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Jazz Anthology

Author: Radio Popolare

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"Jazz Anthology", programma storico di Radio Popolare, esplora la lunga evoluzione del jazz, dalla tradizione di New Orleans al bebop fino alle espressioni moderne. Il programma, con serie monografiche, valorizza la pluralità e la continuità del jazz, offrendo una visione approfondita di questo genere musicale spesso trascurato dai media. La sigla del programma è "Straight Life" di Art Pepper, tratto da "Art Pepper Meets The Rhythm Section" (1957).
353 Episodes
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A partire dal '46, quando ha ventuno-ventidue anni, Bud Powell comincia ad incidere con musicisti di area bebop, e appare un pianista di eccezionale livello e già audacemente proiettato in avanti. Pur incidendo in diversi formati, la sua dimensione prediletta è il trio piano-basso-batteria, una formula all'epoca tutt'altro che ovvia, a cui proprio Powell con i suoi dischi dà un impulso decisivo. Fra il '49 e il '51 la Blue Note pubblica in quattro 78 giri incisioni realizzate da Powell con una formazione comprendente Fats Navarro alla tromba e il giovanissimo Sonny Rollins al sax tenore o in trio, con Tommy Potter e Roy Haynes o con Curley Russell e Max Roach: nel '52 la Blue Note le riunisce in un album a 12 pollici intitolato The Amazing Bud Powell. Nell'agosto del '53 Powell incide nuovamente in trio, questa volta con George Duvivier e con Art Taylor: ne nascono due 78 giri, i cui brani assieme ad altri dalla stessa seduta nel '54 vengono pubblicati dalla Blue Note in un altro 12 pollici, intitolato The Amazing Bud Powell volume 2. Se il primo The Amazing Bud Powell era diviso fra brani in quintetto e in trio, il secondo volume è un album interamente, e coraggiosamente, in trio. A riprova della fortuna di questo album - uno dei più importanti usciti nel '54 - che contribuì all'affermazione del pianismo di Powell così come al consolidamento della formula del trio piano-basso-batteria, fra il '55 e il '57 Powell realizzerà altri quattro album in trio, tre su quattro con Duvivier e Taylor.
Dopo averlo visto nella puntata scorsa nel primo album prodotto dal suo sodalizio - che farà epoca - con Max Roach, ritroviamo Clifford Brown, questa volta con un altro batterista, Art Blakey, in A Night At Birdland, altro album che come quello con Roach sarà tra i più importanti dell'annata discografica del jazz nel '54. Brown e Blakey si trovano insieme in studio di incisione già nell'estate del '53, dunque diversi mesi prima dell'inizio della collaborazione di Brown con Roach, e A Night At Birdland viene registrato nel febbraio '54, mesi prima dell'album (agosto) con Roach, e anche l'uscita è precedente: A Night At Birdland viene pubblicato dalla Blue Note in tre album a 10 pollici usciti fra luglio e novembre, l'album con Roach uscirà in dicembre. Ma mentre Brown non rimase a lungo con Blakey, e questa fu la sua ultima registrazione con lui, l'associazione con Roach durò fino alla tragica scomparsa di Brown nel '56. La formazione di Blakey, con Lou Donaldson al sax tenore e Horace Silver al piano, formalmente non è ancora i Jazz Messengers, ma siamo all'alba dell'hard bop di cui Blakey e Silver saranno due figure trainanti: i tre 10 pollici di A Night At Birdland furono tra le uscite di maggiore successo dell'anno, e questo contribuì a dare impulso all'impresa che poi si sarebbe chiamata Jazz Messengers.
A fine '53/inizio '54, Max Roach ingaggia per il proprio gruppo il trombettista Clifford Brown: è l'avvio di uno dei soldalizi più straordinari di tutta la storia del jazz, crudelmente stroncato nel giugno '56 dall'incidente stradale nel quale Brown perde la vita a soli venticinque anni. Personalità forte, determinata, Roach ha sei anni più di Brown, fin dalla prima metà degli anni quaranta è stato accanto a uomini come Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Thelonious Monk, i creatori del nuovo linguaggio del bebop di cui Roach, giovanissimo, è stato un caposcuola per la batteria; Brown invece ha cominciato ad emergere sulla scena del jazz solo nel '49, e da poco la sua carriera ha veramente cominciato a decollare: eppure - a testimonianza della considerazione da cui Brown era circondato, e anche delle sue qualità umane, che lo facevano apprezzare da tutti - Roach intesta anche a Brown il suo nuovo quintetto, così come a nome di entrambi esce il primo disco della formazione, inciso nell'agosto del '54. Col solismo di Brown in alcune delle sue prove più alte, ma anche col talento compositivo del trombettista, con la musicalità di Roach e la sua sintonia con Brown, con la maturità del bop del gruppo, l'album Clifford Brown and Max Roach, uno dei dischi che segnano il '54 del jazz, è il trampolino di un quintetto che si avvia a fare epoca.
Classe 1977, Cory Smythe ha studiato pianoforte classico e si è dedicato inizialmente alla musica classica e alla contemporanea di matrice accademica, ma è stato poi attratto dall'improvvisazione, e ormai da diversi anni la sua attività si svolge principalmente su questo versante. In una puntata del giugno 2023 - che potete trovare in podcast - lo avevamo apprezzato come partner di Sylvie Courvoisier in The Rite of Spring - Spectre d'un songe, un album della Pyroclastic in cui in duo propongono una esecuzione della versione pianistica della Sagra della primavera e poi un ampio brano di Courvoisier ispirato a Stravinski. Ma ricordiamo per esempio Smithe nel trio di Tyshawn Sorey. In questa puntata vi proproniamo tre album di Smythe pubblicati dalla Pyroclastic: Circulate Susanna, del 2018, Accelerate Every Voice, del 2020, e Smoke Gets In Your Eyes, del 2022. Album da cui emerge non solo il valore del pianista, ma anche l'impegno profuso nei suoi progetti musicali, in ciascuno dei quali offre qualcosa di diverso e di non scontato, e - come nell'ultimo dei suoi album che consideriamo - la capacità di creare musica di intensità e qualità non comuni anche alla guida di una compagine ampia e articolata (e di alto livello: Peter Evans, Ingrid Laubrock, Stephan Crump....).
Nel '67 Louis Armstrong aveva inciso What A Wonderful World, un brano comcepito dal produttore Bob Thiele; per una ripicca del presidente della ABC Paramount nei confronti di Thiele, il brano non venne promosso, e sul momento ebbe scarso successo negli Stati Uniti. Ma nel '68 cominciò invece a piacere in Gran Bretagna e in marzo fece capolino al diciassettesimo posto della classifica dei singoli più venduti, e settimana dopo settimana continuò la sua scalata fino - in aprile - a scavalcare i Beatles e ad attestarsi al primo posto, dove sarebbe rimasto fino a giugno. A quanto pare fu proprio il fatto di avere superato i Beatles a galvanizzare Armstrong e a deciderlo a varcare l'Atlantico per una serie di esibizioni in Gran Bretagna, fra le quali una in due set il 2 luglio negli studi della BBC, da cui fu tratto uno show televisivo. Dopo la trasferta inglese le condizioni di salute di Armstrong peggiorarono: negli anni successivi ci furono altre esibizioni, anche all'inizio del '71, anno in cui morì: ma quella alla BBC può essere considerata l'ultimo documento di Louis Armstrong dal vivo in una forma ancora all'altezza della sua arte. Armstrong ascoltò e riascoltò con entusiasmo la registrazione dei due set alla BBC, e nel '70 assieme al suo manager convinse la Brunswick a farne un album - pubblicato col titolo Louis Armstrong Greatest Hits Recorded Live - con i brani selezionati personalmente da lui, che per la prima volta figurò come produttore di un suo disco. Con Louis in London la Verve adesso ripropone - in Cd, vinile e digitale - quell'album ma con materiale aggiuntivo e sostituendo una versione di Hello Dolly con un'altra: con le sue tredici tracce Louis in London raccoglie dunque una versione (tre brani furono eseguiti in entrambi i set) sostanzialmente di tutti i brani in cui Armstrong suonò o cantò. Un album quanto mai commovente, sia per essere l'ultima testimonianza artisticamente significativa di Armstrong dal vivo, sia per il legame che Armstrong ebbe con la registrazione dell'esibizione alla BBC.
Uno degli album certamente più caratterizzanti dell'annata discografica del jazz nel 1954 è certamente stato Afro di Dizzy Gillespie. Nel '47 Gillespie conosce il percussionista cubano Chano Pozo, un incontro foriero di grandi conseguenze per il rapporto fra jazz moderno e musica afrocubana. Sempre nel '47 da un'idea di Pozo per la big band di Gillespie nasce Manteca, caso pionieristico di brano basato sullo schema ritmico della clave che diventa uno standard di jazz. Nella primavere del '54 Gillespie incide una Manteca Suite in quattro parti, allestita e diretta da Chico O'Farrill, che si traduce nella prima metà dell'album di Gillespie intitolato Afro e pubblicato nello stesso '54 dalla Norgran di Norman Granz. Cubano, valente compositore e arrangiatore, O'Farrill aveva all'attivo fra l'altro Cuban Episode, inciso nel '50 dall'orchestra di Stan Kenton, e la Afro-Cuban Jazz Suite, commissionata da Granz e incisa nel '50 dall'orchestra di Machito con la partecipazione di Charlie Parker. La formazione con cui Gillespie incide la Manteca Suite è eccellente: ne fanno parte fra gli altri Quincy Jones e Ernie Royal fra le trombe, Hank Mobley e Lucky Thompson ai sax tenori, e i due fomidabili percussionisti cubani Candido Camero e Mongo Santamaria.
Fred Frith 75! (2)

Fred Frith 75! (2)

2024-08-1259:42

Seconda puntata del nostro omaggio a Fred Frith per i suoi 75 anni, con una scelta di brani da All Is Always Now, triplo Cd pubblicato nel 2019 dalla Intakt, florilegio di performances di Frith registrate allo Stone di New York fra il 2006 e il 2016: questa volta troviamo Frith in trio con la violoncellista e vocalist Theresa Wong e la pianista Annie Lewandowski, in trio con la fisarmonicista Pauline Oliveros e la pianista Else Olsen Storesund, in duo con la vocalist Shelley Hirsch, in duo con il sassofonista Evan Parker, e, sempre in duo, con Laurie Anderson.
Fred Frith 75! (1)

Fred Frith 75! (1)

2024-08-0558:39

Dalla fine degli anni sessanta fra i più importanti protagonisti della sperimentazione musicale, nel febbraio scorso Fred Frith ha compiuto 75 anni. In autunno Frith sarà festeggiato con una serie di serate in Europa, in un assortimento di incontri con tanti partner, da Tim Hodgkinson - con cui nel '68 fondò gli Henry Cow - a Susana Santos Silva, da Phil Minton a Joelle Léandre: il 10 e 11 ottobre Frith sarà a Parigi (Instants Chavirés), dal 14 al 16 a Colonia, dal 18 al 20 a Londra (Café Oto). Noi gli rendiamo omaggio con due puntate in cui ascolteremo brani da All Is Always Now, triplo Cd pubblicato nel 2019 dalla Intakt, che propone un florilegio di registrazioni degli anni 2006-2016, realizzate durante l'ottantina di performances tenute in quel periodo da Frith allo Stone, lo spazio newyorkese aperto nel 2005 da John Zorn. Nelle registrazioni di questa puntata Frith interloquisce in quartetto con la sassofonista Jessica Lurie, in trio con Ikue Mori all'elettronica e col trombettista Nate Wooley, e in duo con la pianista Sylvie Courvoisier.
In un clip che nei giorni scorsi è diventato virale, Kamala Harris, vicepresidente degli Stati Uniti e con tutta probabilità candidata dei democratici per la Casa Bianca, esce da un negozio di dischi di Washington, e i cronisti che fuori la aspettano le chiedono se vuole far vedere che cosa ha comprato. Lei con tono ironico risponde più o meno: "capite qualcosa di musica?", e poi mostra i vinili che ha acquistato. Il primo è Let My Children Hear Music, album del '72 di Charles Mingus, che Harris mostrandolo definisce "veramente uno dei più grandi performers di sempre". Il secondo album è Everybody Loves The Sunshine di Roy Ayers, l'ultimo infine è Porgy and Bess di Ella Fitzgerald e Louis Armstrong. Nella puntata di Jazz Anthology di questa sera parliamo dell'interesse di Kamala Harris per il jazz e più in generale per la black music, della sicurezza con cui dichiara i propri gusti musicali (il suo entusiasmo per Mingus non è affatto banale), della sua presenza (prima dell'ascesa alla vicepresidenza Usa) nel board di SFJazz, istituzione del jazz di San Francisco, e ascoltiamo quell'album molto particolare di Mingus che è Let My Children Hear Music. N.B.: nei quattro anni di presidenza Trump il jazz era sparito dalla Casa Bianca.
Il 16 luglio, a Zurigo, la sua città, è mancata Irene Schweizer: era malata e purtroppo già da tempo non suonava più. Le rendiamo omaggio con un florilegio di suoi brani e ricordando la grande importanza che sotto diversi aspetti Irene Schweizer ha avuto: tra i battistrada dell'improvvisazione radicale europea, Schweizer va anche annoverata tra i più interessanti pianisti di jazz - e non solo relativamente al jazz europeo - dagli anni sessanta al nuovo millennio; è stata una pioniera della presenza femminile sulla scena improvvisativa e del nuovo jazz, con un protagonismo di forte impronta femminista; ed è stata una figura di riferimento non solo per il suo contributo musicale ma anche per l'impulso che ha dato ad iniziative come i festival zurighesi Taktlos e Unerhoert, e come l'etichetta svizzera Intakt. Nel 2021, in occasione dei suoi ottant'anni, Jazz Anthology aveva dedicato a Irene Schweizer una serie di tre puntate, che potete trovare in podcast.
Alla vicenda e alla carriera del leggendario batterista sudafricano Jazz Anthology ha dedicato una nutrita serie nel corso del 2017, e nel giugno 2018 un'altra puntata su una sua novità, l'album Uplift The People (tutte le puntate sono reperibili in podcast). La britannica Ogun, che ha a cuore la produzione discografica di Louis Moholo, ripropone adesso, per la prima volta in Cd (oltre che in digitale), l'album Louis Moholo-Moholo's Viva-La-Black, che per la gloriosa etichetta era stato registrato nel gennaio del 1988. Nel corso della sua carriera Moholo ha guidato via via formazioni con diversi nomi, e con il gruppo denominato Viva La Black ha inciso tre album, il primo dei quali è questo. Come leader Moholo aveva esordito discograficamente dieci anni prima, con l'album Spirit Rejoice! inciso e pubblicato dalla ogun nel '78: all'epoca di questo album di Viva La Black Moholo era non solo un leader fatto e finito, ma un leader carismatico, e lo è rimasto fino alla fine della sua carriera, esauritasi a ridosso della pandemia (Moholo vive nella township di Langa - dove è nato circa nel 1940 - vicino a Cape Town). E un leader con una grande capacità di scegliere i musicisti e di individuare e valorizzare nuovi talenti: le sue compagini sono sempre state eccellenti, e questa, con Sean Bergin, Steve Williamson, Claude Deppa, Roberto Bellatalla e Thebe Lipere, non fa certo eccezione.
1954: Chet Baker Sings

1954: Chet Baker Sings

2024-07-0859:41

Il celebre "quartetto senza pianoforte" di Gerry Mulligan, con Chet Baker alla tromba, in effetti durò pochissimo, dall'estate del '52 alla primavera del '53. Già nell'estate del '53 la Pacific, che aveva pubblicato i dischi del quartetto di Mulligan, fece uscire un album del quartetto di Baker. Dopo avere inciso in autunno due brani in cui cantava, nel febbraio del '54 Baker registrò un intero album in cui faceva ascoltare la sua voce, Chet Baker Sings. Non è chiarissimo se l'inziativa sia stata di Dick Bock, il produttore della Pacific, o dello stesso Baker: l'album originariamente fu pubblicato come Lp a 10 pollici, con otto brani. Molti critici di jazz trovarono parecchio da ridire sulle doti di Baker come cantante; ma non mancò chi - con irritazione del trombettista - di fronte alla voce androgina di Baker adombrò sospetti di una sua omosessualità. L'opinione dei critici ebbe molto poco peso: a tanti nel pubblico del jazz il modo di cantare di Baker e la sua voce particolare piacquero eccome, l'album piacque molto ai gay, e non solo a quelli che erano appassionati di jazz, e piacque al pubblico femminile, che - si scoprì - era maggioranza fra i fan di Baker. Chet Baker Sings, ottimo successo anche dal punto di vista commerciale, fu davvero uno degli album caratterizzanti del 1954 del jazz.
Un suo scatto del 2020, emblematico del jazz nell'emergenza Covid, gli era valso nel 2021 il riconoscimento per la "Photo of the Year" dei Jazz Awards della Jazz Journalists Association. Quest'anno Luciano Rossetti ha bissato: di nuovo sua la "Photo of the Year" della JJA, con una immagine della trombettista portoghese Susana Santos Silva, fissata lo scorso anno nel corso di un house concert a Milano. Il nuovo prestigioso riconoscimento ci è sembrato l'occasione per invitarlo per la prima volta a Jazz Anthology a parlare del suo lavoro e della sua carriera. E visto che ahimé le foto per radio non si possono far vedere, gli abbiamo chiesto di farci ascoltare musica di figure del jazz importanti nel suo percorso di fotografo, che da più di quarant'anni è anche una storia di relazioni personali e a volte di vere e proprie amicizie: da George Coleman, nell'82 col suo ottetto protagonista del primo, fatidico concerto di jazz fotografato da Rossetti, al chitarrista Garrison Fewell, prematuramente scomparso, da Butch Morris a William Parker, da Rob Mazurek a - naturalmente - Susana Santos Silva, in un brano in duo con Kaja Draksler, la musicista con cui stava suonando al momento della "Photo of the Year".
Ottantuno anni compiuti il 9 giugno scorso, Kenny Barron è uno dei più grandi pianisti di jazz in attività, ed è un vero patrimonio del jazz di oggi. Nato e cresciuto a Philadelphia, appena terminate le superiori iniziò a New York nel '61 una carriera che lo ha spesso visto nel ruolo di sideman - per una quantità di musicisti e in una miriade di dischi - e che ha avuto tra i punti più alti il quartetto Sphere, consacrato al mondo musicale di Monk, e, a cavallo fra anni ottanta e novanta, la collaborazione, anche in duo, con l'ultimo Stan Getz. Elegante e raffinato quanto consistente, estremamente versatile, Barron si è affermato come incarnazione del canone del pianismo mainstream di matrice bop. In Beyond This place, il suo nuovo album, pubblicato da Artwork Records, interpreta un paio di magnifici standard e un brano di Monk e per il resto brani orginali - tutti tranne uno firmati da lui - pescando soprattutto da sue composizioni degli anni settanta; ma Barron non è affatto seduto sul passato ed è lontanissimo dalla routine: con due fidati partner di vecchia data come Steve Nelson al vibrafono e Kiyoshi Kitagawa al contrabbasso, con uno dei più forti batteristi sulla scena, Johnathan Blake, e con uno dei più brillanti giovani del jazz di oggi, il sax alto Immanuel Wilkins, Beyond This place è un album attuale e pieno di sostanza.
Talento fuori dal comune, Barney Kessel - che in questa serie dedicata agli Lp che caratterizzarono jazzisticamente il 1954 abbiamo già incontrato nella puntata dedicata a Lester Young with the Oscar Peterson Trio - prese solo, a dodici anni, lezioni di chitarra per tre mesi, e fu sostanzialmente uno straordinario autodidatta, con una eccezionale padronanza della tecnica dello strumento, soluzioni insolite, una pazzesca conoscenza degli accordi. Classe 1923, cominciò a lavorare professionalmente già da ragazzino; nel '42, a Los Angeles, fu nell'orchestra del più anziano dei Marx Brothers, Chico; la sua principale influenza fu Charlie Christian, il fondatore della chitarra jazz moderna; nel '44 comparve nel celebre film Jammin' the Blues, di Gjon Mili; nel '47 fu accanto a Charlie Parker nelle incisioni del sassofonista per la Dial; nel '51 entrò nel trio piano/contrabbasso/chitarra di Oscar Peterson. Nel '54 l'etichetta californiana Contemporary fece uscire i primi due Lp a suo nome, due 10 pollici, con due piccoli gruppi con una originale combinazione della chitarra con, nel primo, il sax alto ma anche il flauto di Bud Shank, e, nel secondo, con il sax tenore ma anche l'oboe di Bob Cooper. Capace di interpretare in maniera eccellente la sua epoca, dando con la sua chitarra un senso della modernità tipico degli anni cinquanta, Kessel è stato una figura emblematica del jazz di quel decennio.
Quest'anno cadono i cinquant'anni dalla morte di Duke Ellington, 24 maggio 1974, ma anche i centoventicinque dalla sua nascita, 29 aprile 1899; e i novant'anni dalla nascita di Steve Lacy, 23 luglio 1934, e i venti dalla sua morte, 4 giugno 2004. Rendiamo omaggio a entrambe queste grandi figure riscoprendo Ten of Dukes + Six Originals, un album pubblicato nel 2002 dalla etichetta francese Senators Records, e passato largamente inosservato, ma che rappresenta un prezioso unicum nella discografia di Lacy, perché è il solo album in cui il sassofonista si dedica in maniera estesa a materiale ellingtoniano. Lacy nel '99 era stato invitato a partecipare a San Francisco alle celebrazioni per il centenario della nascita di Ellington, e aveva allestito un programma di dieci brani - selezionati e messi a punto con un lavoro certosino - da eseguire in solo al sax soprano. Nella fase successiva Lacy ripropose in solo il programma ellingtoniano in altre occasioni, e fu anche filmato da Franco Maresco allo Spasimo di Palermo proprio interpretando questi brani. L'album è stato ricavato da una esibizione di Lacy in Giappone nell'ottobre del 2000.
Nel cuore dell'agosto del '69, a Parigi Archie Shepp si sottopone, per la felicità della Byg, ad un autentico tour de force: dall'11 al 18 agosto è tutti i giorni in studio, incidendo a proprio nome il trittico di album che farà epoca, o partecipando alla registrazione di album intestati ad altri. L'estate parigina delle Byg vuole essere una celebrazione del free jazz, che però in realtà nel '69 è al canto del cigno, e di questa fase del free jazz storico i tre album realizzati a da Shepp a Parigi sono emblematici. L'ultimo è Blasé. Con Shepp c'è una meravigliosa Jeanne Lee, che dal '57 ha dato vita con Ran Blake ad un sublime duo voce/pianoforte, a cui però i club e i festival di jazz americani sono rimasti insensibili; così nel '66, dopo essere venuta in Europa per concerti con Blake, Jeanne Lee ha deciso di fermarsi nel Vecchio Continente, ed è in Europa che ha incontrato la free music, attraverso gli improvvisatori olandesi e tedeschi. Con lei, magistrale nell'interpretazione del crudo testo di Shepp nel brano da cui l'album prenderà il titolo, Shepp sigla un trittico di album che rappresenta un momento altissimo della sua vicenda artistica e di tutta la stagione del free jazz.
Il Festival Panafricano di Algeri si aprì il 21 luglio 1969, il giorno in cui il mondo si risvegliò dopo avere visto il primo uomo, Neil Armstrong, mettere piede sulla luna. Ma ad Algeri l'attenzione non è sulla conquista dello spazio, ma sull'emancipazione dell'Africa dal colonialismo e dal neocolonialismo, sui movimenti di liberazione, come quelli vietnamita e palestinese, sulle lotte degli afroamericani. Al festival - il più importante evento culturale dell'Africa dell'era delle indipendenze dopo il Festival Mondiale delle Arti Negre che si era tenuto a Dakar nel '66 - arriva anche una agguerrita pattuglia di esponenti dell'avanguardia jazzistica d'oltre Atlantico, in testa Archie Shepp. Shepp è una figura perfetta per inserirsi nel clima culturalmente e politicamente torrido del Festival Panafricano, dove le istanze rivoluzionarie sono all'ordine del giorno. Alla fine del festival, Shepp, invitato dalla Byg, va a Parigi, carico di quel "ritorno all'Africa" che percorreva il free jazz e che Shepp ha finalmente sperimentato, e della tensione rivoluzionaria che ha vissuto ad Algeri. E' in questa condizione politico-emotiva che il 12 agosto Shepp registra Yasmina, a black woman, poi, il 14, quello che sarà il secondo capitolo della suo trittico parigino del '69, Poem for Malcolm, con cui, a quattro anni di distanza da Malcolm semper Malcolm, brano inciso a caldo pochi giorni dopo l'assassinio di Malcolm X, torna con straordinario pathos sulla figura del grande leader afroamericano.
Attiva per una breve fase, a cavallo fra anni sessanta e settanta, la Byg è un'etichetta leggendaria, che nell'estate del '69 a Parigi, con una coda nei mesi successivi e anche nel '70, registrò una grande messe di album fondamentali per la documentazione dell'ultima fase della stagione del free jazz storico e della prima fase del post-free. Il catalogo della Byg è adesso oggetto di una organica operazione di ristampe, che ha come produttore esecutivo Jean-Luc Young, uno dei tre fondatori, nel '67, dell'etichetta destinata a diventare mitica: rimasterizzati, gli album sono ripubblicati in Cd e vinile, con una rivisitazione della grafica rispettosa di quella originale, e con il corredo di nuove note di copertina. Attraverso queste ristampe, con questa puntata - in cui ricostruiamo la vicenda della Byg dal '67 al '69 - cominciamo a ripercorrere alcuni dei titoli più importanti pubblicati dalla Byg: partiamo dal primo album, Yasmina, a black woman, del celebre trittico registrato da Archie Shepp, alfiere della new thing, nel corso del bollente agosto parigino del free, quando, in un momento irripetibile, nella capitale francese si incontrarono musicisti dell'avanguardia afroamericana provenineti dagli Stati Uniti, altri - come Shepp - reduci dal Festival Panafricano di Algeri, jazzisti di precedenti generazioni espatriati in Europa, e protagonisti del nuovo jazz francese ed europeo.
In diretta dall'Auditorium Demetrio Stratos di Radio Popolare, questa sera Jazz Anthology presenta We Insist! Live, la rassegna - di cui Radio Popolare ha il piacere di essere media partner - che si svolgerà alla Casa delle Arti di Cernusco sul Naviglio sabato 18 e domenica 19 maggio, con ingresso gratuito. Per presentarla e per parlare di We Insist!, etichetta discografica attiva dal 2018 che opera nell'ambito del jazz d'avanguardia e della musica improvvisata e che organizza anche occasioni live per i propri musicisti, sono con noi Maria Borghi, presidente della Fondazione We Insist!, e - in due set improvvisati che costituiscono una sorta di anticipo della rassegna - quattro dei musicisti che si esibiranno nel fine settimana: Giancarlo Nino Locatelli, clarinetto, Alberto Braida, pianoforte, Andrea Grossi, contrabbasso, e Cristiano Calcagnile, batteria. Alla rassegna parteciperanno musicisti di grande rilievo anche dall'estero, Larry Ochs, Mark Dresser, Vladimir Tarasov, Jim Black, Rob Mazurek. Un grazie ai sempre bravissimi e rapidissimi nostri tecnici, Zacca e Marco Sambinello, che hanno reso possibile questo live.
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