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CentoParole

Author: Gruppo Corriere del Ticino

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«CentoParole» è un podcast del Corriere del Ticino, scritto e realizzato da Dario Campione. Non sappiamo mai cosa leggere, eppure abbiamo le librerie piene, il kindle senza memoria disponibile. Ecco quindi che Dario ci racconta un libro in pochi minuti, in pillole non amare come le medicine, ma leggere e che curano la mente e lo spirito. «Perché non possiamo giudicare un libro dalla copertina, ma dal sapore che ci lascia in bocca quando lo finiamo» (Cit.)
108 Episodes
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L'elenco dei registi che l'hanno diretta è lunghissimo, impossibile da leggere per intero. Così come quello degli attori con cui ha lavorato. Non c'è dubbio che Ornella Muti sia stata e sia tuttora una delle poche dive del cinema italiano. La «Donna più bella del mondo», la definì la rivista americana Class nel 1994; sicuramente, un'attrice che ha attraversato da protagonista assoluta gli ultimi cinque decessi della nostra storia. Una star la cui carriera davanti alla macchina da presa iniziò per caso a soli 14 anni. Cinquantasei anni dopo, Ornella Muti ha deciso di dare un senso a quella navigazione irregolare, e lo ha fatto scrivendo non un'autobiografia, ma disegnando, a parole, un «Autoritratto impressionista. Così, in movimento – dice – perché la vita mica si ferma, e la luce cambia spesso». Un libro strutturato in capitoli brevi. Irregolari. Temporalmente disordinati. Ricordi, più che altro. Legati a situazioni, persone, luoghi.In questa puntata di CentoParole, il podcast letterario del Corriere del Ticino, Dario Campione racconta il libro di Ornella Muti, Questa non è Ornella Muti. Autoritratto di una diva fuori posto, pubblicato da La Nave di Teseo.
Oggi vi racconto il libro di Paolo Fonzi, Genocidio. Una storia politica e culturale, pubblicato da Laterza. Che cos’è un genocidio? Quando nasce l’idea di genocidio? Quando la parola diventa la «g-word», il concetto tabù che esprime una sorta di limite tra civiltà e barbarie, un limite tra l’umano e il disumano? E perché continuiamo a interrogarci sull’opportunità o meno di parlare di genocidio a proposito della guerra condotta da Israele contro Hamas e contro i palestinesi?A queste domande, e ad altre ancora, tenta di dare una risposta Paolo Fonzi, associato di Storia contemporanea all’Università Federico II di Napoli e autore di una monografia interamente dedicata proprio al concetto di genocidio. Quello tra Israele e Palestina, spiega Fonzi, «è un conflitto antico, che si è intrecciato con tutte le fasi recenti della storia mondiale dall’inizio del Novecento. Dagli anni Settanta, la causa palestinese è stata assunta come la vicenda più emblematica di lotta al neocolonialismo».Anche per questo, l’attenzione verso la tragedia di Gaza è così ampia e condivisa. Molto più di quanto ce ne sia per l’Ucraina o di quanto ce ne sia stata per la guerra civile in Siria, un conflitto durato molti anni con un grandissimo numero di vittime. Lo stesso vale per il Sudan, il Myanmar, la Cecenia, il Tigray. Tutto questo accade, dice ancora Fonzi, «forse perché si considera Israele una democrazia parte dell’Occidente, che non dovrebbe compiere crimini del genere». E forse perché c’è una «reazione, consapevole o meno, alla preminenza della memoria della Shoah».
In questa puntata Dario Campione ci racconta il libro di Theodor Adorno, «Stelle su misura. L'astrologia nella società contemporanea», pubblicato da Bibliotheka
Leggere la biografia di un contemporaneo è sempre coinvolgente perché permette, tra le altre cose, di rischiarare con una luce diversa la propria storia, la propria vita. Molti ricordano la finale di Wimbledon del 1980, l'interminabile partita che Björn Borg giocò e vinse contro John McEnroe; un match talmente epico da diventare anche un film Ciascuno associa a quei 5 set momenti o pensieri particolari. Pensieri che, dopo aver letto il libro di Borg, improvvisamente cambiano. Così come cambiano le immagini, i suoni, le pause impresse in una memoria inevitabilmente destinata a fare i conti con le emozioni di chi, su quel campo, stava per entrare definitivamente nella storia del tennis.In questa puntata di CentoParole, il podcast letterario del Corriere del Ticino, Dario Campione racconta il libro di Björn Borg, Battiti. Un'autobiografia, pubblicato da Rizzoli.
In questa puntata Dario Campione ci racconta il libro di Anna Maria Lorusso Il senso della realtà. Dalla Tv all'intelligenza artificiale, pubblicato da La Nave di Teseo
In un processo d'appello, molto più che in primo grado, «la verità si nasconde dietro le mille facciate dell'evidenza». Il caso di Nigina Shakirova «è come la pipa di Magritte. Le cose sembrano essere esattamente come appaiono, ma, in realtà, ciò che noi vediamo è un grande inganno». D'Ettorre e Perissinotto sono tra i pochi giallisti italiani ad aver scelto per il proprio personaggio, l'ambientazione tribunalizia. E, in qualche modo, hanno rivitalizzato un genere non molto frequentato tra gli scrittori di genere.Dopo Cena di classe (uscito nel 2022) e Il figliol prodigo (pubblicato l'anno successivo) torna con una nuova indagine l'avvocato torinese Giacomo Meroni, protagonista dei legal thriller di Piero d'Ettorre e Alessandro Perissinotto. In questa puntata di CentoParole, il podcast letterario del Corriere del Ticino, Dario Campione vi racconta L'inganno di Magritte, pubblicato da Mondadori.
Due libri e un unico argomento: la tragedia di Gaza. Sulla quale «non possiamo più tacere». In questa puntata di CentoParole – il podcast letterario del Corriere del Ticino –, Dario Campione racconta due libri dello scrittore franco-marocchino Tahar ben Jelloun: L'urlo e L'anima perduta di Israele. Due pamphlet brevi.«Come cittadino, come scrittore, come semplice testimone, mi è sempre più difficile accettare ciò che sta accadendo in questa parte del mondo», dice ben Jelloun. Non sono, però, uno scrittore isolato nella propria stanchezza. Mi sento piuttosto un cittadino impegnato e non certo indifferente, anzi piuttosto ossessionato da quello che accade».
In questa puntata del podcast letterario Dario Campione non racconta un libro in particolare, ma ci parla di un anniversario molto importante
Oggi giungiamo al traguardo del nostro podcast: cento volte CentoParole. E, inevitabilmente, vi racconto un libro che parla di libri. E il cui titolo bene si adatta a questo nostro appuntamento: Centolettori. I pareri di lettura dei consulenti Einaudi 1941-1991, pubblicato da Einaudi e curato da Tommaso Munari.In una lunga conversazione con Jean-Claude Carriére, pubblicata quasi 20 anni fa da Bompiani con il titolo Non sperate di liberarvi dei libri, Umberto Eco diceva: «Il libro è come il cucchiaio, il martello, la ruota, le forbici. Una volta che li avete inventati, non potete fare di meglio. Non potete fare un cucchiaio che sia migliore del cucchiaio. […] Il libro ha superato le sue prove e non si vede come, per la stessa funzione, potremmo farequalcosa di meglio. Forse evolverà nelle sue componenti, forse le sue pagine non saranno più di carta. Ma resterà quello che è».Un libro ci sarà sempre. Perché gli esseri umani non possono fare a meno di scrivere. Cose interessanti, cose utili, cose piacevoli, cose commoventi. E anche cose noiose, cose insulse, cose pesanti, cose che non servono. È sempre Umberto Eco a darci una spiegazione plausibile e convincente. Da quando gli uomini l’hanno concepita, diceva il semiologo di Alessandria, possiamo «considerare la scrittura come il prolungamento della mano e, in questo senso, come qualcosa di quasi biologico. Essa è una tecnologia di comunicazione immediatamente legata al corpo. Una volta che l’hai inventata, non puoi più rinunciarvi».Un libro c’è sempre stato. E un libro continuerà a esserci. Per consolare gli animi afflitti, per solleticare la vanità degli autori, per regalare qualche emozione o far esplodere rabbie e risentimenti. Centolettori, il volume di cui parliamo oggi, è un po’ la sintesi di tutto questo. Come dicevo prima, è un libro che parla di libri. Un libro scritto da cento autori diversi nel quale si parla di cento e più scrittori differenti. Una sorta di apoteosi della pagina stampata, il cui pregio è far emergere alcuni tra i passaggi più significativi della storia culturale italiana del dopoguerra, così come talune contraddizioni inaspettate e imprevedibili.Buon ascolto!
Non è la prima volta che papa Francesco sceglie di parlare di sé in un libro. Lo ha fatto, in passato, prima dialogando con Sergio Rubin per il volume-intervista El Jesuita, scritto quando ancora era cardinale di Buenos Aires; poi, rispondendo alle domande di Fabio Marchese Ragona per Life, la mia storia nella storia. E, ancora, per raccontare a Javier Martínez-Brocal il rapporto con chi lo aveva preceduto sul soglio di Pietro in Il successore, i miei ricordi di Benedetto XVI.Ecco perché la biografia pubblicata la settimana scorsa da Mondadori e intitolata Spera non contiene, forse, quelle curiosità e quegli episodi inediti che normalmente è lecito attendersi in simili opere. È lo stesso Francesco a sottolinearlo: «Un'autobiografia non è la nostra letteratura privata, piuttosto la nostra sacca da viaggio. E la memoria non è solo ciò che ricordiamo, ma ciò che ci circonda. Non parla unicamente di quel che è stato, ma di quel che sarà. La memoria è un presente che non finisce mai di passare».Spera è il libro che vi racconta oggi Dario Campione in questa puntata di CentoParole, il podcast letterario del Corriere del Ticino.
Oggi vi racconto il libro di Saitō Kōhei Il capitalismo nell’antropocene, pubblicato da Einaudi. Per parlare di questo saggio a metà tra la filosofia e l’economia politica, tanto complesso quanto affascinante, ho chiesto aiuto a un collega, Generoso Chiaradonna, caporedattore economia del Corriere del Ticino, che ringrazio e saluto. Partiamo dal libro. Sorprendente, soprattutto per noi che viviamo nella parte occidentale, ricca del pianeta. Un ritorno a Marx, ma in chiave ecologista, non produttivista. Saitō Kōhei attualizza il pensiero del filosofo di Treviri «rileggendo» i Quaderni di scienze naturali, migliaia di fogli di appunti che Marx scrisse negli ultimi 15 anni della sua vita, dopo la stesura del primo libro del Capitale. La tesi di Saitō Kōhei è in qualche modo rivoluzionaria: secondo lui, Marx avrebbe capito che il capitalismo non conduce inevitabilmente al comunismo ma alla distruzione del pianeta. Apocalittico? Buon ascolto!Se il libro di oggi ti ha incuriosito, ricorda che puoi avere lo sconto del 10% sui tuoi acquisti in libreria sia Mendrisio che a Savosa grazie alla CdT Club Card.
Intorno al 1340, ovvero 150 anni prima che Cristoforo Colombo avvistasse le isole della baia di Fernandez, nella vecchia Europa mediterranea qualcuno sapeva già che, navigando verso occidente nell'oceano Atlantico, si sarebbe potuto approdare su altre rive che non fossero quelle gelide dell'Islanda e della Groenlandia; rive miti nel clima, abitabili, ricche di vegetazione e di frutti. L'America, allora, non c'era. Ma non per tutti. In un libro medievale in latino, la Cronica universalis, un frate domenicano vissuto a Milano tra il Duecento e il Trecento, Galvano Fiamma, scrisse infatti che a ovest della Groenlandia i naviganti avrebbero trovato «Marckalada», la terra dei boschi. È questa la più antica menzione del continente americano che sia mai stata trovata in documenti dell'area mediterranea.Una storia affascinante, quella del manoscritto medievale di Galvano Fiamma, che Paolo Chiesa, ordinario di filologia mediolatina all'Università Statale di Milano, ha riassunto in un avvincente e brillante saggio divulgativo pubblicato da Laterza. Marckalada. Quando l'America aveva un altro nome. Il libro che Dario Campione vi racconta in questa puntata di CentoParole, il podcast letterario del Corriere del Ticino.
Il 10 maggio 1933, gli studenti di 34 città universitarie in tutta la Germania diedero alle fiamme oltre 25 mila volumi di autori molto diversi tra loro: Albert Einstein, Sigmund Freud, Ernest Hemingway, Karl Marx, Eric Maria Remarque, Bertolt Brecht, Franz Kafka, Thomas Mann, Stefan Zweig. E ancora: Isaac Babel', Alfred Döblin, John Dos Passos, Maksim Gor'kij, Joseph Roth, Arthur Schnitzler, Jack London.Bücherverbrennungen, furono chiamate queste cerimonie. Letteralmente: rogo di libri. A Berlino, nella Bebelplatz, che all'epoca si chiamava Opernplatz, Joseph Goebbels arringava una folla di 40 mila persone elencando, uno per uno, i nomi degli scrittori condannati a bruciare. Bebelplatz. La notte dei libri bruciati è anche il titolo del bel libro che Fabio Stassi ha dedicato a questo buio momento della storia europea. Il libro che Dario Campione ci racconta in questa puntata di CentoParole, il podcast letterario del Corriere del Ticino.
Ci sono «parole che segnano» i vari momenti storici, altre che si limitano, per così dire, ad accompagnarli. «"Entrare" dentro queste parole», capirne il senso in profondità, è quasi sempre determinante perché «dalle parole che usiamo, e dal senso che (esse) possono mantenere, dipende la nostra intera vita». Come diceva Ludwig Wittgenstein nella proposizione 5.6 del Tractatus, «i limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo». Quali potrebbero essere, quindi, o quali saranno le parole del 2025? In questa puntata di CentoParole, Dario Campione presenta Dentro le parole. Per una critica dell'individualismo, l'ultimo libro del filosofo modenese Pier Aldo Rovatti, pubblicato da Meltemi.
Oggi non vi racconto un libro ma vi parlo di un evento, l’Anno Santo, e della sua storia. Chi volesse saperne di più, oltre ad ascoltare questo podcast potrà comunque leggere: Il giubileo, di Lucetta Scaraffia, pubblicato dal Mulino nel 1999; Il giubileo, una storia, di Alberto Melloni, edito da Laterza 2016; oppure Vivere il giubileo. Tutto quello che c’è da sapere sull’Anno Santo: la storia, i luoghi, gli appuntamenti da non perdere, un’agile guida scritta da Saverio Gaeta e uscita per Piemme poche settimane fa.
Oggi vi racconto il libro di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso Una Cosa sola. Come le mafie si sono integrate al potere, pubblicato da Mondadori.Quando parliamo di mafia si fa strada, inevitabilmente, il ricordo di un vissuto tragico: la stagione delle stragi, la violenza cieca dei corleonesi, la risposta debole di uno Stato colpito al cuore. È inevitabile. Ma non del tutto corretto. Storicamente, infatti, le mafie - e non soltanto quelle italiane - si sono quasi sempre contraddistinte per i legami e le forme di collusione e di contiguità con determinati ambienti politici, sociali ed economici. Per la loro capacità di permeare il sistema.Oggi, queste mafie sembrano fare meno paura. Perché sono apparentemente meno invasive, perché sparano di meno. «Le stiamo in qualche modo normalizzando. Manca la volontà di capirne l’evoluzione», la loro trasformazione in organizzazioni «sempre più ibride, in bilico tra realtà analogica e virtualità digitale» - ha detto Antonio Nicaso in un’intervista - Nostro malgrado, se non lo sono già, rischiano di diventare una componente strutturale del capitalismo».Anche per questo Una Cosa sola è un classico libro «necessario». Se da un lato, infatti, completa un lungo ciclo di studi dedicati dallo storico della criminalità e dal procuratore della Repubblica di Napoli alle grandi organizzazioni malavitose dell’Italia meridionale, dall’altro lato allarga lo sguardo al resto del mondo, mettendo in luce come gli effetti della globalizzazione riguardino ormai tutti. I buoni, così come i cattivi.
Oggi vi racconto il libro di Maurizio de Giovanni Volver. Ritorno per il commissario Ricciardi pubblicato da Einaudi.Non è difficile raccontare un libro quando l’autore, in prima persona, sceglie di rivelarne il senso, il significato, la genesi. È quello che ha fatto, in un lungo articolo pubblicato pochi giorni fa sul Corriere della Sera, Maurizio de Giovanni, costretto in qualche modo dai suoi tantissimi lettori a spiegare i motivi che potrebbero condurlo – questa volta in via definitiva – a chiudere con il quindicesimo titolo (cui vanno aggiunti anche dodici racconti) la lunga e amata serie del commissario Luigi Alfredo Ricciardi, barone di Malomonte. «Alle porte dell’uscita di questo romanzo, Volver, mi ritrovo a interrogarmi su Ricciardi e su me stesso - scrive de Giovanni - e scopro di avere più risposte che domande, sfogliando le istantanee, che il cuore più che la mente mi restituisce, di questi vent’anni in cui tutti e due siamo profondamente cambiati, ognuno nel suo tempo e ognuno nel suo mondo, legati da questo filo stretto e fortissimo che ci unisce ma che ci mantiene lontani. Io Ricciardi, sapete, lo guardo vivere da una finestra, come un vicino di casa di cui si sanno molte cose ma che non si è mai formalmente presentato. E adesso che questa finestra sta per chiudersi, almeno su quella fetta della sua esistenza che ho finora raccontato, posso chiedermi che cosa siamo stati l’uno per l’altro. E che strada tortuosa e accidentata abbiamo percorso, per arrivare fin qui».«Tra noi c’è sempre stato un accordo - dice ancora lo scrittore napoletano - avrei smesso di raccontare di lui nell’imminenza della guerra», la Seconda guerra mondiale. «Per la verità, venendo meno al patto, avevo provato a fermarmi prima, quando per lui era il 1934 e per me il 2021, con la morte della moglie e la nascita della sua bambina; credevo che fosse uno snodo insuperabile, e che l’immediato futuro gli avrebbe riservato solo dolore. Se vuoi bene a qualcuno non ti va di osservarne la sofferenza, e per poterne raccontare dovevo vedere. Poi però ho avuto un grave problema di salute, e me lo sono trovato in piedi vicino al letto, in ospedale. Non diceva niente, mi guardava soltanto: ma i suoi occhi pieni di malinconia mi chiedevano conto e ragione del perché non poteva avere ancora vita, adesso che la mia, quella di chi poteva raccontarlo, era così a rischio. Quegli occhi mi dicevano che non c’era solo dolore, negli anni che passavano dalla morte della sua Enrica: che c’era Marta, la bambina di cui ancora tanto c’era da dire, e i suoi amici, Maione e Bambinella e Modo, e le donne speciali che aveva attorno, Nelide e Bianca, e Livia dall’altra parte del mondo piena di rimpianti e di tango. Mi estorse la promessa che, se fossi uscito di lì con i miei piedi, avrei ripreso a raccontare di lui. E così è stato».Ecco, allora, spiegati i tre anni trascorsi tra Il pianto dell’alba e Caminito, il primo romanzo della trilogia del tango che, assieme a Soledad e, appunto, a Volver, chiude comunque il cerchio dell’esperienza napoletana del nobile commissario della Regia questura partenopea. Ed ecco anche svelato il senso della storia di questo romanzo, che ruota attorno al concetto del ritorno. Buon ascolto!
Oggi vi racconto il libro di Amadeus Ama. La mia storia, i miei Sanremo, come il palcoscenico mi ha cambiato la vita pubblicato da Piemme.Un po’ biografia di sé, non priva di qualche compiacimento anche se a sprazzi autoironica. Un po’ manuale del bravo presentatore. Un po’ - di più, forse - storia degli ultimi cinque Festival di Sanremo. Quelli che lo hanno visto protagonista sia sul palco, a fare da padrone di casa, sia dietro le quinte come direttore artistico.È difficile definire con esattezza che cosa sia, veramente, Ama, il libro che Amadeus ha voluto scrivere per raccontare una vita di successo iniziata, come nelle migliori tradizioni, con una lunga gavetta.In un video postato su Instagram, sullo sfondo della scenografia della trasmissione che attualmente conduce sul Canale Nove, è lo stesso autore ad abbozzare una sintesi: «Ormai sono anni che vi parlo attraverso uno schermo o il microfono di una radio - dice Amadeus - ci sono però parole che non vi ho mai detto, storie che non vi ho mai raccontato, quelle vissute lontano dal palcoscenico. Ho sentito che era il momento di condividerle con voi nel modo più intimo che ci sia: un libro. Vi porterò con me in un viaggio che parte da una piccola radio di Verona e arriva fino al magico palco di Sanremo, vi porterò dietro le quinte di quegli anni tra emozioni intense, incontri con artisti straordinari e attese cariche di tensioni prima che si alzi il sipario. Ama è anche un modo per dire grazie alla mia famiglia, che è stata sempre al mio fianco, agli amici, quelli veri - spiega mostrando una foto con Rosario Fiorello - che hanno creduto in me affrontando ogni sfida insieme e con il sorriso. Ma grazie soprattutto a chi mi ha permesso di vivere tutto questo: voi».In realtà, il viaggio di Amadeus - così come dipanato nei vari capitoli - ha pochissime tappe: la Verona dell’adolescenza, la Milano della giovinezza e della formazione, la Roma della maturità e, ovviamente, Sanremo, la città della consacrazione. Buon ascolto!
Oggi vi racconto il libro di Gianrico Carofiglio Elogio dell’ignoranza e dell’errore, pubblicato da Einaudi.Autore celebratissimo di storie gialle e scrittore raffinato di racconti ancorati alla memoria della terra d’origine - la Puglia, Gianrico Carofiglio è anche saggista di rara profondità, come dimostrano i libri sull’uso del linguaggio e sulla «manomissione delle parole».Adesso, con il suo nuovo lavoro, l’ex magistrato barese si addentra su un altro terreno in parte già arato, quello dell’antidogmatismo. L’Elogio dell’ignoranza e dell’errore è sì, come ha detto qualcuno, il «tributo a due vocaboli che non godono di buona fama ma che […] andrebbero reinterpretati nella loro accezione positiva», dato che «dall’errore si può imparare e dall’ignoranza consapevole possono nascere opportunità di scoperta». Ma è anche, direi soprattutto, un manifesto lucido e appassionato sui guasti e sui veleni alimentati dalle troppe certezze, dalle marmoree convinzioni, dall’incapacità di dialogare e di cambiare idea, anche davanti a evidenze che pure, in qualche modo, lo imporrebbero. Buon ascolto!Se il libro di oggi ti ha incuriosito, ricorda che puoi avere lo sconto del 10% sui tuoi acquisti in libreria sia Mendrisio che a Savosa grazie alla CdT Club Card.
Mercoledì 20 novembre saranno mille giorni dall’invasione russa in Ucraina. Mille giorni di una guerra che ha cambiato l’Europa e il mondo. Nello Scavo, inviato speciale di Avvenire, il quotidiano della Conferenza episcopale italiana, racconta il conflitto dal primo istante. Da quel 24 febbraio 2022, il giorno in cui i carri armati di Vladimir Putin puntarono dritti verso Kiev per cancellare l’Ucraina dalla storia.Sulla guerra sporca del Cremlino Scavo ha già scritto un libro alla fine del 2022, pubblicato da Garzanti e intitolato semplicemente Kiev. Adesso, a distanza di due anni, il giornalista - siciliano di nascita ma comasco d’adozione - ha deciso di aggiungere al quadro d’insieme un tassello importante, scegliendo di raccontare l’incredibile storia di Volodymyr Sahaidak, il direttore della casa per minori fragili di Stepanivka. Il «misterioso “Schindler dei bambini ucraini”». Buon ascolto!Se il libro di oggi ti ha incuriosito, ricorda che puoi avere lo sconto del 10% sui tuoi acquisti in libreria sia Mendrisio che a Savosa grazie alla CdT Club Card.
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