DiscoverEpidemie nel tempo
Epidemie nel tempo
Claim Ownership

Epidemie nel tempo

Author: RADIO FBK

Subscribed: 4Played: 26
Share

Description

"Epidemie nel tempo. Percorsi nella storia" è un ciclo di podcast pensato dall’Istituto Storico Italo-Germanico della Fondazione Bruno Kessler per raccontare la storia delle epidemie nel lungo periodo. Esperti del tema ci aiutano a comprendere come le persone e le società hanno fatto i conti, dal tardo Medioevo ai nostri giorni, con le emergenze epidemiche.

A cura di: Maurizio Cau, Claudio Ferlan, Alessandro Girardi, Alessandro Paris, Massimo Rospocher ed Enrico Valseriati

Speaker: Enrico Valseriati
8 Episodes
Reverse
Le epidemie hanno avuto storicamente un forte impatto sulla sfera giuridica. Da un lato il legislatore è chiamato a intervenire in situazioni di emergenza per definire le misure necessarie al contenimento della malattia e al supporto del sistema economico, dall’altro si apre la delicata questione del bilanciamento tra diritti individuali e tutela della salute pubblica. Vale dunque la pena chiedersi quale ruolo abbia esercitato il diritto nella gestione delle emergenze epidemiche e quali conseguenze hanno avuto le pandemie sullo sviluppo dei processi normativi e degli istituti giuridici. Uno degli orizzonti normativi più direttamente influenzati dalle pandemie è rappresentato dalla regolamentazione economica. Come mostra emblematicamente l’ordinanza dei lavoratori emanata in Inghilterra in occasione della peste di metà Trecento, le epidemie hanno spinto di frequente le autorità a introdurre leggi generali di regolamentazione economica. Nel corso dei secoli sono cambiate le misure di intervento da parte delle autorità, ma la gestione economica nella situazione pandemica rimane una sfida centrale per l'ordinamento giuridico. La legislazione sulle pandemie è diventata gradualmente più complessa e in vari Stati europei ha portato alla definizione di corpi normativi dedicati alla prevenzione delle epidemie. Ciò ha portato nel tempo al problema della conciliazione tra la libertà degli individui e la tutela della salute (pubblica e privata) da parte delle autorità. Si tratta di un tema che a partire dal tardo Settecento accompagna la discussione pubblica in occasione di ogni evento epidemico. Un ultimo aspetto da prendere in analisi riguarda il ruolo assunto dagli esperti nei processi decisionali adottati dai governi per affrontare l’emergenza. Come si è visto anche in occasione dell’attuale pandemia, fondare la decisione politica e la norma giuridica sull’evidenza scientifica non è un processo scontato, ed è di frequente oggetto di critiche da parte dell’opinione pubblica. La storia mostra in ogni caso come le epidemie abbiano rappresentato, anche per i sistemi giuridici, delle significative occasioni di innovazione. Tratto da un testo di Maurizio Cau, ricercatore presso l’Istituto Storico Italo-Germanico della Fondazione Bruno Kessler, e Thorsten Keiser, professore di Storia del Diritto presso la Justus-Liebig-Universität in Giessen
Cos’hanno in comune gli altari portatili del Seicento e le messe in streaming del XXI secolo? Entrambi, a modo loro, sono stati strumenti che la Chiesa ha adottato per non far mancare, al popolo dei fedeli, la propria presenza in periodo di epidemia e di quarantena. In una città di confine, come fu ed è Gorizia, un ordine religioso in particolare, quello dei Gesuiti, si prodigò nel XVII secolo per fornire alla cittadinanza i servizi ecclesiastici essenziali. La peste si palesò a Gorizia nel 1682, con il tramite di un mercante proveniente dalle terre slave. Pronta e ferma fu la risposta delle autorità gesuitiche, che supplirono, tra le altre cose, all’assenza dei nobili cittadini, i quali alle prime avvisaglie della pestilenza se la diedero a gambe, rifugiandosi in campagna. I Gesuiti, noti soprattutto per le loro istituzioni educative, chiusero la propria scuola e la propria chiesa nei giorni immediatamente successivi alla registrazione del primo contagio. Al contempo, non rinunciarono a fornire ai fedeli i loro servizi spirituali e medici. Subito venne preparato un altare portatile, condotto nei pressi delle abitazioni cittadine per dare conforto a donne e uomini e per ricevere le elemosine. Si dovette aspettare il 1683 per veder cessare l’epidemia di peste a Gorizia. Ma l’esperienza insegnò - e insegna ancora oggi - che la Chiesa deve leggere con attenzione e solerzia i momenti di cambiamento, specie quelli che comportano l’allontanamento fisico dei fedeli dai luoghi di culto. Solo così l’Ecclesia può vincere le sfide che il tempo le presenta. In tempi barocchi come in epoca di dirette streaming.Da un testo di Claudio Ferlan, ricercatore presso l’Istituto Storico Italo-Germanico della Fondazione Bruno Kessler
Le immagini potenti dei carri militari, carichi di feretri in coda a Bergamo; la mancata istituzione della zona rossa ad Alzano e Nembro; la pressione politica per la ripresa economica di una delle zone industriali più importanti d’Italia; il sacrificio di infermieri e medici negli ospedali provinciali. Sono soltanto alcuni degli indelebili ricordi che rimarranno della pandemia di Covid-19 che ha colpito la Bergamasca agli inizi del 2020. Le medesime aree subirono gravissimi danni in occasione della peste del 1630: a quell’epoca, tuttavia, la ripresa economica fu un pensiero meno impellente rispetto alla paura della morte e alla tutela della sanità pubblica. Contadini e mercanti, caduti in disgrazia, cercarono di godersi quel poco che era rimasto. Altri, approfittando della debolezza politica, si prodigarono per costituire bande organizzate di criminali, che saccheggiarono le poche abitazioni ancora occupate dalla cittadinanza. Non mancarono poi membri delle classi sociali più elevate che sfruttarono l’epidemia di peste per arricchirsi ulteriormente, senza particolari turbamenti di ordine morale. La popolazione sopravvissuta, di converso, si fece forza, affidandosi al culto dei santi, alla superstizione e a rimedi medici di scarso successo. Ciò non toglie che le magistrature veneziane, responsabili del governo di Bergamo in età moderna, ebbero fiducia nella forza e nella tenacia dei bergamaschi, che infine, pur tra molte difficoltà, riuscirono a superare la peggiore crisi della loro storia.Tratto da un testo di Fabio Gatti, dottorando presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore
A Trento, come nel resto dell’Italia settentrionale, la nota peste manzoniana ebbe effetti devastanti. Convinte, in un primo momento, di poter arginare la pestilenza grazie al controllo dei suoi confini giurisdizionali, le autorità cittadine di Trento dovettero fare i conti con un rapido aumento della contagiosità nel 1630. A poco servirono le manifestazioni di devozione, così come i restringimenti alle attività fieristiche e commerciali. L’epidemia prese avvio nel quartiere di Borgo Nuovo, per poi dilagare in tutta la città e nel contado. Le istituzioni pubbliche si prodigarono per creare un Lazzaretto in fretta e furia, sulle rive del fiume Adige. Medici, speziali e chierici - gli operatori sanitari dell’epoca - vennero sopraffatti dalla veloce diffusione del contagio: alla fine dell’epidemia, i morti all’interno del Lazzaretto furono infatti 700. Una straordinaria testimonianza di quest’area di quarantena è costituita dallo “stendardo” del Museo Diocesano Tridentino, un ex-voto del 1630 in cui si vedono gli appestati protetti da strutture in legno e - in alcuni casi - da botti di vino vuote, riutilizzate come rifugi di emergenza. Il prezzo più caro, alla fine della pestilenza, lo pagarono gli operatori sanitari e i commercianti, insieme alle istituzioni pubbliche, impegnatesi fortemente, dal punto di vista economico, per far fronte all’emergenza. Ma un’intuizione pubblica ripopolò presto la città e rivitalizzò l’economia locale: la vendita del diritto di cittadinanza escogitato dalle autorità pubbliche, infatti, permise a Trento di ripartire in tempi rapidi.Da un testo di Alessandro Paris, post-doc presso l’Istituto Storico Italo-Germanico della Fondazione Bruno Kessler
Con questa puntata, diamo avvio a una serie di approfondimenti sulle pestilenze che colpirono le città del Nord Italia tra Cinquecento e Seicento. Abbiamo imparato a conoscere molto bene, in tempi recenti, la geografia della Lombardia orientale. Cremona, Bergamo e Brescia sono state, infatti, al centro dell’attenzione mediatica, in ragione della violenza con cui Covid-19 ha colpito quelle città e le loro province agli inizi del 2020. In un passato più remoto, per la precisione tra XVI e XVII secolo, l’Italia settentrionale dovette affrontare crisi epidemiche ancora più gravi, che ebbero effetti molto pesanti sulla società dell’epoca, per decenni e persino per secoli. Brescia, in particolare, fu letteralmente travolta dalla peste di San Carlo, di cui ci hanno parlato Massimo Rospocher e Rosa Salzberg nella puntata precedente. La peste del 1576-77 uccise un terzo della popolazione cittadina e ridimensionò, di molto, il ruolo economico e politico della più importante città lombarda soggetta a Venezia. Attraverso la voce di testimoni diretti e i documenti trasmessi dai medici del tempo, analizzeremo come Brescia affrontò la peste del 1577, trovando risposte, più o meno efficaci, nella scienza medica, nell’opinione comune e nella religiosità.Da un testo di Enrico Valseriati, post-doc presso l’Istituto Storico Italo-Germanico della Fondazione Bruno Kessler
Non sono in molti a conoscere la cosiddetta “peste di San Carlo”, che colpì l’Italia settentrionale tra il 1576 e il 1577, causando decine di migliaia di vittime, soprattutto tra Venezia e Milano. A differenza delle ben più note pestilenze del 1348 e del 1630, la più grave epidemia di peste del Cinquecento non possiede un narratore che l’abbia raccontata con la maestria e la notorietà di un Boccaccio o di un Manzoni. Ciò nonostante, le fonti d’archivio sono ricche di informazioni e di suggestioni su questo tragico episodio: dalla viva voce dei testimoni dell’epoca, veniamo a conoscenza di paure, conflitti e rimedi che non sono meno evocativi e vividi dei racconti dei grandi della letteratura italiana.Il centro dell’epidemia fu il nord Italia. Venezia e Milano, nel Rinascimento, si rivelarono vulnerabili al contagio, per via degli scambi commerciali molto intensi concentrati nelle due città. Misero perciò a punto un sistema di restrizioni e quarantene, nominarono magistrati addetti al controllo della pubblica igiene e allestirono servizi di raccolta delle informazioni, al fine di prevenire i rischi. Non sempre queste misure funzionarono alla perfezione e infine l’epidemia del 1575-1577 si dimostrò devastante. Tuttavia, l’impatto del disastro venne contenuto e si sviluppò anche un coordinamento tra i diversi Stati della penisola: un auspicio che deve valere anche ai nostri giorni.La peste di San Carlo è nota inoltre per un dato curioso, che ci riguarda da vicino. Fu infatti in quegli anni che si svilupparono mezzi di comunicazione assai simili agli odierni bollettini medici o persino ai giornali. Fogli manoscritti e stampa, a quel tempo, venivano prodotti giornalmente e fatti circolare tra la popolazione per informarla sul numero dei contagi e su eventuali soluzioni per i malati. Ieri come oggi, non mancò la diffusione di fake news per depistare, diffamare e disinformare la gente.Da un testo di Massimo Rospocher, ricercatore presso l’Istituto Storico Italo-Germanico, e Rosa Salzberg, professoressa di Storia del Rinascimento presso la University of Warwick
A discapito di quanto si è portati a credere, epidemia e pandemia non sono sinonimi di decadenza. La peste del 1348, cornice “nera” della narrazione di Boccaccio nel Decameron, ebbe indubbiamente effetti devastanti sulla popolazione europea, con conseguenze molto pesanti per le colture agrarie del tempo. Eppure, a distanza di alcuni decenni, si rivelò importante per riequilibrare il rapporto tra risorse e popolazione; portò le donne e gli uomini della prima età moderna a studiare soluzioni innovative per i problemi dell'economia e della società in generale; permise percorsi di mobilità sociale a categorie che in precedenza non avevano avuto uno spazio politico o economico nel contesto cittadino o rurale.L’economia è al centro di questa puntata, che vuole mostrare come le emergenze epidemiche, tra Medioevo ed età moderna, non portarono solamente sofferenza, morte e desolazione. Pur nel dolore causato dalle pestilenze tra XIV e XVII secolo, l’umanità seppe infatti reagire con fermezza, anche dal punto di vista culturale: fu dopo la tremenda peste boccacciana, infatti, che in Italia e nel resto d’Europa si crearono le condizioni psicologiche, economiche e politiche per il risveglio culturale noto come Rinascimento. Senza dimenticare che alcune delle più significative acquisizioni in campo religioso, filosofico, medico e commerciale nacquero proprio come risposta alle crisi epidemiche.Le reazioni che le società del passato hanno avuto di fronte a uno stato di crisi possono aiutarci ad analizzare con maggior lucidità il periodo che stiamo affrontando: quello appena successivo a una malattia. Si può scegliere se arretrare, in una posizione difensiva e normalizzante, oppure cogliere l’occasione per una nuova fioritura di educazione, cultura e politiche (sane). Si può rinascere, oppure no.Tratto da un testo di Giuseppe De Luca, professore di Storia economica presso l’Università di Milano
L’umanità ha sempre dovuto fare i conti con epidemie e pandemie. Il contagio tra persone è infatti una costante della storia umana, che ha costretto le donne e gli uomini del passato a cercare soluzioni e modalità di convivenza con le malattie. Alcune delle più antiche testimonianze scritte, non a caso, riguardano proprio i terribili flagelli sanitari che hanno afflitto le culture del passato. Le risposte trovate non sempre si sono rivelate efficaci, ma fu in quei frangenti di crisi che l’umanità seppe reagire, cercando nel sacro e nella medicina possibili viatici per superare fasi di grave difficoltà sociale e sanitaria.Pandemie letali, ad esempio, contribuirono molto alla crisi dell’Impero romano. Venne poi nel Medioevo il lungo periodo della peste, durato molti secoli, con milioni di vittime soprattutto in Asia e in Europa. L’Italia fu duramente colpita da ripetute ondate di pestilenze, in particolare dal 1348 alla seconda metà del Seicento, che causarono il declino della penisola rispetto ai paesi nordici del continente europeo. Nell’Ottocento arrivò dall’India in Europa un nuovo terribile morbo, il colera, cui fece seguito l’influenza Spagnola, esplosa verso la fine della Grande Guerra; una violenta epidemia che provocò un record di morti in tutto il pianeta, mostrandone tutta la sua fragilità.Il XXI secolo ha già visto diversi contagi, fino a Covid-19. La lezione del purtroppo familiare Coronavirus è chiara: bisogna rafforzare la cooperazione internazionale in campo sanitario e la collaborazione tra paesi. Solo così è possibile sconfiggere realmente una pandemia.Tratto da un testo di Guido Alfani, professore di Storia economica presso l’Università Bocconi di Milano
Comments 
Download from Google Play
Download from App Store