Una settimana dopo la resurrezione, quando era apparso nuovamente agli apostoli riuniti nel cenacolo per far vedere le sue piaghe a Tommaso, Gesù aveva trovato i suoi amici intenti ai preparativi del viaggio verso Cafarnao dove arrivano dopo cinque giorni di cammino. Riabbracciano le famiglie, i parenti, gli amici. Raccontano ciò che era accaduto e molti credono. Una sera, si trovano insieme Simon Pietro, Tommaso, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Simon Pietro dice: “Io vado a pescare”. Gli rispondono: “Veniamo anche noi con te”. Allora salgono sulla barca; ma quella notte non prendono nulla. Quando già è l’alba, Gesù li aspetta sulla riva, ma i discepoli non si accorgono che è lui. “Non avete nulla da mangiare?”: chiede. Gli rispondono: “No”. Non avevano pescato nulla per tutta la notte. “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. La gettano e non riescono più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù ama dice a Pietro: “È il Signore!”. Appena scesi a terra, vedono un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. C’è un buon profumo. Hanno tutti molta fame. Gesù dice a Simon Pietro: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?”. Gli risponde: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli dice: “Pasci i miei agnelli”. Glielo chiede per la seconda e per la terza volta. Pietro rimane addolorato che gli chiedesse ancora e risponde: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”. Gesù replica: “Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi”. Gli aveva così predetto la prigionia e la morte che avrebbe patito per essere fedele al Maestro. E, detto questo, aggiunge: “Seguimi”. Prima di andarsene, il Nazareno li invita per l’ultima volta a tornare a Gerusalemme e aggiunge: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Tornano lì, come aveva chiesto loro. Erano ormai trascorsi quaranta giorni dalla sua resurrezione. Si ritrovano insieme nella casa di Dan, il Nazareno entra all’improvviso e si siede con loro. Dice ai commensali: “Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra”. Quando sono sul monte degli Ulivi, Gesù si ferma. Guarda negli occhi e abbraccia ciascuno di loro. Poi sorride e alzò lo sguardo verso il cielo. Mentre lo guardano, viene elevato in alto e una nube lo sottrae ai loro occhi.
Pietro e Giovanni fanno ritorno a casa, per portare subito la notizia e confermare il racconto di Maria di Magdala e delle altre. Ma gli altri apostoli ancora non credono. In quello stesso giorno di domenica 9 aprile due discepoli sono in cammino per un villaggio di nome Emmaus e conversano tra loro su tutto quello che è accaduto. Mentre discutono insieme, Gesù in persona si avvicina e cammina con loro. Ma i loro occhi sono impediti a riconoscerlo. Cominciano a dialogare, Gesù spiega loro la Scrittura, ma non lo riconoscono ancora. Quando sono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fa come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistono: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”. Gesù accetta l’invito. Egli entra per rimanere con loro. Quando è a tavola, prende il pane, recita la benedizione, lo spezza. Per la prima volta i suoi polsi escono dalla tunica ed essi vedono i fori dei chiodi. Allora si aprono loro gli occhi e lo riconoscono. Ma egli sparisce dalla loro vista. I due partono senza indugio e fanno ritorno a Gerusalemme, dove trovano riuniti gli undici e gli altri che erano con loro. È quasi notte e mentre ancora stavano raccontando agli apostoli di quell’incontro che avevano fatto, accade qualcosa di straordinario. Mentre essi parlano di queste cose, Gesù in persona arriva in mezzo a loro e dice: “Pace a voi!”. Sconvolti e pieni di paura, credono di vedere un fantasma. Ma egli dice loro: “Perché siete turbati? Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa”. Dicendo questo, mostra loro le mani e i piedi. Si avvicinano per toccarlo e per abbracciarlo. Gesù mangia con loro poi dice loro: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era lì in quel momento, al racconto degli apostoli risponde con scetticismo ma 8 giorni dopo Gesù si mostra ancora e gli dice: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”. Gli risponde Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù gli dice: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”.
Anche se degli undici apostoli rimasti, soltanto Giovanni era stato presente sul Golgota e aveva partecipato alla sepoltura, tutti gli altri avevano saputo quasi in tempo reale ciò che era accaduto al loro Maestro. Nelle ore successive alla sua morte, alcuni si erano rifugiati nel Getsemani. Altri erano rimasti a casa di Dan, dove il giovedì avevano cenato per l’ultima volta con Gesù. Nella stessa abitazione stavano anche Maria sua madre e Maria di Magdala. Si ritrovano tutti insieme nel luogo dell’ultima cena. Una profonda angoscia serpeggia tra gli apostoli. Gesù era morto da un giorno e mancava loro già moltissimo. Ci sono soltanto due persone, in quella casa, che alle parole preferivano il silenzio. Pietro e Maria. L’apostolo, uomo soltanto in apparenza dalla scorza dura, non si dà pace per aver lasciato solo Gesù sul Golgota. Gli pareva di averlo rinnegato ancora una volta. Si sentiva indegno, il più indegno di tutti. Il silenzio di Maria era diverso. La madre del Nazareno, più che essere confortata, confortava. Nelle prime ore del giorno dopo il sabato, Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprano oli aromatici per andare a ungere il corpo di Gesù. Dicono tra loro: “Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?”. Maria di Magdala giunge per prima alla tomba e si accorge che la pietra era stata fatta rotolare via. Non c’erano le guardie del tempo a sorvegliarla. Sono scappate dopo aver visto la pietra muoversi come spinta dal di dentro della tomba. Maria di Magdala rimane sbigottita da quella visione. Si ferma all’esterno, vicino al sepolcro, e piange. Mentre piangeva, si china verso il sepolcro e vede due giovani vestiti di bianco, due angeli, seduti dove era stato posto il corpo di Gesù. Le dicono: “Donna, perché piangi?”. Risponde loro: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto”. Detto questo, si volta indietro e vede un uomo, che sta in piedi e la guarda. Non lo riconosce e gira di nuovo il volto verso il sepolcro. Le dice Gesù: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Lei, pensando che fosse il custode del giardino, replica: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù le dice: “Maria!”. Lei si volta e gli dice in ebraico: “Rabbunì!” – che significa: “Maestro!”. Gesù le risponde: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: ‘Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro’”. Il volto della Maddalena è raggiante. Nel frattempo sono arrivate anche le altre donne. Gesù viene loro incontro e dice: “Salute a voi!”. Ed esse si avvicinano, gli abbracciano i piedi e lo adorano. Allora Gesù dice loro: “Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno”. Lasciano il giardino correndo. Una felicità incontenibile muove i loro passi mentre tornano al cenacolo. Bussano con forza, gridando di gioia. Gli apostoli sono già tutti in piedi. Entrano di corsa ripetendo: “Il Signore è risorto, è vivo... lo abbiamo visto!”. Pietro si avvicina a Maria di Magdala. “Che cosa stai dicendo? Chi hai visto?”. “Gesù, il Maestro, il Signore” ripete la donna. E aggiunge: “La tomba era vuota... e lui mi ha parlato! Era lui! Era lui!”. Le altre confermano il racconto. Pietro s’infila in fretta i calzari, mentre Giovanni già lo attende sull’uscio. “Andiamo a vedere!”. Entra nel frattempo Maria, la madre di Gesù e tutti rimangono in silenzio. Sorride. Lei già sapeva. Lei lo aveva già visto. Pietro e Giovanni corrono come forsennati per le vie di Gerusalemme. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corre più veloce di Pietro e giunge per primo al sepolcro. Si china, vede le fasce distese, ma non entra. Giunge intanto anche Simon Pietro, entra anche Giovanni, vede e crede. Nulla di quella scena fa pensare che qualcuno abbia trafugato il corpo.
I soldati caricano sulle sue spalle di Gesù il “patibulum”, il braccio orizzontale della croce. Dei tre condannati, lui è quello che fa più fatica a sostenere la pesante trave, a motivo delle torture che gli erano state appena inflitte. La lenta processione lascia la fortezza Antonia per dirigersi al luogo dell’esecuzione, subito fuori le mura della città. Maria guarda in lontananza quella scena crudele. Le strade della città sono piene fino all’inverosimile. Gesù è stremato, disidratato. Più volte cade a terra, vinto dal peso del patibolo. Costringono allora a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna. Ad una curva della strada,viene loro incontro una donna minuta. Portava in una mano un grosso bicchiere di terracotta colmo di vino aromatico e nell’altra un quadrato di stoffa bianca della dimensione di un velo. Gesù non vuole bere, ma afferra il velo e si asciuga il volto lasciando la stoffa macchiata di sangue con l’impronta della sua faccia. Giungono dunque al luogo del Golgota, che significa “Luogo del cranio”. Lì sono già infissi gli “stipes” cioè i robusti pali verticali delle tre croci. I soldati spogliano Gesù della tunica, lo stendono a terra con le braccia sul patibolo. Estraggono da una sacca dei chiodi pesanti e lunghissimi. Mentre si accaniscono su di lui, Gesù ripete: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Dopo averlo inchiodato sul patibolo, issano Gesù sull’albero verticale della croce. Dopo di lui sono crocifissi Disma, alla sua destra, e Gesta, alla sua sinistra. Quest’ultimo prende a insultare Gesù: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!”. Ma dall’altra parte, Disma, l’altro ladrone lo rimprovera e dice: “Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male”. E aggiunge: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli risponde: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”. Stanno presso la croce sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Cleopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, dice alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi dice al discepolo: “Ecco tua madre!”. E da quell’ora Giovanni accoglie Maria con sé. Alle tre del pomeriggio, Gesù grida a gran voce: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: “Ecco, chiama Elia!”. Poi, dando un forte grido, muore. Il suo cuore si spacca. Il capo cade reclinato sul lato sinistro. Nel frattempo, Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, chiede a Pilato il corpo di Gesù. Il governatore glielo concede. Giuseppe prese il corpo di Gesù. Arriva anche Nicodemo e porta circa trenta chili di una mistura di mirra e di aloe. Avvolgono il corpo di Gesù con teli, insieme ad aromi. Accanto al luogo dove era stato crocifisso, c’è un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. È una tomba nobile. Depongono il corpo sulla lastra di roccia.
Il corteo scortato dalle guardie del tempio ha appena lasciato il palazzo del tetrarca per far ritorno da Pilato. “Sei tu il re dei Giudei?”: gli chiede. Gesù risponde: “Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?”. Pilato aggiunge: “Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?”. “Il mio regno non è di questo mondo – dice Gesù -; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei”. “Dunque tu sei re?” e Gesù: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità”. Anche Pilato, come Erode, non trova nel Nazareno motivi per una condanna capitale poi si ricorda della tradizione di liberare un prigioniero durante quei giorni di festa. “Volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?”. La piccola folla che assisteva alla scena grida: “Non costui, ma Barabba!”, che era uno zelota omicida, lui viene preferito a Gesù. Il Nazareno viene fatto flagellare, Pilato spera che questo basti ai sacerdoti. Nel frattempo Pietro, Giovanni, Maria la madre di Gesù e Maria di Magdala, seguono la scena a distanza. Maria spera di poter incrociare lo sguardo del figlio. A Gesù tolgono la veste e legano i suoi polsi a un ceppo di marmo. I suoi aguzzini lo percuotono con violenza e lui comincia a morire sotto quei colpi. Come se tutto questo non bastasse, i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela pongono sul capo e gli mettono addosso un mantello di porpora. Lo riportano dunque da Pilato. Il governatore, vedendo in quali condizioni versava, rimprovera il centurione, voleva che il Nazareno fosse punito, non che fosse portato alle soglie della morte. Pilato fa condurre fuori Gesù, la folla gli chiede di crocifiggerlo. Il governatore romano decide allora di decretare la morte del Nazareno, ma compie prima un gesto simbolico, per cercare di sgravarsi la coscienza: prende dell’acqua e si lava le mani.
Il destino del Nazareno è segnato. Intanto Giuda Iscariota si è avvicinato e affacciato più volte alla sala dov’era riunito il Sinedrio. Ha assistito all’ultimo scambio tra Gesù e Caifa. Ciò che è seguito subito dopo, con il Nazareno fatto oggetto di scherni e sputi e i sacerdoti in subbuglio, lo ha profondamente colpito. “Rabbì, hai detto di essere il Messia, perché non manifesti la tua potenza?”. Mentre lo diceva sentiva crescere dentro di sé la rabbia e lo sconforto per ciò che aveva fatto. Preso dal rimorso, riporta le trenta monete d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: “Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente”. Anna e Caifa lo accolgono con freddezza e profondo disprezzo. I due prendono le monete date a Giuda e comprano il campo che verrà chiamato “Campo di sangue”. Nel frattempo Giuda, uscito dal palazzo, si procura una corda robusta va verso la valle della Geenna, trova un fico che sembra sospeso sopra un piccolo dirupo e lì si impicca. Il ramo dell’albero si spezza e il corpo dell’Iscariota cade squarciandosi sulle pietre. È venerdì 7 aprile, tutto sta per compiersi. Quella notte una donna ha avuto incubi. Si chiama Claudia Procula ed è la moglie di Ponzio Pilato, consigliera del marito, governatore inviato da Cesare in quella terra. Claudia aveva sognato Gesù di Nazareth e aveva “visto” il male che stava per essere rovesciato contro di lui. Sussurra qualche parola all’orecchio del marito mentre questi lasciava la stanza da letto. Un centurione bussa alla porta di legno dell’alloggio del governatore: “I sacerdoti vengono per portare in giudizio un uomo, Gesù di Nazareth”, gli dice l’ufficiale. La notizia lo infastidisce notevolmente. Conducono Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Pilato esce verso di loro e domanda: “Che accusa portate contro quest’uomo?”. Gli rispondono: “Abbiamo trovato costui che metteva in agitazione il nostro popolo, impediva di pagare tributi a Cesare e affermava di essere Cristo re”. Comprendono immediatamente che il governatore fatica a credere alle accuse. Pilato, dopo essersi accertato che Gesù fosse galileo e che dunque stesse sotto l’autorità del tetrarca di Galilea e Perea, lo rinvia a Erode. Anche il tetrarca è in città nei giorni della Pasqua e alloggia nel suo palazzo, attende il Nazareno seduto nella sala più suntuosa del palazzo. Lo interroga, facendogli molte domande, ma egli non gli risponde nulla. La tensione si alza ulteriormente. Allora anche Erode, con i suoi soldati, lo insulta, si fa beffe di lui, gli mette addosso una splendida veste e lo rimanda a Pilato. Mentre il Nazareno usciva dalla stanza, Erode gli si avvicina e pieno di rabbia per il silenzio del suo interlocutore, sibila: “Non mi sembri affatto un re! In te vedo solo un pazzo!”.
Nel cuore di quella notte fredda Pietro e Giovanni, dopo aver seguito la comitiva a distanza si erano avvicinati al palazzo. Giovanni era entrato con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si era fermato fuori, vicino alla porta. Poco dopo Giovanni torna fuori, parla alla portinaia e fa entrare anche Pietro nel cortile del palazzo. E la giovane portinaia dice a Pietro: “Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?”. Egli risponde: “Non lo sono”. Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro. Gli dicono: “Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?”. Lui lo nega: “Non lo sono”. Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di Malco, quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, dice: “Non ti ho forse visto con lui nel giardino?”. Pietro nega di nuovo, e subito un gallo comincia a cantare. In quell’esatto momento sta uscendo il corteo di guardie che conduce Gesù da Caifa attraversando il cortile. Pietro lo vede da lontano. Gesù voltandosi lo riconosce e lo guarda. Pietro si alza di scatto, corre fuori dal cortile e quando giunge sulla strada si getta a terra piangendo amaramente. Lo aveva rinnegato. Lo aveva lasciato solo. Eppure quando Gesù si era girato verso di lui per pochi istanti, il suo sguardo era traboccante di misericordia. Il tragitto dall’abitazione di Anna a quella di Caifa è breve. Caifa si era dato da fare per convocare una seduta del Sinedrio alle prime luci dell’alba, da giorni stava cercando testimonianze contro Gesù, per condannarlo. Il capo delle guardie del tempio, suo uomo di fiducia, aveva trovato due testimoni che affermano il falso. Gesù ascolta in silenzio, senza scomporsi. Caifa lo interroga: “Non rispondi nulla?”. Ma Lui tace. Il sommo sacerdote continua: “Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?”. Caifa usa due termini, “Il Cristo” era il Messia d’Israele, “Il Figlio del Benedetto”, cioè figlio di Dio, poteva assumere ben altro significato. Il sommo sacerdote voleva provocare Gesù a fare una dichiarazione messianica. Lui alza lo sguardo e fissando il volto del sommo sacerdote risponde: “Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo”. Diversi membri dell’assemblea si alzano mormorando e fanno quasi all’unisono un’unica e ancora più esplicita domanda: “Tu dunque sei il Figlio di Dio?”. Lui risponde: “Voi stessi dite che io lo sono”. La sorte del Nazareno è definitivamente segnata da queste inequivocabili parole.
I soldati si avvicinano entrano nel Getsemani. Gesù chiama i suoi, e a voce alta: “Basta! È venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino”. Sta ancora parlando, quando arrivano. Giuda li guida. Il segno che il discepolo offre ai soldati è il bacio a Gesù, un modo per individuare chi è il Nazareno. “Amico – gli dice Gesù - per questo sei qui!”. Era venuto per tradirlo, si è appena sentito chiamare “amico”. Subito le guardie del tempio accerchiano il Nazareno. Pietro reagisce d’impeto, come sempre. Tira fuori dalla bisaccia una piccola spada e la sfila dal fodero. Si avventa su un uomo alto e robusto. È Malco, il servo del sommo sacerdote. Lo colpisce con uno scatto, tagliandogli l’orecchio destro. Gesù urla a Pietro di fermarsi poi si avvicina all’uomo, raccoglie l’orecchio tagliato e glielo riattacca, sanando la ferita. Il servo del sommo sacerdote rimane inginocchiato a terra, paralizzato. Le guardie gli sono addosso e gli legano le mani dietro la schiena con una corda robusta. Gli mettono una catena al collo e lo conducono fuori dall’orto degli Ulivi. Allora tutti i discepoli lo abbandonano e fuggono. Camminano a ritmo sostenuto verso Gerusalemme, strattonando il prigioniero e schernendolo. Di tanto in tanto gli assestano qualche colpo. Gesù subisce inerme, in silenzio. Nel frattempo, Pietro e Giovanni tornano sui loro passi e si mettono a seguire a debita distanza il piccolo corteo delle guardie. Li vedono entrare in città e dirigersi verso il palazzo dei sommi sacerdoti. Il Nazareno viene condotto da Anania, detto “Anna” suocero di Caifa, che interroga Gesù, si comprende che vogliono condannarlo a tutti i costi.
La temperatura si è abbassata e quella notte un’insolita foschia è scesa tra gli ulivi rendendo l’atmosfera del Getsemani quasi spettrale. Gli undici apostoli e il giovane Marco, assonnati faticano a stare in piedi. Gesù dice ai suoi: “Sedetevi qui, mentre io prego”. Prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e comincia a provare paura e angoscia. Dice loro: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”. Si allontana pochi metri da loro, e si mette in ginocchio sull’erba, di fronte a un antro che si apriva nella roccia. Gesù rimane a fissare quell’accesso oscuro alla caverna. Inizia a prender forma davanti ai suoi occhi una realtà terrificante. Un vortice di male e di peccato. Vede i peccati dell’umanità, quelli del passato e quelli del futuro. Il Nazareno dice: “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”. I peccati del mondo gli si mostrano in tutto il loro orrore: genocidi, massacri, uccisioni, tradimenti... Un peso insostenibile. Gesù è schiacciato, schiantato. Gli appare allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, prega più intensamente, e il suo sudore diventa come gocce di sangue che cadono a terra. Torna su suoi passi, per cercare sostegno dagli amici. li trova addormentati e dice a Pietro: “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. Si allontana di nuovo a pregare. Ancora visioni oscure. Dal profondo dell’abisso spalancato davanti a lui, vede una figura avanzare. Lo riconosce subito, non aveva cambiato sembianze da quando gli si era avvicinato nel deserto, per tentarlo. Porta lo stesso copricapo bianco. Gli sussurra: “Tutto questo male... tutto questo male non può essere caricato sulle spalle di un solo uomo...”. Gesù allontana Satana con un grido soffocato, invocando il Padre, e si prostra a terra a pregare. Poi, rialzatosi dalla preghiera, torna dai discepoli e li trova addormentati. E dice loro: “Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione”. Si rimette nuovamente a pregare. Si avvicina per la terza volta agli apostoli assopiti e dice loro: “Dormite pure e riposatevi!”. Anche il Maestro si accascia per qualche istante, appoggiandosi a un vecchio ulivo le cui radici formano una conca accogliente. Gesù si riposa soltanto per pochi minuti. Poi il silenzio della notte fonda nel Getsemani viene rotto dalle voci delle guardie del tempio. Armate di tutto punto stanno venendo a cercarlo, guidate da Giuda.
Gli undici continuano a dialogare con Gesù al termine della cena. Nasce una discussione tra gli apostoli su chi di loro fosse da considerare più grande. Il Maestro dice: “Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve...”. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. Quindi parlò della sua partenza imminente. Simon Pietro, gli dice: “Signore, dove vai?”. Gli risponde Gesù: “Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi”. Pietro replica: “Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!”. Risponde Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte”. L’ apostolo rimane turbato. Il Nazareno aggiunge: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Quando sarò andato nella Casa del Padre... verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via”. Gli dice Tommaso: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?”. Gli risponde Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto”. Poi Gesù alza gli occhi al cielo e prega: “Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo...”. Si alzano da tavola in silenzio. Lasciano la casa dopo aver ringraziato Dan, la moglie Maria e il giovane Marco. Quest’ultimo, li segue per accompagnarli nell’uliveto di proprietà della famiglia, dove la piccola comitiva avrebbe trovato rifugio per la notte. Scendono dalla città alta, percorrendo l’antica strada a gradini e passano attraverso il quartiere di Siloe. Si fermano sul monte degli Ulivi nell’orto chiamato Getsemani, anche Giuda, il traditore, lo conosceva perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli.
Nel pomeriggio Gesù e gli altri apostoli scendono dal monte degli Ulivi verso la città. Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio”. Prima di sedersi a tavola avevano fatto le tradizionali abluzioni. Ma improvvisamente Gesù si alza, depone le vesti, prende un asciugamano e se lo cinge attorno alla vita. Poi versa dell’acqua nel catino e comincia a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli. Lava i piedi a tutti. Anche a Giuda. Arriva dunque da Simon Pietro e questi gli dice: “Signore, tu lavi i piedi a me?”. Risponde Gesù: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo”. Gli dice Pietro: “Tu non mi laverai i piedi in eterno!”. Gli risponde Gesù: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. Gli dice Simon Pietro: “Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!”. Dopo aver lavato i piedi di tutti, il Nazareno si siede nuovamente a tavola e dice loro: “Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato”. Mentre iniziano a mangiare, accade un fatto straordinario. Gesù prende il pane, recita la benedizione, lo spezza e, mentre lo da’ ai discepoli, dice: “Prendete, mangiate: questo è il mio corpo”. Dopo aver spezzato e distribuito il pane, Gesù appare turbato. Dice: “In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà”. I discepoli si guardano l’un l’altro, non sapendo bene di chi stia parlando. Giovanni, chinandosi sul petto di Gesù, gli dice: “Signore, chi è?”. Risponde: “È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò”. E, intinto il boccone, lo prende e lo da’ a Giuda Iscariota, che è seduto vicino a Giovanni. Giuda, il traditore, disse: “Rabbì, sono forse io?”. Gli rispose: “Tu l’hai detto”.
In quelle ore, c’è uno degli apostoli sempre più inquieto. Aveva sognato ad occhi aperti di vedere finalmente il Figlio dell’uomo incoronato re, aveva sperato che il Messia usasse il suo potere per imporsi alle folle e per mettere fine alla dominazione romana. Giuda Iscariota si era reso conto che al Nazareno mancava sempre un passo decisivo. Invece di convertirsi al Maestro, ancora sperava di convertire Gesù all’ideale politico e messianico del liberatore che avrebbe finalmente cacciato i romani. Qualcosa si spezza nel cuore di Giuda. Una strana frenesia s’impadronisce di lui. Gesù aveva acceso enormi speranze, bisognava forzare gli eventi, costringerlo a manifestarsi in tutto il fulgore della sua grandezza e potenza. Bisognava metterlo alle strette. Per questo decise di tradirlo, favorendo la sua cattura. La mattina di mercoledì 5 aprile di quell’anno 30, alle prime luci del giorno, l’Iscariota varca di nascosto la porta del palazzo dei sommi sacerdoti. Chiede e ottiene di essere ricevuto. E dice loro: “Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?”. E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo. Ritorna con gli altri discepoli e durante tutto quel giorno non apre il sacchetto per contare le monete ricevute dai sacerdoti. Il prezzo del tradimento. La sera del mercoledì trascorre apparentemente tranquilla, ma si respira una strana atmosfera di attesa che va ben oltre le aspettative per la celebrazione della festa imminente. Giovedì 6 aprile venne il giorno degli Azzimi, nel quale si doveva immolare la Pasqua. Per celebrare solennemente la festa si sarebbero dovuti fermare nella Città Santa, senza poter tornare a Betania, sul monte degli Ulivi. Allora Gesù mandò Pietro e Giovanni dicendo: “Andate a preparare per noi, perché possiamo mangiare la Pasqua”. Gli chiesero: “Dove vuoi che prepariamo?”. Ed egli rispose loro: “Appena entrati in città, vi verrà incontro un uomo che porta una brocca d’acqua; seguitelo nella casa in cui entrerà. Direte al padrone di casa: ‘Il Maestro ti dice: Dov’è la stanza in cui posso mangiare la Pasqua con i miei discepoli?’. Egli vi mostrerà al piano superiore una sala, grande e arredata; lì preparate”. I due apostoli entrano a Gerusalemme e qui incontrano un uomo che tiene in mano una brocca di notevoli dimensioni. Si stupiscono ancora una volta per l’esattezza con cui Gesù ha descritto quella scena.
La sera di quel martedì 4 aprile Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea, consumata la cena, non hanno voglia di andare a dormire. Raggiungono Gesù che racconta loro la parabola delle vergini sagge, queste al contrario di quelle stolte avevano fatto scorta di olio per le lampade e vegliavano in attesa dello sposo che le fa entrare alle nozze. “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”. Raccontò poi un’altra parabola, per ricordare ancora una volta che i doni ricevuti vanno messi in gioco, “trafficati”, fatti fruttare. “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri... Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: ‘Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi’. Allora i giusti gli risponderanno: ‘Signore, quando ti abbiamo visto affamato, o assetato o straniero o nudo e ti abbiamo servito?’. E il re risponderà loro: ‘In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me’. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: ‘Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato’. Anch’essi allora risponderanno: ‘Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?’. Allora egli risponderà loro: ‘In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me’. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna”. I quattro apostoli avevano compreso il significato del comandamento dell’amore. Pietro dice sottovoce: “Saremo dunque giudicati su questo?”. Gesù fissa l’apostolo negli occhi: “Sì Pietro... tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Il freddo si stava facendo pungente, del fuoco che avevano acceso era rimasta soltanto la brace. Gesù si alza in piedi, e guardando i suoi amici dice: “Voi sapete che fra due giorni è la Pasqua e il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocifisso”. Nel frattempo, a Gerusalemme, i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, e tennero consiglio per catturare Gesù con un inganno e farlo morire. La loro decisione è presa. Gesù di Nazaret deve essere messo a morte...
Dopo quell’ingresso trionfale, la sera Gesù e i suoi fanno ritorno a Betania. Ma tornano a Gerusalemme nei giorni successivi. Il Nazareno continua le sue catechesi, spiega che Dio Padre aveva mandato i profeti e non erano stati accolti né ascoltati. Aveva mandato suo Figlio, ma anche lui stava per essere rifiutato e ucciso. Arriva a dire: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”. Pubblicani e prostitute, pubblici peccatori e pubbliche peccatrici, avrebbero preceduto sacerdoti, uomini di legge e di retta dottrina, nel regno dei cieli? Gli apostoli si guardano l’un l’altro. Pietro si rivolge al fratello Andrea: “In fondo ha sempre fatto così... I capi dei sacerdoti si ritirano ma chiedono ad altri di farsi avanti per mettere in difficoltà Gesù. Mandarono da lui alcuni farisei ed erodiani: “Maestro, è lecito o no pagare il tributo a Cesare?”. È una domanda per metterlo in difficoltà. Conoscendo la loro ipocrisia, dice loro: “Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo”. Ed essi glielo portano. È un denaro romano d’argento, coniato fuori dal Paese, che riporta l’effigie dell’imperatore e serve come moneta corrente per il pagamento delle imposte. Allora Gesù dice loro: “Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?”. Gli rispondono: “Di Cesare”. “Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio”. Alla discussione ha assistito, in disparte, uno scriba. Si chiama Set. Si avvicina al Nazareno, con una domanda che gli sgorgava dal cuore. “Qual è il primo di tutti i comandamenti?”. Gesù risponde: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi”. In quel momento, mentre stava seduto di fronte al tesoro del tempio, Gesù osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. E lo facevano, in molti casi, con ostentazione, certi di essere apprezzati dai sacerdoti che facevano la guardia alle casse. Ma una vedova povera, vi getta due monetine. Vedendola arrivare curva sotto il peso degli anni e dei dolori, Gesù si commuove.
Sei giorni prima della Pasqua, Gesù va a Betania, a cena dai suoi amici Marta, Maria e Lazzaro. Maria allora prende trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparge i piedi di Gesù, poi li asciuga con i suoi capelli, e tutta la casa si riempie dell’aroma di quel profumo. Quel gesto di amore e gratitudine, quel profumo usato per ungere i piedi del Nazareno non lascia indifferente uno degli apostoli. Allora Giuda Iscariota, che stava per tradirlo, dice: “Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?”. Aveva detto questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora risponde: “Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me”. Da Betania a Gerusalemme il percorso è breve, mentre camminano Gesù chiama due dei suoi discepoli: “Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: ‘Perché fate questo?’, rispondete: ‘Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito’”. Vanno e trovano un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegano. Lo portano a Gesù ed egli vi sale sopra. Da Betfage a Gerusalemme, in molti stendono i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Gridano: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!”. Acclamazioni spontanee, provenienti dal cuore. Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa ci sono anche alcuni Greci. Sono tra i cosiddetti “devoti”, che pur non appartenendo alla nazione eletta d’Israele e non essendo circoncisi, osservano il riposo del sabato, pregano e fanno l’elemosina, rimanendo nell’atrio esterno del tempio. Colpiti dall’affetto della folla osannante, vogliono conoscere da vicino il Nazareno. Agli apostoli che glielo riferiscono Gesù risponde: “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome”. Viene allora una voce dal cielo: “L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!”.
Mentre avveniva la guarigione del cieco Bartimeo, a meno di cento metri di distanza, un uomo giovane piuttosto basso di statura, avvolto in abiti lussuosi, lasciava la sua abitazione per scendere in strada. Uno dei suoi servitori gli aveva appena detto che Gesù era entrato in città. L’uomo si chiama Zaccheo. È il capo dei pubblicani, cioè di coloro che riscuotono le imposte per conto dei romani. È considerato un peccatore, odiato proprio da tutti in città. L’uomo non avrebbe saputo spiegare il perché di quel suo desiderio di vedere questo profeta viaggiatore di cui molti parlavano. Zaccheo teme la folla, per riuscire a vederlo, sale su un sicomoro, si assesta fra i rami, credendo di non essere visto. Ma quel suo gesto non è certo passato inosservato. Alcuni suoi concittadini, fermi sul ciglio della strada si accorgono della mossa e cominciano a sghignazzare. Quando giunge sul luogo, Gesù alza lo sguardo e gli dice: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. Era bastato un istante. Gli occhi del Nazareno si erano posati sul capo dei pubblicani goffamente abbarbicato nel ventre verde della pianta. Lo sguardo di amore e misericordia del Nazareno lo invade. Non soltanto Gesù si è fermato per lui e ha guardato proprio lui. Ma si è anche invitato a casa sua. In quella dimora evitata da tutti, a quella mensa che tutti schifavano, con quella compagnia alla quale nessuno dei suoi concittadini si sarebbe associato. Quella dei peccatori, dei ladri, dei collaborazionisti. Durante il pranzo, Zaccheo, alzatosi, dice a Gesù: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Fino a due ore prima Gesù era per lui soltanto il nome di un personaggio. Due ore dopo essere stato guardato da lui, Zaccheo si sente perdonato. Il Maestro gli risponde: “Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.
Il Nazareno, la sua predicazione e la sua presa tra la gente erano diventati un problema per i capi religiosi. Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, dice loro: “Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!”. Aveva profetizzato che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decidono di ucciderlo. Il Nazareno è condannato...La Pasqua intanto si avvicina. Gesù e i suoi giungono nella città di Gerico, l’arrivo della comitiva non passa certo inosservato. Passano a poca distanza da un mendicante vestito di cenci. Si chiama Bartimeo è cieco e trascorre le sue giornate all’addiaccio. Sentendo che era Gesù Nazareno, comincia a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte. Bartimeo, noncurante dei rimproveri, continua a gridare in direzione di Gesù che si ferma e dice: “Chiamatelo!”. Egli, gettato via il suo mantello, balza in piedi e viene da Gesù. Allora Gesù gli dice: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E il cieco gli risponde: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”. E Gesù gli dice: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. Riacquista la vista in un battibaleno. Si stropiccia gli occhi pieno di stupore e raccoglie il mantello da terra. Come gli appariva bello adesso ogni angolo della sua città, ogni scampolo di cielo. Mettersi in cammino seguendo Gesù a Bartimeo viene naturale: decide di accodarsi alla comitiva dei discepoli, grazie a quegli occhi nuovi che gli erano stati donati.
È una giornata piena di luce. Camminavano in silenzio, tutti insieme. Ad un tratto, Gesù prende in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino dice loro: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà”. Un annuncio della sua imminente sofferenza. Nel frattempo a Betania, a casa dei suoi amici, si sta consumando la vita di Lazzaro, assistito dalle sorelle Marta e Maria. È stato colpito da un’infezione che nel giro di pochi giorni lo ha immobilizzato a letto, in preda a febbre alta e fortissimi dolori. Grazie a una comitiva di mercanti che salivano a Gerusalemme, Marta e Maria vengono a sapere che il Maestro si trova al di là del Giordano e mandano dunque degli amici a dirgli: “Signore, ecco, colui che tu ami è malato”... Gesù reagisce così: “Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato”. La risposta ai messaggeri di Betania tranquillizza i discepoli. Nel frattempo, nella casa dei suoi amici a Betania, Lazzaro muore e viene sepolto in un sepolcro scavato nella roccia poco distante dal villaggio. La mattina del terzo giorno, il Nazareno dice: “Andiamo di nuovo in Giudea!”. E aggiunge: “Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo!”. Gli dicono allora i discepoli: “Signore, se si è addormentato, si salverà”. Quando Gesù arriva, trova Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro... Marta gli va incontro, dice a Gesù: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà”. Gesù le risponde: “Tuo fratello risorgerà”. Gli dice Marta: “So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù replica: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?”. Gli risponde: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”. Gesù la vede piangere e si commuove profondamente, domanda: “Dove lo avete posto?”. Gli dicono: “Signore, vieni a vedere!”. Gesù scoppia in pianto. Il Nazareno si avvicina al sepolcro: è una grotta e contro di essa era posta una pietra. Gesù dice: “Togliete la pietra!”. Gli risponde Marta: “Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni”. Le dice Gesù: “Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?”. Tolgono dunque la pietra. Obbediscono, pur non capendo perché lo facesse. Quattro uomini robusti, amici di Lazzaro, non senza fatica fanno rotolare la pietra. Gesù allora alza gli occhi e disse: “Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”. Detto questo, grida a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. Lazzaro esce sorridente, con lo sguardo fisso su Gesù. Non c’è puzza di morte, ma profumo di vita.
Il loro viaggio in direzione di Gerusalemme continuava. Una sera, Gesù racconta una parabola su chi presume di essere nel giusto: “Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: ‘O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo’. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: ‘O Dio, abbi pietà di me peccatore’. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”. Sulla piazza di un villaggio dove erano appena entrati s’è radunato un gruppo di farisei. Gesù non li evita. Gli chiedono: “È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?”. Egli rispose: “Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. Aggiunge che non è lecito ripudiare la propria moglie, nonostante la legge di Mosè lo permettesse, e dice che chi lo avesse fatto, avrebbe commesso adulterio. Gesù sapeva bene che la legge mosaica sul ripudio era abusata. Con le sue parole, il Maestro richiama l’essenziale della volontà di Dio. Dichiara adultero colui che si fosse risposato dopo aver ripudiato la moglie, come invece la tradizione permetteva. Il Maestro sta per rimettere in marcia quando un giovane ben vestito e accompagnato da due servitori, gli si avvicina. Aveva anche lui una domanda: “Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?”. Gli risponde: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti”. Gli chiese: “Quali?”. Gesù risponde: “Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso”. Il giovane gli dice: “Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?”. Gli dice Gesù: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!”. Udita questa parola, il giovane se ne va, triste; possedeva infatti molte ricchezze. “In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”.
Filippo e Bartolomeo giungono insieme a Gesù a Cafarnao. Ad accoglierlo c’è un nugolo di bambini vocianti, altri vengono condotti perché i genitori volevano che imponesse su di loro le mani e pregasse. Gesù si siede per riposare un po’ e in men che non si dica è assediato da loro. Uno dei più piccoli si chiama Beniamino. Il bambino salta sulle spalle di Gesù e lo abbraccia. Iniziano a dialogare. Ma i discepoli presenti li rimproverano. Gesù però dice: “Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli”.Mentre si stavano allontanando, il Nazareno spiega ai suoi amici il significato di quelle parole. I bambini hanno un cuore semplice e puro; i bambini dipendono in tutto dai genitori, hanno bisogno del loro sguardo per sentirsi sicuri, hanno bisogno di loro per essere liberi. Così noi dipendiamo da Dio. Gesù sa che quei giorni in Galilea sono gli ultimi. Una mattina, nei pressi di Efraim, mentre Gesù e i suoi discepoli stanno per entrare in città, vengono incontro a loro dieci lebbrosi. “Si fermano a distanza e dicono ad alta voce: ‘Gesù, maestro, abbi pietà di noi’!”. “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. Partono immediatamente. E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, torna indietro lodando Dio a gran voce, e si prostra davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. È un Samaritano. Ma Gesù osserva: “Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”. E gli dice: “Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!”. Una volta ancora, la testimonianza di fede era venuta non dai vicini, ma dai lontani, non da coloro che condividevano la stessa fede, ma dagli “stranieri”.