PAKISTAN – AFGHANISTAN: PROLUNGATO IL CESSATE IL FUOCO, NONOSTANTE L’ATTACCO A UNA BASE PACHISTANA DI CONFINE
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Oggi, venerdì 17 ottobre, un attentatore suicida si è fatto esplodere contro una struttura militare pachistana a Mir Ali, nel Nord Waziristan: fonti locali parlano di 7 vittime, tra cui 6 assalitori e un soldato di Islamabad.
Nonostante questo, la tregua di 48 ore tra Pakistan e Afghanistan è stata prolungata: i due Paesi asiatici hanno fatto sapere che durerà fino all’esito dei negoziati che ci saranno a Doha.
Da una settimana, la frontiera tra Spin Boldak (lato afghano) e Chaman (lato pakistano, nella provincia del Balucistan) è tornata a essere una zona di guerra aperta. A causa degli scontri, Islamabad ha ordinato la chiusura di valichi strategici, incluso il valico di Torkham— il più importante e trafficato—interrompendo il flusso di farina, carburante e medicinali.
Dopo giorni di combattimenti continui, il 15 ottobre è stato concordato tra Pakistan e Afghanistan un cessate il fuoco di 48 ore. “A differenza dei decenni precedenti, dove gli scontri erano spesso limitati a milizie irregolari, questa volta si affrontano direttamente le forze armate statali”, spiega ai nostri microfoni Enrica Garzilli, specialista studi asiatici e profonda conoscitrice della storia di quei luoghi. “Islamabad considera l’attentato una violazione deliberata del cessate il fuoco, compiuta dai militanti del TTP (Tehrik-i-Taliban Pakistan), un gruppo islamista che opera contro lo Stato pachistano. Secondo le fonti di intelligence pachistane, i TTP sarebbero entrati dal lato afghano durante la tregua. L’attacco invia un forte messaggio politico: la tregua è vostra, non è nostra. Noi attraversiamo il confine quando vogliamo.”
Le accuse tra Kabul e Islamabad sono reciproche: Islamabad accusa i talebani afghani di offrire rifugio al TTP, mentre Kabul accusa il Pakistan di ospitare l’ISIS-K e di violare la sovranità afghana con bombardamenti oltre frontiera e chiusure unilaterali dei valichi.
Nell’intervista a Enrica Garzilli affrontiamo anche le radici profonde del conflitto, che risale al 1893, quando venne tracciata dai britannici la linea coloniale Durand, da sir Mortimer Durand, per separare l’allora India dalle tribù Pashtun dell’Afghanistan. “Tutt’oggi questa linea non è riconosciuta dall’Afghanistan e per le popolazioni locali si tratta di una costruzione coloniale, non di una barriera reale: famiglie, traffici e reti armate tribali la attraversano liberamente nei due lati“.
Le vicende oggi sono drammatiche anche perché la chiusura di valichi come Torkham blocca gli aiuti umanitari in un Paese dove 20 milioni di persone dipendono da supporti esterni. Il 15 ottobre si è tenuta la conferenza dei paesi donatori, in Uzbekistan, a cui ha partecipato anche l’Italia, promettendo 35 milioni di euro con la chiara indicazione che i fondi siano erogati solo attraverso i canali ONU e destinati a priorità specifiche: sanità mobile nelle aree rurali, microborse per scuole femminili informali (i talebani proibiscono l’istruzione alle ragazze) e sostegno economico a vedove e donne vulnerabili.
Esistono quindi di fatto due Afghanistan: uno militarmente controllato dall’Emirato talebano e un “Afghanistan umanitario” gestito e finanziato dall’ONU e da donatori internazionali.
Ascolta su Radio Onda d’Urto l’intervista a Enrica Garzilli, specialista di studi asiatici. Ascolta o scarica