L’inglese per vendere il vino: questione di small talk – con Michela Colasante
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Come migliorare il nostro inglese per vendere il vino? Quali cose sottovalutiamo? Quali altre dovremmo superare?
Ne parliamo con Michela Colasante, trainer, interprete e traduttrice freelance, titolare di Beecome che da anni lavora nel settore del vino.
E’ decisivo lo “small-talk”: la conversazione di contorno per costruire la relazione. Quando non stiamo ancora parlando di affari, non stiamo trattando e nemmeno raccontando il nostro vino. Ci serve saper intrattenere e accogliere il nostro cliente: quando lo andiamo a prendere all’aeroporto, quando siamo a cena, quando parliamo di calcio. Saperci esprimere in modo agevole in quei momenti diventa più importante che conoscere esattamente tutti i termini tecnici del vino.
Note alla puntata:
Michela Colasante di Beecome – link
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02:40 Gli italiani e l’inglese: questione di relazione
05:15 L’inglese prima e dopo gli affari
06:50 Lo small- talk in inglese per vendere il vino
10:20 Non solo l’inglese: il cinese, il russo, …
11:35 Intermedio, autonomo, avanzato. La differenza tra cavarsela e capire le necessità di chi abbiamo davanti
13:45 Gli errori che facciamo come italiani quando parliamo in inglese
14:45 Ma la lingua inglese non è il primo problema
17:50 L’inglese scritto: le email che mandiamo
22:15 Chi sta facendo le traduzioni per il nostro vino?
24:45 La prima che possiamo fare: gli strumenti online, i video, i ted talks, gli articoli e le pagine da cui trarre spunti
29:00 Parla, parla e ancora parla con qualcuno, via skype o al telefono: buttati, con un amico o con un cliente.
Puoi ascoltare l’intervista audio, cliccando in alto in questo articolo. Qui sotto c’è la completa trascrizione.
Stefano: Benvenuta Michela!
Michela: Grazie Stefano, buongiorno!
Stefano: Allora, Michela Colasante, vicentina di Schio, se non sbaglio. Trainer, interprete, traduttrice freelance in inglese, italiano e spagnolo, e ha un background economico-commerciale: lavora da tempo con export manager nelle piccole e medie imprese, ha un’azienda che si chiama Beecom e accompagna persone e aziende, e prodotti, nel processo di internazionalizzazione del Made in Italy, insomma. La cosa che mi piace davvero e per cui Michela è qui, è che il suo approccio rispetto alle lingue è molto orientato alla comunicazione e al marketing, e che la sua esperienza è particolare anche nel mondo del vino. E quindi sei perfetta, insomma, per Wine Internet Marketing. Senti Michela, partirei dal problema – se c’è un problema, ce lo confermerai tu – il problema con l’inglese: si dice che noi italiani ce la caviamo sempre, che alla fine ci facciamo capire e che in qualche modo sopperiamo, forse, a delle carenze con la nostra capacità di comunicazione. Ma questo è vero? Ed è vero in che misura?
Michela: È vero nel senso che la capacità è un po’ uno stereotipo, però effettivamente lo scontro nell’esperienza concreta e quotidiana che l’italiano, attraverso la gestualità e la sua capacità comunque comunicativa di entrare in empatia con il cliente o con un business partner internazionale, di qualunque cultura e provenienza sia, questa capacità dell’italiano è nota. Però effettivamente, conoscere la lingua, conoscere delle sfumature, conoscere in particolare la cultura del cliente o della persona con cui ci si interfaccia, fa la differenza. Nel senso che è importante che passi il messaggio, è importante creare la relazione, soprattutto se si vuole fare business nel lungo termine. Però, diciamo, sì, riuscire ad accogliere un cliente o comunque porsi nel modo giusto quando si va a visitare il suo paese e quando si entra in relazione con lui, è fondamentale: quindi non basta solo riuscire ad essere simpatici o comunque accoglienti, riuscire a comunicare nel modo giusto, ma effettivamente conoscerne la cultura e la lingua e soprattutto le differenze culturali, può fare la differenza, per non perdere opportunità di business e per calarsi un po’ nella realtà del cliente e capire cosa è effettivamente importante per lui, quindi non solo un discorso linguistico, ma anche un approccio multiculturale, e interculturale direi più che altro…
Stefano: Quindi hai già introdotto un paio di questioni, che vanno un po’ al di là della questione tecnica che forse, credo, sia superata, nel senso che ciascuno sa raccontare sé stesso, il proprio prodotto, l’azienda, magari le sfumature tecniche. Ciò che forse, ci stai dicendo, in cui siamo più deboli è nel creare questa relazione con una capacità linguistica che sappia non soltanto accogliere, ma creare la fiducia e quella naturalezza che forse richiedono le relazioni prima umane e poi commerciali.
Michela: Certo. Infatti la relazione, soprattutto in un settore dove effettivamente il cliente, o comunque il partner – possa essere un buyer, un importatore, un distributore o anche un agente – quello che ricerca è l’“Italian lifestyle”, quello che noi chiamiamo “Italian mood”: tutto quello che ruota attorno al vino in sé o a una piacevole serata in compagnia, e quindi tutto quello che riguarda la socialità e lo stare assieme e quindi la convivialità, cioè tutti questi aspetti – in questo settore in particolare – contano molto di più che non magari la conoscenza specifica di alcuni dettagli tecnici. Quindi, creare una relazione di lungo termine, e questo si fa una volta che si acquisisce una competenza linguistica che ci permette di essere sciolti e di avere anche una sorta di autostima e sicurezza quando ci si interfaccia con il partner straniero in lingua, ma anche la conoscenza culturale che ci permetta di far stare a proprio agio il nostro interlocutore proprio in queste situazioni conviviali: quindi, non solo ad una fiera o ad un evento, ma anche ad una cena… perché sappiamo, appunto, che gli affari soprattutto in questo settore si fanno a cena, si fanno davanti ad un bicchiere di vino e si fanno in una situazione anche magari informale, dove però si deve creare una piacevole atmosfera.
Stefano: Quindi saper parlare del tempo, del calcio, di quello che sta succedendo magari all’aeroporto, a cena, ad una situazione di incontro, diventa importante.
Michela: Certo, è tutto quello che è lo “small-talk”: tutta questa conversazione di contorno, che però non è più contorno, ma che diventa parte integrante della conversazione quando non parliamo in dettaglio di affari, di una trattativa o di una negoziazione o del nostro prodotto a livello più tecnico, ma sapere intrattenere l’interlocutore, come dicevi tu, quando lo andiamo a prendere all’aeroporto, quando siamo a cena… essere informati su quello che succede a livello internazionale, perché avere degli argomenti o comunque una conoscenza concreta dell’attualità, e quindi dei temi principali, e anche quello che avviene all’interno del suo paese perché effettivamente, se ci pensiamo, è importante – che ne so, se andiamo in Germania – sapere che sono in atto le elezioni o che c’è qualche tema che a loro sta particolarmente caro, anche se poi sappiamo che ci sono dei temi “sensitive”, un po’ sensibili o rischiosi, su cui è meglio non avventurarsi, come la politica, la religione o qualche altro tema un po’ più ostico. Però, saper parlare del tempo, saper parlare dell’attualità o dell’andamento generale del business o comunque di temi poco pesanti…
Stefano: Cioè, se parliamo adesso con un americano di USA, è meglio non parlare di Trump e Hilary…
Michela: Meglio non parlare di Trump e Hilary perché non sappiamo chi abbiamo di fronte, quindi non sappiamo effettivamente da che parte si schiera, però è indispensabile sapere che sono in corso le elezioni e che quindi una grossa fetta del pubblico è un po’ coinvolta da questa cosa, quindi segue i dibattiti, segue i confronti (scontri-confronti!), e quindi essere informati su questo chiaramente fa la differenza: può starci la battuta, magari sempre un po’ con leggerezza, senza addentrarsi troppo nel dettaglio e soprattutto se si tratta del primo incontro. Poi, è chiaro che a mano a mano che conosciamo il nostro interlocutore, e mano a mano che troviamo del terreno in comune – perché alla fine è quello l’obiettivo, trovare delle cose che abbiamo in comune, degli interessi, che possono essere un’attività sportiva, qualcosa che riguarda la famiglia… anche se, anche la famiglia, al primo approccio, può essere un argomento un po’ ostico – però poi a mano a mano che si acquisisce confidenza, sono tutti elementi che arricchiscono la relazione e che rendono anche bello il business. Del resto, noi facciamo business con le persone, non con i prodotti e né con le aziende, quindi trovare cose in comune con il nostro interlocutore-cliente è la cosa più bella per questo scambio anche a livello personale, e non solo commerciale e professionale.
Stefano: Ma la domanda è: quindi fare questa cosa è piuttosto complicata, nel senso che prevede, al di là di un’attenzione al nostro interlocutore – che riguarda anche la sua cultura e il suo modo di rapportarsi a noi, di percepirci, i suoi gusti – prevede anche una conoscenza linguistica forse un po’ più approfondita o diversa da quella che abbiamo squisitamente tecnica del nostro settore… come si fa? Da dove si parte?
Michela: La conoscenza di base della lingua – e qui stiamo parlando dell’inglese, anche se poi potremmo aprire delle parentesi, nel senso che ci rendiamo sempre più conto che l’inglese ormai non è più sufficiente: stiamo parlando dell’inglese come lingua franca intern






