua nuova liturgia e le sue nuove tavole della legge». "Strappando" alle famiglie il diritto all'educazione scolastica, la legge anti-separatismo votata dal Parlamento francese fa perfettamente suo il "testamento Peillon-Hollande".
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6543LE MASCHERINE FANNO MALE ALLA SALUTE di Luca MarcolivioSono stati poco più di un migliaio in tutta Italia, i genitori che hanno firmato petizioni per la limitazione dell'uso delle mascherine a scuola. Dalle loro sottoscrizioni si è arrivati ai ricorsi al TAR e, successivamente, al Consiglio di Stato, accolti dai tribunali amministrativi ma non adempiuti dal governo.Al di là degli esiti strettamente giudiziari, questa vicenda desta interesse per i suoi numeri e per il modo in cui è stata recepita tra le famiglie e negli ambienti scolastici. Un migliaio di genitori in tutto il Paese è una percentuale davvero irrisoria in rapporto alla popolazione. A conferma di quanto, in tempo di Covid, dissentire sulle decisioni governative o ministeriali sia diventato un vero e proprio atto di coraggio. Ora che quasi tutte le scuole italiane sono in DAD, la situazione rimane comunque aperta, è costantemente in divenire e, se la si osserva alla lente d'ingrandimento, i risvolti sono particolarmente interessanti.Le motivazioni che hanno spinto questi genitori a raccogliere firme o a ricorrere alle vie legali sono molteplici ma, di fondo, la ragione prevalente è proprio la salute dei propri figli. Anche le dirigenze scolastiche affermano di avere a cuore la salute dei propri alunni ma, a quanto pare, i metodi e le conclusioni sono diametralmente opposte. I commenti raccolti dalla Nuova Bussola Quotidiana provengono tutti da Venezia e Provincia, il territorio da cui è partita una delle petizioni più partecipate per la rimozione dell'obbligo a determinate condizioni.ESPERIENZE NEGATIVES.T., madre di una bambina di otto anni, iscritta alla seconda elementare, racconta di come, nella scuola di sua figlia, gli alunni siano costantemente indotti a tenere le mascherine rigorosamente strette al viso e, in particolare, "sul naso" per tutto il tempo quotidiano di permanenza a scuola, quindi fino a nove ore. Inoltre, il dirigente scolastico ha vietato l'uso delle mascherine di stoffa, che pure è consentito dai DPCM e, adesso, dall'ultimo decreto legge.Molti bambini tornavano a casa "con la faccia arrossata e irritata". S.T. aveva dotato la figlia di saturimetro e la bambina, a cavallo delle vacanze di Natale, aveva iniziato a misurarsi la saturazione da sé poco prima della ricreazione e della pausa pranzo, registrando valori particolarmente bassi: 94, 91 e 90. "La cosa che più mi irritava era quella saturazione del sangue e il fatto che mi figlia tornasse spesso a casa col mal di testa e la voce rauca".Una ragione in più per sostenere il ricorso dell'avvocato Antonella Stefani. All'indomani della sentenza del 19 febbraio (favorevole ai ricorrenti), "il dirigente scolastico ha mandato una mail a tutti i genitori, continuando a imporre le mascherine chirurgiche o FFP2 e rifiutando i certificati medici per l'esenzione dalla mascherina: anche gli alunni con patologie incompatibili con la mascherina saranno costretti quindi ad usarla. Una cosa gravissima - commenta la signora T. - tanto più che non si tiene conto dei pareri del CTS e dei DPCM. A questo punto il dirigente scolastico deve prendersi ogni responsabilità di quanto può accadere agli studenti".G.M., anche lei madre di un bambino di otto anni, si domanda: "Al ristorante, in un locale pieno di gente estranea, posso stare a tavola senza mascherina. A scuola, i bambini diventano quasi un nucleo familiare, passano insieme 8-9 ore al giorno e non possono stare senza?". La signora M. osserva anche che, per un bambino, "è troppo spontaneo mettersi le mani sul viso, anche se sono sporche": questo vanifica l'uso della mascherina. Poi c'è il discorso della mimica facciale: "Quando la maestra ti riprende ma lo fa con un sorriso, puoi vedere che non è arrabbiata…. Ma se il bambino vede solo una maschera?". Nella scuola del figlio di G.M., la mascherina viene fatta usare anche durante l'ora di educazione fisica. "Ne ho parlato col preside, per tutti i dirigenti scolastici il DPCM è difficile da interpretare e, alla fine, optano per l'uso indiscriminato e continuo della mascherina".INFLESSIBILITÀ E SCARSA COMPRENSIONE DA PARTE DEGLI INSEGNANTIL'atteggiamento generale degli insegnanti sulle norme igienico-sanitarie è quindi di inflessibilità e scarsa comprensione e, quasi sempre, i genitori li spalleggiano o li assecondano. Non tutti però. È sempre la signora M. ad affermare: "Questi bambini non possono più abbracciarsi, né scambiarsi materiale, né avere un compagno di banco. Hanno persino tolto loro il pallone perché ritenuto ‘veicolo di contagio'".Non necessariamente tutti i genitori ricorrenti o ‘dissidenti' hanno figli con particolari disagi rispetto ai dispositivi di protezione. N., padre di una bambina in seconda elementare è contrario alla mascherina per principio. "Trovo sia un travaglio per i bambini - dice -. E comunque è una pura decisione politica, non avallata dal CTS che con sentenza del TAR ha consentito il non uso della mascherina con garanzia di distanziamento dei banchi. L'idea che mia figlia stia otto ore di seguito imbavagliata mi terrorizza. Le maestre dicono: ‘i bambini sono bravi, rispettano le regole, si adattano'. Per me il fatto stesso che si adattino è una violenza. Respirare otto ore la propria anidride carbonica è nocivo e non è naturale".Anche nella scuola della figlia di N. era stata inizialmente imposta l'educazione fisica con la mascherina. "Abbiamo fatto notare al preside che la circolare del MIUR permette di fare ginnastica a scuola senza mascherina, mantenendo due metri di distanza. Lui ci ha risposto che, essendo difficile mantenere la distanza, l'avrebbero dovuta tenere. Gli abbiamo fatto notare che lo spazio a scuola non mancava, allora si è adeguato". E i genitori? "Ho chiesto a una mamma: ‘Ma tu fai ginnastica con la mascherina'. E lei mi ha risposto: ‘No, ma i miei figli non riescono a mantenere la distanza'. Se un genitore la mette su questo piano, è inutile stare a discutere…", dice N.Che presidi e insegnanti siano "più realisti del re", lo confermano anche altri genitori. "I bambini non la possono abbassare mai, solo per mangiare e bere, nemmeno durante le interrogazioni seppur distanziati - racconta la madre di una bambina in quarta elementare -. Credo che gli insegnanti, chiamati inevitabilmente a fare gli esecutori, e in alcuni casi impauriti dal virus, perdano a volte il buon senso. Questi bambini soffrono non solo per la mancanza d'aria ma anche per la mancata socializzazione dovuta al distanziamento. Non solo la salute fisica ma anche quella mentale è un bene irrinunciabile dell'individuo, e dovremmo tenerlo tutti bene a mente".Se alle elementari si piange, alla materna non si ride. Sotto i 6 anni, la mascherina non è obbligatoria, in compenso, vi è molta fiscalità sull'igienizzazione delle mani. C.G. ha due bambini di 3 e 4 anni, uno dei quali si è preso la dermatite da contatto. "A casa venivano con le mani piene di tagli - racconta la madre -. I protocolli, però, costringevano a disinfettarli perché ‘c'è il Covid'. Alla fine, ho dovuto prendere in farmacia, a mie spese, un sapone specifico ad uso personale al posto del gel e ho parzialmente risolto: i bambini ora hanno le mani secchissime per i continui lavaggi ma almeno non hanno più tagli".
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6511ABOLITO IL VOTO ''INSUFFICIENTE'' PER NON TRAUMATIZZARE I BAMBINI DELLE ELEMENTARIL'ultima genialata della Azzolina: sostituire ottimo, buono, sufficiente e insufficiente con avanzato, intermedio, base e... in via di prima acquisizionedi Rodolfo CasadeiPeriodicamente la scuola italiana rivoluziona le modalità di giudizio sul rendimento degli studenti, e puntualmente le reazioni vanno dal perplesso all'indignato. Adesso è la volta delle scuole elementari, dove per disposizioni prese quando ministro dell'Istruzione era Lucia Azzolina ai voti numerici in pagella e ai tradizionali giudizi ("ottimo", "buono", "insufficiente", ecc.) nelle verifiche e nelle interrogazioni è stata sostituita una nuova nomenclatura dei livelli di apprendimento che suona così: "avanzato", "intermedio", "base", "in via di prima acquisizione". Quest'ultima espressione è l'oscuro ma anche esilarante eufemismo che permette di evitare l'inequivocabile "insufficiente", considerato evidentemente troppo stigmatizzante.Perché da anni ministri dell'Istruzione e mondo della scuola si arrovellano attorno ai sistemi di valutazione, con esiti che diventano puntualmente oggetto di pesanti critiche e di polemiche? I voti numerici pare che li abbia inventati e introdotti Napoleone Bonaparte, e hanno tenuto botta grosso modo fino al Sessantotto, anche se non andavano più da 0 a 20 come aveva stabilito il condottiero còrso ma da 0 a 10. Poi ha preso il sopravvento la riflessione secondo la quale i numeri danno un'idea sbagliata, puramente quantitativa, del processo dell'apprendimento e della sua natura relazionale, di rapporto fra l'insegnante e lo studente. Sono stati introdotti, pur con discontinuità e con molti ripensamenti, i giudizi aggettivati: "ottimo", "distinto", ecc. Dopodiché qualcuno ha pensato che anche questi rischiavano di essere diseducativi, perché potevano essere intesi come giudizi sulla persona e non sulle sue performance scolastiche. Da qui nascono i ragionamenti che hanno portato alla formulazione delle nuove modalità di valutazione: se uso termini come "avanzato", "base", "in via di acquisizione", è inequivocabile che mi sto riferendo al processo di apprendimento e non a qualità e difetti della persona, che la farebbero sentire giudicata. Non sto reificando (voto), non sto stigmatizzando (giudizio aggettivale) nessuno: sto descrivendo i risultati dello sforzo che insegnante e studente stanno compiendo (o non compiendo) in vista dell'apprendimento.IL VOTO E LA NOSTRA IDENTITÀMa siamo sicuri che questa separazione radicale fra la persona e le sue azioni sia educativa, sia benefica per la persona, in particolare trattandosi delle persone di bambini delle scuole elementari? Per rispondere basta andare con la mente alla nostra personale esperienza scolastica, al modo in cui ci rapportavamo alla questione del giudizio o del voto quando avevamo 6-10 anni. Era un misto di apprensione e di desiderio. Desiderio spasmodico del bel voto, apprensione per il timore che non arrivasse. Perché ci andava di mezzo la nostra persona: volevamo essere riconosciuti, affermati, desiderati, amati dall'Altro che erano il maestro, la mamma, il babbo, e il conseguimento del successo scolastico era la prestazione che ci permetteva di ottenerlo, perché era la conferma, ai nostri e ai loro occhi, del nostro valore. La controprova di questo l'abbiamo avuta alle scuole superiori, dove qualche voto o giudizio negativo inevitabilmente prima o poi ci scappavano: il dispiacere che provavamo non aveva niente a che fare col timore di non essere accettati/amati dai genitori - questa paura infantile negli anni dell'adolescenza non c'è più -, ma con la ferita al nostro amor proprio. A essere messa in discussione da un 4 in greco o in matematica era la nostra identità, che è sempre rapporto con noi stessi e con gli altri. L'insuccesso scolastico modificava in peggio lo sguardo che noi avevamo su noi stessi e che gli altri avevano su di noi. In un caso come nell'altro, il voto/giudizio scolastico non era separabile dalla nostra persona. In un caso come nell'altro, eravamo noi i primi a pensare che il voto/giudizio non poteva non essere anche un giudizio sulla nostra persona.Tutto ciò - che nessuno può negare che corrisponda al suo vissuto - non smentisce la bontà dell'approccio che vuole evitare l'identificazione del giudizio sul rendimento scolastico col giudizio sulla persona come tale dello studente. L'essere umano è sempre più delle sue azioni: il peccatore non coincide col suo peccato, il carcerato non può essere ridotto al crimine commesso, chi fa uno sbaglio non è tutt'uno col suo errore. In tutti i sensi possibili dell'espressione, l'uomo - come scriveva Pascal - supera infinitamente l'uomo. Ma ognuno di noi è anche le sue azioni, e noi siamo i primi a saperlo: non si giustificherebbero la fierezza o la vergogna con cui ripensiamo a cose che abbiamo fatto nel corso della nostra vita. Perché se non integrassimo le nostre azioni a noi stessi, non sapremmo più chi siamo: non avremmo più un'identità. Come scrive lo psicanalista Mario Binasco, «la nostra identità non è solo qualcosa che precede e fonda il nostro agire, ma soprattutto è ciò che risulterà dal nostro agire; gli atti che compiamo non sono una semplice esplicazione o conseguenza della nostra identità, cioè di chi siamo, ma sono un modo drammatico in cui noi andiamo incontro a ciò che siamo, correndo il rischio di non riconoscerci, o almeno di non compiacerci, in ciò che incontriamo di noi stessi».AL VOTO NUMERICO SI SOSTITUISCE L'ANONIMATO PROTOCOLLAREGiudizi scolastici modellati esclusivamente sull'andamento dei processi di apprendimento in un modo così radicale che lo studente - in questo caso un bambino delle elementari - non possa riconoscervi l'implicazione della sua persona, rischiano di fare più male che bene. Rischiano di creare nel bambino l'impressione che all'insegnante e ai genitori (che accettano il sistema) importi poco di lui, che a loro non interessi creare un legame con lui, riconoscere la sua unicità, personalizzare il rapporto. Alla riduzione quantitativistica del rapporto di cui era accusato il voto numerico si sostituisce l'anonimato protocollare. "Intermedio" significa che il tuo livello di competenze è stato certificato così: «L'alunno porta a termine compiti in situazioni note in modo autonomo e continuo; risolve compiti in situazioni non note utilizzando le risorse fornite dal docente o reperite altrove, anche se in modo discontinuo e non del tutto autonomo». Sicuro che questa spersonalizzazione del rapporto, rafforzata dal taglio burocratico del linguaggio, non sia peggio di un giudizio che va da "ottimo" a "insufficiente" e che inevitabilmente coinvolgerà sempre insieme il soggetto e il suo operato, cioè la persona dello studente e il suo rendimento?Apparentemente sembra un dilemma senza vie d'uscita, ma non è così. La stima reciproca fra alunno e maestro, fra studente e professoressa si costruisce nel corso dell'anno scolastico. Se avverto su di me lo sguardo costantemente valorizzante di un adulto, non mi sentirò castrato da un brutto voto o da un giudizio di insufficienza, se me li sono meritati. Sarà il campanello di allarme che mi avverte che devo cambiare qualcosa nel mio modo di studiare. Sarà la prova che gli adulti mi considerano abbastanza forte da portare il peso di una frustrazione. E abbastanza maturo da potermi paragonarmi con la realtà così com'è. Titolo originale: Che cosa ci stiamo perdendo con i nuovi giudizi in pagellaFonte: Tempi, 3 marzo 2021Pubblicato su BastaBugie n. 708
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6497FARE SCUOLA AI PROPRI FIGLI E' BELLO E POSSIBILEMichele ed Elena: ''La classe dei nostri sei figli è casa nostra e gli insegnanti siamo noi'' (VIDEO: Fare scuola ai figli)di Laura BadaracchiIn tempo di Covid-19, con le scuole spesso chiuse a motivo delle restrizioni imposte dal lockdown e la didattica a distanza che ha innescato non poche difficoltà, è aumentato il numero di genitori che hanno interpellato famiglie ormai navigate in homeschooling per chiedere informazioni: «Da marzo a oggi ho ricevuto più di un migliaio di mail, oltre alle videochiamate in cui mamme e papà mi chiedevano consigli», sintetizza Elena Tinti, 34 anni, sposata dal 2010 con Michele e madre di sei figli da 1 a 9 anni, in attesa del settimo che verrà alla luce a fine agosto; vivono in provincia di Bologna e si raccontano nel blog Imparoinfamiglia.it, «aperto proprio per dare una testimonianza come credenti sulla nostra scelta di educazione parentale», spiega Elena.«Ci siamo conosciuti durante un pellegrinaggio a Medjugorie - ricorda Michele, 31 anni, docente in vari Centri di formazione professionale -. Dopo il matrimonio, quando il nostro primogenito Gregorio aveva quattro mesi, Elena ha deciso di lasciare il suo lavoro di infermiera per dedicarsi a tempo pieno alla nostra famiglia. Di comune accordo abbiamo deciso, non senza fatiche, di rinunciare a uno stipendio. Ci siamo chiesti cosa significava educare e il nostro percorso di crescita, personale e di coppia, ci ha portato piano piano a optare per l'educazione parentale: non è solo una scelta educativa, ma uno stile di vita, la risposta adeguata a come vogliamo vivere e far crescere noi e i nostri figli. Prendendoci insieme la piena responsabilità della loro istruzione, educazione e crescita. Non perché io sia il migliore in questi ambiti, anzi sono certo che moltissimi professori, educatori e genitori siano molto più bravi. Ma chi più di me o di mia moglie può metterci cuore, tempo e dedizione nell'aiutare i nostri figli a crescere, imparando con loro?».LA FAMIGLIA MERLITutto è cominciato con Gregorio, che ha compiuto 9 anni, mentre la piccola Anna ha poco più di un anno. In mezzo ci sono Benedetta di 8 anni, Maria Marta di 6, Massimo ed Emanuele, gemelli di 3. Imparano in un ambiente pieno di stimoli, a seconda della loro età; seguiamo i programmi ministeriali e al tempo stesso assecondiamo le loro passioni e le loro curiosità, che spaziano dalla musica alla matematica, dalla lettura all'inglese.Mio marito e io siamo entrambi laureati, lui in ingegneria dell'automazione e io in infermieristica, ma spesso siamo "costretti" a riprendere in mano contenuti in cui ci scopriamo un po' arrugginiti: una continua sfida e un perenne apprendimento anche per noi», ammette Elena.La scelta della sua famiglia è condivisa da migliaia di altre e le adesioni sono in aumento, anche se i dati del Ministero dell'istruzione sulla homeschooling sono aggiornati all'anno scolastico 2018-2019: allora ne usufruivano 5.126 minori, mentre quattro anni prima erano 945. Quindi la tendenza al rialzo risulta evidente, anche se nel nostro Paese siamo ancora lontani dalle adesioni in Canada (70 mila ragazzi), Inghilterra (circa 80 mila) e Stati Uniti (oltre 2 milioni).Al di là dei numeri, quello che ha mosso Elena e Michele è il bisogno di superare «il modello premi-punizioni o promozione-bocciatura, l'associare l'errore alla persona con i voti, la rigidità degli orari. Tra delle lezioni, rientri, compiti, il tempo per la famiglia è troppo poco per conoscersi, ascoltarsi, raccontare chi siamo, cosa ci piace. Per imparare a volersi bene ci vuole tempo e la scuola ne ruba sempre troppo. Lottiamo invece affinché il tempo insieme sia tanto e di qualità, lungo e lento: serve ai bambini più piccoli ma anche ai più grandi, molte ricerche ce lo hanno confermato - afferma Michele -. Le nostre giornate non sono piene di attività, sport e varie ma sono ricche di tempo, di cui possiamo decidere il ritmo e le occupazioni: s'impara a ogni ora e ogni giorno, estate compresa. Pensiamo che l'apprendimento debba essere libero e rispettoso dell'individualità di ognuno: invece ormai al centro della scuola ci sono i programmi, i dirigenti, gli insegnanti, i sindacati e, forse per ultimi, i bambini».LA PEDAGOGIA DI DON BOSCO«Vogliamo invece crescere i nostri figli coerentemente ai valori che vivono in casa: rispetto, vicinanza, correttezza, bellezza, cura, fede. La pedagogia di san Giovanni Bosco ci aiuta molto», racconta Elena. Il metodo educativo ideato dal santo piemontese, infatti, si chiama «sistema preventivo e sviluppa tutta la persona: corpo, cuore, mente e spirito, mettendo il bambino al centro, creando un clima di incoraggiamento e fiducia. Per lui l'educatore è chiamato a essere una presenza costante e a camminare con i ragazzi verso la santità, proprio nello spirito di famiglia, senza trascurare il gioco e lo svago oltre alla formazione». Da don Bosco la coppia ha mutuato tre massime: «Ragione, per insegnare a pensare con la loro testa, senza i paraocchi imposti dalla cultura dominante; religione, per imparare a orientare a Dio ogni nostro desiderio e azione; amorevolezza, per compiere ogni azione in una logica di amore e dono di sé, esercitando le virtù della prudenza, giustizia, fortezza e temperanza».Così i figli di questa coppia di sposi bolognesi imparano «nella semplicità della giornata: uno dei gemelli, per esempio, anche se ha poco più di 3 anni è stimolato a leggere ascoltando i fratelli; Gregorio è appassionato di circuiti elettrici e ha studiato quello della nostra casa. E tutti sono "esposti" alla musica perché il babbo è anche musicista e insegna loro l'inglese. Vivono in un ambiente pieno di stimoli adeguati alla loro età, che suscitano la loro curiosità: così gli obiettivi didattici sono più facili da raggiungere, si appassionano. Ma la cosa più difficile, la vera fatica, è crescere persone all'altezza delle gioie e avversità, capaci di stare in questo mondo e affrontare quello che viene. Ragazzi consapevoli di chi sono, che hanno desideri e sanno come raggiungerli». [...]In questo itinerario esistenziale, affascinante e impervio, i figli chiedono ai genitori di pregare con loro; insieme, la scorsa estate, hanno macinato a piedi in 16 giorni circa 230 chilometri del Cammino di Santiago, per celebrare i primi dieci anni di matrimonio. «Nel percorso che vogliamo compiere con i nostri figli al centro c'è Dio e tutti camminiamo nella crescita di un rapporto con Lui, che è la meta, il vero obiettivo - conclude Michele -. Vogliamo imparare ad amarlo, onorarlo, servirlo: tutto il resto gira attorno a questo, che sia una gita al mare o scoprire le addizioni».Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 6 minuti) dal titolo "Il vero problema di chi fa HomeSchooling" Michele smonta tutte le presunte difficoltà nel fare scuola ai figli, dimostrando invece come sia vincente la scelta di non mandare a scuola i figli.http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6236 Titolo originale: La classe dei nostri sei figli? Tra la cucina e il salottoFonte: Noi famiglia & vita, febbraio 2021Pubblicato su BastaBugie n. 706
TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6467DON MILANI E MONTESSORI? MEGLIO DON BOSCO!Il metodo educativo di don Bosco era fondato su ragione, religione e amorevolezza (ben diverso il pensiero massonico e femminista della Montessori o quello sessantottino e socio-politico di Don Milani)di Cristina SiccardiIl 31 di gennaio è stata la ricorrenza di san Giovanni Bosco (1815-1888), occasione per riflettere, in questi malaugurati tempi di trascuratezza, per usare un eufemismo, sull’educazione della gioventù e per comprendere il peso della pedagogia negativa, sempre più distante dai valori fondativi di una formazione equilibrata e stabile delle creature umane. La vincente e salutare pedagogia preventiva di don Bosco, fondata su tre colonne, Ragione, Religione e Amorevolezza, è stata sostituita, perlopiù, dai sistemi rivoluzionari inaugurati da Maria Montessori (1870-1952) da un lato e da don Lorenzo Milani (1923-1967) dall’altro, la cui amalgama si è trasformata in una caotica e deleteria cultura della diseducazione, priva dei connotati autorevoli della sana gerarchia dei ruoli: il maestro zelante (non l’amico) e l’allievo (fatto di anima e di corpo).Il Metodo preventivo della vincente pedagogia di don Bosco era fondato su tre colonne: la Ragione, la Religione, l’Amorevolezza. La Ragione era basata sul diritto naturale e sul diritto divino e, dunque, ricca di buon senso, di armonia e di ferma consapevolezza del creato e della sfera trascendente. La Religione era Cattolica, unita, quindi, alle verità evangeliche, trasmesse da Santa Madre Chiesa, senza contaminazioni ateiste, liberali, massoniche, socialiste, relativiste... L’Amorevolezza che il fondatore dei Salesiani esigeva per i suoi educatori era determinante per capire al meglio l’alunno, quanto quest’ultimo, come persona fatta di anima e di corpo, fosse importante per Dio e, dunque, per la missione educativa dell’insegnante.IL SISTEMA PREVENTIVO DI SAN GIOVANNI BOSCOSan Giovanni Bosco desiderava il bene totale dei suoi ragazzi, destinati alla Salvezza eterna grazie al Sacrificio in Croce di Nostro Signore Gesù e per questo li voleva liberare dai peccati. Non c’era competizione con il mondo, né lotta di classe nella metodologia preventiva, che, dunque, non provocava stati di odio, invidie, rancori, ma soltanto solida preparazione spirituale e istruttiva per permettere ai giovani di diventare «buoni cristiani e buoni cittadini» - sintesi mirabile dell’essere persona, rispettata e stimata - qualsiasi mestiere avrebbero poi esercitato.La gioventù, emigrata nell’Ottocento dalle campagne in cerca di fortuna a Torino, era per la maggior parte in balia della strada e della delinquenza, fu così che il sacerdote piemontese ne salvò a migliaia e migliaia, presentando loro la Via, la Verità, la Vita di Cristo; preparandoli a vivere nel mondo istruiti e professionalmente competenti; consegnando loro le armi della preghiera e dei sacramenti. La moltitudine dei suoi figli, sia sacerdoti che laici, diedero così nel mondo intero la possibilità di costruire, generazione dopo generazione, innumerevoli famiglie cattoliche.Scrisse l’autore ne Il Sistema Preventivo nell’educazione dei giovani, testo fondamentale per gli educatori salesiani, pubblicato per la prima volta nell’agosto 1877: «Esso [il Sistema preventivo] consiste nel far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un Istituto e poi sorvegliare in guisa che gli allievi abbiano sempre sopra di loro l’occhio vigile del Direttore o degli assistenti, che come padri amorosi parlino, servano di guida ad ogni evento, diano consigli e amorevolmente correggano, che è quanto dire: mettere gli allievi nella impossibilità di commettere mancanze [...]. Il sistema Preventivo rende avvisato l’allievo in modo che l’educatore potrà parlare con il linguaggio del cuore sia in tempo dell’educazione, sia dopo di essa. L’educatore, guadagnato il cuore del suo protetto, potrà esercitare sopra di lui un grande impero, avvisarlo, consigliarlo, e anche correggerlo allora eziandio che si troverà negli impieghi, negli uffici civili e nel commercio».IL PESSIMO METODO MONTESSORI E DON LORENZO MILANIBen diverso il pensiero massonico, laico e femminista della Montessori, che percepisce l’educazione come libera spontaneità del bambino, concepito come un agente dell’evoluzione cosmica dell’umanità, non come fragile creatura di Dio, limitata dopo il peccato originale e, dunque, sempre in lotta, dentro e fuori di sé, fra ciò che è bene e ciò che è male. La pedagogia montessoriana si prefigge di stimolare l’energia del minore, considerata particella del fuoco della vita universale, idee acquisite quando aderì al femminismo e all’esoterismo della Theosophical Society, fondata da Helena Blavatsky (1831-1891), filosofa, teosofa, saggista occultista e medium russa, naturalizzata statunitense, e dal colonnello Henry Steel Olcott (1832-1907).Don Lorenzo Milani, che si può ascrivere a buon diritto nell’alveo della teologia della liberazione, forgiò una pedagogia di carattere squisitamente socio-politico. Le sue polemiche inerenti alla lotta classe, di marxiana impostazione, diedero vita ad un sistema incentrato sulla cosiddetta «presa di coscienza» da parte dei ragazzi della loro disagiata condizione proletaria. I suoi giovani dovevano vivere a scuola 365 giorni all’anno: erano bandite le ricreazioni (tanto care a don Bosco e tanto proficue per la proverbiale gioia dei suoi ragazzi) e persino l’attività fisica perché non dovevano distarsi dalle attività intellettive, le uniche a poterli salvare dalla loro vessata condizione. E dalle aule, dove si indottrinavano le fresche menti, si parlava in circolo ed erano assolutamente prive di immagini sacre, perché la fede era una questione di «cuore», come per l’abate Ferrante Aporti (1791-1858), falsamente proclamato fondatore degli asili in Italia mentre in realtà fu il cattolico Marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo (1782-1838).UMILIAZIONI PUBBLICHEDon Milani era disposto, come provano le testimonianze, ad umiliare pubblicamente coloro che non pensavano esclusivamente a formarsi per poter competere con le forze del potere. Gli studenti non erano da Milani considerati degli scolari, bensì dei pari agli altri e, dunque, dovevano confrontarsi con gli intellettuali. Non a caso la concezione milaniana verrà presa a modello dal pensiero sessantottino: ogni settimana il prete classista invitava a tenere conferenze oratori come i magistrati Gian Paolo Meucci e Marco Ramat, il direttore del Giornale del mattino Ettore Bernabei, lo storico Gaetano Arfé. Era necessaria, perciò, un’educazione finalizzata a trasmettere gli strumenti per sovvertire il modello dei valori tradizionali in vista di un’emancipazione incisiva nella società italiana in sviluppo. Il suo libro Esperienze Pastorali, inizialmente dotato dell’imprimatur ecclesiastico, fu oggetto di un decreto del Sant’Uffizio del 1958 contenente la proibizione di stampa e di diffusione, direttive che decaddero solo nel 2014. Il testo, spalleggiato all’epoca da Giorgio La Pira (1904-1977) e da don Primo Mazzolari (1890-1959), venne con decisione contrastato da La Civiltà Cattolica (20 settembre 1958), dove il gesuita Angelo Perego commentò in termini negativi l’opera, ritenuta carica di ossessioni e di contraddizioni.Le testate giornalistiche laiche di quel tempo vedevano di buon occhio le proposte di don Milani e ne presero a parlare in lungo e largo sulle loro colonne. Don Milani [...] disseminava malessere e turbamenti, senza contare che ebbe deleteri rapporti con i suoi studenti (lui stesso denunciò di provare attrazione fisica nei loro confronti) e scrisse di aver tolto la pace, di aver portato contrasti, dissapori e «zizzania». Il maestro della famosa scuola di Barbiana, che divenne punto di riferimento della Rivoluzione culturale sessantottina, nemica di tutto ciò che era tradizione, delle gerarchie, dei doveri di stato, dei valori cattolici, e che abbracciò mortalmente la libertà di impronta illuminista, rivoluzionaria e secolarizzatrice, è totalmente all’opposto di ciò che beneficamente ha rappresentato, in ogni continente, il santo missionario e mistico Giovanni Bosco, protetto di Maria Ausiliatrice, per la quale fece erigere il magnifico Santuario di Valdocco. Nota di BastaBugie: nei seguenti articoli si possono approfondire gli errori educativi di Don Lorenzo Milani e quelli di Maria Montessori.DON LORENZO MILANI, UN CATTIVO MAESTROIl parroco della Barbiana ha contribuito alla devastazione della scuola italiana (che non premia i meriti, toglie autorevolezza al docente, non prepara alla vita, non educa, anzi devasta i ragazzi)di Marcello Venezianihttp://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4294IL METODO MONTESSORI E' DISEDUCATIVO PERCHE' NEGA IL PRINCIPIO DI AUTORITA'Nata 150 anni fa, Maria Montessori nega il peccato originale e quindi basa il suo metodo educativo sulla spontaneità (il successo è dovuto al fatto che si adatta perfettamente a pacifismo, ambientalismo, gender, ecc.)di Vincenzo Sansonettihttp://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6271LA FICTION DI PAOLA CORTELLESI SULLA MONTESSORI DIMENTICA DI DIRE CHE APPOGGIAVA L'EUGENETICA, LA MASSONERIA E L'ESOTERISMOLo sceneggiato in due puntate fa della pedagogista un ritratto da eroina, ma la realtà è molto diversadi Rino Cammillerihttp://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5594DON BOSCO E LA PEDAGOGIA PREVENTIVANell'educazione dei ragazzi san Giovanni Bosco mirava a prevenire gli errori del comportamento piuttosto che a curarli dopo che questi si fossero manifestatida I Tre Sentierihttp://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6008 Titolo originale: Il metodo educativo di don Bosco e quello di don MilaniFonte: Corrispondenza Romana, 3 Febbraio 2021Pubblicato su BastaBugie n. 704
loading
Comments 
Download from Google Play
Download from App Store