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Famiglia e matrimonio - BastaBugie.it

Author: BastaBugie

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Consigli utili (e verificati sul campo) su come vivere bene in famiglia
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7774LA FAMIGLIA NON PUO' ESSERE MODIFICATA DALLE LEGGI di Gianfranco AmatoLa famiglia è una creazione dell'uomo o un elemento di natura? La risposta è semplice. La famiglia non è il frutto di un sistema socio-giuridico, di un determinato contesto storico-culturale, di una moda, di una concezione filosofica o politica, né tanto meno è il frutto di una dottrina religiosa. La famiglia è un elemento oggettivo di natura che precede cronologicamente e ontologicamente qualunque istituzione umana. Per questo essa è sottratta alla disponibilità dello Stato e non può essere modificata o manipolata attraverso la funzione legislativa. Per questo si dice che la famiglia è un elemento pre-giuridico e pre-politico. Fa parte della struttura naturale dell'essere umano.La prima immagine che abbiamo di famiglia - senza aggettivi di sorta come "naturale", "tradizionale", ecc. - risale al periodo preistorico, al Neolitico superiore in particolare. Nel 2005 in Germania, vicino alla città di Eulau, gli archeologi hanno rinvenuto alcune tombe che appartenevano a quell'epoca. In una di queste tombe hanno ritrovato i resti di quattro esseri umani: un uomo, una donna e due bambini. Furono seppelliti abbracciati tra di loro. Attraverso l'analisi del Dna gli scienziati hanno scoperto che si trattava di una famiglia: madre, padre e due figli. L'immagine che è stata ricostruita di questa famiglia, oltre ad essere particolarmente commovente, ci dice una cosa importante: in quell'epoca non esisteva nessuna legge, non esisteva nessun parlamento, non esisteva lo Stato e non esisteva nessuna Chiesa, ma esisteva la famiglia, elemento naturale che precede tutte queste istituzioni.L'UOMO LASCERÀ SUO PADRE E SUA MADRELa nostra civiltà occidentale affonda le sue radici, oltre che nella preistoria, anche nella cultura giudaica, che nel Bereshit (בראשית), il primo libro della Torah, definisce la famiglia in questi termini: «L'uomo lascerà suo padre e sua madre, si unirà alla moglie e i due formeranno una sola carne».La nostra civiltà si radica anche nella cultura classica greco-romana. Aristotele, che rappresenta la massima espressione del pensiero filosofico greco, ci ha lasciato una definizione interessante: «Polis sùnkeitai ex oikiòn», ossia «La società è costituita dall'insieme delle famiglie» (Politica, I, 1253b). Non sono i singoli individui ma le famiglie a costituire la società. E Aristotele aveva ben in mente quali fossero le funzioni e le caratteristiche della oikos, intesa come famiglia. Cinque, in particolare. La prima caratteristica era quella della despotèia, ovvero dell'autorità indiscussa: la famiglia è una comunità dove i genitori comandano e i figli obbediscono. La seconda caratteristica era quella di nascere dalla sùnzeuxis gunaikòs kai andròs γυναικός καί ἀνδρός, ovvero dall'unione di un uomo e di una donna. La terza caratteristica era legata a una funzione essenziale della famiglia, ovvero la teknopoìia, la procreazione. La quarta caratteristica era connessa alla oikonomìa, in quanto la famiglia è una comunità che si amministra e si gestisce in maniera razionale: il termine economia, peraltro, deriva proprio da «οἶκος», famiglia. La quinta caratteristica risiede in un'altra funzione fondamentale, ovvero quella della «παιδεία», l'educazione: la famiglia è la prima e più importante agenzia educativa della società.IL PENSIERO GIURIDICO DEI ROMANIDopo il pensiero filosofico dei greci arriva il pensiero giuridico dei romani. Ulpiniano, uno dei più grandi giuristi dell'antica Roma, sosteneva che la famiglia si fonda sull'unico matrimonio, quello «justum», ovvero il matrimonio tra un «masculus pubes» e una «femina potens». Prima di lui il grande Cicerone aveva spiegato che la famiglia è la «prima societas», il nucleo, la cellula della società (De Officiis, I, 53-54). Essa costituisce, infatti, il fondamento della stessa società («principium urbis») e il suo vivaio («seminarium rei publicae»). Perché i romani sostenevano che la famiglia fosse un "vivaio"? Perché per essi la famiglia costituiva il primo luogo dove il cucciolo d'uomo impara a convivere con persone che non si è scelto; impara che esistono delle regole da rispettare; impara cosa significa condividere. Era una specie di filtro, di "stage" che il cucciolo d'uomo doveva affrontare prima di andare a vivere nella grande famiglia che è la società. I romani pensavano che se la natura non avesse donato questa possibilità di una sperimentazione quotidianamente della convivenza in famiglia, gli stessi uomini non avrebbero potuto vivere insieme nella società: sarebbero stati dei lupi solitari o si sarebbero scannati tra di loro. Ma poiché nella grande famiglia dove il cucciolo d'uomo andrà a vivere, cioè la società, ci sono uomini e donne, era importante per i romani che il bambino imparasse nella sua famiglia quali fossero le funzioni di questi due sessi. Ecco perché, per esempio, nonostante nell'antichità classica l'omosessualità fosse abbastanza tollerata e diffusa, nessuno si è mai sognato di parlare di matrimonio omosessuale o di famiglia tra persone dello stesso sesso. E perché non lo fecero malgrado allora ci fossero maggiori condizioni per farlo rispetto a oggi? Perché i romani avevano un senso chiaro e intelligente della laicità e sapevano distinguere tra l'aspetto privato - per cui uno a casa sua, sotto le lenzuola, può fare quello che più gli aggrada - e l'aspetto pubblico, ovvero ciò che può avere effetti negativi nella convivenza civile e nella società.Ora, se la famiglia, come abbiamo visto, è un elemento pre-giuridico e pre-politico, ossia non ha nulla a che vedere con il diritto, la legge, il parlamento, quando e perché i documenti giuridici in Europa si occupano di essa? Esiste una data e una ragione. Dopo la Seconda guerra mondiale, infatti, l'esperienza mostrò al mondo che l'unica cosa che seppe resistere e tenere insieme la società durante quello tsunami devastante fu proprio la famiglia. E il mondo comprese che, per ricostruire la stessa società dalle ceneri di quel devastante evento bellico, occorreva ripartire dalla famiglia. Per questo la Costituzione italiana del 1948, la Costituzione tedesca del 1948 e la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 riconobbero l'importanza della famiglia fino ad allora sottovalutata.LA FAMIGLIA È IL NUCLEO DELLA SOCIETÀL'art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, infatti, stabilisce che «la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto a essere protetta dalla società e dallo Stato». E la Costituzione italiana all'art. 29 usa un verbo interessante quando afferma che «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». "Riconosce" significa prendere atto di qualcosa che preesiste. L'articolo non afferma che la Repubblica istituisce la famiglia e ne disciplina le modalità di costituzione e di estinzione. Non è una creazione dello Stato.Per comprendere esattamente il significato attribuito dai costituenti all'espressione « società naturale», è sufficiente leggere il dibattito sul tema che emerge dai verbali dei lavori preparatori della stessa Costituzione. Si possono citare, ad esempio, tre significativi interventi: le dichiarazioni di voto degli onorevoli Moro, La Pira e Mortati. Il primo affermò quanto segue: «Dichiarando che la famiglia è una società naturale si intende stabilire che la famiglia ha una sua sfera di ordinamento autonomo nei confronti dello Stato, il quale, quando interviene, si trova di fronte a una realtà che non può menomare né mutare». Il secondo, La Pira, precisò che «con l'espressione società naturale si intende un ordinamento di diritto naturale che esige una costituzione e una finalità secondo il tipo della organizzazione familiare». Il terzo, Mortati, volle precisare il carattere normativo della definizione di famiglia come società naturale, dichiarando che «con essa si vuole, infatti, assegnare all'istituto familiare una sua autonomia originaria, destinata a circoscrivere i poteri del futuro legislatore in ordine alla sua regolamentazione».Poche furono le voci critiche rispetto a quella formula, e solo perché le attribuirono una portata meramente definitoria. L'on. Ruggiero, per esempio, rilevò che la Costituzione non doveva dare definizioni degli istituti, e che il progetto non ne dava alcuna, tranne che per la famiglia. Nel suo ragionamento fu interrotto dall'on. Moro, che lo fulminò con queste parole: «Non è una definizione, è una determinazione di limiti». Con quelle tre parole, espressione dell'indiscutibile intelligenza di un uomo come Aldo Moro, in maniera sintetica ed efficace fu riprodotto il pensiero della maggioranza dell'Assemblea, che volle infatti mantenere la formula «società naturale».DESTRUTTURARE LA FAMIGLIAOra si pone il tema del perché si voglia far prevalere l'idea che la famiglia non rappresenti un elemento di natura, bensì una variabile socio-culturale soggetta al cambiamento anche attraverso la funzione legislativa.Io credo - e questa rappresenta una mia convinta opinione - che oggi questa tendenza a destrutturare la famiglia ubbidisca a una precisa logica di potere.Sembra di vivere la profezia distopica del grande scrittore inglese Aldous Huxley nella sua opera Il Nuovo Mondo, che identificava proprio nell'eliminazione della famiglia e nell'abolizione delle parole "padre" e "madre" uno dei passaggi fondamentali per il raggiungimento del dominio assoluto da parte di poteri oligarchici.Del resto, la famiglia rappresenta l'ultimo, picco
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3217DIECI MOTIVI PER CUI AMO ESSERE UN MASCHIO di don Fabio Bartoli"Tu non mi capisci!" Di solito nelle liti di coppia questo è il rimprovero finale, quello che pone termine ad ogni discussione. Normalmente è la donna a dirlo all'uomo. Ed è giusto, perché l'uomo ha il compito istituzionale, assegnatogli dalla natura, di capirla.La donna accoglie senza capire, lei non ne ha bisogno, intuisce.L'uomo invece deve capire, perché deve servire. E per servire, diversamente che per accogliere, è necessario interpretare i gusti e i desideri dell'altro, prevenirli se possibile. Posso accoglierti in silenzio, ma non potrò mai servirti in silenzio. A volte parlerò con le mani anziché con la lingua, ma sempre dovrò "fare" qualcosa.Accogliere è un essere, servire è un fare, e non si può fare senza capire, pena fare male, servire male.Naturalmente il rimprovero è vero, molto spesso gli uomini non capiscono, nonostante si impegnino.Il mondo è così, siamo esseri imperfetti, fatevene una ragione. Non saremo mai all'altezza dei vostri bisogni e delle vostre aspettative, non sapremo mai servirvi così bene da soddisfare ogni vostro desiderio.Questo solo Dio può farlo.Però in realtà oggi voglio parlare di altro.Mi sarà lecito dire una volta, anche una volta sola e sia pure per celia, che anche le donne non capiscono gli uomini? E la cosa è assai più complicata dal fatto che invece spesso son convinte di capirli.Ci sono così le donne che hanno in testa l'idea che l'uomo sia un eterno bambino e lo trattano come si tratta un ragazzino (dimenticando che il modo migliore di indispettire un ragazzino è di trattarlo come tale, il bimbo vuole semmai essere trattato da adulto).Ci sono anche quelle che hanno in testa lo schema semplificato on-off, come se l'uomo si concentrasse tutto in un unico interruttore (sì, quello lì, quello del desiderio) e che una volta acceso il problema è risolto.Ci sono poi quelle che hanno paura degli uomini e che pensano che l'uomo sia sempre sotto sotto un bruto e quindi bisogna stare attenti a tenergli la briglia corta per impedirgli di scatenarsi perché sennò chissà che potrebbe fare...Credetemi, forse è vero che non siamo complicati come le donne, ma non siamo nemmeno così semplici.Non nego che ci siano i mammoni e i bruti o quelli che mettono tutta la loro maschilità nell'interruttore, ma la categoria maschile è per fortuna ben più variegata di così.Permettetemi dunque di offrirvi care amiche un brevissimo decalogo dei dieci motivi per cui amo essere maschio e mi piacerebbe che i lettori maschi del blog lo continuassero, perché non pretende affatto di essere un elenco esaustivo.Poiché credo moltissimo nella complementarietà, ça va sans dir che non c'è alcun intento di contrapposizione in questo catalogo, quindi nessuno si senta offeso vi prego, prendetelo come un contributo semiserio ad uso delle mie amiche per provare a vedere negli uomini anche qualcos'altro.AMO ESSERE MASCHIO PERCHÉ:1) Perché amo finire un lavoro e dopo averlo finito fermarmi a guardarlo e compiacermi di ciò che ho fatto (Le donne che conosco di solito non sono capaci di finire il lavoro, prima di finirlo stanno già pensando a quello che faranno dopo. In questo Dio è decisamente maschio, perché il Sabato si ferma a guardare la Creazione).2) Perché mi piace stare fermo come uno scoglio su cui si infrangono tutte le tempeste emotive (questa devo spiegarla?).3) Perché mi piace osservare (I maschi osservano molto, una cosa alla volta, ma osservano).4) Perché mi piace che i miei figli rischino l'osso del collo pur di affermare se stessi. Perché adoro condividere le loro vittorie (il fatto che io non abbia figli nella carne non cambia niente, ci sono molte forme di paternità).5) Perché mi piace ridere forte e prendere le ondate di petto, in tutti i sensi (se vuoi conoscere una persona guarda come si comporta al mare).6) Perché ho sempre desiderato essere un eroe (ci sono anche eroine naturalmente, ma l'eroismo femminile è molto diverso da quello maschile. Troppo lungo e serio da spiegarlo in questa sede però).7) Perché amo troppo le parole per non sostenerle e rivestirle di gesti (il maschio, lo sanno tutti, realizza se stesso molto più nel fare che nel dire)8) Perché mi piace fare il capro espiatorio (sì, non inorridite, mi piace pagare, faticare e soffrire al posto degli altri e ci sarà un motivo se non si è mai sentito parlare di una capra espiatoria).9) Perché non mi fiderei di nessun altro per salvare il mondo (non è che le donne non salvino il mondo, è che i maschi non si fidano del fatto che lo facciano).10) Perché come maschio troverò sempre qualcosa di bello e stupefacente in ogni donna che incontro e non entrerò mai in competizione con lei.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7655COME LA MOGLIE DI SCHUMACHER PROTEGGE IL MARITO DAL GOSSIP E DALL'EUTANASIA di Valerio PeceSe nel mondo la Ferrari è il mito che è, lo si deve anche a Michael Schumacher, campionissimo avvolto da 10 anni - giorno in cui sfiorò la morte cadendo dagli sci - da due parole-chiave: riserbo e amore. Va detto che il rigoroso silenzio sul suo reale stato di salute si è imposto anche per combattere il triste sciacallaggio che lo ha toccato da vicino: dai paparazzi pizzicati a utilizzare droni pur di spiare dai vetri della sua villa il pilota in coma, al furto delle sue cartelle cliniche con annessa richiesta di denaro ai giornali (finì malissimo: nel 2014 il sospettato del furto si impiccherà in una cella del carcere di Zurigo). Quanto all'amore, non è difficile vedere quanto sia ancora vivo: dagli articoli che accompagnano ogni piccola novità sui suoi progressi, ai tanti tifosi (italiani in primis) che ricordano con somma riconoscenza le sue imprese (dei 7 titoli mondiali conquistati dal pilota tedesco, cinque sono stati vinti con la Ferrari).NON É PRIVACY, É AMORENella dolorosa vicenda, la figura più luminosa è senz'altro quella di Corinna, 54enne moglie di Michael, che da anni protegge e segue il marito in modo commovente. Solitamente parca di dichiarazioni, nel settembre scorso, in occasione dell'uscita su Netflix dell'unico documentario su Schumacher autorizzato dalla famiglia, ha rilasciato parole fortissime: «Ora seguiamo le cure, vogliamo che Michael senta che la famiglia è unita». Per poi aggiungere: «É evidente che mi manca, tutti sentiamo la sua mancanza, ma Michael c'è, è diverso ma c'è. E questo ci dà forza. Non avrei mai pensato che potesse succedergli qualcosa, ma è importante che lui continui ad assaporare la sua vita privata per come possibile. Lui ci ha sempre protetti, ora sta a noi farlo». Una manifestazione d'amore pregna di forza e di gratitudine.Dietro i gesti di Corinna Betsch, spesso non compresi fino in fondo, non c'è dunque solo la fredda tutela della privacy ostentata dai giornali e dalle interviste degli addetti ai lavori («Da dieci anni Corinna non va a feste o occasioni pubbliche perché chiunque la incontri vuole sapere delle condizioni del marito e lei ha alzato una barriera a protezione della privacy», così Eddie Jordan, il team manager che lanciò Schumacher in Formula 1, in un'intervista del gennaio scorso). Parlare di privacy, come fa la quasi totalità dei commentatori, oltre che riduttivo è ingiusto e ingeneroso. La volontà di allestire a mo' di ospedale la villa di famiglia (a Gland, sul lago di Ginevra) al fine di permettere ad uno staff medico di fornire al marito cure quotidiane racconta molto dello smisurato e incrollabile affetto con cui la signora Schumacher circonda il marito, ma soprattutto dice della volontà di continuare a vivere ogni attimo insieme, nella buona come nella cattiva sorte. Poco importa che le cure per il marito costino 10 milioni di euro l'anno (così sono state quantificate le spese mediche): pur di farlo accedere alle terapie più avanzate, come una manager premurosa Corinna ha prima messo in vendita l'aereo privato del marito e poi la villa a Trusil, in Norvegia. In quella Svizzera che la martellante propaganda radicale impone di associare all'eutanasia e alla morte, nulla dev'essere lasciato intentato in termini di cura e di vita.PIETRA D'INCIAMPOL'unico che sembra aver compreso a fondo il nuovo contesto umano suscitato dall'incidente del pilota tedesco, calandosi nell'inedita realtà famigliare con assoluta normalità è Jean Todt, direttore generale della Scuderia Ferrari e amico fraterno di Schumi. «Non posso dire che Michael mi manca perché lui, alla fine, c'è», ha dichiarato Todt al quotidiano francese L'Equipe. Tra i pochissimi a entrare regolarmente a casa del sette volte campione del mondo, Todt ha aggiunto: «Oggi è uno Schumacher diverso ed è magnificamente sostenuto da moglie e figli che lo proteggono. La sua vita è cambiata e io ho il grande privilegio di poter condividere alcuni momenti insieme a lui. Questo è tutto quello che c'è da dire». A proposito di candidi momenti di condivisione, rumors parlano di gare di Formula 1 guardate alla tv dai due amici sul divano di casa Schumacher.Ed è proprio in questo "esserci in modo diverso" che si gioca la comprensione che oggi il mondo ha del campione di automobilismo. Costringendo tutti a uno sforzo sul senso profondo della vita, Michael Schumacher, inutile negarlo, oggi è una pietra d'inciampo. Ma è proprio questo tipo di riflessione che non può più chiedersi al dibattito odierno, impoverito e umiliato da un relativismo dilagante. Ecco allora l'imbarazzo dei cronisti. Palpabile. Coglie il punto Mario Donnini con un editoriale su Autosprint. «C'è e non c'è, è vivo ma non interagisce», scrive lo scrittore e giornalista, «non interviene, non può farlo [...] se ne ragiona molto spesso a sproposito, giocando a indovinare invece di rispettare, a carpire al posto di capire». Ma è il passaggio successivo quello in cui Donnini tocca il nervo scoperto del nostro tempo: «E così nel mondo iperconnesso h24, in cui chiunque sa e si racconta come vuole, uno tra gli uomini più conosciuti del mondo diventa improvvisamente impercepibile. Svanisce, si decontestualizza, perde domicilio mediatico per scelta dei suoi cari, i quali ritengono di non dover far altro che curarlo, custodirlo e proteggerlo».Si può rimanere vivi (continuando a stupire e a vincere) in molti modi. Oggi Michael, Corinna e i loro due figli sono protagonisti di un secondo tempo della gara che va raccontato, perché è una lezione di vita impagabile, quella della vittoria dell'amore sul dolore. «Forte come la morte è l'amore»: quanto si legge nel Cantico dei Cantici lo vivono ancora oggi due innamorati in una villa di Gland adattata a ospedale. Sempre e per sempre.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7652COME SALVARE I FIGLI DALLO SMARTPHONE di Cristina SiccardiSmartphone e social media, come ben sappiamo, hanno radicalmente cambiato la vita di tutte le persone, di qualsiasi età e di qualsiasi ceto sociale. Tutti gli strumenti, più o meno complessi, hanno mutato nel corso della storia la vita quotidiana delle persone e il loro impatto è stato positivo o negativo a seconda del loro utilizzo, ovvero dal criterio con cui ciascun individuo se ne serve. Ma quelli di cui stiamo parlando hanno un impatto massificante di straordinario potere persuasivo, plagiatorio, psicologico.La commercializzazione degli smartphone è iniziata nel 1993 con IBM e, in breve tempo, essi hanno riempito i mercati mondiali con migliaia di modelli e centinaia di milioni di utenti. Il primo social network della storia corrisponde al sito americano SixDegrees, lanciato a New York nel 1997 dal suo fondatore Andrew Weinreich. I social media hanno rappresentato un cambiamento nel modo in cui le persone leggono, apprendono e condividono, senza sosta, informazioni e contenuti. Con i social media è mutato completamente il modello di comunicazione tipico dei media tradizionali (radio, stampa, televisione): il messaggio non è più "da uno a molti" (monodirezionale, dal broadcaster al suo pubblico), ma "da molti a uno", con elevato livello di interazione. L'informazione si è "democratizzata" in un liberalismo esasperato, trasformando i soggetti da meri fruitori a editori di se stessi, interconnettendosi con altri soggetti monitorati in tutto il mondo attraverso colossi mediatici come Facebook, LinkedIn, Instagram, TikTok.Oggi esiste una vera e propria bulimia nell'uso degli smartphone e dei socialmedia. Attività e virtù come autodisciplina e temperanza, moderazione e sobrietà, equilibrio, stabilità, prudenza e armonia, concentrazione e silenzio sono andate smarrite nella civiltà edonistica, del "mordi e fuggi", dell'insaziabilità su più fronti, della frenesia, dell'ansia, del frastuono acustico e visivo, dove la massa di informazioni si schianta con la vuotezza di principi e valori giusti e sani.Fatto incontestabile è che chat e videogiochi (solitari o in comunità web) creano enorme dipendenza: soggiogano, ingabbiano mente e spirito, sviluppando problemi e condizionamenti a dismisura. Essere interconnessi continuamente, da quando ci si sveglia a quando si va a dormire, significa avere l'attenzione degli innumerevoli "amici" sui propri pensieri, sentimenti, intenzioni.UN BILANCIO ALLA LUCE DELLA FEDE CATTOLICADopo più di vent'anni di uso incessante di questi dispositivi e di questo genere di comunicazione, quale bilancio si può dare? Il tema non può certo essere esaurito in questo contesto. Tuttavia, possiamo considerarne le conseguenze e, allo stesso tempo, alla luce della fede cattolica e quindi delle sane virtù, possiamo risparmiare figli e nipoti da squilibri, fobie e schizofrenie che provengono dall'uso paranoico e smodato di tali strumenti.Tanto è forte il collegamento fra lo smartphone e i comportamenti adolescenziali che la professoressa Jean M. Twenge, docente di psicologia della San Diego State University, ha definito questa generazione «iGen», generazione «iphone». Da venticinque anni Twenge studia i trend generazionali. Ha lavorato sul senso di ribellione dei Baby boomer (i nati dal 1945 al 1965), sul desiderio di indipendenza della generazione X (i nati tra il 1965 e il 1980), sull'individualismo dei Millennials (nati fra il 1980 e il 2000) e confrontando i dati comportamentali di queste ultime generazioni, con famiglie spesso dissestate, ha rilevato che gli adolescenti di oggi sono più depressi, passano il tempo con i coetanei soprattutto sui telefonini, sono soli, vulnerabili, con precaria salute mentale e a maggior rischio di suicidio. Essi sono molto fragili, benché spavaldi. I tassi della depressione e di suicidio sono aumentati dal 2011 ad oggi. Gran parte della crisi del deterioramento della salute mentale può essere ricondotto all'uso smodato dei telefonini. L'ascesa dello smartphone e dei social media hanno causato un terremoto di proporzioni mai viste. I dispositivi che si sono messi nelle mani dei giovanissimi stanno avendo profondi effetti sulla loro vita, rendendoli seriamente infelici. Ormai ci sono genitori che consegnano, senza alcuno scrupolo, gli smartphone a bimbi di 2/3 anni e tale deplorevole scelta avrà ripercussioni spaventose.In media, la maggior parte degli adolescenti trascorre dalle 3 alle 6 ore al giorno con lo smartphone, utilizzato anche a scuola durante le lezioni. Tutto questo tempo passato sugli schermi interconnessi creano dipendenza, isolamento, insorgenza di malattie cardiovascolari, disfunzioni metaboliche e diabete, come ha evidenziato in rete l'Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. Inoltre, una scarsa qualità del sonno favorisce stanchezza, depressione, abuso di alcol, disturbi ossessivo-compulsivi, abuso di sostanze, atti di autolesionismo, risultati scolastici scadenti... considerando anche il fatto che l'uso eccessivo dello smartphone può determinare un approccio superficiale all'apprendimento e induce alla distrazione e ad un notevole abbassamento della concentrazione.L'OZIOSITÀ INSEGNA OGNI SORTA DI VIZIOgni anno, quasi 46.000 bambini e adolescenti tra i 10 e i 19 anni si tolgono la vita in tutto il mondo, circa uno ogni undici minuti. Il suicidio è la quinta causa di morte più comune fra i giovanissimi e la quarta nella fascia d'età dai 15 ai 19 anni (la terza se si considerano solo le ragazze).Sono tra 3.700 e 4.000 le persone che ogni anno si tolgono la vita in Italia (dati Istat relativi al periodo 2016-2020). Il dato riferito ai giovani fra i 15 e i 34 anni registrato nello stesso periodo è in media di circa 500 suicidi. Come è noto le varie forme di violenza psicologica e fisica fra i minori è cresciuta in modo esponenziale (baby gang) grazie anche all'imperversare sui dispostivi tecnologici delle infauste canzoni dei rapper, che mietono odio, ribellione, sesso, droga, alcol e violenza in genere.Poiché le autorità non pongono freno ("per il bene" delle lobby economiche di potere e della "democrazia") a questo tsunami, che miete vittime e si beffa di tutti, di piccoli e grandi, è bene recuperare le medicine dell'educazione cattolica, così stanno facendo le famiglie rimaste fedeli al Vangelo. Esse fanno riferimento all'eccellente tradizione pedagogica della Chiesa e vanno a leggersi, grazie ai suggerimenti di sacerdoti e intellettuali, ciò che lasciano scritto i santi maestri educatori. Poiché il tempo è preziosissimo (è breve e non torna più), è fondamentale impiegarlo al meglio, non certo nell'ozio (lo smartphone non è forse una grave forma di ozio?). Scriveva san Giovanni Bosco: «Dalle letture [oggi si potrebbe anche aggiungere: dalle chat] dipende moltissime volte la scelta definitiva (per i giovanetti) che fanno del bene o del male» per sé e gli altri, quindi: «Fuggite l'ozio e gli oziosi, lavorate secondo il vostro stato; quando siete disoccupati siete in gravissimo pericolo di cadere in peccato. L'oziosità̀ insegna ogni sorta di vizi» e «Abborrite le malvagie letture più che la peste». Per conservare la purezza, la Chiesa preconciliare, che lottava contro liberalismo, socialismo e spirito rivoluzionario, esortava a tenere lontano le cattive letture e la cattiva cinematografia, veleno per le anime. Affermava ancora don Bosco: «La felicità non si trova in questo mondo, se non si ha la pace con Dio; se [la gente] è così malcontenta ed arrabbiata, è perché́ non pensa alla salute dell'anima sua». [...]
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/edizioni.php?id=850PER DIFENDERE LE DONNE DOBBIAMO TORNARE AL PATRIARCATOL'assassino di Giulia Cecchettin non è figlio del patriarcato, ma del '68, relativista e femminista che oggi permea la società (se invece la moglie rispetta il marito, non viene uccisa, ma è amata, rispettata e difesa)di Roberto De MatteiDopo l'omicidio di una giovane donna, Giulia Cecchettin, avvenuto lo scorso 11 novembre, l'Italia ha scoperto di essere minacciata dal patriarcato, Il titolo di un dossier del quotidiano "La Repubblica" del 24 novembre è eloquente: "Femminicidi fermiamo la strage". La tesi, che è la stessa diffusa dai mass-media, dai social e da ogni tipo di influencer è che esiste una strage di femminicidi e la responsabilità va attribuita alla cultura del "patriarcato", ancora dominante. Bisogna combattere il patriarcato per fermare la violenza contro le donne.Il patriarcato era un sistema sociale che sanciva l'autorità dell'uomo e la divisione dei ruoli all'interno della famiglia. L'autorità paterna è stata sempre considerata, ad eccezione del tempo presente, come uno degli elementi invariabili dell'ordine sociale, necessaria a tutti i popoli e in tutti i tempi. Per secoli, il padre ha esercitato nella famiglia il ruolo che il sovrano esercitava nella società politica (la stessa parola patria deriva da padre) e che il Papa, il "Santo Padre" esercita nella Chiesa. Ancora cinquant'anni fa era questo il modello familiare italiano: il padre doveva guidare la famiglia e provvedere al suo mantenimento economico, la madre si occupava della casa e dell'educazione dei figli, che erano numerosi. Il nucleo familiare comprendeva spesso anche i nonni, depositari di una tradizione che si trasmetteva di generazione in generazione.Questo sistema sociale è stato distrutto dalla rivoluzione culturale del Sessantotto, e da ciò che ad essa è seguito: leggi come il divorzio, l'aborto, e, in Italia, soprattutto la legge sul nuovo diritto di famiglia del 22 aprile 1975, che ha decapitato l'autorità paterna, abolendo la preminenza giuridica del padre contribuendo alla scomparsa dell'autorità e dell'identità nelle famiglie italiane.LA DISTRUZIONE DELLA FAMIGLIATra gli ideologi del ‘68, ricordiamo anche i teorici della "antipsichiatria", come David Cooper, autore di un libro più volte ristampato da Einaudi, dal titolo significativo La morte della famiglia. Questa era la convinzione che iniziò a diffondersi alla fine degli anni Sessanta del Novecento: l'estinzione, prossima e inevitabile, dell'istituto famigliare. In quel saggio, Cooper proponeva di cancellare il ruolo paterno sostituendolo con quello fraterno, auspicando quindi una paradossale società di fratelli senza padre, anzi di fratelli perché assassini del Padre: come era successo nel 1793 con l'assassinio del Re di Francia, come auspicava Nietzsche profetizzando l'assassinio di Dio Padre.Il processo di democratizzazione della Chiesa, della società e della famiglia è un tutt'uno. La distruzione della famiglia doveva far leva particolarmente sulla "liberazione" della donna. Il femminismo ha preteso di abolire la distinzione dei ruoli maschile e femminile, distruggendo la vocazione naturale alla maternità e alla femminilità. La rivendicazione del "diritto" di aborto e di contraccezione è stata avanzata come diritto della donna ad autodeterminare il proprio corpo e la propria sessualità, liberandosi dall'autorità maschile e dal "peso" della maternità. Alla mascolinizzazione della donna ha corrisposto la devirilizzazione dell'uomo, promossa a tutto spiano dalla moda, dalla pubblicità e dalla musica. La teoria del gender è un punto di arrivo, ma gli slogan contro la cultura del patriarcato che oggi risuonano, hanno la loro origine in manifestazioni femministe come quella che si svolse a Roma il 6 dicembre 1975, animata da circa ventimila donne, che ritmavano slogan come questo: "Non più mogli, madri, figlie! Distruggiamo le famiglie!".E la famiglia è stata distrutta. Si è dissolta l'autorità del padre, si sono soppressi i ruoli di genere e tutti i componenti della famiglia, padre, madre e figli, soffrono una profonda crisi di identità. La famiglia patriarcale non esiste più in Italia, salvo poche isole felici. E in queste poche isole che più che patriarcali dovremmo definire naturali, la moglie rispetta il marito e i figli rispettano i genitori, e la donna non viene uccisa, ma è amata e rispettata. L'assassino di Giulia Cecchettin non è figlio della cultura del patriarcato, ma della cultura sessantottina, relativista e femminista che oggi permea la società intera e di cui tutti sono responsabili e vittime allo stesso tempo.UNA SOCIETÀ DI SINGLEMa la crisi della famiglia va oltre la fine della famiglia patriarcale. L'Italia si avvia ad essere una società di "single", senza più famiglie. Secondo l'ultimo rapporto del CENSIS sulla situazione sociale del paese, nel 2040 solo una coppia su 4, cioè il 25,8% del totale, avrà figli e le famiglie composte da una sola persona saranno il 37%. Il 34% degli italiani saranno anziani e soli. Ciò perché oggi è in crisi non solo la famiglia, ma l'esistenza stessa di una coppia. Non solo ci si sposa sempre di meno, e si mettono al mondo meno figli, ma si convive anche di meno, perché si rifugge dall'idea di avere una qualsiasi responsabilità verso un partner o compagno, che si ha paura di avere troppo a lungo vicino.Il cosiddetto femminicidio non è frutto della vecchia cultura patriarcale, ma della nuova cultura anti-patriarcale, che confonde le idee, fragilizza i sentimenti, destabilizza la psiche, privata di quel sostegno naturale che, fin dalla nascita, offriva la famiglia, con suoi punti di sicurezza, paterni e materni. L'uomo è solo con i suoi incubi, le sue paure, le sue angosce, sull'orlo di un abisso: l'abisso del vuoto in cui si precipita quando si rinuncia ad essere ciò che si è, quando si abbandona la propria natura immutabile e permanente di uomo, di donna, di padre, di madre, di figlio. E se tutti parlano di femminicidio, nessuno parla di un crimine ben più esteso e diffuso: quello di infanticidio, commesso ogni in giorno in Italia, in Europa e nel mondo, da padri e madri che esercitano la massima delle violenze contro il proprio figlio innocente, prima ancora che egli veda la luce.Una società che uccide i suoi figli è condannata a morte e l'alito della morte, sotto ogni forma, non solo quella del femminicidio, si fa sentire sempre di più. La vita, la restaurazione della società, è possibile solo riconquistando il modello naturale e divino della famiglia. Per fermare la follia che distrugge la nostra società bisogna tornare, con l'aiuto di Dio, al modello di famiglia patriarcale, fondata sull'autorità del padre, capo della famiglia e sulla santità della madre, che ne costituisce il cuore: uniti entrambi nel compito di procreare ed educare dei figli per farne dei cittadini del cielo. L'alternativa è l'inferno, che già inizia su questa terra.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=836E' VALIDO IL MATRIMONIO DI CHI SI SPOSA SENZA FEDE?Basta sposarsi secondo i valori naturali di un autentico matrimonio (fedeltà, indissolubilità, apertura alla vita, ecc.) perché il matrimonio sia validodi Jacques-Yves PertinI cattolici che si sposano in Chiesa senza fede, o con poca fede, ricevono il sacramento del matrimonio? Questione molto attuale, che ne implica un'altra: qual è l'influenza di una società scristianizzata, a volte perfino ostile ai valori del matrimonio, sulla validità del matrimonio cristiano? Cominciamo a capire cos'è precisamente il "matrimonio cristiano".Come afferma la Chiesa nel Codice di Diritto Canonico (can. 1057 § 1) «l'atto che costituisce il matrimonio è il consenso». La natura stessa inclina l'uomo a dare questo consenso. In altre parole: «Il sacramento del matrimonio ha questo di specifico fra tutti gli altri: di essere il sacramento di una realtà che già esiste» nella natura che Dio ha creato. Ciò significa che il matrimonio è una realtà naturale, prima di essere un sacramento.Come fa notare lo stesso canone, il fatto di sposarsi non si riferisce al compimento di un'attività specificamente soprannaturale, ma al conseguimento di azioni naturali come procreare ed educare i figli.È proprio questo matrimonio naturale, come insegna san Paolo, che è stato elevato alla dignità sacramentale per permettere agli sposi, citando Leone XIII, di «ricevere la santità nel matrimonio stesso».Così la realtà naturale è diventata inseparabile dalla realtà sovrannaturale. Tra battezzati, ormai, il mutuo consenso non può essere separato dal sacramento. Va sottolineato, però, che «non c'è accanto al matrimonio naturale un altro modello di matrimonio cristiano con specifici requisiti soprannaturali».Gli sposi cristiani non fanno un matrimonio naturale e un matrimonio sacramentale, come ingenuamente si potrebbe credere nei Paesi dove c'è prima il matrimonio in Comune e poi in Chiesa. Il sacramento non cambia l'essenza del matrimonio, lo eleva.Quanti sposi fanno l'esperienza di questo nella loro vita: nelle difficoltà, come anche nella vita quotidiana, la grazia del matrimonio data da Dio viene a santificare tutto, viene a dare l'aiuto necessario giorno dopo giorno. La vita degli sposi non è da un lato naturale e dall'altro sopranaturale. Il "matrimonio cristiano" è innestato nella vita coniugale degli sposi, sicché ogni minima azione viene fatta con Dio e per Dio.Da ciò si conclude che chiedere per il sacramento del matrimonio un requisito di fede, al di là di quello di voler sposarsi secondo i valori naturali di un autentico matrimonio (fedeltà, indissolubilità, apertura alla vita, ecc.), può condurre a gravi errori sulla natura stessa del matrimonio, a ridurre il diritto di tutti a sposarsi, o ancora a voler «separare il matrimonio dei cristiani da quello delle altre persone».Se gli sposi si scambiano tale consenso senza negare una delle qualità essenziali del matrimonio, la loro mancanza di fede non può "invalidare" un tale matrimonio poiché il matrimonio naturale e il sacramento sono diventati dopo la venuta di Gesù Cristo "la stessa e unica cosa".Sicuramente è una questione molto delicata. Il Papa stesso, con grande umiltà, la affrontava davanti ai sacerdoti della diocesi di Aosta nel 2006 dicendo che personalmente aveva creduto, quando era Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, che un matrimonio celebrato senza fede fosse nullo: "Io personalmente lo pensavo".Spesso infatti i numerosi fallimenti dei matrimoni e portano la gente a pensare che se uno va in Chiesa a sposarsi e che non "ci crede", non è sposato. Non è così!Ogni uomo ha un potere naturale speciale e unico di darsi al suo coniuge, potere davanti al quale Dio quasi sembra cedere il passo: è un grande potere, ed è una grande responsabilità. Il sacramento del matrimonio vive in tutti coloro che fanno un vero matrimonio perché la Grazia non distrugge la natura ma la perfeziona.
VIDEO: Franco Nembrini ➜ https://www.youtube.com/watch?v=NAZACKOwRq4TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7507COME SI EDUCANO GLI ADOLESCENTI di Fiorenza CirilloAh, le vacanze! Periodo di rinascita, per tutti, tempo prezioso da condividere con i figli... a meno che non siano adolescenti. L'alterità di un figlio è qualcosa che sciocca e stupisce fin dal primo momento in cui li teniamo in braccio, ma c'è un periodo glorioso, che è quello dell'adolescenza, in cui questa alterità esplode in tutta la sua brutalità. Pare che nulla di quello che facciamo come genitori venga da loro apprezzato e più andiamo loro incontro e meno ci riesce il contatto. E poi c'è la faccenda dell'educazione che opprime noi che, a nostra volta, opprimiamo loro.È infatti uno sperticarsi di tentativi di proporre qualcosa che noi avremmo fatto alla loro età, qualcosa che noi avremmo dovuto fare alla loro età o che avremmo dovuto voler fare, se avessimo avuto, allora, il senno di poi che ora abbiamo. In questo modo rischiamo di vivere l'educazione come una pretesa, perché la confondiamo con il tentativo di fare diventare nostro figlio quello che noi vorremmo che fosse, ma a lui di quel che noi vogliamo che sia non gliene importa niente e fa bene. Ma quando parliamo di educazione, di che cosa parliamo?COSA SIGNIFICA PARLARE DI EDUCAZIONE?Recentemente mi hanno provocata e affascinata le parole del prof. Franco Nembrini in un incontro a Cesena su adulti e adolescenti, di rado infatti ho sentito parlare con tanta chiarezza di un tema così urgente. Lo slogan con il quale esordisce sull'argomento è già estremamente eloquente: "Il segreto dell'educazione è non avere il problema dell'educazione, se hai il problema dell'educazione, vuol dire che fai parte del problema".Cita poi un vecchio articolo del Corriere della Sera in cui un neurologo infantile spiega chiaramente che un bambino che sta per nove mesi nella pancia di una donna contenta, più facilmente verrà al mondo con un sentimento positivo della vita e la percepirà come una cosa grande, buona, bella. Al contrario, un bambino che passa nove mesi nella pancia di una donna incazzata, arrabbiata con sé, col marito che la tradisce, col figlio grande che c'è già e la fa tribolare, quel bambino più difficilmente sentirà la vita come un bene. Se le cose stanno così, vuol dire che la cosa più importante nell'educazione è far sì che il bambino, e poi il ragazzo, abbia attorno a sé un sentimento positivo della vita da cui assimilare come per osmosi il bello dell'esserci. Come lo apprende? Semplicemente guardando gli adulti che gli danno, con la loro testimonianza, l'idea della vita.Il problema vero dell'educazione, dunque, è che cosa vede il bambino quando ci guarda. "La prima grande verità" insiste Nembrini "è che l'emergenza educativa in cui viviamo non è l'emergenza di ragazzi che non vanno bene, ma è l'emergenza di una generazione di adulti che non ha speranza sufficiente da dare ai propri figli, non ha un'ipotesi grande per cui vivere. Tutti noi adulti siamo senza alibi. L'emergenza educativa siamo noi. I nostri figli, il loro mestiere lo fanno, lo sanno fare per natura, perché nascono con quella cosa che si chiama cuore, una inarrestabile tensione ad abbracciare tutto, a conoscere tutto, ad amare tutto. E anche se da bambino è inconsapevole di questa tensione positiva, poi, crescendo, comincia a rendersi conto di avere dei desideri. [...] Per questo un figlio non ha bisogno che gli si dica spesso che cosa deve fare, come deve essere, non si tratta di insegnargli a diventare grande, perché impara semplicemente guardandoci. Il problema dell'emergenza educativa è chiedersi: quando guarda noi, che cosa vede? Se non si capisce questo, è inevitabile il fallimento, è davvero decisivo questo aspetto, perché è la fonte di tutti gli equivoci. In famiglia, a scuola, in oratorio, il bambino, il ragazzo apprende così".DOVE SONO GLI EDUCATORI?Riporta poi un esempio della sua fanciullezza: "Io son certo di una cosa nel rapporto con mio papà. Io avrei potuto giurare, ero bambino, eh, ma avrei potuto giurare che, quando mio padre mi guardava, se riuscivo a intravedere un sorriso, un qualche sorriso, appena appena l'ombra di un sorriso di compiacimento, io impazzivo, io sentivo che mio padre avrebbe dato la vita per me lì, in quell'ora, in quel momento. Avrebbe dato la vita per me, senza chiedermi di cambiare. In questo senso sono sempre stato grato dell'amore che ho colto nella mia storia. [...] Ringrazierò mio padre per l'eternità di una cosa: che si è occupato della sua santità, non della mia e occupandosi della sua mi ha reso invidioso, ho desiderato essere felice come lui".Rispondere ai figli con una testimonianza così luminosa fa sì che desiderino anche per sé quella contentezza e si avvicinino, invece di sentirci così nemici, così lontani, così estranei. "Perché noi veniamo fuori con delle incoerenze mostruose: parliamo di alti valori e poi l'unico valore del figlio che prendiamo in considerazione è dato dalla performance scolastica, dalla pagella. Quando disubbidisce, quando ti insulta, quando scappa di casa, quando si ammazza di canne in realtà sta gridando: papà, mamma, prete, maestro, maestra, suora, adulto, dove siete? L'educatore è quello che sente il grido di questi ragazzi. Giovanni Bosco, a Torino, andava con le tasche piene di caramelle dalla polizia a chiedere che quei ragazzi di strada li dessero a lui, perché lui riusciva a sentire il grido di quei ragazzi: "Fatemi vedere che vale la pena!" Il problema educativo è tutto qui".Se dunque vale la pena, non ci sarà bisogno di tante spiegazioni, ma di un vivere nostro che testimoni la bellezza di diventare grandi.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7418FAMIGLIE NUMEROSE... CHE FORZA! di Christine StoddardSono la primogenita di una figliata di 9: 8 femmine e un maschio. Ne sono fiera. Certo, devo ammettere che ho patito una specie di vergogna durante i miei anni adolescenziali, in particolare, quando la gente si avvicinava al nostro furgoncino o quando ci osservavano sbalorditi entrare in uno spazio pubblico.Ormai, oggi, sinceramente, non cambierei questa condizione per niente al mondo. Se mi domandate che cosa mi spinga a pubblicare questo scritto, vi risponderò che ho letto un articolo molto interessante, domenica scorsa, sul New York Times. In questo articolo, la giornalista Lauren Sandler affermava vigorosamente che era meglio avere un solo ed unico figlio. Essendo lei stessa stata figlia unica e non avendo che un solo figlio... non mi riesce difficile comprendere che difenda un simile asserto. [...]Come potrete immaginare, non sono affatto d'accordo con lei. Potrei dire che i figli unici che ho incontrato sono egoisti e hanno difficoltà ad adattarsi. [...] In ogni caso, non cerco affatto degli esempi che dimostrino gli svantaggi di essere figli unici. Cerco solamente di esprimere quanto sono riconoscente di avere tanti fratelli e sorelle.IMPARARE A COABITARECi sono, evidentemente, dei benefici collaterali: come il fatto di non essere mai soli di fronte a un problema; se ti ammali, qualcuno ti starà vicino... e quella sensazione che il tuo armadio sia senza fondo! Che sia sempre pieno di cose prestate! Senza dimenticare che l'educazione dei miei fratelli e sorelle resta un argomento di conversazione che si conclude molto spesso con dei silenzi imbarazzati; se ho bisogno di riderne, subito mi tornano alla mente situazioni impreviste.Ma c'è molto di più! A cominciare da mio padre e mia madre, che (probabilmente senza averne l'intenzione) si sono facilitati parecchio la vita genitoriale, avendo più di un figlio. Anche se non avevano sempre un'idea ben precisa di ciò che stavano facendo, avere fratelli e e sorelle ci ha insegnato a condividere e a coabitare con altre persone, con naturalezza, a tirarci su ed educarci a vicenda... È quello che possiamo definire un'accumulazione naturale di buone qualità. Quando hai dei fratelli e delle sorelle, sei ben conscio che non tutto è tuo. Una cosa estremamente apprezzabile, in un'epoca in cui l'individualismo è alle stelle. Senza il minimo sforzo, abbiamo scoperto l'interazione sociale e la risoluzione dei conflitti. Abbiamo imparato ad avere compassione, a restare coscienti dei sentimenti e dei bisogni del prossimo, e non solo dei nostri.VEDERE LA VITA ALTRIMENTIAbbiamo beneficiato della generosità dei nostri genitori, che ci hanno accettati l'uno dopo l'altro malgrado il fatto che si facessero beffe di loro, o senza considerare che si avvicinavano tempi duri. Papà ci ricorda che ci sono stati dei periodi, di cui non ci ricordiamo, durante i quali mamma e lui si domandavano se potevano permettersi di andare a mangiare al McDonald.Con tanti fratelli e sorelle, non abbiamo mai avuto in mano l'ultimo grido della tecnologia, ma suppongo che questo ci abbia insegnato un po' più sulla vita, al di là delle cose che si possono avere. Abbiamo potuto sviluppare uno spirito di sana competitività, abbiamo potuto renderci conto che se anche avevamo fallito in qualcosa, non era questa una buona ragione per buttarci giù. Al tempo stesso, tutto questo ci ha stimolati ad apprezzare le qualità uniche degli altri, senza stare a fare paragoni: sia nell'ambito accademico sia in quello creativo o atletico.Ammesso e non concesso che abbiamo passato in rassegna tutti i vantaggi della situazione, dovrei ammettere che in più abbiamo ricevuto un regalo bellissimo: delle amicizie solide. Che sia per il semplice momento della colazione, o piuttosto per l'evento eccitante dello scegliere l'abito nuziale, non ho mai mancato di compagnia. È quello che si chiama amore, perché i miei fratelli e sorelle sono stati molto presenti nella mia vita, nei momenti peggiori e in quelli migliori.Sono persuasa che il fatto di avere fratelli e sorelle sia un aiuto apprezzabile nella ricerca della vera felicità. Perché? Perché una persona va avanti per la strada giusta, quando realizza che la vita consiste più nel dare che nel ricevere. Con dei fratelli e delle sorelle, si arriva molto presto a questa conclusione.E naturalmente la famiglia perfetta non esiste, ma ho pure la certezza che esistono tante persone che mi amano, incondizionatamente, quando io non ho fatto niente per meritarlo. Ecco qualcosa di decisamente speciale. Perché trascurare una così bella occasione di fondare un opificio di felicità, se ne avete la possibilità?
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7392UNA BELLA NOTIZIA: SIAMO OTTO MILIARDI DI ABITANTI di Federico CenciSiamo otto miliardi di persone nel mondo. Il record - come annunciato dalle Nazioni Unite - è stato raggiunto il 15 novembre. Per avere un'idea dello sviluppo demografico complessivo, basti considerare che rispetto al 2011 siamo aumentati di un miliardo. E che rispetto al 1974, siamo raddoppiati. Il prossimo obiettivo fissato dall'Onu dovrebbe essere raggiunto nel 2037, quando verranno superati i 9 miliardi.Dovremmo gioire di questi dati, giacché rappresentano il risultato dei progressi sanitari e medici. Eppure, come del resto è ampiamente prevedibile, hanno dato fiato alle trombe dei catastrofisti. È tornato ad agitarsi lo spettro di Thomas Robert Malthus, l'economista e demografo che già a fine Settecento predicava la necessità di allentare la pressione demografica per arginare povertà e fame nel mondo. Bisogna riconoscere a costoro, ai cosiddetti neo-malthusiani di sapersi adattare ai cambiamenti: gli annunciatori di sciagure a causa delle tante nascite non cessano infatti la loro disfattistica attività. È piuttosto noto a tal proposito quanto avvenne negli anni Sessanta: un collegio di esperti internazionali si riunì all'Accademia dei Lincei nel cosiddetto Club di Roma per lanciare un allarme. Nel mondo - avvisavano - c'erano quattro miliardi di persone, considerate troppe, per cui di lì a poco inesorabilmente le risorse si sarebbero esaurite e lo sviluppo arrestato.Sono passati quasi sessant'anni, ma - come direbbe Vasco Rossi - siamo ancora qua. Nessuna fine del mondo. Anzi, la fame e la povertà si sono notevolmente ridotte grazie ai passi da gigante della tecnica. È comprensibile che si faccia fatica a crederci, dal momento che la campana mediatica delle notizie negative non smette mai di oscillare nervosamente. Per avere allora un riscontro empirico sul miglioramento progressivo della condizione umana generale, si può visitare il sito Our World in Data: la popolazione è costantemente aumentata e così anche il suo tenore di vita. L'inizio di questo processo viene collocato da molti nella rivoluzione industriale, ma forse occorre spostare le lancette dell'orologio di un paio di secoli: come dimostra uno studio pubblicato sempre su Our World in Data, in Inghilterra già subito dopo il 1650 cominciò a crescere sia la popolazione sia il reddito pro capite.La storia, dunque, è maestra di vita, almeno quanto lo è l'attualità. Oggi, d'altronde, i Paesi in ascesa sullo scacchiere geopolitico sono quelli più popolosi, giovani e fecondi. Al contrario, la crisi morde il calcagno delle aree del pianeta in cui si fanno meno figli. Un esempio di tal risma, purtroppo, ce l'abbiamo dentro casa: periodicamente l'Istat sciorina previsioni sempre più cupe sul futuro demograficamente arido dell'Italia. Il concetto è piuttosto semplice: se diminuisce la popolazione e si riduce il numero di famiglie con figli, aumenta il divario tra individui in età lavorativa e non, a tal punto che il sistema di previdenza sociale rischia di esplodere.Cosa possiamo quindi fare noi italiani? Proviamo a rispondere con tre regole: la prima è non lasciarsi persuadere da chi profetizza sciagure dovute alla sovrappopolazione; la seconda è impegnarsi con i propri mezzi affinché si creino condizioni economiche e culturali per accrescere la natalità; la terza è sostenere i piani di sviluppo e di cooperazione nei Paesi del Terzo Mondo.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7356UN ASILO ABOLISCE LA FESTA DEL PAPA'... PER NON DISCRIMINARELa festa di san Giuseppe divenne festività civile nel 1949 e lo restò fino al 1977, quando fu abolita dalla Democrazia Cristiana al governo (!?), poi fu tolto anche il precetto religioso per cui non è più obbligatorio andare alla Messa quel giornodi Roberto MarchesiniA Viareggio una scuola per l'infanzia (un tempo detta asilo) abolisce la festa del papà: «È discriminatoria nei confronti di chi non ha un papà».I lettori della Nuova Bussola non sprecheranno certo tempo a controbattere questa affermazione: hanno ormai capito benissimo che l'obiettivo non è eliminare le discriminazioni, ma la festa del papà. Se non ci fosse la scusa della discriminazione se ne inventerebbero un'altra, di tipo scientifico («Il papà appartiene al passato, ormai possiamo creare bambini senza un uomo»), antirazzista («San Giuseppe era etero e bianco, non va festeggiato») oppure ambientalista («Le zeppole di san Giuseppe inquinano, la ricetta originale non prevede farine proteiche!») e via delirando. «Tutto ciò che esiste, merita di perire», diceva Mefistofele nel faust di Goethe; «Tutto ciò che esiste, merita di perire», ripetevano appena potevano Marx ed Engels. La festa del papà va abolita, punto. Perché esiste, perché ricorda la legge naturale. Poi un pretesto si trova, uno qualsiasi, anche il più assurdo.MOTIVI DI UNA FESTAMa perché festeggiare la festa del papà? Beh, di primo acchito, direi: per proteggere una specie in via d'estinzione. Ormai gli italiani sono estinti perché hanno smesso di riprodursi; quindi non ci sono più papà. I pochi, coraggiosi pochi papà (i «veri avventurieri», affermava Peguy) vanno onorati e festeggiati; finché ce ne sono. E poi i papà sono maschi eterosessuali, una delle specie animali più odiate del pianeta: come non solidarizzare con queste povere e innocenti vittime?Al di là di questo, cerchiamo di capire perché è stata istituita, questa festa. Il 19 marzo è la festa dei papà perché è il compleanno del papà più importante di tutti, san Giuseppe. D'accordo, un papà sui generis, considerata la faccenda; però, senza alcun dubbio, un vero padre. San Giuseppe è noto per alcune caratteristiche che lo rendono un archetipo di uomo e di padre. Innanzitutto, san Giuseppe… tace. Come ogni uomo tradizionale che si rispetti e a scorno delle femministe, che vorrebbero gli uomini ciarlieri e piagnucolanti, san Giuseppe, in tutto il vangelo, non pronuncia una sola parola. Però agisce: caspita, se agisce. Avvertito in sogno che la sua famiglia era in pericolo, fa i bagagli ed emigra in Egitto. Già, perché un padre accudisce e protegge, esattamente come fa Giuseppe. Ed è suo l'incarico di sostentare la famiglia («Col sudore della fronte», impone Dio all'uomo, «ti guadagnerai il pane»). Infatti san Giuseppe è un lavoratore, tanto che ha una seconda festa, il 1° maggio, festa del lavoro.UNA FESTA PLURISECOLARELa Chiesa ha cominciato a festeggiare san Giuseppe circa un millennio fa. All'inizio, per opera di qualche ordine religioso (Benedettini, Servi di Maria, Francescani); poi, da parte della Chiesa universale con Gregorio XV l'8 maggio 1621 e con Urbano VIII il 13 settembre 1642 (bolla Universa per orbem). Nel 1870, quando la Chiesa attraversava una persecuzione ferocissima da parte dello Stato italiano unitario, papa Pio IX proclamò san Giuseppe custode di tutta la Chiesa con il decreto Quemadmodum Deus. [...]La festa di san Giuseppe, chiamata anche «festa del papà» divenne anche festività civile con la legge 260 del 1949 e lo restò fino al 1977, quando fu abolita per motivi di «austerità» (sic). Contestualmente, perse lo status religioso di festa di precetto con la nota CEI dell'8 marzo 1977. Ma chissenefrega: resta comunque una bella festa, celebrata ancora in molti comuni italiani. E, soprattutto, ci permette di riflettere sul gran dono che Dio ci ha fatto dandoci un papà e indicando a tutti gli uomini Giuseppe, il giusto silenzioso, come modello ed esempio.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7349MADRE DI SETTE FIGLI PARTORISCE CINQUE GEMELLI di Caterina BelloniI sette figli che avevano non bastavano, ne sognavano un altro. Per questo hanno cercato una nuova gravidanza e hanno avuto successo! Anzi, un estremo successo, visto che sono nati cinque gemelli: tre femmine e due maschi.L'evento straordinario è accaduto dell'ospedale universitario di Cracovia dove domenica 12 febbraio Dominika e Vince Clarke hanno dato il benvenuto a cinque bambini. Felici per questo parto super, i genitori hanno parlato di miracolo e non sono apparsi minimamente spaventati alla prospettiva di avere una famiglia composta da 14 persone. I bimbi sono arrivati grazie a un parto cesareo eseguito alla 29esima settimana, quindi adesso si trovano in incubatrice con un supporto respiratorio, perché riprendano le forze e siano pronti poi ad affrontare la vita.I cinque neonati prematuri stanno però bene e la speranza dei genitori è che possano presto tornare a far parte della loro tribù, che comprende altri sette figli tra i 12 anni e i 10 mesi, tra cui già due coppie di gemelli. Visto che i piccoli sono stati partoriti con due mesi di anticipo e con un parto cesareo, adesso pesano tra i 700 grammi e il chilo e duecento grammi. [...]"Speriamo di poter arrivare al momento gioioso di dimetterli dall'ospedale", ha dichiarato in proposito Ryszard Lauterbach, responsabile del reparto di neonatologia.Anche perché l'evento ha dell'incredibile. Per la super mamma si tratta di un miracolo, mentre gli scienziati parlano di un'eccezione alla regola. "Una gravidanza del genere si verifica una volta su 52 milioni" ha confermato il medico. "Sono un matematico, mi piacciono queste statistiche. C'è più probabilità di vincere alla lotteria che di avere questa folla". Mamma e papà non si preoccupano di questo aspetto e hanno già scelto i nomi dei piccoli: Charles Patrick, Henry James, Elizabeth May, Evangeline Rose e Arianna Daisy.I genitori non hanno particolari timori nemmeno per le dimensioni della famiglia. Dominika, che ha 37 anni, non si è detta per nulla spaventata di fronte all'idea di dover gestire 12 figli. Anzi. Alla stampa che la interpellava ha dichiarato: "Se hai un sistema, un approccio calmo e un atteggiamento positivo, allora è possibile avere una vita davvero bella con un gruppo così numeroso di bambini". A suo parere i piccoli saranno solo una ragione di festa in più.Nota di BastaBugie: nel Discorso ai Dirigenti e Rappresentanti della Associazioni delle Famiglie Numerose d’Italia tenuto in Vaticano il 20 gennaio 1958 papa Pio XII spiega l'importanza nella Chiesa e nel mondo dell'apertura alla vita che gli sposi promettono solennemente il giorno del matrimonio rispondendo sì alla richiesta esplicita del sacerdote di "accettare i figli che Dio vorrà donarvi".Ecco il discorso completo del venerabile Pio XII:Tra le visite più gradite al Nostro cuore annoveriamo questa vostra, diletti figli e figlie, Dirigenti e Rappresentanti le Associazioni tra le Famiglie Numerose di Roma e d’Italia. Vi è infatti nota la viva sollecitudine che Noi nutriamo verso la famiglia, di cui non trascuriamo occasione per illustrare la dignità nei suoi molteplici aspetti, per affermare e difendere i diritti, inculcare i doveri, in una parola, farne un caposaldo del Nostro pastorale insegnamento. (…)Ma voi non rappresentate solamente la famiglia, bensì siete e rappresentate le famiglie numerose, vale a dire, le più benedette da Dio, dalla Chiesa predilette e stimate quali preziosissimi tesori.Da queste infatti ella riceve più manifestamente una triplice testimonianza, che, mentre conferma dinanzi agli occhi del mondo la verità della sua dottrina e la rettitudine della sua pratica, ridonda, in virtù dell’esempio, a grande vantaggio di tutte le altre famiglie e della stessa civile società. Ove, infatti, si incontrino con frequenza, le famiglie numerose attestano: la sanità fisica e morale del popolo cristiano - la fede viva in Dio e la fiducia nella sua Provvidenza - la santità feconda e lieta del matrimonio cattolico.1. Tra le aberrazioni più dannose della moderna società paganeggiante deve contarsi l’opinione di taluni che ardiscono definire la fecondità dei matrimoni una « malattia sociale», da cui le nazioni che ne sono colpite dovrebbero sforzarsi di guarire con ogni mezzo. Di qui la propaganda del cosiddetto « controllo razionale delle nascite », promossa da persone e da enti, talvolta autorevoli per altri titoli, ma, in questo, pur troppo riprovevoli. (…)È da deplorarsi in particolare quella stampa, che di tanto in tanto ritorna sull’argomento col manifesto intento di confondere le idee del buon popolo e trarlo in errore con fallaci documentazioni, con discutibili inchieste e perfino con dichiarazioni falsate di questo o quell’ecclesiastico. Da parte cattolica occorre insistere per diffondere la persuasione, fondata sulla verità, che la sanità fisica e morale della famiglia e della società si tutela soltanto con obbedire generosamente alle leggi della natura, ossia del Creatore, ed innanzi tutto nutrendo verso di esse un sacro ed interiore rispetto. (…)Ora il valore della testimonianza dei genitori di famiglie numerose non solo consiste nel rigettare senza ambagi e con la forza dei fatti ogni compromesso intenzionale tra la legge di Dio e l’egoismo dell’uomo, ma nella prontezza ad accettare con gioia e riconoscenza gli inestimabili doni di Dio, che sono i figli, e nel numero che a lui piace. Tale disposizione di animo, mentre libera gli sposi da intollerabili incubi e rimorsi, pone, a giudizio di autorevoli medici, le premesse psichiche più favorevoli per un sano sviluppo dei frutti propri del matrimonio, evitando nell’origine stessa delle nuove vite quei turbamenti ed angosce, che si tramutano in tare fisiche e psichiche sia nella madre che nella prole.A prescindere infatti dai casi eccezionali, sui quali avemmo altre volte occasione di parlare, la legge della natura è essenzialmente armonia, e quindi non crea dissidi e contraddizioni, se non nella misura in cui il suo corso viene turbato da circostanze per lo più anormali o dalla contrastante volontà umana.Non vi è eugenetica che sappia far meglio della natura, ed è buona solo quella che ne rispetta le leggi, dopo averle profondamente conosciute, sebbene in alcuni casi di soggetti tarati sia consigliabile di dissuaderli dal contrarre matrimonio. Del resto, sempre e dappertutto il buon senso popolare ha ravvisato nelle famiglie numerose il segno, la prova e la fonte di sanità fisica, mentre la storia non erra quando addita nella manomissione delle leggi del matrimonio e della procreazione la causa prima della decadenza dei popoli.Le famiglie numerose, lungi dall’essere la « malattia sociale », sono la garanzia della sanità di un popolo, fisica e morale. Nei focolari, dove è sempre una culla che vagisce, fioriscono spontaneamente le virtù, mentre esula il vizio, quasi scacciato dalla fanciullezza, che ivi si rinnova come soffio fresco e risanatore di primavera. Prendano dunque esempio da voi i pusillanimi e gl’ingenerosi; a voi conservi la patria gratitudine e predilezione per tanti sacrifici, che abbracciate nell’allevare ed educare i suoi cittadini; come vi è grata la Chiesa, che può per mezzo vostro ed insieme con voi presentare all’azione santificatrice del divino Spirito schiere sempre più sane e folte di anime.2. Nel mondo civile moderno la famiglia numerosa vale in generale non a torto come la testimonianza della fede cristiana vissuta, poiché l’egoismo, di cui parlavamo testé come massimo ostacolo alla espansione del nucleo familiare, non può validamente vincersi se non ricorrendo ai principii etico-religiosi. Anche di recente si è visto come la cosiddetta « politica demografica » non ottiene notevoli risultati, sia perché sull’egoismo collettivo, di cui essa è spesso la espressione, prevale quasi sempre l’individuale, sia perché le intenzioni ed i metodi di quella politica avviliscono la dignità della famiglia e delle persone, pareggiandole quasi a specie inferiori. Soltanto la luce divina ed eterna del cristianesimo illumina e vivifica la famiglia, in tal modo che, sia nell’origine sia nello sviluppo, la famiglia numerosa è spesso presa come sinonimo di famiglia cristiana. Il rispetto delle leggi divine le ha dato l’esuberanza della vita; la fede in Dio fornisce ai genitori il vigore necessario per affrontare i sacrifici e le rinunzie che esige l’allevamento della prole; i principi cristiani guidano e agevolano l’ardua opera di educazione; lo spirito cristiano dell’amore veglia sull’ordine e sulla tranquillità, mentre dispensa, quasi enucleandole dalla natura, le intime gioie familiari, comuni ai genitori, ai figli, ai fratelli. Anche esteriormente una famiglia numerosa ben ordinata è quasi un visibile santuario: il sacramento del Battesimo non è per essa un avvenimento eccezionale, ma rinnova più volte la letizia e la grazia del Signore.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7320L'INFLUENZA DEL MARKETING SULLA FESTA DI SAN VALENTINO di Giulia TanelEccola qui, puntuale, come ogni anno: la festa di San Valentino, con tanto di cioccolatini a forma di cuoricino, mazzi di fiori, peluche anche quelli con cuore annesso, menù per cene romantiche, offerte per album di foto e chi più ne ha, più ne metta. Eh sì, perché diciamoci la verità, la "festa degli innamorati" in sé è oggi ridotta a un appuntamento consumistico, che a seconda delle annate incontra più o meno successo negli acquirenti e che negli ultimi anni è inoltre diventata sempre più la celebrazione di "tutti gli amori", di tutti i colori la mente umana possa immaginare.Perché dunque soffermarsi a parlarne, non sarebbe meglio adagiarsi sull'endecasillabo di dantesca memoria «non ragionar di lor, ma guarda e passa»? Perché San Valentino in realtà riguarda tutti noi, e più da vicino di quanto crediamo.Un primo aspetto interessante da sottolineare è proprio quello già accennato: l'influenza del marketing, inteso in senso ampio, sulla nostra vita. Proviamo a riflettere: quanti, soprattutto se ancora fidanzati, si sono in qualche modo sentiti in qualche modo "costretti" a celebrare questa ricorrenza? Comprando anche solo un oggettino, o gustandosi una cena fuori, ma esattamente il 14 febbraio? Non il giorno prima (il 13? Sia mai!), non il giorno dopo (tradizionalmente considerato il giorno in cui a "festeggiare" dovrebbero essere i single). Sia chiaro: nulla di male, anzi, che una coppia decida di dedicarsi del tempo o dei pensieri, per quanto tradotti spesso in una materialità fine a se stessa, tuttavia il fatto che questo debba avvenire "sotto dettatura" è significativo.SIAMO SEMPRE DI CORSA«Eh ma nella quotidianità siamo sempre di corsa, almeno questa occasione ci impone di trovare un tempo per noi», potrebbero obiettare alcuni, magari con uno o più figli piccoli o piccolissimi. Eppure, seppure pienamente comprensibile, questo ragionamento non tiene. Pensiamo a una pianta: va innaffiata più o meno ogni giorno - ovviamente coi dovuti distinguo in base alla varietà -, non solo quando ci si ricorda perché ci si passa davanti. Altrimenti, ahimè, posso testimoniarlo molto bene, dall'alto del mio pollice non-verde, la pianta muore. La stessa cosa vale per la relazione di coppia: va curata quotidianamente, altrimenti inaridisce e non porta frutto, né per sé, né per l'altro, né per gli eventuali figli. D'altronde basta andare a ripescare la promessa matrimoniale per rendersene conto: «Prometto [...] di amarti e onorarti ogni giorno della mia vita». Lo abbiamo detto noi: «Ogni giorno». E per fare questo bastano piccole attenzioni, piccoli gesti che ogni coppia si costruisce giorno dopo giorno, che spesso peraltro la materialità la rifuggono, costruendo e affinando sempre più un linguaggio unico. E, per chi ancora sposato non è ma sta vivendo il periodo del fidanzamento il discorso di fondo è lo stesso, anche se necessariamente cambia il modo di esprimerlo, perché il tempo che precede il matrimonio altro non è che un esercizio allo stesso.PROMETTO DI ESSERTI FEDELE SEMPRELa promessa matrimoniale cita ancora: «Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia». E qui si apre il secondo punto di riflessione. La festa di San Valentino, per come è concepita ora, altro non è che uno specchio della società: non celebra l'amore, bensì l'innamoramento, il sentimento melenso le cui note hanno risuonato ridondanti sul palco dell'Ariston; non celebra l'eternità, bensì l'attimo presente, il "finché dura"; e non celebra il mettersi a servizio, il sacrificio, il volere il bene dell'altro - anche quando, come sottolinea in merito a questo passaggio lo psicologo e psicoterapeuta Roberto Marchesini, la salute e la malattia che vacillano sono le nostre e le forze vengono meno -, bensì mette al centro l'ego del singolo, per il "noi", per il "portare assieme il giogo" della vita (come vuole l'etimologia della parola "coniuge") non c'è posto.Eppure, la scienza ci insegna, l'innamoramento ha un tempo limitato. Poi la relazione deve evolvere, deve maturare... pena l'esplosione. Ma quali sono gli ingredienti affinché una relazione duri? Avere interessi comuni? Andare d'accordo? Essere sempre in salute? ... In realtà, a dispetto di quanto ci ha rimandato per anni la narrazione in salsa hollywoodiana, quel che veramente conta è fondare la relazione su una roccia solida, su una relazione che è esterna alla coppia, che la precede e la supera, ma che nel contempo la informa: su un Amore più grande, suggellato in un Sacramento che è un «mistero grande» e che rimane imprescindibile. Occorre, insomma, avere una base comune, una visione comune. Perché, innegabilmente, nel tempo le fatiche ci saranno e i difetti dell'uno e dell'altro emergeranno, a volte anche in maniera molto pungente, e sarà dunque necessario poterne fare memoria.Scrive la neuropsichiatra e psicoterapeuta Mariolina Ceriotti Migliarese, nel suo libro La coppia imperfetta: «L'innamoramento è un fuoco che brucia ogni cosa: può essere molto difficile contenerlo, e può avvampare anche contro le nostre intenzioni; ma se non c'è legna sufficiente per alimentarlo, il fuoco presto o tardi si spegnerà, talvolta dopo aver distrutto molte cose. Se invece la materia prima è buona, quando la fiamma si fa meno intensa si formano delle braci calde, vive e buone, capaci di durare molto a lungo nel tempo, se le due persone hanno cura di mantenerle sempre accese. L'amore inizia da qui». Affermazioni molto uncorrect, e per soli coraggiosi.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7267VIETARE LA PAROLA ''MADRE''? E' L'INIZIO DELLA FINEOgni bambino cerca la mamma dal momento della sua nascita: cancellare il concetto stesso di maternità non porterà niente di buonodi Harriet ConnorOggi dappertutto le madri vengono cancellate. In nome dell'inclusione e della diversità: Barnardo's, una onlus inglese che si occupa dei bambini più vulnerabili, ha annullato il suo premio Madre dell'anno.I volontari dell'Australian Breastfeeding Association sono stati indagati per il loro uso della parola "madre" sui social mediaIl Partito Laburista australiano ha rimosso la parola "madre" dai suoi documenti politici (e tanti altri enti pubblici e privati dell'Occidente "progredito e civile" hanno fatto e stanno facendo altrettanto).Il ragionamento è: in alcune famiglie non c'è una madre e alcune madri si identificano come "padri", quindi dovremmo smettere del tutto di usare un linguaggio sessuato per i genitori. Nella famiglia moderna, "madre" e "padre" sono stati sostituiti da genitore 1 e (se sei fortunato) genitore 2.Purtroppo, le madri vengono cancellate non solo dai discorsi, ma anche dalla vita dei bambini. Diversi "vip" hanno comprato bambini attraverso l'utero in affitto, con l'intenzione di allevarli senza una madre. Un bambino, quindi, può avere - e perdere - fino a tre diverse "madri": una madre genetica, una madre naturale e una madre sociale. E dovremmo applaudire.La normalizzazione di famiglie "diverse" può aiutare i bambini di quelle famiglie a sentirsi meno stigmatizzati, ma finora (da secoli) questa "sensibilità" non è stata mai mostrata riguardo i bambini orfani o abbandonati. E rimuovere deliberatamente la madre non può assolutamente essere chiamato progresso . Questa correttezza politica forzata - dire ai bambini che le madri sono opzionali e intercambiabili - è una negazione della realtà biologica e del bisogno umano. Sminuisce il ruolo unico di una madre.Ogni bambino ha una madre: la donna che è stata la sua "casa" per nove mesi, l'ha messo al mondo e (nella maggior parte dei casi) l'ha nutrito con il proprio corpo. Una madre e il suo bambino condividono un legame intimo e insostituibile.I BAMBINI HANNO BISOGNO DI UN GENITORE MASCHIO E FEMMINAAl di là della nascita e dell'allattamento, le madri continuano a relazionarsi con i propri figli in un modo unico. Rispetto ai padri, le madri hanno livelli più alti e più recettori dell'ormone ossitocina, che è responsabile del legame umano. Di conseguenza: «I padri tendono a giocare e le madri tendono a prendersi cura dei bambini... I padri incoraggiano la competizione; le madri incoraggiano l'equità. Uno stile incoraggia l'indipendenza, mentre l'altro incoraggia la sicurezza», scrive Glenn Stanton in Perché i bambini hanno bisogno di un genitore maschio e femmina.Katy Faust e Stacy Manning riassumono la scienza della maternità in questo modo: «La mamma tende a concentrarsi sui sentimenti, a prescindere dai fatti. È predisposta per nutrire e connettersi, un'abilità particolarmente importante quando un bambino dipende completamente da lei per sopravvivere. Le madri stabiliscono il tono emotivo a casa e rispondono intuitivamente ai bisogni fisici ed emotivi della sua famiglia. Nel suo modo unicamente femminile, la mamma incarna "la casa" per i suoi figli». (Loro prima di noi: perché abbiamo bisogno di un movimento globale per i diritti dei bambini, Post Hill Press, 2021 Capitolo 3, Parte 4, Loc 1546)Un uomo non può semplicemente decidere di chiamarsi madre; una donna non può definirsi "genitore" o "padre" senza genere. La parola 'madre' ha un referente biologico nel mondo reale e quindi dobbiamo insistere nell'usarla. Soddisfa i bisogni dei bambini.Quando eliminiamo le madri dal nostro vocabolario e dalla vita dei bambini, inviamo il messaggio che non c'è niente di speciale nelle madri: qualsiasi adulto andrà bene. Ma la realtà è che ogni essere umano ha bisogno e desidera non solo un genitore generico, ma anche la madre che l'ha partorito. I bambini trascorrono nove mesi a prepararsi per incontrare la madre che già conoscono e con cui condividono una relazione. Dopo la nascita, il legame madre-bambino è della massima importanza per il sano sviluppo di un bambino.Tutto ciò è stato ritenuto di buon senso fino a quando le tecnologie riproduttive non hanno iniziato ad aprire nuove possibilità. Ora, il desiderio di un uomo di essere padre può prevalere sul diritto di un figlio ad avere una madre.AVERE FIGLI NON È UN DIRITTOAll'inizio di quest'anno, un uomo nello stato di Victoria ha fatto notizia diventando il primo uomo single a diventare padre attraverso l'utero in affitto. Com'era prevedibile, è stato celebrato come una vittoria per l'uguaglianza. Ma avere figli non è un "diritto" che può essere fatto valere indipendentemente dalla biologia o dall'interesse superiore del bambino. Si afferma spesso che "l'amore fa una famiglia", ma i bambini hanno bisogno di qualcosa di più dell'amore: hanno un profondo bisogno di conoscere e, idealmente, essere cresciuti sia dalla madre che l'ha partorito che dal padre.L'organizzazione di advocacy Them Before Us esiste per dare ai bambini una voce nel dibattito sulla struttura familiare. Hanno raccolto centinaia di storie di persone nate attraverso la fecondazione artificiale e l'utero in affitto. Queste persone sperimentano comunemente uno "smarrimento genealogico", un senso di mercificazione e un trauma per la perdita della madre o del padre biologico.Anche il non sapere a chi appartengono i gameti da cui ha avuto origine la propria vita è un male per le persone.Una donna concepita da un ovulo comprato descrive la sua lotta: «Non riesco a esprimere a parole il dolore di non sapere chi è la mia madre biologica e di non poter avere/aver avuto una relazione con lei. Ci penso davvero almeno una volta al giorno, ed è profondamente preoccupante mentalmente, emotivamente e psicologicamente». (Loro prima di noi , Capitolo 7, Loc 3015)Una giovane donna concepita attraverso l'utero in affitto in America (in Australia è legale solo la gestazione per altri "altruistica": i nostri Lettori sanno bene che di altruistico non c'è nulla. La gestante è illusa e sfruttata, e comunque riceve un congruo rimborso spese) spiega: «Essere amati dai due che ti hanno generato e non dagli estranei che ti hanno comprato, è naturale e bello. Ma mi è stata negata questa struttura familiare per sostenere un commercio e una coppia sterile». (Loro prima di noi , Capitolo 8, Loc 3627)Naturalmente, in un mondo imperfetto, i bambini perdono la madre a causa della morte, del divorzio, dell'abuso o dell'abbandono. Questi bambini meritano tutto l'amore e il sostegno che possiamo dare loro. Applaudiamo ai padri rimasti soli che crescono comunque i loro figli. Applaudiamo alle donne disinteressate che crescono bambini che non hanno partorito: nonne, matrigne, madri adottive.Ma la "famiglia moderna", in cui le madri (o i padri) sono trattati come facoltativi, è una deliberata negazione di ciò di cui i bambini hanno bisogno e che naturalmente desiderano. La mancanza di madre è sempre qualcosa da piangere, non da celebrare."Mamma" è, universalmente, la prima parola che dicono i bambini. È un suono facile da emettere e imita il movimento delle labbra del bambino mentre si nutre. Nel bene e nel male, è ancora la prima parola che i bambini piccoli gridano nel cuore della notte.Ecco perché non possiamo permettere che 'madre' diventi una parola vietata. Simboleggia il legame profondo e insostituibile tra una donna ei suoi figli. Bandire questa parola primordiale causerà una ferita primordiale che richiederà anni o generazioni per guarire.Le madri contano. Il nostro grembo, il seno e gli ormoni ci rendono uniche e indispensabili. Ogni bambino cerca la mamma dal momento della sua nascita. Non siamo genitori 1 o 2. Siamo madri e non sortirà niente di buono dalla nostra cancellazione.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7246LETTERE ALLA REDAZIONE: L'ABBANDONO DEL FIGLIO NATO FUORI DAL MATRIMONIOdi Pietro GuidiGentile redazione di BastaBugie,ho letto con attenzione l'articolo da voi pubblicato che difende il cognome paterno dato al figlio ed mi trovo particolarmente d'accordo anche quando Pietro Guidi scrive che anche le mogli dovrebbero avere il cognome del marito.Tutto questo è vero, ma secondo me non basta. Infatti se è vero che il padre ha diritto di imporre il cognome al figlio, però non sempre ne ha il dovere, ma soltanto quando il figlio è stato generato all'interno del matrimonio. In questa società assistiamo a moltissime rivendicazioni femministe che lamentano il fatto che l'uomo può scappare dopo avere messo incinta una donna, lasciando a lei la difficoltà di badare al figlio e di mantenerlo. Da questo punto di vista sono state fatte numerose leggi che impongono all'uomo di pagare gli alimenti ai figli anche se sono nati fuori dal matrimonio. Appartengono alla stessa corrente ideologica gli assegni di mantenimento dati alla moglie divorziata o separata.Voi potreste sussultare sulla sedia per quello che sto per dirvi: secondo me, e anche secondo le leggi fino all'avvento della rivoluzione sessuale e dell'ideologia della parità di genere, l'uomo che abbandona la sua donna incinta può farlo, perché non è tenuto a mantenere quel figlio. Sarebbe tenuto a farlo solo se i due fossero sposati, altrimenti no. Non sto dicendo che è bello abbandonare il proprio figlio solo perché nato fuori dal matrimonio, ma affermo che l'uomo che lo facesse secondo me non sarebbe da biasimare.È infatti il legame del matrimonio che obbliga a riconoscere i figli che nascono all'interno di esso. Quindi la donna che si concede sessualmente ad un uomo con cui non è sposata deve sapere che lei non può pretendere niente da lui. Deve conoscere i rischi che corre. Quindi, in una società normale, dovrebbe pretendere dal suo uomo che la sposi prima di concedersi a letto. Non solo per motivi religiosi, ma anche per i seguenti motivi naturali. Il legame matrimoniale è fatto apposta a difesa dell'uomo e della donna. In quel legame l'uomo sapeva che sua moglie si era impegnata a restargli sempre fedele e quindi non doveva temere nessun concorrente in amore. La donna invece viene difesa dal matrimonio visto che il marito si è impegnato a sostentare la famiglia. Ma se non si è sposati nessuno dei due ha queste protezioni: entrambi possono essere traditi e la donna rischia di essere abbandonata con il figlio che porta in grembo senza poter rivendicare nulla, visto che l'uomo a cui si è concessa non aveva assunto con lei nessun impegno.GiovanniRISPOSTA DELLA REDAZIONECaro Giovanni,la tua mail forse non è del tutto condivisibile, ma non possiamo certo negare che gli obblighi sia per il marito che per la moglie nascono dallo stringere il patto matrimoniale.Detto questo però riteniamo che un uomo che mette incinta una donna fuori del matrimonio sia colpevole di immoralità al pari di lei. Infatti la legge di Dio chiama fornicazione tali rapporti, quando sono praticati da persone non sposate, e chiama adulterio i rapporti sessuali tra persone sposate, ma non tra di loro (adulterio semplice quando è sposato uno dei due, adulterio doppio quando sono entrambi coniugati). Entrambi quindi sono peccato grave.Per quanto riguarda la questione del cognome o degli alimenti purtroppo questa materia è trattata dalle leggi civili senza più distinguere tra figli legittimi, cioè nati all'interno del matrimonio, e figli illegittimi. La confusione regna dunque sovrana ed è aggravata dalle complesse questioni dell'utero in affitto che per ora è illegale in Italia, ma che in realtà viene praticato all'estero e poi si pretendono riconoscimenti anche qui da noi.Insomma a noi premeva ricordare che quella del cognome non è una questione secondaria, ma che fa parte di un più ampio progetto di distruzione della famiglia che è praticamente ormai completato nei nostri ordinamenti statuali.Noi crediamo che sia importante ripartire dalla Legge di Dio scritta nel cuore di ogni uomo per ripristinare la realtà naturale sul matrimonio.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7247E' BELLO AVERE IL COGNOME DEL PADRE... E DEL MARITOQuest'anno la Corte Costituzionale ha abolito il cognome del padre attribuito in modo automatico, ma è un imbarbarimento... persino la moglie dovrebbe avere il cognome del marito (come Margaret Thatcher, Hilary Clinton e Ursula von der Leyen)di Pietro GuidiMercoledì 27 aprile la Corte Costituzionale ha definito illegittime le norme che attribuiscono al figlio di una coppia il cognome del padre in modo automatico. Per dare al figlio soltanto il cognome paterno d'ora in poi sarà necessario che entrambi i genitori siano d'accordo. Questa notizia non deve stupirci.Già in moltissimi paesi europei vigevano leggi simili, se non ancora più estreme. In Spagna vengono dati entrambi i cognomi. Nei Paesi Bassi si attribuisce di comune accordo uno dei due cognomi. In Germania, Svizzera, Grecia, Ungheria, Romania e Croazia viene assegnato ai figli il cognome scelto dai genitori per tutta la famiglia. In Francia e in Belgio si possono assegnare entrambi i cognomi in ordine alfabetico. Addirittura in Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia e Austria viene attribuito automaticamente il cognome della madre dall'anagrafe, a meno che si dia indicazione della propria scelta. In Lussemburgo siccome sono più indecisi fanno un sorteggio.Quindi la legge attualmente vigente in Italia non è un caso isolato, ma è parte di un processo di revisione del ruolo della donna all'interno della famiglia che ha colpito tutto l'Occidente. Si dice infatti che una volta la famiglia avesse uno stampo esclusivamente patriarcale: il padre veniva chiamato capofamiglia ed era lui che decideva tutto, mentre la donna era relegata al ruolo di serva del marito, alla cura dei figli e alle faccende domestiche. In quest'ottica il fatto di dare anche il cognome della donna non è impuntarsi per una cosa da niente, ma è un segno del nuovo ruolo assunto dalla donna all'interno della famiglia.Se una femminista mi esponesse così le motivazioni del dare anche il cognome materno al figlio gli direi che ha ragione, eccetto che nella soluzione. È verissimo che dare il cognome materno al figlio non è una quisquilia burocratica, ma rivoluziona sostanzialmente il ruolo della donna. Il problema è che il vecchio ruolo che aveva la donna nella famiglia andava benissimo e quello nuovo storpia la sua natura. Permettere alla donna di dare il cognome ai propri figli è l'ennesimo passo avanti nella decostruzione del ruolo del padre e del maschio e del conseguente crollo della famiglia. E questo va a scapito anche della donna. È insomma un ulteriore passo avanti di questa ideologia cieca nei confronti della realtà. Sì, sto parlando di realtà perché dare il cognome del padre al figlio (e anche alla moglie) non è una convenzione sociale che può essere cambiata perché risolve i problemi dati dalla realtà biologica. Infatti il cognome del padre risolve l'incertezza della paternità per i figli e, se proprio vogliamo dirla tutta, la moglie dovrebbe portare il cognome del marito a sua maggior garanzia.IL COGNOME DEL PADRE PER I FIGLINel nostro DNA ci sono scritti due bisogni fondamentali: quello di sopravvivere e quello di riprodurci. Per questo esistono l'istinto alla sopravvivenza e quello dell'accoppiamento sessuale. In questo caso ci interessa il secondo. Noi ci riproduciamo perché istintivamente desideriamo trasmettere i nostri geni alla generazione futura. Non ci basta che la specie umana si riproduca, ma ogni individuo desidera che siano i suoi geni ad essere portati avanti. Traducendo in un linguaggio contemporaneo: non ci basta sapere che qualcuno faccia sesso, ma vogliamo essere noi personalmente a farlo. E siccome la natura mette un piacere dove ci realizziamo, noi ci realizziamo trasmettendo i nostri geni alla generazione futura.Pensiamo agli animali che, pur di accaparrarsi le femmine per potersi riprodurre, sono disposti a lottare fino all'ultimo sangue. Quindi è interesse di ogni maschio, animale o umano che sia, far sì che sia solo lui a generare figli dalla sua femmina e nessun altro. Altrimenti starebbe sprecando le sue risorse e le sue energie per mantenere i figli del suo rivale: oltre al danno la beffa! I latini spiegavano questo concetto dicendo: "Mater semper certa, pater numquam". Da qui capiamo l'esigenza del padre di imporre il cognome: così facendo lo riconosce come suo e si impegna a mantenerlo e proteggerlo. Da questo discende che il bambino entra a far parte della famiglia del padre, è sottomesso alla sua potestà e per questo ottiene il diritto ad essere mantenuto dal padre, il diritto all'eredità e a tutte le cose che sono dovute ad un figlio. Diversamente no. Infatti ogni vero diritto nasce da un dovere e il diritto ad essere mantenuto dai genitori nasce dal dovere di stare sottomesso a loro.Dai ragionamenti fatti sul cognome paterno si può capire che questa non è una rivendicazione fine a sé stessa, ma deriva dal fatto che è l'uomo a esercitare il ruolo di capofamiglia con tutto il carico di responsabilità che esso comporta: se la famiglia va male o patisce la fame è colpa sua.Comprendiamo quindi come imporre il nome o il cognome è un gesto dalla portata grandissima. Dare il nome infatti è sempre stato un atto di autorità. Pensiamo nei vangeli a quando Gesù cambia il nome a Simone, che da quel giorno si chiamerà Pietro. In questo modo Gesù aveva affermato di avere il potere su di lui. Era Gesù che comandava e Pietro obbediva. La stessa cosa deve succedere in famiglia. Il padre infatti deve prendersi la responsabilità di mantenere e difendere la famiglia e per questo motivo è lui che ha il diritto, ma anche il dovere di comandare. Se per non prendersi la responsabilità scaricasse sulla moglie l'onere di decidere, verrebbe meno a un suo preciso dovere.Diversamente da quello che in genere si crede, in famiglia non si può decidere in due. Non è possibile che siano entrambi i genitori a comandare, ma deve essercene uno che ha l'ultima parola. Ogni realtà ordinata ha una e una sola guida. Pensiamo ad una azienda, una squadra di calcio, uno stato ecc. Se ci fossero due persone a comandare nel momento in cui si trovassero in disaccordo ci si bloccherebbe. Inoltre credere che l'accordo sia sempre possibile a condizione di parlarne abbondantemente è un'illusione tutta femminile. Se in una famiglia vi dicono che comandano tutti e due in realtà ci sarà sempre uno che ha l'ultima parola. E se l'uomo ha abdicato dal suo ruolo di capofamiglia per "decidere insieme", state sicuri che, quando si troverà in disaccordo con la moglie, farà un ulteriore passo indietro e lascerà decidere a lei trasformandosi piano piano in un'ameba. E chi dei due debba comandare ce lo indica la natura: all'uomo viene donata maggior forza fisica e maggior logicità nel ragionamento proprio per adempiere a questo compito. Alla donna invece viene data una maggior sensibilità ed emotività che le permettono di svolgere meglio il suo compito di cura nei confronti del marito, dei figli e, di conseguenza, della loro casa. Una donna affezionata a suo marito farà dei gesti di amore che a lui non sarebbero mai venuti in mente.IL COGNOME DEL MARITO PER LA MOGLIEQuindi, come conseguenza di tutto quello che è stato detto facciamo un passo ulteriore: non solo i figli devono avere il cognome del padre, ma anche la moglie dovrebbe prendere il cognome del marito. Infatti il cognome indica la persona a cui sei soggetto. Finché vivi in casa con i tuoi genitori è a loro che sei soggetto e sono loro che ti proteggono e ti mantengono. Quando invece vai a vivere con il tuo marito è lui che prende su di sé il dovere di mantenerti e di proteggerti e ti accetta nella sua famiglia: per questo è giusto che la donna porti il cognome del marito. Questa cosa è magnificamente spiegata quando Gesù istituisce il sacramento del matrimonio, ribadendo l'insegnamento originario di Dio sulla sessualità. Ad un certo punto Gesù dice, citando quello che Dio aveva detto ad Adamo ed Eva: "Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne". Fate bene attenzione alle parole: l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre. Perché non dice che anche la donna li abbandonerà? Perché la donna non abbandona nessuna sicurezza. L'uomo infatti abbandonerà la sicurezza della casa paterna e diventerà responsabile della sua vita. La donna no. La donna passerà dalla protezione dei suoi genitori a quella del marito. Non sarà in nessun momento abbandonata a se stessa. E il cambio di cognome dopo il matrimonio esprime proprio questa realtà: io porto il cognome di colui che mi protegge, di chi ha la responsabilità su di me.Persino Hilary Clinton porta il cognome del marito Bill, ex presidente degli Stati Uniti, in quanto deve tutta la sua carriera politica a lui. E non si può certo dire che la Clinton sia antifemminista, anzi. Stesso discorso per Ursula von der Leyen, attuale presidente della Commissione europea. Il suo cognome è in realtà quello del marito.In conclusione dobbiamo augurarci che un giorno le donne possano tornare a capire che la loro realizzazione non passa dal competere con l'uomo su chi ha i
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7230NIENTE PUNIZIONI PER I FIGLI... CE LO DICE L'EUROPA (E COSI' SARANNO ROVINATI PER SEMPRE) di Antoine Béllion"Vai nella tua stanza!". Chi di noi non ha ricevuto quest'ordine nella propria infanzia? Conosciuta anche come cornering (andare all'angolo), è una delle punizioni più comuni nelle famiglie. Per lo psichiatra infantile Maurice Berger, ex direttore di un servizio dedicato alla cura dei bambini violenti, questa è addirittura "probabilmente la punizione più antica del mondo".Ebbene, questa antica punizione potrebbe presto essere proscritta dal Consiglio d'Europa che, a suon di decreti, si è improvvisato anche custode della "genitorialità". Il Consiglio intende "combattere la violenza nell'educazione". Spronato da associazioni libertarie, come la francese Stop VEO (violences éducatives ordinaires), il Consiglio d'Europa ha preso di mira il famoso cornering.Eppure, finora, il "vai nella tua stanza!" era ritenuta la punizione perfetta. [...] Per esempio, nel 2008 Maud de Boer-Buquicchio, allora vicesegretario generale del Consiglio d'Europa, aveva lanciato una campagna per prevenire gli abusi sui minori. Come parte della campagna, il Consiglio aveva pubblicato un opuscolo rivolto ai genitori, che diceva: "I bambini stanno meglio se i loro genitori sono cordiali e solidali, se trascorrono del tempo di qualità con loro, rispondendo a eventuali cattivi comportamenti con spiegazioni e, se necessario, con punizioni non violente come il cornering".Da allora i tempi sono cambiati e il Consiglio ha deciso di rivedere le proprie posizioni. Lo scorso 8 agosto, Regina Jensdottir, responsabile della sezione Diritti dei bambini, ha annunciato che il cornering è "obsoleto" e andrebbe "ripensato". In una mail di risposta a un quesito di Le Figaro, datato 7 ottobre 2022, il Consiglio d'Europa conferma che "non promuove più il cornering", avendo ceduto alle sirene delle lobby della cosiddetta "educazione positiva".Secondo Christine Schuhl, educatrice infantile col metodo Montessori: "Un bambino che si arrabbia e disobbedisce è un bambino che non sta bene. Quando mai si lascia solo qualcuno che non sta bene? È una sanzione psichica inaudita. E sto misurando le mie parole".Lo psichiatra infantile Maurice Berger non è d'accordo: "Paragonare il 'cornering' ai maltrattamenti è ignoranza scientifica. Alcuni bambini prendono in giro i loro genitori e questo modo di trattenerli può ripristinare la necessaria asimmetria tra adulto e bambino. Lo possiamo chiamare un 'altolà', un atto che permette di fermare qualcuno quando le parole non bastano".La pensa in modo identico Benjamin Sadoun, psichiatra infantile presso il Groupe Hospitalier Universitaire Paris psychiatrie & neurosciences: "Mi sembra una sanzione moderata. Successivamente, i genitori dovrebbero comunque analizzare i motivi che li hanno portati a rinchiudere il bambino in camera".Per Caroline Goldman, un'altra specialista dei bambini: "Mandiamo il bambino nella sua stanza quando infrange le regole, a condizione però che gli siano state spiegate più volte. È bene che impari a trattenersi. Il bambino sano richiede limiti, C'è un consenso scientifico sul 'cornering'". [...]Un saggio consiglio di cui il Consiglio d'Europa ovviamente non ha tenuto conto...Nota di BastaBugie: nel sito WikiHow si trova un interessante articolo dal titolo "Usare il Time-Out per i Bambini in Età Prescolare" che spiega come si mette un figlio in castigo. Ecco questi consigli pratici.1) AVVERTI TUO FIGLIOSe il piccolo non riesce a controllarsi, come succede talvolta alla maggior parte dei bambini, inizia avvisandolo. Assicurati che l'avvertimento sia chiaro ed espresso in un linguaggio comprensibile. Potresti dirgli: "Paolo, se picchi di nuovo il tuo amico, ti metterò in castigo".2) ACCOMPAGNALO NELLA ZONA RISERVATA AL CASTIGOSe il comportamento scorretto perdura, conduci tuo figlio nell'angolo del castigo, ossia in un posto tranquillo privo di distrazioni quali la televisione, i giocattoli e altri bambiniPotrebbe essere utile avere uno spazio prestabilito in casa o in altri posti che frequenti abitualmente. In tal modo eviterai l'ulteriore frustrazione di trovare un posto adeguato all'ultimo momento.Assicurati di spiegare a tuo figlio il motivo del castigo e cerca di giudicare il suo comportamento, anziché il bambino. Per esempio, potresti dirgli "Non è corretto picchiare Matteo" invece di "Sei monello perché picchi Matteo".3) ORDINA A TUO FIGLIO DI RESTARE IN SILENZIO PER IL TEMPO PRESTABILITOLa maggior parte degli esperti è concorde nell'affermare che il periodo di tempo più adeguato per il time out sia di un minuto per ogni anno di età del bambino. Quindi, se tuo figlio ha tre anni dovrebbe restare in castigo per tre minuti, mentre se ne ha quattro il castigo dovrebbe durare quattro minuti, eccetera.Tuo figlio potrebbe rifiutarsi di restare in silenzio e ciò è del tutto normale per un bambino in età prescolare. Se si rifiuta di stare fermo, trattienilo dalle spalle con fermezza, ma gentilmente. Potresti anche cercare di tenertelo in grembo.Al contrario, alcuni genitori preferiscono concedersi una pausa quando il proprio figlio assume un atteggiamento di sfida. Ciò potrebbe significare semplicemente dire al bambino che hai bisogno di una pausa e quindi restare nella stessa stanza per non perderlo di vista, ma non rispondere alle sue provocazioni.4) RITORNA ALLE NORMALI ATTIVITÀFai riprendere a tuo figlio un'attività positiva dopo aver completato il periodo di pausa raccomandato. Se è ancora abbattuto o agitato, potrebbe essere utile concedergli del tempo in più per calmarsi. Comunicagli che è libero di tornare alle altre attività appena smette di piangere o di assumere qualsiasi comportamento scorretto.CONSIGLI VARICerca di essere di buon esempio assumendo un comportamento appropriato. I bambini apprendono maggiormente emulando i propri genitori.Non punirlo mai per i suoi errori accidentali. I bambini devono imparare ad acquistare la propria autonomia senza temere di essere giudicati per incidenti occasionali e inevitabili.Assicurati di spiegare sempre a tuo figlio il motivo alla base del tuo provvedimento o delle conseguenze naturali.Non cedere soltanto perché temi di mettere a rischio la serenità di tuo figlio. Ricorda che i bambini traggono vantaggio dall'imposizione di limiti e conseguenze appropriate.È preferibile aspettare che il bambino sia abbastanza grande da comprendere il concetto di castigo, prima di cominciare ad applicare questa tecnica disciplinare. L'età giusta per iniziare è intorno ai tre anni.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7225IL DIVORZIO E' LA VILTA' CHE FUGGE DINANZI ALLE DIFFICOLTA' di Pierfrancesco Nardini«Al massimo puoi sempre divorziare». Questa frase sentita in un film la si prende come spunto perché, se ci si pensa, racchiude la sintesi dei tempi che viviamo sull'argomento matrimonio.Il divorzio divenuto logica normalità della vita. Se ho sete, bevo. Se sono stanco, mi riposo. Se sono innamorato della mia fidanzata, mi sposo. Se va male, divorzio. Logico, no?Il personaggio che dice questa frase (per incoraggiare lo sposo!) mica gli parla della giustezza della sua scelta, mica gli ricorda l'amore che ha per la sposa, mica gli rammenta i sogni da loro fatti nei mesi passati, no! Gli dice, in pratica, che tanto al massimo divorzieranno e si libereranno facilmente di qualsiasi problema...RIMETTERE INSIEME I COCCIÈ talmente normale pensare al divorzio come una soluzione che non ci si pone oramai più la domanda se si possano rimettere insieme i cocci, se si possa risolvere il problema.È proprio vero che la possibilità del divorzio ha inciso sulla mentalità delle persone. Ha inciso, diciamo così, sul loro modo di pensare che è cambiato in modo inconscio. Immagazzinato il file, anche senza pensarci in modo consapevole, c'è questa spia nella mente che sempre più automaticamente fa pensare a questo, non si prende più in considerazione l'altra possibilità, quella di combattere per il proprio matrimonio, affrontando la crisi.La presenza del divorzio, insomma, ha dato alle persone una facile via d'uscita che rende veloce e (s'illudono) indolore la fine di ogni problema.È stato giustamente detto che, se una persona vive in una stanza e se l'arreda come più gli piace, ma ha una porta aperta che gli permette di uscirne quando vuole, al primo momento in cui questa stanza non gli piacerà più, uscirà subito, non proverà prima ad aggiustarla (cambiare colori alle pareti, i mobili, ecc...), come invece farebbe se la porta aperta (via d'uscita facile) non ci fosse. Questo vale per matrimonio e divorzio.Qui non ci si sofferma sulla sempre maggiore superficialità delle relazioni ai giorni nostri, frutto di più cose, che si ripercuote però sui rapporti di coppia e sulla capacità di capire la profondità dei propri sentimenti. Quel che qui si vuol sottolineare è come oramai il divorzio sia entrato appieno nella normale e quotidiana prassi della vita, sia diventato qualcosa di comunemente accettato e abituale, tale da non esser più messo in discussione, ahinoi anche da molti che si dicono cattolici.UNA CONVINZIONE NATA DALL'ABITUDINESe c'è qualcosa che è difficile scardinare dalla mente delle persone, è una convinzione nata dall'abitudine. Se, cioè, una persona si abitua a qualcosa nella propria vita, dopo qualche tempo, giusto o sbagliato che sia quel comportamento, la sua capacità di giudizio sul quella cosa è dominata dall'abitudine.In conclusione leggiamo queste interessanti parole di Chesterton: "La prima cosa da dire su questi riformatori è che per loro il matrimonio è un discorso senza capo né coda. Non sanno cosa sia, o cosa significhi; essi non vi danno un'occhiata nemmeno quando vi ci si trovano dentro. Semplicemente si liberano della fatica più vicina (...) non hanno la minima idea di quanto sia vasta l'idea che stanno attaccando. (...). Non esiste forse peggior consiglio di quello di liberarsi dalla fatica più vicina (...) sarebbe a dire 'rosicchia la prima cosa che ti capita a tiro'. L'uomo, come il topo, tende a scardinare ciò che non comprende e, dato che ha sbattuto contro un ostacolo, non importa che questo ostacolo sia il pilastro portante che sostiene il tetto sopra la sua testa (...). Ci accorgeremo di come la grande massa di uomini e donne moderni, che scrivono e parlano del matrimonio, stiano rosicchiandolo ciecamente come un esercito di topi. (...) I ratti sono sempre pronti ad abbandonare la nave che affonda: esiste una nave (fuor di metafora: la famiglia), grande o piccola non fa differenza, che non va abbandonata anche quando si pensa stia affondando. (...) Ogni filosofia dell'amore che non dia conto della sua ambizione di stabilità, come delle sue esperienze di fallimento, è destinata a fallire."
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7211IL PIEMONTE VUOLE EVITARE GLI AFFIDI ILLECITI TIPO BIBBIANO di Anna BonoLa giunta regionale del Piemonte, composta da una coalizione di centrodestra in carica dal 2019, ha un assessorato che si occupa specificamente di infanzia, genitorialità e ruolo della famiglia nelle politiche del bambino. Chiara Caucino, che ne ha le deleghe, fin dall'inizio del suo mandato si è occupata assiduamente del problema dei minori allontanati dai genitori per offrire loro cure, educazione e condizioni di vita adeguate qualora la famiglia d'origine non sia in grado di farlo. A richiamare la sua attenzione e ad allarmarla è stato l'elevato numero in Piemonte, superiore alla media nazionale, dei bambini dati in affidamento familiare e accolti in strutture residenziali. I dati più recenti disponibili indicano infatti in Italia una media di 2,7 minori per mille allontanati dalle famiglie contro il 3,5 per mille del Piemonte.Ad accrescere interesse e preoccupazione verso il fenomeno sono state nel frattempo le notizie di cattiva gestione dell'istituto dell'affidamento: il caso più clamoroso è quello di Bibbiano, emerso nel 2019 nell'ambito dell'inchiesta "Angeli e demoni" sugli affidi illeciti. L'assessore Caucino si è quindi impegnata nella formulazione di una nuova legge regionale che preveda maggiore supporto alle famiglie di origine nell'obiettivo di mettere al centro il sostegno della genitorialità in funzione del "diritto naturale" dei minori, del loro primario interesse a crescere nelle rispettive famiglie.AFFIDAMENTO AI FAMIGLIARI FINO AL QUARTO GRADOIn sostanza la nuova normativa prevede innanzitutto che l'indigenza non possa mai essere causa di allontanamento e quindi privilegia l'aiuto economico alle famiglie, in termini di sussidi, contributi al pagamento di affitti di locazione e ad altre spese, assegnazione di abitazioni idonee alle necessità familiari.La legge intende in secondo luogo attuare politiche che, nel rispetto e nella tutela dei minori, riducano per quanto possibile i tempi della separazione dei bambini dai famigliari, ove questa si renda necessaria, per evitare quanto più possibile di sradicare il minore e affidarlo ad estranei, per quanto professionalmente preparati e affidabili. A tal fine impegna l'amministrazione a potenziare l'affido flessibile e modulabile sulle necessità della famiglia, a sostenere le reti famigliari concentrando su di esse il sostegno economico, culturale e sociale e privilegiando l'affidamento ai famigliari fino al quarto grado di parentela. Un'attenzione speciale è prevista a non dividere i fratelli e quindi a inserirli in un'unica casa-famiglia o struttura.Tra gli organi introdotti dalla legge figurano un Progetto educativo familiare (Pef), della durata minima di sei mesi e con il coinvolgimento dei servizi sociali, prima di procedere all'allontanamento di un minore, e un Osservatorio, che raccolga dati ed esegua un monitoraggio costante della situazione dei minori in affido e di quelli rimasti nelle famiglie di origine. "Quella di oggi - ha commentato l'assessore il giorno del voto - è una data storica. In questi anni, visitando le comunità e le case-famiglia mi sono sentita chiedere dai bambini, ai quali parlavo e stringevo le manine, di poter tornare dalla mamma e dal papà, dalla zia o dal nonno e ho assicurato loro che avrei fatto di tutto perché questo si potesse realizzare: oggi mi sento di dire che la promessa è stata mantenuta". La legge, spiega Caucino, che è una esponente della Lega, non ha un colore politico: "Sono certa che vada esclusivamente nell'interesse dei minori e che anche chi oggi si oppone la apprezzerà vedendola applicata. L'ambizione è che la legge possa diventare un modello virtuoso applicabile in tutta l'Italia".I FIGLI APPARTENGANO AI GENITORIPerò le critiche ci sono state e continuano, espresse dagli esponenti della minoranza nel Consiglio regionale del Piemonte e da operatori delle strutture assistenziali e dei servizi sociali. Per questo l'iter della legge è stato così lungo. Ci sono voluti tre anni per arrivare, il 25 ottobre scorso, alla sua approvazione. L'accusa fondamentale è che l'interesse dei bambini, per quanto affermato, sia invece sacrificato a quello degli adulti e questo perché il presupposto della legge - si sostiene - è che "i figli appartengano ai genitori". Di certo non appartengono allo Stato, replicano i sostenitori della norma consapevoli che, sottinteso, ma chiaro, è l'attacco alla famiglia di chi ne sottovaluta, quando non la nega, l'importanza cruciale per l'equilibrio psicofisico dei bambini. In linea con questa posizione, come si ricorderà, è stata la proposta di rendere obbligatorio l'asilo nido (da 0 a 3 anni), sostenuta lo scorso agosto dal piddino Stefano Bonaccini, governatore della regione Emilia-Romagna.La legge è stata chiamata "Allontanamento zero". Ne ha approfittato chi si opponeva alla norma per denunciare l'intenzione dell'assessore Caucino e della giunta regionale piemontese di abolire l'istituzione dell'affido. Non è questo l'obiettivo, è ovvio, se non idealmente, in un mondo in cui nessun bambino nasca in famiglie fragili e incapaci di garantire ai figli sicurezza e serenità. Durante la discussione della legge tuttavia sono stati citati dati che fanno ipotizzare una riduzione dell'allontanamento fino all'80%.
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7149UNA BRUTTA NOTIZIA: LE CASALINGHE SONO SEMPRE MENORecenti dati dicono che il numero delle casalinghe è notevolmente diminuito e quelle che sono rimaste sarebbero nella o poco sopra la soglia di povertà. A questo poi si aggiunge l'insistenza con cui si vogliono annullare i cosiddetti "stereotipi di genere".A noi non piace correre dietro i luoghi comuni quindi diciamo subito che notizia della drastica diminuzione delle casalinghe non la riteniamo affatto buona. Non la riteniamo buona per la famiglia e non la riteniamo buona nemmeno per la donna.Non è buona per la famiglia, perché la presenza costante o almeno prevalente della madre in casa costituisce un elemento fondamentale per l'ordine e la salute della famiglia. E non è buona nemmeno per la donna, perché ella sente di essere chiamata soprattutto all'accoglienza e alla custodia, per cui, venendo meno queste, è la donna stessa a non sentirsi realmente realizzata. Gran belle attitudini, quelle dell'accoglienza e della custodia, che l'uomo - va riconosciuto - non ha. Tant'è che la capacità di sacrificarsi per gli altri la possiede la donna, non l'uomo. Questi sa sacrificarsi per la Verità, per gli ideali; la donna, invece, sa sacrificarsi per gli altri, soprattutto per le persone che la Provvidenza le pone immediatamente accanto.Quando due uomini si trovano a discutere, solitamente i loro argomenti sono la politica, il lavoro, lo sport. Quando invece due donne discutono, i loro argomenti sono la famiglia, i figli, il marito. L'uomo tende a parlare di ciò che fa e di ciò che accade; la donna di chi ama e di chi accudisce.Terminiamo con queste puntuali parole di Santa Edith Stein (1891-1942): "L'orientamento al fine naturale e a quello soprannaturale è comune all'uomo e alla donna, ma vi si nota una differenziazione di compiti, consona alle diverse proprietà naturali dei due sessi. La missione primaria dell'uomo è dominare la terra; in ciò la donna gli è posta a fianco come aiuto. La missione primaria della donna è procreare ed educare la prole; e in questo compito l'uomo le è dato come difesa. Ne deriva che nell'uno e nell'altra si manifestano gli stessi doni, ma in misura e in rapporto diversi. Nell'uomo, i doni necessari per la lotta, la conquista, il dominio: la forza muscolare con cui domina esteriormente la materia, l'intelletto con cui penetra intenzionalmente il mondo, la volontà e l'energia attiva con cui può plasmarlo. Nella donna, l'attitudine a proteggere, custodire e far sviluppare l'essere in formazione e in crescita: perciò il dono, di carattere più corporeo, di saper vivere strettamente unita a un altro, di raccogliere in calma le forze, e di sopportare il dolore e la privazione, e adattarsi; il desiderio di cooperare al loro sviluppo." (La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, tr.it., Roma 1987, pp.116-117).
VIDEO: Il cavaliere del terzo millennio ➜ https://www.youtube.com/watch?v=CYOp3oZlIGI&list=PLpFpqNiJy93u4WaU4EI2Tf7q125TSonGrTESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7131LA VERITA' E' CHE GLI UOMINI AMANO LE DONNE di Roberto MarchesiniL'attore britannico Benedict Cumberbatch ha recentemente rilasciato un'intervista per la promozione dell'ultimo film che lo vede protagonista, intitolato "Il potere del cane". In questa occasione ha espresso il suo pensiero a proposito della cosiddetta "mascolinità tossica": «Dobbiamo aggiustare i comportamenti degli uomini. Penso sia più rilevante che mai farlo e in particolare in un mondo che sta andando incontro a dei cambiamenti, puntando finalmente l'attenzione su quanto siano inadeguati lo status quo e il patriarcato. C'è questa specie di aspetto legato alla ribellione, questo negare la situazione, una posizione piuttosto infantile che sostiene "non tutti gli uomini sono cattivi". No, semplicemente dobbiamo tacere e ascoltare». Già la posizione pare problematica: se parla della mascolinità tossica, non tace. E poi: uno degli aspetti della "mascolinità tossica" non riguarda il fatto che gli uomini siano mutacici, cioè che si esprimano troppo poco? Quindi gli uomini devono tacere o devono parlare? O devono parlare del fatto che devono tacere?Probabilmente, sono ragionamenti troppo sottili per un povero psicologo di campagna come me.Quello che so, è che quando la virilità ha trovato la sua pienezza e il suo compimento, anche le donne ne hanno tratto un gran giovamento. Sto parlando della cavalleria, massima summa delle virtù virili; un fenomeno che ha cambiato per sempre (fino a giorni nostri) i rapporti tra uomo e donna... a vantaggio della donna. È infatti in quel periodo che la donna diventa... donna. Donna, infatti, è la contrazione di domina, in latino: signora. Perché il cavaliere faceva il gesto dell'omaggio (cioè il dono dell'uomo, di sé stesso) al signore e alla signora.TRACCE DI CAVALLERIADa questo discendono alcuni gesti di cortesia (cioè tipici della corte) che fanno brillare gli occhi ad alcune donne: aprire la portiera, accomodare la sedia, aiutare a mettere o togliere il cappotto, il baciamano... Che significato hanno questi gesti, che mandano in bestia le femministe? Semplice: il più forte, cioè il cavaliere, mette la sua forza a disposizione del più debole, cioè la donna. La forza dev'essere usata per servire, non per prevaricare. Questo è il grande insegnamento della cavalleria, oggi dimenticato (con le conseguenze che ben conosciamo).La cavalleria ha anche contribuito a creare una struttura sociale di regole che preservano la sessualità femminile. Così si legge nell'Historia regum Britanniae di Goffredo di Monmouth: «Le dame cortesi non degnavano di ricevere l'amore di alcuno se per tre volte non si era cimentato nell'agone. Si serbavano quindi caste le dame, e i cavalieri per amor loro divenivano più nobili». Così sono le dame a motivare i cavalieri a diventare «più nobili», più coraggiosi; e a loro volta le dame conservano la castità a causa del legame con il loro cavaliere. Funziona ancora così.Jason e Cristallina Evert sono una coppia che gira per il mondo parlando della Teologia del corpo di Giovanni Paolo II. Jason è arrivato al matrimonio vergine, Cristallina ha avuto una vita sessuale disordinata prima di scoprire la castità. Ecco le sue parole a proposito: «Io non accuso nessuno. Non dico: "Voi ragazzi siete il problema". Sono convinta che voi ragazzi sareste dei signori se noi donne lo esigessimo». Le donne medievali hanno preteso che i loro corteggiatori si comportassero in un determinato modo. E crearono la cavalleria.LA MODERNITÀTutto è cambiato con la modernità. La caratteristica principale della modernità è il rifiuto delle leggi morali e religiose. Solo che le leggi morali e religiose proteggono i deboli dai forti; eliminarle, ovviamente, significa abbandonare i primi in balìa dei secondi. Lo aveva previsto lucidamente il Marchese de Sade che, all'interno del suo romanzo blasfemo e pornografico intitolato La filosofia del boudoir, inserì un opuscolo intitolato Francesi, ancora uno sforzo se volete essere repubblicani. In sostanza: non è sufficiente rovesciare le strutture politiche, per fare la rivoluzione; è invece necessario contravvenire a tutte le regole morali e religiose, comprese quelle che proibiscono la calunnia, il furto, lo stupro, la prostituzione, l'adulterio, l'incesto, la sodomia e l'omicidio. Eliminata ogni legge morale e religiosa - come abbiamo detto - resta la legge del più forte: «[...] è incontestabile che abbiamo ricevuto dalla natura il diritto di esprimere i nostri desideri indifferentemente a tutte le donne, è incontestabile anche che abbiamo il diritto di obbligarle a sottomettersi a questi nostri desideri, non esclusivamente (mi contraddirei), ma momentaneamente. È incontestabile che abbiamo il diritto di promulgare leggi che le costringano a cedere al fuoco di chi le desidera; essendo la violenza stessa una conseguenza di questo diritto, possiamo impiegarla legalmente. La natura non ha forse provato che abbiamo questo diritto, accordandoci la forza necessaria a sottometterle ai nostri desideri?».Ecco, quindi, che, liberata dalle leggi morali e religiose, la virilità diventa dannosa: il suo scopo non è più proteggere, servire; bensì prevaricare, opprimere. La liberazione sessuale della donna si trasforma, tragicamente, in schiavitù.Ecco, quindi, l'insegnamento: non è la virilità in sé, ad essere tossica; non il modello patriarcale. La virilità tossica è quella moderna, nella quale la forza non è al servizio del debole, ma diventa fonte del diritto. Non ci piace la virilità tossica? Rifiutiamo la modernità e torniamo alla cavalleria. Facciamo in modo che la forza sia al servizio e a protezione del debole; che gli uomini facciano dono di sé alle donne. Rifiutiamo la legge del più forte, la legge della jungla, la lotta per la sopravvivenza. Avremo protezione per il nascituro, accudimento dell'anziano e del malato, rispetto per le donne.
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