Voce: Psicologia e dintorni

La solitudine del morente è la perdita del sentimento di comunanza. Distacco e coinvolgimento in pari tempo che interessa il morente quanto chi gli sopravvive. Il corpo per via dell'infermità comincia a non essere toccato già prima della morte, fatto salvo e sempre più spesso da personale specializzato. Il silenzio della perdita lo si percepisce prima della morte, a morte avvenuta, e per i mesi e a volte gli anni successivi.

Si può stare in famiglia, in una comunità lavorativa, in una coppia e sentirsi soli. Ci sono nuove solitudini stando apparentemente in uno spazio dove ci sono altri: il gioco (la ludopatia), la seconda vita virtuale, la partecipazione ad un evento, ecc. Stare con tante persone non significa soffrire la solitudine.

Il silenzio della solitudine è il tentativo di non comunicare che si è soli. Ma nelle relazioni ci può essere incomunicabilità, perdita dello sguardo, paura del contatto fisico anche se ne ha bisogno. Colmare questo silenzio significa mettere in moto piccoli gesti, rituali.

La sensibilità della solitudine è caratterizzata da più componenti. Quello che definiamo creatività avviene quasi esclusivamente in solitudine ma anche la sofferenza si sperimenta da soli. La vita interiore necessita della solitudine, è uno dei modi per rafforzare la propria personalità.

Il bambino cerca il contatto perché si sente solo. Ha bisogno di tenerezza e fa di tutto per ottenerla. Ma l’esperienza vera di solitudine si ha in preadolescenza.

Il secolo della solitudine è il nostro. La contraddizione è che è anche il secolo della facilità di comunicazione. Nonostante più possibilità di comunicare ci si sente soli. In questa serie Francesco Florenzano analizza origine e evoluzione di un sentimento che fa soffrire.