Nel 2015 una piccola storia italiana viene ripresa da diversi media internazionali: Leonardo Fabbretti, un architetto che abita a Foligno, non riesce più a sbloccare l’iPhone di suo figlio tredicenne Dama. E non può chiedergli il codice, perché Dama è appena morto di cancro. Le combinazioni di cifre che può provare per trovare il codice sono diecimila. Fabbretti ha provato qualsiasi metodo per curare Dama: allo stesso modo non si perde d’animo e prova a capire come trovare quel codice. Se vuoi raccontarci qualcosa su questi temi, una storia, una suggestione, un pensiero, puoi scriverci a digitalrequiem@ilpost.it
Leonardo Fabbretti si rivolge anche a Apple, che ha prodotto il telefono di suo figlio. In quello stesso periodo l'azienda è impegnata in un caso simile, la richiesta di creazione di una backdoor, una "porta sul retro", cioè un modo per accedere a un iPhone bloccato superando il codice impostato da chi lo possiede. «Ci opponiamo a quest’ordine, che ha implicazioni che vanno ben oltre il caso legale in questione»: nel 2016 l’amministratore delegato di Apple Tim Cook spiega in un comunicato perché l’azienda è contraria a craccare un iPhone a fini investigativi, anche se a chiederlo è l’FBI, che sta cercando di aprire il telefono di due persone responsabili di un attentato terroristico. Se vuoi raccontarci qualcosa su questi temi, una storia, una suggestione, un pensiero, puoi scriverci a digitalrequiem@ilpost.it
Ci sono aziende e tecnici che forzano sistemi informatici che sembrano impenetrabili. «Indipendentemente da quello che c'è dentro, io faccio un lavoro tecnico e fornisco al pubblico ministero, e a chi deve fare l'indagine, i dati». L’informatico forense Mattia Epifani lavora per procure e tribunali proprio per aprire delle "porte sul retro". Ma se chi si rivolge a lui non è un tribunale, ma una persona comune? E un modo per riuscirci si trova sempre? Se vuoi raccontarci qualcosa su questi temi, una storia, una suggestione, un pensiero, puoi scriverci a digitalrequiem@ilpost.it
«Nella storia millenaria dell'umanità, il Novecento è il primo secolo in cui si cerca di parlare il meno possibile di morte.» Il prof. Davide Sisto e altri esperti raccontano in che modo l’era digitale sta cambiando il nostro rapporto con la morte e l’eredità. Se vuoi raccontarci qualcosa su questi temi, una storia, una suggestione, un pensiero, puoi scriverci a digitalrequiem@ilpost.it