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Misteri e Leggende
Misteri e Leggende
Author: Editoriale Programma
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© Editoriale Programma
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Tradizioni orale, aneddoti reali, fantasia umana e memoria storica ci rivelano l’identità di un popolo e del suo territorio. Un viaggio attraverso i miti e le leggende, brani tratti dai libri Miti Misteri e leggende del Veneto, Storie Miti e Leggende della Toscana, Miti e Misteri della Liguria, Guida ai luoghi della Treviso misteriosa. Editoriale Programma -
Editoriale Programma è una casa editrice trevigiana, specializzata nella pubblicazione di libri di saggistica, storia, arte e cultura locale.
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Il Giglio è un’isoletta, di 24 km quadrati, comune a sé stante, nella provincia di Grosseto. Insieme alle altre sei isole (Elba, Capraia, Montecristo, Pianosa, Gorgona e Giannutri) forma l’Arcipelago Toscano. E proprio rispetto a questa caratteristica, dalla notte dei tempi, si tramanda una leggenda sulla sua nascita. Si racconta che la dea Venere stesse facendo il bagno nelle meravigliose e cristalline acque del Mar Tirreno. Ma nell’uscire dall’acqua, dalla collana che le aveva regalato Paride si sfilarono sette perle, ognuna delle quali andò a formare un’isola dell’Arcipelago Toscano. E guardando le isole dall’alto, sembra proprio di vedere una collana di perle. Ma questa non è la sola leggenda sulla nascita del Giglio. Si narra infatti che nel Mar Tirreno ci fosse un tempo una maga sirena che possedeva un’infinità di pietre preziose e che le tenesse sparpagliate sul fondo del mare. Ma la maga sirena sapeva che il suo tesoro era a rischio e che sarebbe bastato anche solo un suo momento di distrazione perché qualche malintenzionato potesse rubarglielo. Così decise di fare una magia e fece salire i fondali del mare fino a farli diventare un’isola, proprio in corrispondenza di dove era adagiato il suo tesoro. Era nata così l’isola del Giglio.
© Editoriale Programma - Francesco Albanese
Montecristo è un’isoletta del Mar Tirreno, di circa 10 Km quadrati di superficie, situata a sud dell’Elba, nel comune di Portoferraio. Montecristo fa parte del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano ed è una riserva naturale. Per questo motivo, l’accesso all’isola non è libero, ma è regolato dal Corpo Forestale dello Stato di Follonica, che ogni anno accetta solo un migliaio di richieste di accesso. Ecco perché, per visitarla, a volte occorre attendere anche alcuni anni. Montecristo è famosa per le leggende da cui Alexandre Dumas ha tratto il suo famoso romanzo Il Conte di Montecristo, leggende legate a tesori nascosti, e a rappresaglie di corsari. Le storie sui tesori hanno radici antiche e parlano di forzieri di monete d’oro sepolti nel monastero di San Mamiliano, un edificio adesso diroccato, nato su un luogo di culto intitolato a Giove, già esistente in età classica. Ma il tesoro di Montecristo non è “fino in fondo” una leggenda. Nel 2004, gli archeologi hanno rinvenuto un tesoro di 498 monete, risalenti al V secolo d.C., proprio nei pressi dell’altare della chiesa di San Mamiliano. L’unico dettaglio che sciupa un po’ la poesia del ritrovamento è che non si tratta della chiesa San Mamiliano a Montecristo, ma di quella a Sovana di Sorano, in provincia di Grosseto. Il tesoro di Montecristo, o di Sovana, se preferite, è esposto al Museo di San Mamiliano di Sovana, insieme ad altri reperti archeologici.
Editoriale Programma - Francesco Albanese
Se il 14 luglio vi trovate a passare da Capoliveri, un delizioso paese situato nella parte sud-est dell’Isola d’Elba, verso le 21 sentirete suonare le campane della chiesa e vedrete la spiaggia dell’Innamorata illuminata a giorno dalla luce di mille torce. Vedrete partire da ”la Piazzarella” di Capoliveri una fiaccolata in costume d’epoca, che si dirige proprio verso la baia dell’Innamorata. Questa suggestiva rappresentazione è la commemorazione del dramma di due innamorati, la cui leggenda racconta di un amore eterno che dura ben oltre il confine della morte. Era il 1534 e due giovani, Lorenzo e Maria, erano ostacolati nel loro amore dalla ricca famiglia di lui. Per questo motivo, si incontravano di nascosto e avevano fatto della Cala del Fero (l’attuale Cala dell’Innamorata) il loro rifugio d’amore. Nel pomeriggio del 14 luglio, Lorenzo arrivò alla spiaggia in anticipo per l’appuntamento con l’amata. Ma mentre attendeva, una scialuppa di pirati, i Saraceni di Barbarossa che a quei tempi razziavano le coste dell’Elba, approdò a riva e catturò Lorenzo. Maria dalla riva vide i corsari che, dalla scialuppa che si allontanava, gettavano in acqua il corpo senza vita di Lorenzo. Capito l’accaduto, Maria si lasciò cadere in mare, desiderosa solo di raggiungerlo, nella vita o nella morte. E fu lì che perse lo scialle (la ciarpa), che rimase impigliato in uno scoglio.
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E restando in tema di ville, ci spostiamo adesso a Corliano, a qualche chilometro a nord-ovest di Cascina, nel comune di San Giuliano Terme. Qui, quello che adesso è uno splendido relais, circondato da un immenso parco curato nei minimi dettagli, era una volta la dimora della bellissima nobildonna Teresa Della Seta Bocca Gaetani. La bella Teresa ci andò ad abitare nel novembre del 1755, quando sposò il conte Cosimo Baldassarre Agostini. A 200 anni dalla morte di Teresa, avvenuta nel 1816, c’è chi ancora racconta di avvertire la presenza di questa anima nostalgica che non è mai riuscita a separarsi dalla sua splendida casa. Tuttavia, la sua presenza non si manifesterebbe in maniera inopportuna e inquietante, con grida che squarciano la notte, piatti che saltano dalla dispensa e sferraglìo di catene. Piuttosto, ancora oggi Teresa si farebbe viva, se così possiamo dire, agli ospiti del relais coi modi che si confanno a una contessa: c’è chi dice di aver visto delle ombre attraversare le sale e poi scomparire, chi dice di aver trovato arredi spostati e chi di aver sentito lievi carezze sul viso.
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Sulla fiancata nord del Duomo di Pisa, quella che si affaccia sul Camposanto, su un blocco di marmo di Carrara, all’altezza dello sguardo, ci sono dei fori, una lunga serie di fori verticali al margine destro del blocco. La leggenda racconta che quei fori sono i segni delle unghiate del Diavolo. Invidioso della bellezza della Cattedrale, il Diavolo vi si voleva arrampicare per distruggerla, ma un angelo lo afferrò e lo tirò giù. Cadendo, il Diavolo lasciò i segni delle sue unghie su questo blocco. Se provate a contare più volte le unghiate del Diavolo vedrete che la conta è sempre diversa. Non so se si tratti di un sortilegio o del fatto che i buchi sono veramente tanti e così ravvicinati da rendere quasi impossibile il non imbrogliarsi… Fatto sta che gli studenti pisani che devono sostenere la Maturità, per i cento giorni precedenti l’Esame, vanno in Piazza dei Miracoli, la piazza dove appunto sorge il Duomo, e praticano una serie di rituali scaramantici, tra cui uno è appunto quello della conta delle unghiate.
Editoriale Programma - Francesco Albanese
Il Castello di Treschietto, fatto costruire nella seconda metà del XIV secolo da Giovanni Malaspina, prende il nome dall’omonimo borgo nel comune di Bagnone. Adesso il castello è un rudere, ma le poche pietre rimaste della maestosa roccaforte sono sufficienti a ricordare i racconti che ad essa sono legati. Tra tutti i Malaspina che hanno governato i vari feudi della Lunigiana, il Marchese Giovan Gasparo Malaspina, signore di Treschietto dal 1616, è ricordato per le sue efferatezze. Oltre a vessare i propri sudditi con azioni spietate e ciniche, era solito invitare al castello giovani vergini, per farle partecipare a dei festini che puntualmente si trasformavano in orge crudeli e che, altrettanto puntualmente, terminavano con sacrifici umani. Ancora oggi, si racconta che le coltivazioni della famosa cipolla di Treschietto, disposte attorno ai ruderi della roccaforte, servano a tenere prigioniera la sua anima tra i confini delle mura. L’anima dannata del marchese crudele si aggirerebbe infatti all’interno dei ruderi e non potrebbe uscire perché respinta dai filari di cipolle. Un’altra leggenda racconta anche che nei sotterranei del Castello sia nascosto un vitello d’oro, cercato da molti sin dal giorno della morte di Giovan Gasparo, ma ancora mai ritrovato.
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La costruzione del Castello di Fosdinovo ha avuto inizio nella seconda metà del XII secolo. Ceduto nel XIV secolo alla famiglia Malaspina, oggi è un museo, una residenza per artisti e scrittori e un centro culturale delle arti contemporanee. La leggenda più famosa legata al Castello, e alla famiglia Malaspina, è quella sulla giovane e bellissima Bianca Maria Aloisa, figlia di Olivia Grimaldi e di Giacomo II Malaspina. La ragazza era perdutamente innamorata di uno degli stallieri di corte. Chiaramente, la frequentazione dello stalliere da parte di Bianca non era ben vista dai genitori. Vistisi ostacolati dalla famiglia di lei, decisero di fuggire, appena Bianca avesse compiuto sedici anni. Successe però che qualcuno che sapeva andò a raccontare al Marchese che la figlia quella sera sarebbe fuggita con lo stalliere. Giacomo andò su tutte le furie e fece chiudere la figlia in un convento. Ma questo non bastò a far cambiare idea a Bianca. Il padre Giacomo la fece portare via dal convento e imprigionare nelle carceri del castello, dove fu torturata. Ma neanche la tortura bastò per farle dimenticare il suo amato. Così il Marchese la fece murare viva nelle segrete del Castello. Dopo qualche anno, la bella Bianca morì. Ma si dice che ancora oggi, nelle notti di luna piena, il suo spirito vaghi per il castello in cerca del suo amato.
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Nei pressi di Borgo a Mozzano, un comune della Lucchesia di poco più di 7.000 anime, il fiume Serchio è attraversato da un ponte: il Ponte della Maddalena. Al Ponte della Maddalena è legata una leggenda, che lo ha fatto conoscere anche col nome di Ponte del Diavolo. Si racconta che il capomastro cui era stata affidata la costruzione del ponte, a pochi giorni dalla scadenza del termine che gli era stato imposto, si rese conto che non ce l’avrebbe fatta. Così, sprofondò in una cupa disperazione. Ma una notte, mentre sedeva da solo in riva al Serchio in cerca di una soluzione, gli apparve il diavolo. «Finirò io di costruire il ponte al posto tuo», gli disse. «Ma in cambio voglio l’anima di colui che per primo attraverserà il ponte.» Il capomastro accettò, e siglò il suo patto col diavolo. Ma la mattina seguente, preso da rimorso, andò da un prete a confessarsi. Il prete gli consigliò di rispettare il patto, e di fare in modo che il ponte fosse attraversato per primo da un maiale. Il diavolo, che seduto sul ponte si pregustava la conquista di una nuova anima, quando si accorse di essere stato ingannato, si inferocì a tal punto da gettarsi nel Serchio e non farsi più rivedere.
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Si dice che immergendo la testa nel laghetto dell’Orto Botanico di Lucca sia possibile vedere il bellissimo volto di Lucida Mansi. Lucida era talmente bella e talmente innamorata di sé che amava circondarsi di specchi. Rimasta vedova a 21 anni, non faticò molto a trovare nuovamente marito. Si risposò con Gaspero Mansi, un ricco commerciante di seta, molto più anziano di lei. Durante i viaggi del marito, Lucida amava tenere feste dove si accompagnava con giovani amanti, che puntualmente poi uccideva. Quando un giorno Lucida vide la prima ruga sul suo viso, il mondo le crollò addosso. Ma subito le comparve il diavolo, che le promise altri trent’anni di giovinezza e bellezza, in cambio dell’anima. Per altri 30 anni, Lucida continuò col suo comportamento dissoluto. Fino a che, il 14 agosto 1623, dopo 30 anni esatti dal patto, il diavolo bussò alla porta di Lucida. La donna scappò nel tentativo di salvare la sua anima, arrampicandosi addirittura sulla Torre delle Ore di Lucca, dove provò a portare indietro le lancette dell’orologio. Il diavolo la caricò sulla sua carrozza infuocata e le fece fare il giro sopra le mura di Lucca. La gente, con la testa al cielo, la sentiva gridare dalla carrozza mentre la vedeva invecchiare e trasfigurare. Fino a che, la carrozza non andò a inabissarsi nel laghetto dell’Orto Botanico. Questa è la leggenda.
© Editoriale Programma - Francesco Albanese
Procedendo da Pistoia verso Ovest, dopo Serravalle Pistoiese, su una curva della stradina che da Pieve a Nievole porta a Montecatini Alto, c’è un ponte. Sul muro in pietra del ponte è riportata, in nero sul bianco del marmo, una frase che si dice sia stata pronunciata in quel punto da Dante Alighieri. Era l’inizio del 1302 quando, con un processo farsa, il Guelfo Bianco Dante fu condannato dai Guelfi Neri all’esilio da Firenze. Nel “Libro del Chiodo”, custodito presso l’Archivio di Stato di Firenze, si legge: «Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia».
Si narra che un giorno, mentre passeggiava proprio su quel ponte, il Sommo Poeta fu trovato da due soldati dei Guelfi Neri, che lo cercavano per arrestarlo e metterlo al rogo, anche se non lo avevano mai visto prima. «Stiamo cercando Dante Alighieri», gli dissero. «Lo avete visto?» «C’era quando c’ero», rispose Dante. Fu così che, dopo qualche attimo di interdizione, perplessi, i due soldati se ne andarono. E Dante, divertito, riprese la sua passeggiata.
© Editoriale Programma - Francesco Albanese
Vicino al Canto de’ Rossi, non lontano dall’Ospedale del Ceppo, c’è Via Abbi Pazienza. Il curioso nome di questa strada risale al tempo della lotta tra fazioni cittadine ed è legata a un fatto di sangue (o quasi). La leggenda narra che, in una fredda notte, un uomo della famiglia de’ Rossi attendesse in quella via un tale che gli aveva fatto un torto, per vendicarsi. Ad un tratto, mentre aspettava nelle tenebre, vide arrivare un uomo tutto bardato e incappucciato. Pensando che si trattasse del tale che stava aspettando, gli saltò addosso. Arrivati a questo punto, ci sono due versioni ben distinte della storia. Nella prima, l’assalitore colpì più volte con un coltello l’ignaro passante, riducendolo in fin di vita, per poi accorgersi, solo quando gli scoprì il volto, che non si trattava della persona che stava aspettando. Nella seconda, il passante si accorse dell’arrivo dell’aggressore e schivò il colpo. Poi si fece vedere in viso, e con immenso stupore l’assalitore scoprì che si trattava del suo migliore amico. In entrambe le versioni, il finale è comunque lo stesso: accortosi dello sbaglio, l’aggressore si scusò col passante, con un sentito: “Abbi pazienza”. Da qui, l’insolito nome della via.
© Editoriale Programma - Francesco Albanese
Per molti, Certaldo è la cittadina conosciuta per aver ospitato Giovanni Boccaccio nell’ultima parte della vita. Parliamo della Certaldo Alta, di quella parte della città che il tempo sembra aver dimenticato e che si è conservata così com’era nel Medioevo. Qui, nella Certaldo Alta infatti, è ancora possibile visitare la casa del poeta, situata sulla via principale, non a caso Via Boccaccio, ove sorge anche la Canonica dei Santi Jacopo e Filippo che custodisce le sue spoglie mortali. Forse. Sì, forse, perché gira infatti voce che all’inizio dell’800 il corpo di Boccaccio sia stato riesumato per essere portato chissà dove e il tutto rimane avvolto dal mistero. Come avvolta dal mistero è l’esistenza di una rete sotterranea di gallerie, percorsi e cunicoli scavati a mano intorno all’anno 1000 che conterrebbero al loro interno oggetti di valore come armature, paramenti, libri o altri oggetti, appartenuti, questi, al poeta Boccaccio. Ai cunicoli si accederebbe da numerosi punti sparsi qua e là per la cittadina, o un passaggio segreto all’interno di Palazzo Pretorio. E, ovviamente, da casa del Boccaccio. Da questi cunicoli si arriverebbe dritti dritti al Poggio del Boccaccio, una collina dalla sospetta forma a trapezio, ben visibile da Certaldo Alta. Gli scavi archeologici degli anni 60 portarono alla conclusione che il Poggio del Boccaccio è in realtà una grande piramide etrusca che il tempo ha ricoperto di vegetazione, cosa nasconda esattamente ancora, non ci è dato di sapere.
© Editoriale Programma - Francesco Albanese
Poco fuori Firenze, in località Grassina, nel Comune di Bagno a Ripoli, e più precisamente in Via Fattucchia, c’è una casetta disabitata, tutta rosa. Basta guardarla per capire che non è una casa come le altre. È immersa nel verde tra gli olivi, e la si vede da lontano. È una casa a forma di L, costruita nel Cinquecento dal Giambologna. All’interno, sul pavimento, un mosaico riporta la scritta Fata Morgana, e, poco più in là, sgorga acqua fresca da una fonte realizzata all’interno della casa. Ebbene, si dice che l’acqua di Morgana abbia il potere di far ringiovanire. Ma non solo. Si racconta anche che, nelle notti d’estate, il giardino circostante la casa si popoli di fate seducenti e ninfe meravigliose. Verità o leggenda, resta il fatto che la Casa delle Fate è decisamente suggestiva. E se andando a visitare la casa in una sera d’estate ci vedessimo accogliere da Fata Morgana, non ci sarebbe certo da sorprendersi.
© Editoriale Programma - Francesco Albanese
La Val Scura è una valle tenebrosa all’interno del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi. Anche intorno a questo luogo montano, caratterizzato da vegetazione ampia e con pareti rocciose che a volte fanno davvero paura, sono nate leggende che parlano di fantasmi. Eccone una che racconta dell’eterno timore di fantasmi che circolano indisturbati di notte. Intorno alle case di Campel, nelle ore prive di luce, si sentivano rumori che facevano venire i brividi, terrorizzavano gli abitanti e impedivano loro di prendere sonno. Questi rumori andarono avanti per parecchio tempo finché non si scoprì che la causa di quello schiamazzo erano le anime dei dannati, travestite da vecchi, che scorrazzavano per la valle.
© Editoriale Programma - Alessandra Artale
Sicuramente solo a nominarla fa venire i brividi: è Nessie, il mostro di Loch Ness, lago della Scozia, che qualcuno afferma di avere anche fotografato. Una creatura mostruosa simile a un dinosauro o comunque a un enorme rettile, che vive nel celebre specchio d’acqua: Nessie ha certamente fatto la fortuna di quel posto, considerati i numerosi turisti che ogni anno vanno lì per cercare di vederla. Eppure c’è chi dice che anche nel delta del Po viva una creatura stranissima e paurosa, un uomo coccodrillo dalla pelle squamosa, con il muso allungato e mani e piedi palmati. Orribile davvero! Si parla dunque di un uomo anfibio, spaventoso di aspetto ma non crudele, all’interno di culti millenari che sopravvivono proprio nel delta del grande fiume. Nessuno, bisogna dirlo, lo ha mai visto, certo è che molti pesci di misura gigantesca qui presenti hanno un aspetto inquietante e molti di essi potrebbero ricordare un essere simile a un coccodrillo. Potrebbe essere anche che sul fondo del fiume, per certi versi ancora sconosciuto, vivano ancora animali di origine millenaria e che la leggenda dell’uomo coccodrillo nasca proprio dalla paura o dalla curiosità di vedere il ritorno di un passato che, in questo caso, terrorizza.
© Editoriale Programma - Alessandra Artale
I fantasmi evidentemente non risparmiano niente e nessuno, se addirittura si son fatti vivi, scusate il gioco di parole, in uno dei capolavori di Andrea Palladio, villa Badoer a Fratta Polesine, il suo nuovo modello architettonico a metà tra la villa-palazzo e la villa-fattoria, progettato nel 1554 e costruito fra il 1556 e il 1563. Per il prosieguo di questa storia può forse essere utile sapere che il nucleo centrale della villa fosse sorto - lo racconta lo stesso Palladio - sulle rovine di un antico castello fatto erigere da Salinguerra di Este, cognato di Ezzelino da Romano. Per scovare i fantasmi di una delle ville più belle che mai Palladio costruì, si sono scomodati ghostbusters e programmi televisivi pseudoscientifici. Ma che fanno questi spiriti? Aprono armadi e buttano per terra quello che si trova all’interno, soffiano dispettosi sul collo delle persone o addirittura le sfiorano. Non è finita: appaiono flash improvvisi, si sentono rumori anomali, come se ci fosse qualcuno che raschia sui muri e persino uno strano tintinnio di bicchieri che cozzano l’uno contro l’altro.
© Editoriale Programma - Alessandra Artale
Il mazzariol vive intorno al Piave e nei boschi ed è uno spirito burlone dall’aspetto di un omino dagli occhietti vivaci, un po’ panciuto e tutto vestito di rosso, con ai piedi scarpe dalla fibbia dorata e in testa un cappello floscio pieno di fiocchi e sonagli, che ama trascorrere le giornate facendo scherzi alle belle donne, soffiando forte per scompigliare loro i capelli e sollevare i lembi dei vestiti. Su di lui la tradizione orale afferma che salvò Oderzo da Attila. Era l’anno 452. Il mazzariol rimase a guardare inorridito coloro che distruggevano la sua amata terra e pensò che non poteva lasciarla in mano a uomini così crudeli. Così entrò nell’accampamento degli Unni e legò le code dei cavalli alle stalle. La mattina successiva, quando i soldati se ne accorsero, tagliarono le code ai cavalli, ma non sapevano di commettere un errore che avrebbero pagato molto caro. Improvvisamente sembrò che i cavalli degli Unni avessero perso tutte le forze, correvano come ubriachi e i barbari scapparono via, spaventati e sconfitti. Si dice che nelle notti di luna piena lo si possa ancora vedere mentre in barca scende lungo il Piave. Quando passa qualcuno si alza, saluta con la mano e grida: ”Salve! Io sono il mazzariol che sconfisse Attila, il terribile flagello di Dio”.
© Editoriale Programma - Alessandra Artale
Uno scrigno ricolmo di gioielli, una “rara città di case che parlano” come la definì Giosuè Carducci: Asolo non è solo questo, bensì anche luogo di misteri e leggende che si cela dietro la serenità e la bellezza dei palazzi, delle vie e soprattutto della Rocca. Su questa si raccontano strane storie, tutte tramandate dalla tradizione orale. Una parla di un contadino che vide, proprio nei pressi della Rocca, un gallo deporre uova nere da cui uscirono diavoletti impertinenti, mentre un’altra bizzarra narra di una capra d’oro sepolta tra la cinta muraria e la Rocca. Inoltre sono molti gli spiriti che aleggiano in città, come quello di Eleonora Duse, che qui visse l’ultimo periodo della sua vita ed è sepolta nel cimitero cittadino, o come quello che abita nella casa che fu di Mario de Maria - più conosciuto come Marius Pictor, artista famoso per aver abitato a Venezia nella casa dei Tre Oci alla Giudecca -, che accende il fuoco e sposta il mobilio. Nella città che fu presa a dimora dalla regina Caterina Cornaro, intorno alla quale nacque un circolo di letterati e intellettuali finissimi, si tramanda di altri accadimenti strani e misteriosi, come i fuochi fatui dal duplice intento: spaventare chi frequentava i cimiteri e la Rocca oppure aiutare chi aveva perso la strada durante la notte.
© Editoriale Programma - Alessandra Artale
La storia dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni ce l’abbiamo nel sangue. Ma dove prese l’idea per una vicenda così intricata e piena di colpi di scena? Forse il mistero è finalmente risolto: a Orgiano, sconosciuto paesino del vicentino. Nell’Archivio Storico di Venezia esiste una massiccia documentazione sul processo. La storia era questa: Oggiaro, ovvero il don Rodrigo manzoniano, si sentiva autorizzato a compiere ogni genere di reato perché aveva dalla sua la parentela con un conte assai potente, Settimio Fracanzan, che nel romanzo di Manzoni prese l’aspetto del Conte zio - infatti proprio dello zio di Oggiaro si trattava. Il signorotto commise soprusi, angherie, stupri fino a quando, in seguito al rapimento e la violenza carnale subita da una fanciulla chiamata Fiore, ossia Lucia Mondella, venne finalmente arrestato e incarcerato. Fiore abitava insieme a sua madre, che era vedova come l’Agnese del romanzo, e riuscì dopo mille peripezie a sposarsi con il suo amato Vincenzo, ovvero Renzo Tramaglino. Nelle carte processuali si fa cenno ai bravi, a un frate e al cugino del signorotto locale, vale a dire fra Cristoforo e don Rodrigo. È suggestivo pensare che il romanzo più celebre della letteratura italiana abbia avuto origine da una storia realmente accaduta.
© Editoriale Programma - Alessandra Artale
Una leggenda che parla di un amore infelice, ovviamente. Un erede dei Valmarana - proprietari della villa che abitano ancora in questa meravigliosa dimora - racconta che in questo posto fosse vissuta una nobile famiglia, non la loro però, che aveva una figlia dal viso bellissimo, ma nana. Per far sì che nessuno si accorgesse della sua condizione, i genitori la circondarono di altri bambini nani e la fecero vivere in una sorta di gabbia dorata da cui però non poteva uscire. Un giorno accadde l’inevitabile, pur con tutti gli accorgimenti presi. La bimba, cresciuta e diventata una ragazza, dalla finestra vide passare il solito bellissimo principe che le sorrise guardando il suo incantevole volto. Lei se ne innamorò all’istante. Ma quando il giovane vide il suo corpo minuto, fuggì e non si fece mai più vedere. La poverina allora si rese conto di quale fosse il suo fisico, la disperazione si fece preda di lei e si lanciò nel vuoto. I nanetti, saliti sul muro di cinta per capire cosa stesse succedendo, videro la triste fine della fanciulla e per la disperazione e il dolore si pietrificarono all’istante. 7
© Editoriale Programma - Alessandra Artale



