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Beethoven 250 – Il pianoforte
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Beethoven 250 – Il pianoforte

Author: Rete Toscana Classica

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Beethoven 250 è un percorso tematico sulla produzione di Ludwig van Beethoven per celebrarne i 250 anni dalla nascita. Il progetto di Alberto Batisti e Luca Berni prevede per tutto l’anno, ogni lunedì alle 18.40, una trasmissione dedicata a Beethoven.
Articolato in sessanta puntate, il progetto è suddiviso in quattro cicli affidati a quattro curatori. Il primo ciclo, a cura di Francesco Dilaghi, esamina l’opera per pianoforte, con particolare attenzione alle Sonate. Il secondo, a cura di Maddalena Bonechi e Marco Mangani, è dedicato ai quartetti per archi. Nel terzo Alberto Batisti illustra le nove Sinfonie, le tre versioni di Fidelio e la Missa solemnis. Infine, nel quarto, Marco Mangani analizza altre composizioni, tra cui trii e quintetti per archi, partiture per fiati e Lieder.

Il progetto è intitolato E gli uomini salirono verso la luce, parole intonate da Beethoven nella cantata Da stiegen die Menschen ans Licht in morte dell’imperatore Giuseppe II. Un’invenzione musicale che confluirà anni dopo nel Fidelio, proprio nell’istante in cui Leonore libera dai ceppi il marito Florestan.

Il pianoforte
a cura di Francesco Dilaghi

Un argomento come “Il pianoforte di Beethoven” suona come un po’ come “La scultura di Michelangelo” o “La pittura di Caravaggio”. Suona, insomma, come qualcosa di enorme, e non tanto per le dimensioni quantitative (in realtà anche per quelle). Ma soprattutto per il valore, per il peso specifico che occupa nella cultura del mondo occidentale. Qualcosa, di conseguenza, di cui tutto è stato studiato, analizzato, sviscerato da studiosi e da interpreti di epoche e di origini geografiche diverse, dal ‘700 a oggi. La bibliografia è sterminata, come la discografia. Di fronte a questo “temibile” stato di fatto, la cosa migliore ci è sembrata quella di lasciare più spazio possibile alla musica stessa. Si è cercato di rendere evidente lo straordinario sviluppo che si dispiega nell’arco di quasi quarant’anni: un momento cruciale nella storia europea, e di conseguenza nella storia della musica.

Un percorso dunque ampio, che si avvicina molto a un’integrale delle opere che vedono protagonista il pianoforte. Con questo strumento Beethoven conobbe i primi successi nella veste di pianista-compositore. Il pianoforte viveva in quegli anni una rapida evoluzione tecnica. La linea guida, la “spina dorsale” di questa nostra esplorazione è costituita dal corpus delle 32 sonate. A questa forma-principe dell’universo beethoveniano si affianca quella, parallela, del concerto per pianoforte e orchestra. E non dimentichiamo le forme più marginali – assolutamente non trascurabili – della variazione, del rondò, della bagatella e della fantasia. L’ordine di questo lungo percorso è dunque quello cronologico della composizione, che non sempre coincide con quello della pubblicazione.

Per gli ascolti, disponiamo di una discografia enorme, che include anche alcune integrali realizzate su copie moderne degli strumenti originali utilizzati da Beethoven. Attingeremo quindi a una vasta selezione di interpreti, da Artur Schnabel – il primo a realizzare una registrazione integrale delle Sonate, negli anni ’30 del ‘900 – fino ai più accreditati di oggi.

a cura di Francesco Dilaghi
22 Episodes
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1 Gli anni giovanili a Bonn

1 Gli anni giovanili a Bonn

2020-01-1001:03:08

Vienna fu il centro di tutta la vita artistica di Beethoven: ma egli nacque a Bonn, e qui passò i primi 22 anni di vita. Un ambiente musicale, quello che ruotava intorno alla piccola orchestra di corte, che ben presto restò stretto al giovane musicista. Qui fu fondamentale il contatto con il suo primo vero maestro, Christoph Gottlob Neefe, che seppe individuare e guidare il brillante, precoce talento del giovane musicista, già incentrato fin dai primi esordi intorno al pianoforte.
All’età di 22 anni Beethoven si stabilisce a Vienna e cerca di affermarsi nella grande capitale. Mozart è morto da un anno e il nome di maggior prestigio è quello di Haydn. Grazie all’aiuto di un generoso mecenate, il conte Waldstein, il giovane musicista entra in contatto con Haydn, con il quale tuttavia il rapporto non sarà idilliaco. E’ questo il momento dell’esordio ufficiale come compositore di sonate, con le tre dell’op.2, che appunto a Haydn sono dedicate e che rivelano subito una forte carica innovativa.
La serie cronologica delle sonate non prosegue con la n.4 ma con le due “Sonate facili” op.49, pubblicate vari anni dopo la composizione: opere minori ma ormai integrate nella serie delle 32. Ben altro peso e significato assume invece l’esordio del Beethoven pianista-compositore con il Concerto in si bemolle op.19, lavoro che dichiara con evidenza il suo debito nei confronti della straordinaria eredità lasciata in questo genere da Mozart.
Il percorso cronologico delle sonate, dopo l’op.49, riprende il suo andamento normale con la “Grande Sonata” op.7, talvolta chiamata “Die Verliebte” per via di un ipotetico innamoramento del musicista per la dedicataria, la contessa Babette von Keglevich. Completa la trasmissione una composizione importante quanto poco conosciuta: le 24 Variazioni su un’arietta di Righini, pagina che ci offre il destro per una ricostruzione di quelle che furono le qualità del Beethoven pianista e improvvisatore.
5 Le tre Sonate op.10

5 Le tre Sonate op.10

2020-02-0301:15:32

Come l’op.2, anche l’op.10 comprende tre sonate: rispetto alle precedenti, nelle prime due si abbandona il modello in quattro movimenti a favore di quello in tre, in generale di dimensioni decisamente più concise. Dunque un rinnovamento dei modelli già sperimentati, con la comparsa di un elemento non molto valorizzato nella poetica beethoveniana: quell’elemento umoristico-grottesco ben messo a fuoco in alcuni scritti critici di Alfred Brendel, che è anche l’interprete delle esecuzioni proposte.
La serie delle sonate ci presenta adesso una delle pagine pianistiche più celebri, la “Patetica”. Questo nome con cui è comunemente indicata la Sonata op.13 allude ad elemento fondamentale nella poetica beethoveniana, e cioè quello dei due principi contrapposti, secondo la teoria di Schiller. Completa la trasmissione il grande Concerto in do maggiore op.15, pressoché contemporaneo all’op.19 ma dalla concezione sinfonica più vigorosa e da un più spiccato virtuosismo pianistico.
Dopo la celebre “Patetica” la serie delle sonate prosegue con due lavori, invece, un po’ negletti da pubblico ed interpreti: il dittico dell’op.14, pagine dal carattere decisamente meno drammatico, che spazia dall’umoristico all’amabilmente espressivo, in tre movimenti e di fatto prive di un vero e proprio tempo lento centrale. Fa quindi la prima comparsa “ufficiale”, cioè nel novero delle composizioni con numero d’opera, la forma breve della Bagatella con la prima delle tre raccolte pubblicate, l’op.33.
Dopo l’op.7 e l’op.13, troviamo un’altra sonata pubblicata singolarmente, l’op.22: pagina di brillante impegno virtuosistico, che apre la serie di cinque importanti sonate che vedono la pubblicazione nello stesso anno, il 1802. Nel genere del Concerto è ora il momento di un’altra composizione molto eseguita, il Concerto op.37, nella “fatidica” tonalità di do minore, quella già della “Patetica” e tra qualche anno della Quinta sinfonia: pagina che apre una nuova fase, quella centrale, nella parabola creativa di Beethoven.
Il 1802 vede la pubblicazione di ben cinque sonate. Dopo la prima di queste cinque, la Sonata op.22, che aveva aperto la precedente trasmissione, si parla adesso delle tre sonate successive, e cioè della Sonata op.26 e delle due che costituiscono l’op.27 (la seconda della quali è la celebre “Chiaro di luna”).  Non a caso queste tre composizioni sono presentate insieme: sono infatti il segno di una profonda crisi nella concezione della forma sonata (intendendo ‘crisi’ non nel senso di decadenza, ma di ripensamento, rielaborazione); e da adesso ogni nuova sonata cercherà di ridefinire, riplasmare questa forma.
La serie delle sonate pubblicate nel 1802 continua, e si conclude, con la Sonata op.28 “Pastorale”;  ma altre tre sono in cantiere, che vedranno la stampa nell’anno successivo: di queste tre nuove sonate, raccolte nell’op.31, prenderemo in esame la prima, la n.16 in sol maggiore, nella quale con più evidenza si manifesta la componente dell’umorismo beethoveniano. E’ questo per il musicista un momento di grande attività, non solo sul fronte pianistico: ma adesso si manifesta con forza il grande problema che si affaccia a turbare il prorompente dispiegamento del suo talento e della sua missione artistica. Il peggiore che possa colpire un musicista: la sordità. 
Dopo i riferimenti all’umorismo della Sonata op.31 n.1, il trittico dell’op.31 si completa adesso con due sonate estremamente diverse tra loro e – come ormai abbiamo sperimentato – ognuna espressione di un mondo poetico a sé stante, e ognuna una nuova “reinvenzione” della forma-sonata. La trasmissione si completa con una raccolta di Variazioni, l’op.34, che, insieme alla raccolta “gemella” dell’op.35, a detta dello stesso autore rappresenta una decisa svolta nella definizione di questo genere pianistico, un genere particolarmente connaturale al grande talento di Beethoven nell’improvvisazione pianistica.
Ci troviamo ormai verso la metà del grande viaggio dedicato all’opera pianistica di Beethoven: protagonisti, adesso, sono non solo due capolavori, ma anche due composizioni che hanno un’importanza particolare nella definizione della poetica del musicista.  Le profonde innovazioni nel genere della Variazione, dopo l’op.34, si completano e si amplificano nella grandi Variazioni op.35, il cui tema sarà poi di lì a poco utilizzato anche nel finale dell’Eroica. Nel genere della sonata è ora la volta della grande Sonata op.53 “Waldstein”, pubblicata nel 1805, che prosegue quindi la serie delle sonate dopo un breve periodo di stasi.
Il brano che apre la trasmissione, l’“Andante favori”, è una breve pagina che si collega direttamente con la Sonata “Waldstein”, con la quale si era conclusa la trasmissione precedente: esso ne costituiva infatti il movimento centrale in una prima versione, poi sostituito con l’Introduzione al Rondò. Sul fronte delle sonate invece è adesso il momento di due composizioni quanto mai diverse tra loro: la n.22 – la breve, un po’ enigmatica (e pochissimo eseguita) Sonata op.54 – e la n.23, cioè la grande, possente e celeberrima Sonata op.57 “Appassionata”,  uno dei maggiori e più eseguiti capolavori pianistici beethoveniani.
Dopo la Sonata op.57, la celebre “Appassionata”, abbiamo una battuta d’arresto di circa quattro anni nella successione delle sonate: e quando questa riprenderà ci troveremo di nuovo davanti ad una concezione di questa forma fortemente rinnovata. Ma in questo periodo non si interrompe l’interesse di Beethoven per il pianoforte: il 1806 vede nascere due importanti lavori che hanno il pianoforte come protagonista: le 32 Variazioni in do minore – ancora la tonalità fatidica della Patetica, del Terzo Concerto, dell’ouverture Coriolano e di lì a poco della Quinta Sinfonia – e il Quarto Concerto per pianoforte e orchestra, opera quest’ultima dalla tinta ben diversa rispetto al precedente concerto.
Nel 1809 il pianoforte torna decisamente al centro del lavoro creativo di Beethoven, e su vari generi: su quello della sonata con una composizione piuttosto singolare – la Sonata op.78 in fa diesis maggiore; sul genere della Fantasia con una composizione destinata a restare unica nel suo catalogo, l’op.77. Ma un altro lavoro di questo momento, ben più importante e decisamente singolare, è la grande Fantasia corale op.80: opera che concludeva l’ultimo grande, lunghissimo concerto che vedeva Beethoven protagonista; era il 22 dicembre 1808, e fu quella l’ultima volta in cui il musicista, ormai quasi completamente sordo, poté esibirsi in pubblico come pianista.
Siamo ancora nel 1809, un anno in cui il pianoforte sembra tornato decisamente al centro dell’interesse del musicista: dopo la Sonata op.78 è adesso il momento di un’altra pagina singolare: la Sonatina op.79 cosiddetta “alla tedesca”, lavoro di minor impegno tecnico ma di interesse tutt’altro che trascurabile. Ma soprattutto è questo l’anno in cui viene concepita una delle pagine più celebri e celebrate: il quinto, ed ultimo, Concerto per pianoforte “Imperatore”, il più grandioso nella concezione e nelle dimensioni, nutrito da un ardore patriottico causato dalle drammatiche vicende politiche di quegli anni, nonché una delle opere che maggiormente hanno contribuito a creare il mito del Beethoven eroico.
Il 1809 fu anche un anno denso di drammatici avvenimenti politici e militari: Napoleone nel luglio aveva sconfitto l’esercito austriaco e entrava da conquistatore a Vienna. Nel maggio la corte imperiale aveva abbandonato la capitale, e quindi anche l’Arciduca Rodolfo, l’allievo e mecenate di B, che sarebbe tornato solo nel gennaio dell’anno successivo. E’ questo il contesto in cui nasce l’unica sonata il cui titolo sia espressamente voluto dall’autore: la Sonata op.81a “Les adieux”. Ma serie delle sonate continua adesso con un ritmo decisamente meno serrato: è del 1813 la Sonata op.90, una pagina che ha molti aspetti in comune con l’op.78, e del 1816 l’op.101, che a tutti gli effetti apre la serie delle ultime cinque sonate.
Con la Sonata op.101 eravamo entrati in pieno nell’ultima stagione creativa, quella che ci riserva un ultimo, radicale ripensamento della forma che ha accompagnato Beethoven per tutta la vita. In concomitanza con una lunga e logorante vicenda personale – la tutela del nipote Karl e le conseguenti diatribe giudiziarie con la cognata – nasce tuttavia un grande progetto di una nuova sonata, di quella che sarebbe stata la più grande e complessa struttura formale concepita finora, di impervia difficoltà esecutiva: l’op.106, spesso chiamata Hammerklavier, della quale il miglior commento resta quello, profetico, di Beethoven stesso: “Una sonata che darà ai pianisti filo da torcere quando la si suonerà, tra cinquant’anni”.
19 Le ultime tre Sonate

19 Le ultime tre Sonate

2020-05-1001:32:00

Con questa trasmissione, dedicata alle tre ultime sonate – op.109, 110 e 111 – , arriviamo al termine dello straordinario percorso delle 32 sonate (anche se non ancora all’ultima parola dell’opera pianistica). Le tre composizioni nascono da un unico impulso creativo, come un unico grande progetto articolato in tre momenti organicamente complementari fra loro; d’altronde, era appunto questa l’idea concepita dall’autore, quando ne proponeva all’editore Schlesinger la pubblicazione in un’unica uscita. Abbiamo qui l’estremo ripensamento del genere della sonata, che vede il principio dialettico del bitematismo ridimensionarsi a favore di una indagine più profonda, tutta svolta in una dimensione “verticale”, espressa dalle forme monotematiche della variazione e della fuga.
È questo il momento dell’ultima grande composizione pianistica (ma non ancora l’ultimissima parola) di Beethoven, paragonabile per impegno e dimensioni solo alla Sonata op.106:  le Variazioni (per essere esatti Beethoven usa la parola Veränderungen) su un valzer di Diabelli, op.120, la cui vicenda compositiva si protrae per un ampio lasso di tempo, tra il 1819 e il 1823, venendo così a sovrapporsi cronologicamente sia alle tre ultime sonate che ai due grandi progetti sinfonico-corali della Nona Sinfonia e della Missa solemnis. L’occasione nasce dall’idea dell’editore Diabelli di commissionare ai maggiori musicisti del tempo una variazione ciascuno su un tema da lui proposto: Beethoven ne scrisse 33, creando un monumento di quasi un’ora di musica.
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