DiscoverCultureland Germany - Storie di arte, design e musica
Cultureland Germany - Storie di arte, design e musica
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Cultureland Germany - Storie di arte, design e musica

Author: Ente del Turismo Germania

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Description

La scena culturale tedesca è vivace e variegata. La Germania si conferma una destinazione imperdibile per gli amanti della cultura, con un ricco calendario di eventi e celebrazioni dedicate a pietre miliari storiche, anniversari memorabili e straordinarie attrazioni culturali. Sarà un anno speciale per scoprire o riscoprire la storia, l’arte e le tradizioni di questo affascinante Paese.

Realizzato dall’Ente Turistico Tedesco, questo canale podcast è un viaggio sonoro che spazia tra siti UNESCO, arte, design, musica, fiabe e tradizioni che prendono corpo in un racconto immersivo che svela l'anima più autentica del Paese.

Un produzione a cura della Loquis Factory. Testi di Alessio Guzzo.
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55 Episodes
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Scopri la Sassonia, terra di castelli e storie secolari. Tra le viti di Meißen svetta l'Albrechtsburg, il primo castello residenziale della Germania, mentre a Dresda il Castello Residenziale riapre la cappella, un connubio di tecnologia e arte. Durante la Schlössernacht, le residenze nobiliari brillano in un festival di luci e suoni. Da Moritzburg, con il suo castello fiabesco, a Königstein, una fortezza che domina la Svizzera Sassone, ogni angolo racconta un passato affascinante. Un viaggio tra storia e bellezza, dove il silenzio dei secoli si fa ascoltare.
La Strada delle Fiabe si snoda per mille chilometri, tessuta di sogni e racconti che danzano nel vento. Wilhelm Grimm, uno dei suoi instancabili viaggiatori, accompagna i lettori in un’avventura che parte da Hanau, suo luogo natale, fino al mare del Nord. Attraverso mercati vivaci, stradine di pietra e l'atmosfera di Kassel, dove il museo Grimmwelt celebra la loro eredità, si scopre come le fiabe siano un patrimonio vivo, un invito a esplorare il meraviglioso nel quotidiano.
Nel regno di Charlottenburg, il tempo si perpetua in un delicato abbraccio di bellezza e memoria. Costruito per accogliere re, regine e pensatori, il palazzo racconta storie di sette generazioni di Hohenzollern, ognuna delle quali ha lasciato un'impronta indelebile. Dalla regina Sofia Carlotta, che danzava tra le rose, alle cerimonie di nozze celebrate nella Cappella, ogni angolo è un eco di passato. Oggi, mentre i visitatori attraversano le sue sale e giardini, si ritrovano avvolti da un'atmosfera di silenziosa contemplazione, dove la bellezza e il tempo si intrecciano in un'esperienza unica e affascinante.
Nel cuore del Parco di Sanssouci, il Palazzo Nuovo si erge come un simbolo di eccesso e bellezza, commissionato da Federico il Grande per celebrare la vittoria dopo una guerra. Ma tra le oltre 300 opere d'arte esposte, solo i quadri di Artemisia Gentileschi, artista di talento e forza, raccontano una storia di lotta e resilienza femminile. La Galleria Superiore, riaperta dopo 30 anni, invita i visitatori a riflettere su chi osserva e su come l'arte plasmi la percezione del corpo femminile. Un percorso che intreccia splendore e introspezione, in un viaggio attraverso il tempo e la creatività. Le visite guidate al Palazzo Nuovo sono disponibili anche nel periodo natalizio.
Augusta nasce dall’acqua e da una visione romana del 15 a.C., oggi diventata Patrimonio UNESCO per la sua rete idrica storica: canali, torri, acquedotti e fontane che raccontano secoli di ingegno. È la città di Jakob Fugger e della Fuggerei, di Brecht e Mozart, del teatro delle marionette e di musei inattesi. Un luogo che non si visita: si attraversa, come un fiume. Prenota la tua visita guidata scrivendo a gruppen@regio-augsburg.de
Nel 1970 si spense l’ultima miniera, ma i Monti Metalliferi continuano a raccontare otto secoli di storia estrattiva che ha plasmato paesaggi, villaggi e identità. Da Freiberg a Marienberg, dai castelli alle ferrovie sospese, fino all’arte del legno dell’Erzgebirge, oggi memoria viva. Con il nuovo Sentiero Viola, la nostalgia si fa futuro, tra sculture, natura e memoria condivisa.
Durante la Guerra dei Trent’anni, Dinkelsbühl fu salvata da un coro di bambini: oggi quell’evento rivive ogni luglio nella festa della Kinderzeche. Tra torri, mura, stagni, carpe, mercatini e vetrate gotiche, la città custodisce storia e leggende, come la finestra a pretzel della cattedrale o le cantine della caccia alle streghe. Un equilibrio raro tra pietra e natura, memoria e quotidiano.
Monaco non si lascia solo visitare, si attraversa come un romanzo urbano, sfogliando pagine di storia, cultura e quotidianità. Tra il trambusto del Viktualienmarkt, i musei del Kunstareal e i tramonti di Giesing, prende voce un’intera città fatta di scrittori, fornai, stiliste e bohémien. Un racconto corale dove ogni quartiere è un capitolo vivo.
L’Isar nasce veloce dal Tirolo e attraversa Monaco prima di raggiungere il Danubio. Qui l’arte trova casa nel quartiere Kunstareal: dalla Pinakothek der Moderne, con capolavori di design e pittura, al Deutsches Museum, simbolo di scienza e tecnica. Ma a Monaco l’arte non è solo nei musei: è un racconto urbano, diffuso, fatto di storia, dettagli e memoria viva.
Accumulavo cassette di arance. Mi conoscevano i mercanti di Weimar, Dessau, Quedlinburg, Halle e Wittenberg, perfino l’anziana di Naumburg, che quando mi vedeva arrivare gridava Signor Gropius, Signor Walter Gropius, venga, ecco qui, per lei; io ringraziavo e me ne andavo, pensando alla materia vetro e all’esplosività grafica del marciapiede. L’architettura mi era destinata, a partire dal mio bisnonno, che combatté a Waterloo insieme al grande architetto Schinkel; di lui, mi parlava anche lo zio Martin, che proprio di Schinkel fu allievo. Credo che lì cominciò la mia passione per le forme. Punto linea superficie, ripeteva il mio amico Kandinsky, mentre articolava con entusiasmo le bellezze del Regno dei Giardini di Dessau-Wörlitz, nella biosfera del Medio Elba, con i suoi canali, la natura, il castello fondato sul classicismo tedesco e la geometria importata dai giardini inglesi. L’avevo conosciuto poco dopo aver fondato il movimento del Bauhaus, a Weimar. Teoria di forma e colori. La guerra è sempre seguita da tempi di rinnovamento, e io, nel 1919, decisi di voler costruire la Casa del futuro, un’opera d’arte totale. Insieme ai colleghi sperimentavo radicalmente attorno ai concetti di arte, architettura e design, e proprio per l’arte decisi di chiamare a insegnare quell’astrattista russo di cui tanto ammiravo la vocazione nel creare relazioni tra forme, colori e spiritualità. Il clima politico ci costrinse a chiudere la scuola in Turingia, ma trovammo subito nella Sassonia-Anhhalt un terreno fertile alle nostre idee. Proprio qui riuscii a costruire il mio edificio, l’edificio Bauhaus, una struttura dove funzionalità e un design essenziale ricoprivano l’aspetto primario. Il vecchio avrebbe ceduto all’avanzata di un progresso di cui mi sentivo parte; veniva in mente Lutero, che proprio in Sassonia-Anhhalt, a Wittenberg, aveva affisso le sue 95 tesi, vi aveva celebrato le prime messe in tedesco, all’interno della Schlosskirche, vi tenne le prime lezioni sulla Lettera ai Romani. Un nuovo linguaggio stava nascendo, secoli dopo. Accumulavo cassette di arance. Le accumulavo, le tagliavo, vi costruivo figure nuove, pensando ai loro luoghi d’origine: quelle di Quedlinburg mi ricordavano le 2000 case a graticcio, la collegiata di San Servazio e il suo Tesoro del Duomo; erano leggermente più piccole e aspre; il legno proveniente da Naumburg, invece, rievocava un sapore più docile, dolce come il viso di Uta, la donna più bella del Medioevo, la cui statua affascina ancora nel coro occidentale della cattedrale. Dessau e il modernismo, nel frattempo, erano diventati sinonimi: 300 edifici Bauhaus costruiti, tra cui le case con pergolato, il complesso di Törten con i suoi orti autosufficienti, l’ex granaio di Fieger. 300 rappresentazioni di qualità architettonica dove vetro e cemento si alternano, dove un giorno si ricorderanno di chi ha abitato quelle geometrie, gente come il genio Klee, l’astratto Kandinsky, la famiglia Schlemmer e il pittore Muche. Io, personalmente, sono affezionato al ponte, quello che collega la scuola all’ala dei laboratori, quello che gli studenti più grandi indicavano alle matricole, esclamando che là si trovava l’ufficio del direttore Gropius. Mi piaceva muovermi avanti e indietro, lassù, tra le particelle rilasciate, regalate, esplose dalle bucce degli agrumi, riflettendo sul nuovo linguaggio che ora vedevo materializzato all’infuori del vetro, mimesi di forma segue funzione, geometria pura, divina.
Ripensare e ridisegnare il mondo. È possibile che io non vivessi in una narrazione che meritavo, è possibile che io fossi solo un personaggio secondario; oppure il contrario, la narrazione non meritava me. Io, Walter Adolph Gropius, ammetto d’essere incline alla seconda ipotesi. Per un uomo che giunge a questa conclusione, la libertà rimane l’unica soluzione. La forma segue la funzione: la geometria tramutata al fine di un’architettura razionale, priva di decorazioni e superfluo. Questa la mia libertà. Quando arrivai a Weimar, il terreno era fertile. Con la carica di direttore, insieme al primo maestro Feininger e altri luminari del nostro tempo, in contrasto a Medioevo, Rinascimento, Barocco e Classicismo, fondammo il Bauhaus. Ne sottoscrissi il manifesto nel 1919, a Weimar, e sempre a Weimar, ispirandoci all’aura di grandezza tessuta da Goethe, ci presentammo al mondo. Nel 1923 le idee si concretizzarono nel progetto di Georg Muche, il più giovane dei maestri del Bauhaus, pioneristico, che creò il modello di abitazione contemporanea, la Haus am Horn: l’esempio di come immaginavamo la vita e il lavoro collettivi futuri, una risposta alla carenza di alloggi, modulare ed economico, una pianta orientata all'uso integrato alla tecnologia moderna. Progetto, costruzione, attrezzatura. Punto, linea, superficie; primo tassello di un’idea che avrebbe dovuto coprire tutto il pendio nelle vicinanze della casa-giardino di Goethe. Ma fummo derisi. Incompresi e ridicolizzati da menti che non comprendevano i bisogni di una società che doveva ancora venire. Tuttavia, forte del mio contratto con l’Ufficio del Maresciallo di Corte, che mi qualificava come consulente per le questioni artistiche all'interno dello Stato, non demordemmo. Il nostro gruppo si allargava, e l’elenco degli iscritti brillava: Kandinsky e le sue opere all’avanguardia, insieme all’amico Paul Klee Paul Klee, sempre in proficua produzione d’opere; Itten, con il suo peculiare sguardo analitico dietro gli occhiali tondi, tra i più influenti nel nostro movimento; Schlemmer, arrivato l’anno dopo la fondazione, e che dopo tre anni fece esordire il suo Balletto Triadico. Non potevamo più essere fermati, tanto che il nostro stile superò i confini di Weimar, diffondendosi in tutta la Turingia, con la Haus Auerbach a Jena Iena, la Haus Schulenburg a Gera, il complesso Haus des Volkes a Probstzella. Ma il nostro manifesto lo dichiarava apertamente: io, Walter Gropius, insieme agli altri derisi, non potevamo più essere relegati, limitati; arte e industria dovevano collaborare, bisognava creare un nuovo linguaggio visivo basato su funzionalità e semplicità, che entrasse nelle vite di tutti, la nostra era un’idea più grande dell’architettura. È per questo che Keler, influenzato da Kandinsky, creò la Bauhaus-Wiege, la culla a dondolo trasversale presentata nella camera dei bambini della casa modello Am Horn in occasione della mostra del Bauhaus del 1923; è per questo che Alma Siedhoff-Buscher progettò le costruzioni in legno colorato sempre come parte della cameretta per bambini nella casa modello “Am Horn”; e anche per questo che il maestro di forma Moholy-Nagy presentò la rielaborazione dell’iconica lampada da tavolo WG 24 Wagenfeld. Il resto, poi, rimane storia, lo spostamento a Dessau, le grandi opere, l’acclamazione, ma la sete, la sete di piegare la narrazione, di essere protagonista della propria società, traghettatore di menti e luce che mostra le ombre, quella rimane, trasmessa, evoluta e voluta da altri, dopo di me.
E mentre dall’altra parte del mondo si scoprivano nuove terre, io vedevo le persecuzioni. La più antica, la prima, l’idea-madre di quelle fazioni che cominciarono a protestare 3 contro i peccati della Chiesa, l’Unione dei Fratelli Moravi, quelli che cominciarono a spostarsi, fuggire, ripararsi, e che più di duecento anni dopo arrivarono da me, a Herrnhut, e io vidi la vita insieme a loro. Come altre storie, questa cominciò con un falegname e un conte. Da una parte l’aristocratico Zinzendorf, che aveva costruito il castello di Berthelsdorf e in segreto viaggiava per la Slesia alla ricerca della comunità protestante; dall’altra l’artigiano David, che cercava una casa per la propria comunità. Immagino cappucci e lunghi mantelli, angoli scuri, accordi sulla fiducia reciproca e un pellegrinaggio, quello sono sicura ci fu, verso le mie terre, il primo albero abbattuto dal falegname e l’inizio delle costruzioni all’ombra del castello. Nacque il primo insediamento, e quando nell’aria girano nuove idee, queste sono impossibili da limitare, si spargono e si attaccano e creano; persino quell’accetta deve aver tagliato il tronco con un angolo differente. E quella rivoluzione, quella di una comunità di fratelli e sorelle che cercavano nella fede la convivialità, influenzò anche l’architettura, dando vita a uno stile che porta ancora oggi il mio nome, il barocco di Herrnhut, dove la chiesa ne rappresenta la portavoce: una piazza centrale rettangolare, il concetto rivisto di sala e sagrato ecclesiastico, allineamenti trasversali, mura bianche vergini, panche mobili e due lati, uno per i fratelli e uno per le sorelle. Poi, quando le idee sono particolarmente forti, appunto, non si limitano a una comunità o paese, e allora si muovono, volano e impollinano altre menti, e abbandonando l’insediamento madre, se trovano il vento giusto superano i confini, arrivano fino alla Danimarca, l’Irlanda del Nord e perfino oltre l’oceano, in quelle nuove terre chiamate Stati Uniti. Le comunità si moltiplicano. Sorvolando il nord, verso i mari freddi, oltre Berlino e prima della Danimarca, qualche idea è caduta anche a Ceèrìn Schwerin, là dagli Obotriti, duchi e granduchi del Meclemburgo. In particolare sulla testa di uno di loro, Friedrich, che si oppose alla convinzione del padre di spostare la casa della propria famiglia sull’Alter Garten. Aveva solo 19 anni, erano altri tempi, si cresceva prima, ma comunque, nonostante tutto, denotava già una maturità controcorrente: invece di cercare il nuovo altrove, decise di ristrutturare il castello della famiglia, e il risultato fu uno strato plurimo di idee e stili, residenza e rappresentanza, edifici sacri e culturali. Friedrich era un visionario, uno di quelli che andava protetto, che bisogna ascoltare e non forzare. Aveva però bisogno di qualcuno che mettesse in pratica le sue idee, e si propose allora il capomastro Demmler. Ci si stupì della loro sintonia, e di come i due riuscissero a immaginare cose insieme. Si volle rappresentare l’importanza della dinastia con la facciata neorinascimentale del Teatro di Stato e la sala teatrale neobarocca, dove lo sguardo alla storia passata veniva suggerito dagli stucchi riccamente decorati e molto oro. C’era la chiesa di San Paolo, neogotica, con le sue finestre ad arco, un tipico color mattone e le torri a punta, e poi il teatro, le diverse chiese, edifici militari, la stazione ferroviaria e una stalla. Tutto, collegato da linee che solo chi conosce la città può captare. Un'immagine complessiva che si è sviluppata dal castello attraverso l'intera città, e che poi qualche pellegrino dovrà pur aver visto, copiato e riportato in altri luoghi, forse addirittura alcune idee sono tornate qui da me a Herrnhut, diffondendo e facendo crescere, contaminando menti, architetture e visioni future.
Il Reno mi ha scavato, ha corso, si è gonfiato e mi ha dato una forma, ingoiando, nel tempo, anche più di un marinaio incauto. Per più di due millenni ho rappresentato una tra le principali vie di scambio in Europa, collegando il nord al sud, Colonia a Friburgo, l'ampia pianura alluvionale dell'Oberrheingraben con il bacino pianeggiante del Basso Reno. La mia valle, quella superiore del medio fiume, è da sempre crocevia di culture e confini, casa di villaggi vinicoli che si inerpicano tra le sponde e luogo d’ispirazione per generazioni di romantici, dagli artisti del ’700 a quelli moderni. E proprio un artista, un poeta di quell’epoca passata, Heinrich Heine, s’innamorò di una mia roccia renana, attorno alla quale si creò il mito. Un mito che, a dire il vero, iniziò dell'alchimista Paracelso e dall’ondina della roccia, una ninfa chiamata Loreley che, come la migliore delle sirene, causava naufragi e sciagure; questo finché arrivò il giorno in cui dovette scappare dall’ira umana, che metteva a rischio la sua esistenza; tratta in salvo da un cavallo di schiuma che la portò nelle profondità del fiume, non si fece mai più vedere. Ma si sa, le leggende sono potenti e non si uccidono, anzi, prendono ancor più vita nel momento in cui cessa la loro trama, e così la roccia prese il nome della ninfa, e il poeta tedesco compose le sue strofe, l’opera in cui descriveva come soffre e piange il barcaiolo, e non sa che mal l'opprima, più non vede scogli e rive, fissi gli occhi ha su la cima. Ma io non mi limito alle leggende, la mia autorità non risiede nell’immaginazione dei poeti o nelle visioni di alchimisti, no, la mia portata si estende dalla Porta di Bingen, dove inizia il canyon in cui s’infila il Reno, attraversa poi i quindici chilometri della valle di Bacharach e raggiunge la chiesa di San Martino a Oberwesel. I ripidi fianchi che scendono al fiume da mille anni vengono terrazzati di vigneti e splendore, sotto lo sguardo di decine di castelli lungo la via, eretti uno dopo l’altro nel corso degli anni, seguendo le mie curve, e molti di loro sono stati trasformati dalle guerre, rovine che acquistano fascino con lo scorrere del tempo. Drammaticità dell’abbattimento e splendore della natura. Inguaribili romantici passano i pomeriggi a guardare il cielo. C’è poi un punto, un’area, quella di Bad Hönningen, che è in comune con un altro percorso, un’altra via che attraversa il paese, quasi in orizzontale, e che arriva fino a Ratisbona, stavolta seguendo il Danubio. La Strada del Limes è fatta di percorsi archeologici, sentieri e sessanta monumenti romani. Tutte queste cose, più o meno, sono lì da sempre, ma solo una trentina d’anni fa, il sindaco di Aalen, l’emerito Ulrich Pfeifle, ebbe l’idea di mettere nero su bianco e dichiarare: sì, c’è un percorso, lo vedo, parte dal Reno, qui vicino a Bad Hönningen, poi ci sono 700 chilometri, lungo lo so, attraversa il Westerwald, il Taunus e il Wetterau. Vedete qui, a sud di Hanau, attraversa le acque del Meno, c’è poi una deviazione attraverso Aschaffenburg e poi via dritti fino a Miltenberg. Il secondo tratto, invece, passa per l'Odenwald, la pianura di Hohenlohe, la Foresta Svevo-Francone, il Giura Svevo e la valle dell'Altmühl, e infine, guarda un po’, raggiunge proprio Ratisbona, sulle rive del Danubio. Il sindaco vide il percorso e lo rese un tesoro pubblico, e anche là, come qui da me, nella Valle del Reno, il fiume scava e gonfia, ogni tanto abbatte, ma più di tutto crea magia e leggende, scenari spettacoli e visioni che assomigliano a una dolce ninfa che si pettina i capelli biondi in cima delle rocce, lo sguardo ai castelli e a sprovveduti marinai. La valle superiore del medio Reno si trova all’interno dell'ITINERARIO FAMILY presente sul sito ufficiale dell'ente turistico tedesco. Consultalo per idee di viaggio alla scoperta dei siti UNESCO della Germania
Ingannai il diavolo e fui benedetta dalla rosa. Nacqui come Augusta Treverorum, prima della crocifissione, prima di tutte le altre città tedesche, al centro della media valle della Mosella, che dopo aver attraversato Francia e Lussemburgo si acquieta tra i vigneti delle mie colline. Oggi mi chiamano Treviri, figlia del divino e madre di una cattedrale che si divise, col tempo, nel Duomo e nella Chiesa di Nostra Signora. Ma cominciò, appunto, con il diavolo, il diavolo e un architetto, che promise la più grande locanda al mondo in cambio di quattro grandi colonne che avrebbero supportato la struttura, le Pietre della cattedrale, alte 12 metri. Si dice che il diavolo le estrasse dalla cava del Felsberg, nell’Odenwald, per poi portarle lungo tutto il fiume fin qui da me. Al suo arrivo il vescovo stava già benedicendo la chiesa. Per la rabbia scagliò l’ultima colonna contro la chiesa, mancandola di poco. Rimangono le basi, di quelle prime strutture, cadute ma visibili ancora oggi. La cattedrale venne costruita con i fondi dell’Imperatore Costantino e la moglie Elena, per festeggiare i vent’anni del loro regno, poi ci furono diverse vicissitudini, alcune distruzioni e molti arcivescovi. Uno di loro, Theoderich von Wied, si ritrovò la chiesa degradata. Non sapendo che fare, chiamò i francesi. O meglio, capomastri di Champagne, culla del gotico. Loro vennero, guardarono, l’arcivescovo probabilmente non imparò mai i loro nomi, ma gli piacque l’idea della Rosa Mystica dai dodici petali, una struttura usata come base per il nuovo progetto. Una chiesa intrecciata con la croce, scintillante, grandi finestre e dodici esili pilastri a sostenere la volta. 33 anni furono impiegati per finire il progetto, il gotico nella sua forma più pura, bellezza e armonia progettata e costruita da ignoti. Nei secoli ci furono poi i pellegrinaggi, e qui omaggio Sant’Elena, madre dell’imperatore, che donò la Sacra Tunica di Cristo, il corpo dell’apostolo Mattia e un dente di San Pietro, uno dei Santi Chiodi della crocifissione, custodito nel reliquiario, e il sandalo di Sant’Andrea, nascosto nell’altare. Centinaia di migliaia furono i visitatori, durante gli anni. Stracci e corone si mischiavano tra le mie vie. Poi, a inizio ’800, diversi cambiamenti, qui a Treviri: passai dalla guida di Napoleone a quella prussiana, nacque Karl Marx, la grande costruzione si divise tra cattedrale e chiesa, e proprio in quest’ultima il grande Breidenfeld vi costruì un magnifico organo a 32 registri. Durò fino alla prima grande guerra, e in quel momento temetti non solo per la cattedrale, ma anche per tutte le altre opere lasciate dai romani: l’anfiteatro, intrattenimento di mercanti e delle truppe sul Reno; le terme di Barbara e quelle imperiali, la basilica di Costantino e la Porta Nigra, probabilmente il mio edificio più antico, per la cui conservazione bisogna ringraziare il monaco eremita Simeone, che si stabilì nella sua torre orientale fino alla morte. In quel periodo osservavo il sud, prima del confine con la Francia, nella città di Völklingen, là dove si lavorava ferro e acciaio, là dove, probabilmente, si producevano gli stessi strumenti che stavano distruggendo il mio centro. Mi consola, oggi, vedere come quelle stesse fabbriche siano diventati centri culturali: la sala dei soffianti, le gigantesche macchine, il parco dell’altoforno e l’elevatore, capolavori d’ingegneria tecnica che oggi ospitano rassegne, concerti, film e conversazioni. Un luogo dove la cultura, come qui da me a Treviri, prende il sopravvento e consola dalle intemperie della storia, ci nasconde dal diavolo e ci permette di rifiorire, come una rosa. Treviri si trova all’interno dellITINERARIO FAMILY presente sul sito ufficiale dellente turistico tedesco. Consultalo per idee di viaggio alla scoperta dei siti UNESCO della Germania
Il mio destino doveva essere quello di ospitare la cattedrale più grande del mondo. C’entravano il Sacro Romano Impero, un segno di responsabilità verso Dio e la pretesa del sovrano Corrado II, che, arrivato sulla mia terra nel 1030, mi dichiarò sua terra alleata nell’obiettivo di governare il mondo. Io, Spira, capitale della Chiesa e punto di riferimento dell’impero. Così cominciò la costruzione della cattedrale. Il sovrano morì quando la costruzione era ancora un cantiere, ma nonostante questo venne sepolto in quella chiesa: lui doveva rimanere presente. Ci fu poi il figlio Enrico III, che continuò l’opera, e in seguito il nipote Enrico IV, che riuscì a farla consacrare, per poi ricostruirla e ampliarla vent’anni dopo, celebrando i successi sul campo di battaglia e mostrando la propria forza al Papa. A 80 anni dall’inizio dei lavori, quindi, la cattedrale venne terminata. Murature, navate e gallerie resistettero, lungo il corso degli anni, a diversi incendi, saccheggi, perfino alla distruzione degli altari durante la Rivoluzione Francese. Perché anche lei doveva rimanere. Resistette, nascose reliquie e tesori all’interno della cappella di Santa Caterina, nella parte sud, finché, il secolo scorso, la Suora Burghildis Roth vi nascose il mondo. Incaricata di creare una grande porta-lampada, la monaca sviluppò l’opera partendo dalla mano di Dio e tre radici: il cosmo, il mondo animale e vegetale, e l'umanità. Raffigurò poi anche il male, sottoforma del serpente distruttore, e un singolo ramo che produceva la meravigliosa rosa di Maria, raffigurando inoltre le 12 tribù d’Israele che emergevano dai popoli. Un collegamento, quello con Israele, che qui da me a Spira riverbera nello Judenhof, l’ex quartiere ebraico; lo si percepisce nelle acque del mikveh più antico d’Europa, luogo di rituali e centro della comunità, nella Jeshiva, l’aula didattica risalente al XIV secolo, dove l’insegnamento e l’apprendimento dell’ebraismo passava di generazione in generazione, e infine nella sinagoga, passata da luogo religioso ad armeria (e viceversa) nel susseguirsi dei pogrom inflitti alla comunità ebraica. Ancora oggi, nel succedersi degli scavi si ritrovano lapidi di cimiteri saccheggiati, distrutti e abbandonati, che venivano poi utilizzate nella costruzione di ponti e mura. Si scava per vedere la verità, accarezzarla e custodirla, centinaia di reliquie a testimoniare il mio passato, la Spira ebraica del Medioevo. E come qui da me, la stessa Storia, gli stessi errori e la stessa bellezza sono passati in molte altre città. Insieme, ricordiamo. A Vòòms Worms si celebra il più vecchio cimitero ebraico d’Europa, l’Heiliger Sand, letto di studiosi, martiri e membri della comunità, sopravvissuto alle espulsioni, ai pogrom e alla Shoah; anche lì ci sono poi una mikveh, la scuola femminile e la sinagoga, oltre alla testimonianza urbanistica che fa rivivere un’atmosfera che non si limita a strade o edifici, ma un luogo dove affluirono molte altre comunità del paese per onorare la resistenza di quella comunità. Altra città invece è Magonza, dove le persecuzioni, i pogrom e le espulsioni si susseguirono diverse volte nel corso dei secoli, dove lo Judensand, il cimitero medievale, il Luogo Eterno, fu ripetutamente sgomberato, rimaneggiato, e saccheggiato. Una città che, pochi anni fa, inaugurò la spettacolare sinagoga ideata dall’architetto Manuel Herz, le cui forme sono ispirate dall’idea della benedizione e dell’elevazione di oggetti profani. Simbiosi di tradizione e modernità. Tre iniziali di tre città che, tradotte dall’ebraico, si riuniscono nell’acronimo ShUM, un patrimonio creato per ricordare una storia a volte ignorata, altre volte invisibile, un passato di cui si sottovaluta l’impatto, ma che rimane importante non perdere. I siti SchUM si trovano all’interno dell'ITINERARIO VIAGGIO NEL TEMPO presente sul sito ufficiale dell'ente turistico tedesco. Consultalo per idee di viaggio alla scoperta dei siti UNESCO della Germania
La forma segue la funzione, e quella del Bauhaus è stata una linea, una cicatrice nella staticità di quel periodo di pausa tra guerre, quando il sangue smise di macchiare le trincee e ricominciò scorrere nei corpi con ancor più vita. Il movimento iniziò qui da me, a Weimar emigrò a Dessau, per poi andare a morire appena fuori la capitale, a Bernau, dove venne soffocato dal movimento nazionalsocialista. Anche sulla mappa, queste tre città formano una linea sulla superfice tedesca. Il movimento non può essere dimenticato. Arrivò il vento dalla Gran Bretagna, dove macchine e tecnologia, tavoli fatti in serie e case operaie invasero i quartieri. Arrivò il vento dell’Arts and Crafts, che voleva contrastare la grigia industrializzazione con artigianato e creatività. Arrivò il vento tra le mie vie, dove un giorno, nel 1919, risvegliò il viso di Walter Gropius. La forma segue la funzione, questo era uno dei punti cardini della nuova Scuola. C’erano poi la democratizzazione del design, un’estetica minimalista, la sperimentazione di materiali e l’unione delle discipline. Gropius, Meyer, Kandinsky, progettavano grandi complessi in lunghe notti attorno a un tavolo, fino a quando i gomiti scivolavano dai bordi e le candele si consumavano. Da me, a Weimar, fecero la prima grande mostra, nel 1923, dove venne presentata la Haus am Horn, la casa modello di Georg Muche. Bianca e bassa, quadrata, nessun corridoio. Minimalista, appunto. Ci furono poi le conferenze di Gropius su arte e tecnica e la musica di Stravinski, cabaret meccanici e il Balletto Triadico. Tutto un fiasco. Persino la casa fu ridicolizzata, osservata con incomprensione e smarrimento di fronte a quello stile così futuristico. La città di Goethe merita di meglio, dicevano. Nel giro di due anni fecero tutti le valigie e cominciarono a disegnare quella linea lungo il paese, stabilendosi a Dessau. Qui si creò il manifesto del razionalismo architettonico attraverso l’edificio progettato e costruito da Gropius, ancora oggi simbolo inamovibile della geometria del Bauhaus. A Dessau si susseguirono direttori e il movimento si ampliò, arrivando a contare più di 300 edifici nella città. La Casa dei Maestri, l’Edificio di Gropius e le Case Porticate sono esempi del grande periodo di splendore vissuto là. C’era poi il giardino, o meglio, il Regno dei Giardini di Dessau-Wörlitz, eccezionale esempio di realizzazione dei principi filosofici dell'Illuminismo. Voluto dal principe inglese Franz von Anhalt-Dessau due secoli prima, a Wörlitz, dove qualche anno dopo si sarebbe costruito l’edificio base del Classicismo tedesco, molti studenti della scuola furono avvistati passeggiare qui, sedersi sul prato tagliato fresco e immaginare linee che unissero le punte degli alberi. Tornarono poi i nazisti, ancor più forti di prima, e nel ’32 chiusero finanziamenti e porte. Il direttore del momento, Mies van der Rohe, declinò gli inviti di Lipsia e Magdeburgo per ospitare la Scuola, prediligendo una fabbrica di telefoni abbandonata fuori Berlino. Un’esperienza che non durò molto, anche se lasciò in eredità il grande edificio della ADGB a Bernau, lontano dalla città e la frenesia, dove l’idea era fornire istruzione, svago e uno stile di vita moderno. Un edificio, questo come molti altri, che viene ancora utilizzato e che risale, insieme a tutti gli altri, alla Haus am Horn qui da me, a Weimar, dove le nuove idee d’architettura presero forma per la prima volta, visibili oggi lungo la linea formata dal Bauhaus al centro del paese, tra me, Dessau e Bernau. Dessau e Bernau si trovano all’interno dellITINERARIO ATTIVO presente sul sito ufficiale dell'ente turistico tedesco. Consultalo per idee di viaggio alla scoperta dei siti UNESCO della Germania
Sull’Altura di Matilde crebbero gli artisti che guardavano al futuro. Un rilievo che prese il nome di una principessa triste, ma dove io trovai ospitalità e gioia dalla fine dell’XI secolo, o forse prima, fino a quando il sovrano Ludovico il Bavaro decise di promuovermi, e così io, Darmstadt, divenni città del Sacro Romano Impero. Da lì le cose acquisirono senso nella natura. Si susseguirono conti e castelli, langravi d’Assia e università, fino a quando, a inizio ’900, una colonia d’artisti dello Jugendstil mi fece scoprire la cultura, quella vera, rivoluzionaria e strafottente. Edifici espositivi, la Torre dei Matrimoni e il Vortexgarten della forza levitazionale; il tutto circondato dalle case Art Noveau di quegli artisti riunitisi sotto la visione del granduca Ernest Ludwig von Hessen, che aveva la stessa idea dei vittoriani: creare un villaggio-atelier, la crescita tramite l’arte e la cultura. L’aveva già fatto la Duchessa Amalia a Weimar, aveva funzionato, perché non riprovarci? La concezione dell’arte per l’arte poteva sposarsi con l’aspetto economico. Ci passarono l’architetto e pittore Olbrich, che costruì praticamente tutti gli edifici del villaggio, il grande Behrens, maestro di Le Corbusier e Gropius, il designer Christiansen e lo scultore Hoetger, trasformandomi, per 14 bellissimi anni, nel centro d’arte e architettura moderna in Europa. Poi successero molte cose, non solo qui da me, a Darmstadt, ma in tutto il mondo. Prima morì il fondatore Olbrich, poi cominciò la Prima Grande Guerra, il mecenatismo passò in secondo piano e l’arte, come sempre, passò ad altro. Scissioni, litigate, forse qualche ceffone che volava e insomma, le cose belle finiscono sempre. Si ritrovarono così sull’Altura di Matilde, delusi e frustrati, ognuno a guardare in una direzione diversa, chi a sud, chi a ovest, altri al passato. Proprio quest’ultimi erano rimasti stupefatti da ciò che si trovava poco a est, al Pozzo di Messel, dove, nell’estrazione dello scisto bituminoso, creando crateri e riportando alla luce strati di terreno antichi come il mondo, ci trovarono i fossili. Ci volle ancora qualche decennio per capire che sarebbe stato il caso di fermare l’estrazione e salvaguardare quei ritrovamenti, ma alla fine, dopo varie peripezie e un mezzo secolo trascorso, ce la fecero. Più di 1000 reperti tra piante e animali, scheletri articolati, piume, peli e pelli, a testimonianza di come si viveva 50 milioni d’anni fa. C’erano poi le persone, sempre su quell’altura, che guardavano un po’ più a sud, no non lì, ancora un poco più giù, esatto, là dove si trova l’Abbazia di Lorsch. Erano attratti dalle reliquie di San Nazario, arrivate a metà nel 765 come dono di Papa Paolo I. Un monastero costruito pochi anni prima da Cancor, conte franco dell’Oberrheingau, ma finito poi nelle mire di Carlo Magno, e, come tutto ciò sotto il suo controllo, non poteva che ingrandirsi. Un’architettura carolingia che strizzava l’occhio a quella romana, con interni rivestiti di cassettoni, argento, intarsi e ori. Ah, certamente, l’altare è in marmo, mentre la porta Torhalle spicca per il riferimento all’arco di Costantino. E proprio lì sono custoditi centinaia di titoli, anni di accumuli, ricerche e segreti, tra collezioni di testi patristici e alcune lettere di Cicerone, anche se, tra tutti, non si può non ammirare il Codex Aureus, il manoscritto decorato con prezioso avorio e considerato tra i più celebri prodotti dell’arte di Aquisgrana. Una struttura che, a detta loro, è al novanta percento terrena. Il rimanente credo si colleghi a quella parte che si trova qui da me, a Darmstadt, come in tutto il resto del mondo, e che parla del senso della natura che cercavano anche gli artisti di Matilde, con il loro fare rivoluzionario, spesso eccentrico, in cui, per un piccolo periodo, tutto il mondo poneva le sue speranze. Darmstadt e il pozzo di Messel si trovano all’interno dell'ITINERARIO VIAGGIO NEL TEMPO presente sul sito ufficiale dell'ente turistico tedesco. Consultalo per idee di viaggio alla scoperta dei siti UNESCO della Germania
Devo molto a un uomo di cui ignoro l’identità. Mi rese famosa, donandomi le sue opere più fini, e in cambio gli prestai il mio nome, Naumburg, perché a quanto pare, dopo la sua morte, nessuno ricordava più come si chiamasse. È raccontato che il Maestro, così lo chiamano ora, fosse sicuramente nato in Germania, ma che si fosse formato in Francia, probabilmente a nord, prima Amiàn Amiens, poi Rèèms Reims, forse Sciàrt Chartres, venendo più tardi accolto nelle corti di Strasburgo e Metz. Un apprendista vagabondo, di cui si posson o ammirare le prime sculture in Germania al vecchio duomo di Magonza, tra le città più vicine al confine francese. Si muoveva col vento e fu attratto dal nord, quello estremo del nostro paese, da dove si vedono le terre scandinave, dove la neve mossa dai viandanti finisce direttamente nel Mar Baltico. Da lì, seguì il percorso delle faggete, la miglior maniera, secondo lui, di scendere a sud. Partì da Rügen, dove oggi si trova il Parco Nazionale di Jasmund, sui precipizi delle scogliere di gesso, e ogni tanto si metteva a gridare, tra un passo e l’altro, per testare la solitudine di quel luogo primordiale. Un mosaico di dinamismo che qualche secolo dopo ispirò molti pittori romantici. Passò poi al centro del distretto dei laghi del Meclemburgo, per la precisione vicino alle faggete del lago Müritz, a una giornata di cammino a nord di Berlino, dove immagino si fermò a riposare per qualche giorno; in seguito, scivolò giù verso le valli e le catene montuose di Hainich, in Turingia, e qui si fece ispirare dalle tracce dell’ultima era glaciale. Credo che in quel momento s’immaginò dei giochi di luce. Il Maestro segnava tutto sul proprio taccuino. Giunto nell’Assia, rimase estasiato dai tappeti in fiore all’ombra dei faggi, vicino ai ripidi pendii rocciosi della Kellerwald (e qui so per certo che vide due occhi), per poi abbeverarsi nelle baie del tortuoso Edersee. Là, seppe di aver completato il suo viaggio, seppe dove andarsene per esprimere tutto quel che aveva raccolto, e fu così che arrivò qui da me, a Naumburg. Ero l’unica opzione nel suo destino. Qualche anno prima era iniziata la costruzione di una cattedrale in stile tardo-romanico, così gli avevan detto, precisando però che poi, Enrico l’Illustre, aveva commissionato l’aggiunta di un altro coro gotico. Il Maestro aveva lavorato in Francia (e si sa che i francesi hanno sempre creato gelosie), aveva viaggiato molto, aveva bisogno di sfogare la creatività, non potevano non scegliere lui. C’era già la cripta, con le sue colonne romaniche e i capitelli a blocco, contenenti un profeta e un angelo femminile, opere dell’artista di Magdeburgo Heinrich Apel, lo stesso che creò i due corrimano in bronzo sulle scale che portavano al Coro Est, dove sono racchiuse le storie di San Francesco e gli Animali e de Il Sentiero stretto verso il Paradiso. Il Maestro sapeva di poter far di meglio. Proprio in quel Coro, tra le sue ultime opere, aggiunse la figura del vescovo e quella del diacono. Che tutti si accorgessero della differenza di qualità, un’opera affianco all’altra. Ancora oggi si dice che chi entri là abbia la costante sensazione di essere osservato da occhi umani, tale fu il realismo di queste statue. Cominciò in seguito a creare opere uniche nel suo genere e mai più ripetute, a partire dal Coro occidentale, dove si viene accolti da una crocifissione a grandezza naturale, con Cristo, la Santa Maria e il discepolo Giovanni circondati da pietre a forma di ciliegi, noccioli, edera e uve. Il Giardino del Maestro di Naumburg. Ci fu poi l’architettura e la lavorazione del vetro, che insieme danno ancora vita alle ombre della cattedrale, anche se il capolavoro arrivò con le statue del Coro Occidentale: 12 rappresentazioni in arenaria dei fondatori, e tra di loro, la donna più bella del Medioevo, Uta. Margravia moglie di Ekkehard, il suo sguardo riprende quello dei prati fioriti delle faggete, bella e visibilmente distaccata dalla spada e lo scudo del marito, gelida regalità senza precedenti, né gotici né d’altri stili. Molti s’innamorarono di quella statua, scalpellini e nazisti, Walt Disney stesso e pure qualche vescovo, in segreto, ma nessuno riuscì mai a ricordare il nome del suo creatore, quello che era riuscito a sintetizzare e fondere lo sguardo tedesco all’eleganza francese, quello a cui io devo molto, ma che forse, giustamente, basta ricordare come il Maestro. Naumburg si trova all’interno dell'ITINERARIO DELLA FEDE presente sul sito ufficiale dell'ente turistico tedesco. Consultalo per idee di viaggio alla scoperta dei siti UNESCO della Germania
Martin Lutero, uomo nato qui da me, nella piccola Eisleben. Era novembre, e forse nessuno si aspettava che questo bambino avrebbe cambiato il volto di una religione. Lo accolsi in una notte fredda e lunga, undici ore dopo il tramonto, circondato da edifici in pietra centenaria, strette vie e chiese che si stagliavano contro il cielo. La sua vita, come la mia, era avvolta da una silenziosa attesa. Come nelle più classiche delle storie, decenni dopo, sarebbe tornato a esalare l'ultimo respiro tra le stesse mura. Il più bel cerchio narrativo. Fui contenta di vederlo un’ultima volta. Figlio di gente povera, amava ricordare come anche certi contadini potessero diventare re e imperatori; il padre Hans lavorava in miniera, la madre Margarethe raccoglieva legna nel bosco, e la loro casa natale è ancora lì, oggi, con la stessa forza: le mura respirano la loro memoria, narrano di quel bambino che sarebbe diventato un monaco, un riformatore, e che, con uno di quei movimenti tanto semplici quanto simbolici, avrebbe affisso 95 tesi su una porta di legno. Il piccolo Martin venne battezzato non lontano da casa, nella chiesa di San Pietro e Paolo, dove l'acqua di quel battesimo scorre ancora, invisibile, nelle pieghe della mia storia. In mezzo, tra Chiesa e casa, ci sono i passi nella piazza del mercato, con le sue dimore signorili, il municipio storico e una sua statua, eretta quando già tutta Europa conosceva (e temeva) il nome del riformatore. In un suo viaggio a Roma, tempo dopo, si arrampicò sulla Scala Santa, mani e ginocchia, baciando scalino per scalino, nella speranza di liberare l'anima umana dal purgatorio e i peccati, dispiacendosi persino che i suoi genitori fossero ancora in vita, non potendo così beneficiarli di quel momento devozionale. L’ecclesia umana, però, gli dava il voltastomaco. L’anno successivo, tornato in Germania, mi lasciò, accettando il ruolo di professore di teologia all’università di Wittenberg, città con cui condivido la storia del religioso. E proprio qui non si limitò a essere monaco e insegnante, ma diede vita a una vera e propria rivoluzione spirituale. Insegnava e scriveva, mentre il mondo cominciava a cambiare attorno a lui. Nel 1517, l’atto che gli avrebbe conferito l’immortalità: 95 tesi, inchiodate sulla porta della chiesa del castello come una sfida, un provocatorio invito al cambiamento. Una porta che viene conservata, a Wittenberg, e diventata ormai simbolo, alla pari del solenne altare di Cranach, nella chiesa cittadina, monito che il passato rimane vigile. Proprio qui fu seppellito Lutero, accanto alla tomba di Melanchthon, suo collega e amico. Infine, Lutero smise di essere solo un monaco. Arrivò il matrimonio e una vita diversa, sempre là a Wittenberg, sempre tra le mura del monastero che si era trasformato in dimora. Le sue lezioni attiravano studenti da ogni angolo d’Europa, le sue parole, messe per iscritto, si diffusero come fuoco tra le genti. Suo devoto biografo, Roland Bainton, negli ultimi anni descrive come l’atteggiamento di Lutero fosse cambiato rispetto a quello di sfida dei primi tempi, usa la parola degenerato, ma nonostante questo, sino all'ultimo, migliorò la sua traduzione della Bibbia, per illustrare i suoi principi religiosi e morali. Ritornò da me a cercare la morte, che trovò un giorno di febbraio, dopo un viaggio che l’aveva riportato nella sua città natale, dove il tempo, per lui, si fermò. Anche la sua voce, che aveva predicato e insegnato, si spense tra quelle mura tardogotiche, diventate poi museo. Alla domanda dei suoi amici, durante gli ultimi secondi della sua vita terrena, che gli chiedevano se fosse ancora convinto dei suoi insegnamenti, rispose con un deciso sì, prima di spegnersi, nella stessa terra in cui era nato, qui da me, a Eisleben. Eisleben e Wittenberg si trovano all’interno dell'ITINERARIO DELLA FEDE presente sul sito ufficiale dell'ente turistico tedesco. Consultalo per idee di viaggio alla scoperta dei siti UNESCO della Germania
Cominciò tutto con un asino. Gli caricarono due sacche, colme di monete d’oro, e lo mandarono in avanscoperta. Superstizioni di una leggenda, erano monaci, cercavano l’acqua. All’epoca avevo la forma di vento e distese verdi, il terreno di Maulbronn. Guidai l’asino con brezze e odori e qualche sasso posizionato diagonalmente, finché arrivò a una fonte naturale. Lì i cistercensi decisero di iniziare a costruire a metà del XII secolo. Prima le mura, quattro per iniziare, poi si allargarono perché si erano già immaginati la basilica a tre navate; finita quella c’era da aggiungere il chiostro, il refettorio e il vestibolo chiamato Paradiso, e tutto è arrivato più o meno originale a questi giorni. Ah, c’erano anche 92 posti negli stalli del coro, dove gli uomini del presente-futuro trovarono le illustrazioni di com’era strutturato il monastero all’inizio. Nel giro di 400 anni crearono l’Abbazia, plasmando il paesaggio culturale, a metà tra Heidelberg e Stoccarda, circondata da residenze e magazzini agricoli, grandi torri e un muro fortificato lungo un intero chilometro. Poi, un giorno, arrivò da me, qui a Maulbronn, un uomo dal talento particolarmente spiccato, eguagliato solo dalla sua riservatezza. Aveva un viso così… No, mi promise di non rivelare la sua identità, e farò del mio meglio per accontentarlo. Lo chiamerò con il nome che si guadagnò più tardi: il Maestro del Paradiso. Lavorò molto al monastero, e portava sempre con sé la Francia e quel suo primitivo stile gotico così caratteristico, ancora visibile sul portico della chiesa, il refettorio del Maestro e l’ala meridionale del chiostro. Uno stile che, qualche secolo dopo, trasformato e riadattato al gusto dell’epoca, fu applicato anche alla sala capitolare, il resto del chiostro e il pozzo. In quello si respirava novità, e per farla arrivare meglio all’interno delle mura furono costruite delle grandi finestre a traforo, poi ci misero una volta a crociera e le pareti furono adornate con nuove pitture. Poi ci fu la Riforma, e l’Abbazia divenne una scuola conventuale dove, tra gli altri, si formarono importanti nomi legati a scienza e letteratura, come Keplero e Herman Hesse; in seguito il duca Ludwig I fece aggiungere un castello di caccia, in stile rinascimentale, come residenza di prestigio, e io, Maulbronn, mi ritrovai sempre più ad amministrare politica invece che religione. Mi sembrava d’essere diventata una piccola città. Nel frattempo le persone si trovarono ad appassionarsi al Medioevo: castelli, rovine e monasteri diventarono attrazioni, tappe di percorsi romantici e idealizzazioni. Il futuro sembrava così simile al passato. Questo finché non conobbi Charles-Édouard Jeanneret-Gris, architetto, elevato in seguito a superstar. Con un passato da artigiano e decoratore, arrivò a un punto della sua carriera dove capì che il futuro era più importante del passato: cambiò nome, diventando Le Corbusier, qualche legame con i corvi, un nome più modernista, che si adattava meglio al suo razionalismo architettonico. Estetica universale, funzionale e tecnologicamente avanzata, in questo credeva. Nel 1927 fece ricredere molte di quelle persone che preferivano il passato, mostrando al mondo le sue doti, che presero forma anche nella tenuta Weissenhof, a Stoccarda. Una tenuta del Werkbund che si rivelò un enorme laboratorio per il futuro, dove sotto la direzione di Ludwig Mies van der Rohe furono costruiti ben 21 edifici. Insieme alla Casa Citrohan di Le Corbusier, la casa bifamiliare di Ludwig era uno dei progetti più spettacolari: austera ed elegante, leggera, poggiata su esili pilastri, con soggiorni divisibili e variabili, oltre a una cucina attrezzata e dal design funzionale. Qui a Maulbronn, arrivò l’eco delle sue gesta attraverso i racconti che si scambiavano nell'abbazia, e quel personaggio mi ricordò il Maestro del Paradiso, due uomini che rivoluzionarono e che aprirono nuove vie, facendo avanzare il mondo verso un futuro alternativo. Maulbronn si trova all’interno dellITINERARIO WELLNESS presente sul sito ufficiale dellente turistico tedesco. Consultalo per idee di viaggio alla scoperta dei siti UNESCO della Germania
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