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Caffè Storici del Veneto
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Caffè Storici del Veneto

Author: Maria Beatrice Autizi

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Description

Un itinerario che passa per alcuni dei più rappresentativi caffè del Veneto, molti dei quali sfoggiano ancora al loro interno un’atmosfera quasi immutata, accompagnata nei secoli dall’aggiunta di opere d’arte e decori. Le storie sono tratte dal libro Caffè Storici del Veneto. Editoriale Programma
Editoriale Programma è una casa editrice trevigiana, specializzata nella pubblicazione di libri di saggistica, storia, arte e cultura locale.
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L’ex Caffè della Meneghina, oggi trasformato in un elegante ristorantino take away, era un punto di ritrovo della Carboneria del Risorgimento. Dal 1990, immobile e arredi sono stati assoggettati al vincolo di tutela monumentale. L’Antica Offelleria della Meneghina fu aperta nel 1791 in Contra’ Cavour a Vicenza, proprio di fronte a Piazza dei Signori e all’edificio simbolo della città, la Basilica progettata da Andrea Palladio. In questo locale, sotto la dominazione del governo austriaco, si tramanda si riunissero i membri della Carboneria che, in caso di pericolo potevano fuggire attraverso una botola posta sotto il bancone che conduceva a una cantina oggi murata. In una lettera uno dei congiurati scriveva che Tutto la discussione ci faceva dimenticare, senonchè il buon padrone vigilava per noi e quando sentiva suonare nel silenzio della strada, ancor lontano, il passo della ronda, fischiava il segnale convenuto e noi spegnevamo la luce, che in quelle ore era una complice pericolosa. Tra gli estimatori del locale si annoverano Giuseppe Garibaldi, che in una lettera elogiò l’alta qualità dei prodotti della casa, e lo scrittore Guido Piovene. © Editoriale Programma - Maria Beatrice Autizi
Nel 1796, nel caffè nacque la Società del Casino, un circolo culturale di nobili sul genere dei caffè francesi, dove si discuteva di cultura e di politica e di cui faceva parte anche il parroco preposto. I soci pagavano l’affitto e le spese del locale purché non vi accedesse nessuno che non fosse nobile. In occasione delle soppressioni delle corporazioni religiose del 1806, la Società venne indagata come associazione non confessionale, ma il grande scandalo che la travolse avvenne due anni dopo. Nel 1808 due soci della Società del Casino parteciparono a una congiura antifrancese che fu ben presto scoperta. Gli arrestati vennero processati e la sentenza del 17 gennaio 1809 stabilì che erano condannati alla pena di morte, resa esecutiva il giorno seguente, Giuseppe Pellizzoni e il conte Giovanni Enrico Trieste, avvocato di Asolo…imputati di alto tradimento e di cospirazione contro i poteri dello stato. Le attività del circolo continuarono nei primi decenni del XIX secolo e la mappa della piazza del 1823 documenta che la Società del Casino era ancora ospitata negli stessi spazi dove era nata. Le indagini del 1809 accertarono anche quali erano le attività dei soci del Casino: passare alcune ore della notte in una civile adunanza ed in intrattenimenti e giuochi leciti e moderatissimi, e confermarono che non fu trovato nulla che violasse le leggi, il costume o la politica. © Editoriale Programma - Maria Beatrice Autizi
Lo storico Caffè Pasticceria Fantoni fu fondato nel 1842 da Giovanni Fantoni, il dinamico pasticcere inventore delle famose sfogliatine. Nel Caffè Fantoni si davano appuntamento uomini illustri del tempo, che divennero amici del cavalier Marcello Fantoni. Tra questi Renato Simoni, drammaturgo, giornalista e critico teatrale che, prendendo spunto dalle teorie di Freud, analizzò l’anima più segreta delle sfogliatine. Marcello Fantoni, il nipote, oltre che per la sua bravura di pasticcere, è rimasto famoso per aver celebrato gli eventi del Risorgimento con una serie di dolcezze, alcune delle quali tuttora in produzione. Dopo l’Impresa di Fiume del 1919, guidata da Gabriele D’Annunzio, Fantoni inventò l’Acqua di Fiume, un liquore simile a un rosolio di fiori che ebbe un grande successo e al Vate dedicò anche dei cioccolatini. Così scriveva D’Annunzio al pasticcere in una lettera da Gardone il 21 giugno 1921: Caro Fantoni, la Sua Acqua di Fiume è limpida e leggera come quella che dal Carso scende ad alleviare l’ardore della Città Olocausta. Ma quella è oggi intossicata, ahimè! Io ho creduto di bere nella sua la mia illusione. Quando Mascagni musicò l’Iris Fantoni elaborò l’omonimo tonico-digestivo, convinto che i piaceri delle arti e della gola potessero essere strettamente collegati. © Editoriale Programma - Maria Beatrice Autizi
Lo stile del Caffè Pedrocchi, capolavoro di architettura neoclassica, non ha confronti. La sua pianta anomala, a forma di clavicembalo, si snoda tra via VIII Febbraio, piazzetta Pedrocchi e vicolo Cappellato Pedrocchi. La facciata settentrionale vanta due logge con colonne doriche, in stile neogreco a imitazione dei templi di Paestum, precedute ognuna da due leoni simili a quelli che ornano il Campidoglio a Roma e sovrastate da una terrazza con balaustra in ghisa e un corpo più arretrato con colonne corinzie. Sulla facciata che dà sul Municipio e l’Università si trova una loggia con terrazza uguale alle altre due ed è fiancheggiata dal Pedrocchino, realizzato in stile neogotico con guglie, archi acuti polilobati e balaustre traforate. Elegante e sontuosa, l’architettura vanta, sia all’esterno che nelle sale interne, un apparato decorativo curato fin nei particolari da artisti e da abili artigiani. Innovative del Caffè, aperto di giorno e di notte, furono le porte a vetri, le prime in città, che da sempre creano un collegamento tra interno ed esterno e viceversa. Proprio a causa della trasparenza delle porte il locale fu definito il caffè senza porte, e divenne uno dei simboli di Padova. © Editoriale Programma - Maria Beatrice Autizi
Il Caffè Pedrocchi sorse nel cuore della città, nel centro di quella che un tempo era la Patavium romana. Secondo Strabone Padova, insieme a Cadice, era la più bella città di tutto l’impero dopo Roma, con un teatro nell’attuale Prato della Valle e un anfiteatro nell’area della Cappella degli Scrovegni, un foro, templi, una basilica e ricche domus, case decorate con mosaici. Di sicuro paron Antonio non fece economia né usò materiali scadenti nella costruzione del suo locale, ma utilizzò magnifici marmi, specchi e quanto di meglio offrisse il mercato, ordinò sculture e si valse di validi pittori per gli affreschi, per non parlare degli elegantissimi arredi. Molto si parlava dei suoi investimenti e grande era lo stupore dei padovani di fronte alle enormi quantità di denaro che l’opera richiedeva. C’era chi sosteneva che il caffettiere avesse trovato un tesoro durante gli scavi per le fondamenta. Il memorialista Carlo Leoni ipotizzò che Antonio Pedrocchi avesse trovato un tesoro in gemme o, ch’è più facile, in idoli d’oro. Qualche sospetto, viste le ingenti spese sostenute dal caffettiere, può anche venire. Quel che è certo è che la vera fortuna del Pedrocchi fu il grande successo che, fin dall’inizio, ottenne il nuovo ritrovo. © Editoriale Programma - Maria Beatrice Autizi
Tra gli avventori del bar, nel 1948, qui aveva il suo tavolo personale Ernest Hemingway, amico di Giuseppe Cipriani, che trascorse l’intero mese di novembre alla Locanda Cipriani a Torcello. Lo scrittore statunitense, già molto famoso, in quel periodo stava terminando il romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi. La storia del colonnello Richard Cantwell e la relazione con una giovane nobildonna veneziana, Renata, secondo Jeffrey Meyers, biografo di Hemingway, nascondeva la relazione sentimentale tra lo scrittore e la giovanissima contessina veneziana Adriana Ivancich. Lei stessa nel libro di memorie La torre bianca, dove racconta i suoi rapporti con lo scrittore, ammette di essere la Renata del romanzo. Spesso Hemingway scriveva pagine del romanzo al suo tavolino dell’Harry’s Bar e non a caso il locale è citato più volte all’interno del libro. Secondo il figlio di Giuseppe Cipriani, Arrigo, a chi sosteneva che l’Harry’s Bar era stato lanciato da Ernest Hemingway, il padre Giuseppe rispondeva che veramente è Hemingway che ha vinto il Nobel dopo aver scritto al tavolo dell’Harry’s Bar. © Editoriale Programma - Maria Beatrice Autizi
Harry's Bar

Harry's Bar

2020-07-1401:24

Sorto in Calle Vallaresso nei pressi di piazza San Marco, in quello che un tempo era un vecchio magazzino di cordami di quarantacinque metri quadrati, il locale deve il suo nome a uno studente statunitense, Harry Pickering. Fu lo stesso Giuseppe Cipriani, fondatore dell’Harry’s Bar, a raccontarne le origini. Cipriani nel 1927 era stato assunto come barman all’Hotel Europa a Venezia, dove iniziò a elaborare l’idea di aprire un bar simile a quello degli alberghi, che non costringesse però i clienti ad attraversare un atrio che, per quanto elegante, poteva incutere soggezione. All’Hotel Europa, nel 1928, soggiornava un’anziana signora americana insieme al nipote Harry Pickering. Dopo un litigio con il giovane, lei se ne tornò negli Stati Uniti lasciandolo senza denaro. Giuseppe Cipriani, che era diventato amico del ragazzo, non esitò a prestargli 10.000 lire, una somma considerevole per i tempi. Il giovane, superati i propri problemi, tornò a Venezia nel febbraio del 1931 e non solo restituì a Cipriani la somma che gli aveva dato, ma gli prestò 30.000 lire per aprire un bar in società. Con il denaro Giuseppe Cipriani, poco più che trentenne, il 13 maggio inaugurò il locale che chiamò Harry’s Bar dal nome del giovane. Qualche anno dopo l’apertura Arrigo Cipriani acquistò la quota di Pickering e il bar divenne soltanto suo. © Editoriale Programma - Maria Beatrice Autizi
Giorgio Quadri, il 28 maggio 1775, era sbarcato da una galea in Riva degli Schiavoni. Egli proveniva da Corfù, un’isola posta di fronte alle coste dell’Epiro, da secoli sotto il dominio della Repubblica della Serenissima. Il mercante veneziano aveva con sé una discreta somma da investire ed era accompagnato dalla bella moglie, la giovane Naxina. Secondo la tradizione fu lei che sollecitò il marito a investire i beni in un locale pubblico. Come negli altri caffè, oltre alla nigra bevanda, qui si offrivano cioccolata calda alla vaniglia, zabaione, biscotti baicoli, gelati, sorbetti, orzate e limonate, oltre a vini e liquori. Il titolare serviva anche quella che era la sua specialità, il caffè alla turca, fatto con una polvere macinata molto fine depositata sul fondo della tazzina, e la semada, una bibita a base di semi di popone o di mandorle e zucchero. Nel 1830 il caffè fu venduto ai fratelli Vaerini, che lo ristrutturarono completamente. Molti personaggi illustri si sono seduti nello storico caffè sotto le Procuratie Vecchie, da Stendhal a Byron, da Alexandre Dumas padre a Marcel Proust. Ancora oggi il Quadri è frequentato da registi e attori che partecipano alla Mostra del Cinema di Venezia, tra cui Woody Allen. © Editoriale Programma - Maria Beatrice Autizi
Il Rimedio

Il Rimedio

2020-07-1401:20

Sotto le Procuratie Vecchie, nel 1638, fu aperta una bottega il cui nome, Il Rimedio, si doveva al vino Malvasia, che qui era venduto e che si sosteneva rinvigorisse le membra e risvegliasse lo spirito. Il vino Malvasia, importato da Cipro e da Creta fin dal Medioevo, tra il 1500 e il 1700, grazie ai veneziani, era diventato il vino più importante e apprezzato d’Europa. Non a caso a Venezia alcuni locali, che vendevano soltanto vini pregiati e Malvasia, prendevano il nome da questo vino. Le malvasie erano generalmente ritrovi di tono elevato e ben frequentati, a differenza dei bastioni o magazeni, di media o bassa categoria, dove si servivano vari tipi di vino, e dei samarchi o samarcheti, così chiamati dall’insegna di San Marco, locali d’infimo ordine, e delle càneve, che erano cantine o depositi di vino. Botteghe specializzate in vino erano anche le banderuole, dove veniva applicato l’apposito dazio per ogni gotto, bicchiere da 0,16 litri, che vi era servito. Per liberalizzarne il mercato, su richiesta dei mercanti di Cipro, il 27 luglio 1765 il Senato decise lo scioglimento dell’arte dei mercanti di Malvasia. Dieci anni dopo Giorgio Quadri acquistò Il Rimedio e lo trasformò in un elegante ritrovo che prese il nome dal suo proprietario. Editoriale Programma - Maria Beatrice Autizi
Uno dei frequentatori abituali del Caffè Lavena fu il compositore tedesco Richard Wagner che soggiornò a Venezia sei volte tra il 1858 e il 1883, anno in cui morì nella città lagunare per una crisi cardiaca, il 13 febbraio, a Palazzo Vendramin Calergi. A Venezia, ogni pomeriggio, il musicista si recava al Caffè Lavena, come annotava la moglie Cosima nel proprio diario: “ogni giorno Wagner, accompagnato dal suo gondoliere Luigi in Piazza San Marco, si intratteneva…al Caffè chiacchierando spesso con il proprietario del locale Carlo Lavena, che gli era assai simpatico”. Nell’inverno tra il 1882 e il 1883, Wagner frequentò il locale quasi ogni giorno, con la moglie, con il suocero Franzt Listz, sempre conteso dai suoi ammiratori, o con il violinista Raffaele Frontali, uno dei musicisti più apprezzati dall’aristocrazia veneziana. Qui Wagner compose parte del suo Parsifal, come ricorda la lapide nel locale. A Venezia, due mesi prima della morte, insieme agli amici musicisti, Richard Wagner organizzò quello che sarebbe stato il suo ultimo concerto. L’evento era stato tenuto segreto per fare una sorpresa alla moglie, ma forte dovette essere la commozione del maestro nel dirigere un’orchestra che suonava quelle note che aveva composto, giovanissimo, in suo onore cinquant’anni prima. © Editoriale Programma - Maria Beatrice Autizi
Caffè Lavena dal 1750

Caffè Lavena dal 1750

2020-07-1401:15

Nel corso del ’700 il Caffè, un locale molto elegante, accolse soprattutto una clientela internazionale e per questo fu soprannominato dai veneziani il Caffè dei foresti. Grazie alla sua posizione di grande passaggio qui sostavano, per trovare i clienti, i gondolieri e i codega, coloro che di giorno e di notte, con il tipico fanale in mano, facevano da guida ai turisti attraverso i complessi percorsi delle calli veneziane. Quando con il plebiscito del Veneto del 1866 Venezia fu annessa al Regno d’Italia, il caffè divenne il ritrovo abituale degli ufficiali della Regia Marina, affollato nelle calde sale interne d’inverno e sui tavoli esterni d’estate. Uomo colto e amante della musica, Carlo Lavena fece del proprio caffè il punto di ritrovo di artisti e musicisti italiani e stranieri ma, da rinomato pasticcere, ne sviluppò anche le possibilità commerciali esportando in tutta Europa i suoi famosi dolci. Non a caso il locale divenne noto non solo come caffè ma anche come pasticceria Lavena. Più volte, malgrado fosse un personaggio molto noto e facoltoso, a metà pomeriggio lo si vedeva insegnare ai suoi dipendenti come rimestar bene nel forno più grande la pala di faggio per preparare dolci cotti al punto giusto. © Editoriale Programma - Maria Beatrice Autizi
Alla fine dell’Ottocento tra gli ospiti, che si davano appuntamento nelle sale del Florian, c’erano anche Riccardo Selvatico, sindaco della città dal 1890 al 1895, e i suoi amici, tra cui Giovanni Bordiga, presidente dell’Accademia di Venezia. Dalle loro discussioni, nella Sala del Senato, un tempo riservata ai personaggi più illustri della politica e della cultura, nacque l’idea di dar vita nei giardini del Sestriere di Castello a un’esposizione d’arte internazionale, la Biennale d’Arte di Venezia, che fu inaugurata nel 1895. Una rassegna di prestigio mondiale che continua ancora oggi. Nel 1988, per ricordare che proprio al Florian nacque la Biennale di Venezia, si decise di aprire il caffè all’arte contemporanea dando il via alla prima edizione di Temporanea. Le realtà possibili del Caffè Florian. Un artista contemporaneo è invitato a reinventare uno o più ambienti del locale in chiave moderna attraverso una installazione. Da allora artisti di fama internazionale hanno creato opere che sono state acquisite dal Caffè Florian e la collezione costituisce già un prezioso fondo artistico di arte contemporanea. © Editoriale Programma - Maria Beatrice Autizi
Il Caffè, membro dei Locali Storici d’Italia, è considerato il più antico in Europa, e fin dalla sua apertura, avvenuta nel 1720, gode di una fama internazionale. Qui convergevano l’alta società, i viaggiatori del Grand Tour, gli intellettuali e i ricchi commercianti. Nella seducente Venezia settecentesca in questo locale, che era stato il primo a essere aperto alle donne, Casanova corteggiava le dame, qui il Goldoni trovò motivi d’ispirazione per la sua Bottega del Caffè e Francesco Guardi, non ancora famoso, cercava di vendere i propri dipinti, da qui il Canaletto osservava il passaggio della folla in piazza San Marco, che poi avrebbe rappresentato nei suoi quadri. In quegli anni il caffè fu frequentato da illustri viaggiatori internazionali, da Lord Byron, che visse a Venezia tra il 1816 e il 1819, dallo scrittore Henry James che tra il 1869 e il 1907 venne quattordici volte a Venezia e amava sostare al Caffè Florian per assistere allo spettacolo dello scorrere della vita in piazza San Marco, dalla scrittrice George Sand, che nel 1834 soggiornò all’Hotel Danieli con il suo giovane amante, lo scrittore Alfred de Musset. Il ritrovo, oltre che luogo di intrattenimento, diventò punto d’incontro dei patrioti veneziani e italiani. © Editoriale Programma - Maria Beatrice Autizi
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