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Author: Radio 24

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Il drammatico uno-due della pandemia seguita dal conflitto in Ucraina ha contribuito dolorosamente a un passaggio culturale importante, facendoci finalmente realizzare che la transizione ecologica è uno strumento per conseguire una maggiore indipendenza dalle importazioni di materie prime, energia e semilavorati, da cui le economie europee sono estremamente indipendenti. Le soluzioni proprie della crisi ecologica (dalle fonti rinnovabili al ciclo idrico integrato, dall'economia circolare alla fusione nucleare) si rivelano infatti essere ciò che serve per affrontare la crisi geo-politica, energetica ed economica che ci attanaglia.Lo speciale estivo di Smart City "La transizione ecologica in tempo di crisi" racconta i punti di contatto tra le crisi del nostro tempo, e la ricerca di possibili soluzioni comuni, affrontando temi quali la gestione dell'acqua, le opportunità offerte dalle energie forestali e marine, le sfide dei sistemi di stoccaggio energetico sostenibili e della fusione nucleare.

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È possibile catturare la CO2 direttamente a bordo dei mezzi di trasporto? Questa strada, finora poco battuta, potrebbe avere senso per il trasporto pesante, che ancora non dispone di tecnologie carbon neutral mature. A sostenerlo è uno studio pubblicato su Energy, nel quale un gruppo di ricercatori dell’Università di Saragozza ha analizzato l’occupazione di volume e il bilancio energetico di un nuovo tipo di sistema per la cattura e lo stoccaggio di CO2, che potrebbe trovare spazio a bordo di mezzi pesanti. Un aspetto interessante di questo scenario è che l’anidride carbonica catturata potrebbe essere impiegata per produrre metano sintetico e ricominciare il ciclo. Ma si tratta di uno scenario ancora del tutto teorico e la strada da percorrere resta ancora lunga. Ne parliamo con Fabrizio Pirri, direttore del Center for Sustainable Future Technologies dell’Istituto Italiano di Tecnologia.
Un solo biglietto integrato per prendere tutti i mezzi pubblici: l’obiettivo è da molti anni sul tavolo di chiunque si cimenti nel tentativo di rendere più attraenti i trasporti pubblici e il ricorso alla multimodalità. Il problema di carattere generale rimane comunque aperto: realizzare una piattaforma digitale che permetta di interconnettere i servizi di tutti gli operatori di mobilità, resta infatti un problema irrisolto. Ma un gruppo di esperti dell’Università di Birmingham ritiene di aver trovato la soluzione, grazie alla fusione di due tecnologie: la blockchain e le ontologie. Il nuovo sistema è stato chiamato STUB (System for Ticketing Ubiquity within Blockchains) e ce lo spiega Valeria Portale, direttore dell'Osservatorio Blockchain e Web3 del Politecnico di Milano.
Dalle acque di scarto di alcuni pozzi petroliferi della Pennsylvania, potrebbe arrivare fino al 40% dell’attuale domanda di litio degli Stati Uniti. Lo afferma un gruppo di ricercatori del National Energy Technology Laboratory, che ha potuto accertare una presenza significativa di litio nelle acque reflue dell’estrazione petrolifera, grazie a una norma che obbliga le compagnie oil&gas ad analizzarle e comunicare i risultati delle indagini. La notizia rafforza lo scenario del litio geotermico, che in alcune zone del mondo si trova disciolto in concentrazioni elevate nelle acque saline presenti nel sottosuolo. Scenario presente anche in Italia, dove il litio potrebbe essere associato all’energia geotermica anziché all’estrazione petrolifera. Ce ne parla Andrea Dini, ricercatore dell'Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR.
Gli scienziati non sono mai contenti: per quanto precisa sia una misura, salta sempre fuori un motivo per cui ne servirebbe una ancora più precisa. Così per esempio, se parliamo di misurare il tempo, la sbalorditiva precisione e stabilità dei più sofisticati orologi atomici oggi esistenti (che perdono un secondo ogni 30 miliardi di anni) sembra ancora non bastare. Per questo ha suscitato grande entusiasmo uno studio pubblicato su Physical Review Letters, in cui un gruppo di ricercatori tedeschi e austriaci ha posto le basi per un orologio atomico ancora più preciso, che potrebbe aiutarci a risolvere alcuni dei più grandi enigmi della fisica moderna. E sebbene del lavoro resti ancora da fare, sembra ci siano pochi dubbi sulla possibilità di arrivare al primo prototipo funzionante nei prossimi anni. Ce lo racconta Davide Calonico, responsabile della divisione di Metrologia Quantistica all’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRIM).
Unire la resistenza meccanica della fibra di carbonio con la tolleranza al calore dei materiali ceramici, per dar vita a un super materiale con cui realizzare i velivoli spaziali del futuro: è questa la scommessa del progetto AMACA, coordinato dal politecnico di Milano. Il futuro dell’industria spaziale è indissolubilmente legato allo sviluppo di velivoli spaziali riutilizzabili, dove la sfida principale è tollerare le enormi sollecitazioni termiche e meccaniche del rientro in atmosfera, quando si raggiungono temperature fino a 2000°C. L'azienda SpaceX ha adottato un approccio tradizionale, basato su una struttura d’acciaio ricoperta da piastrelle di ceramica che agiscono da scudo termico. Un compromesso tra peso, effettiva riutilizzabilità e resistenza, che in prospettiva si vorrebbe superare grazie a nuovi materiali. Ne parliamo con Alessandro Airoldi, professore di Strutture Aerospaziali al Politecnico di Milano.
Solo 28 metri quadri, la superficie di una stanza: è così che per la prima volta dopo vent’anni, in Italia, si torna a sperimentare in campo aperto una specie agricola ingegnerizzata. Si tratta di una nuova varietà di riso Arborio in cui sono stati disattivati tre geni che lo rendono suscettibile al Brusone, una malattia causata da un fungo che rappresenta il principale patogeno del riso in tutto il mondo. È la prima sperimentazione di riso ottenuto con le cosiddette TEA - Tecniche di Evoluzione Assistita - con cui si inducono nel patrimonio genetico delle piante delle modifiche puntuali del tutto simili a quelle che si verificano spontaneamente in natura, senza l’inserimento di materiale genetico estraneo come avviene coi cosiddetti OGM, che rimangono vietati. Ce ne parla Vittoria Brambilla, professoressa di Botanica Generale presso il Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali dell’Università Statale di Milano.
L’arsenico è noto fin dall’antichità per essere un veleno potentissimo. Il motivo di tanta pericolosità è dovuto alla sua somiglianza chimica col fosforo, un elemento chiave della vita, col quale è in grado di confondersi e di prenderne il posto, causando tumori o, in dosi elevate, sindromi ancora più acute e letali. Tra le possibili fonti di avvelenamento c’è anche l’acqua. Infatti l’arsenico può contaminare le acque di falde, fiumi e laghi, sia per cause antropiche che per cause naturali. Dunque è di grande interesse lo studio dell’Università di Pisa, in collaborazione con l’Università della Calabria e l’Istituto per la Tecnologia delle Membrane del CNR, che è stato pubblicato sulla rivista Nature Water: lo studio descrive infatti un nuovo tipo di membrana capace di eliminare selettivamente l’arsenico dall’acqua, senza privarla di altri sali fondamentali. Ce lo racconta Christian Silvio Pomelli, professore del Dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa e principale autore, insieme al collega Lorenzo Guazzelli, di questo lavoro.
Continuiamo a parlare di borofene. Infatti, la forma bidimensionale dell’atomo di boro è una delle grandi speranze del mondo dei materiali; perfino in grado di insidiare il grafene, il primo materiale bidimensionale mai scoperto, al centro di una infinità di ricerche e applicazioni. Caratteristica distintiva del borofene è avere numerosi varianti con proprietà chimiche e fisiche diverse. Per esempio, in uno studio pubblicato su ASC Nano, ricercatori della Pennsylvania State University hanno dimostrato che al borofene può essere impartita una precisa chiralità, una caratteristica presente in tutte le molecole appartenenti agli organismi viventi, che gli permetterebbe di interagire in modo mirato con elementi biologici. Ne parliamo ancora con Camilla Coletti, coordinatrice del centro IIT di Pisa e dei Graphene Lab dell’IIT di Genova.
Il Grafene, la versione bidimensionale del carbonio che da anni si è guadagnato l’attenzione dei ricercatori grazie alle sue straordinarie proprietà, ha ora un temibile concorrente: il borofene. Sintetizzato per la prima volta nel 2015, il borofene è ancora più conduttivo, più leggero, più sottile, più resistente e più flessibile. Inoltre, mentre il grafene è un foglio di atomi di carbonio disposti a nido d’ape e non può avere altre strutture, il borofene può formare fogli di spessore mono-atomico con strutture differenti. Così come un pavimento può essere ricoperto con piastrelle di forma diversa, l’atomo di boro può dare origine a reticoli composti da triangoli, esagoni e combinazioni dei due, ognuna delle quali con proprietà fisiche e chimiche diverse. Ciò spiega alcune delle sue proprietà straordinarie, ma è anche il motivo per cui è molto più difficile da sintetizzare e produrre in modo controllato. Ce ne parla Camilla Coletti, coordinatrice del centro IIT di Pisa e dei Graphene Lab dell’IIT di Genova.
Che cosa sono le potature del verde pubblico? Sottoprodotti o rifiuti? E i materiali da demolizione? Spesso lo sviluppo di intere filiere dell’economia circolare si infrange contro un singolo sostantivo; una parola che fa la differenza tra la possibilità concreta di valorizzare un materiale all’interno di un ciclo produttivo e il suo smaltimento come rifiuto. A stabilire cosa sia sottoprodotto o rifiuto è la legge, che però non sempre è chiara, e soprattutto è ondivaga. Infatti, le risposte del MASE a due interpelli, riguardanti sfalci e potature del verde pubblico, e i successivi chiarimenti chiesti a Bruxelles prospettano un regresso di 15 anni nell’interpretazione della legge sui sottoprodotti che rischiano di mettere in crisi interi pezzi di filiere dell’economia circolare, come quella del biogas e del teleriscaldamento a biomassa. Ma anche delle demolizioni, del lavanolo, e altri settori. Ne parliamo con Vanessa Gallo, Segretario Generale di FIPER.
Realizzare, grazie alla stampa 3D, componenti meccanici capaci di integrare, senza soluzione di continuità, materiali compositi in fibra di carbonio e materiali metallici che prevedono processi industriali profondamente diversi.  È questo l’obiettivo del progetto MIMOSA, coordinato dal Politecnico di Torino e giunto al secondo anno: si tratta di uno dei progetti più innovativi del settore aeronautico, il cui obiettivo è dare vita a strutture più leggere e più resistenti, a partire dalla coda dell’aereo, sul cui caso si stanno esercitando i ricercatori torinesi. Ce ne parla il professor Giorgio De Pasquale, responsabile dello Smart Structures and Systems Lab presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale (DIMEAS) del Politecnico di Torino, e coordinatore scientifico del progetto MIMOSA.
È stata inaugurata lo scorso novembre, a Milano, la prima cabina elettrica secondaria interrata. Si tratta di un unicum con cui si punta a rispondere al bisogno di rafforzare la rete elettrica in media e bassa tensione, che negli ultimi anni, tra ondate di calore e allagamenti, è stata messa a dura prova con numerose interruzioni del servizio nei momenti più caldi dell’anno. Ci chiediamo, quindi, come sia andata con la stagione simil-monsonica che ci stiamo solo ora lasciando alle spalle. Infatti, il cambiamento climatico mette a dura prova questi componenti essenziali del sistema elettrico, il cui compito è convertire l’energia elettrica dalla media tensione (10 o 20 mila volt) alla bassa tensione: i 220 volt che giungono nelle case di tutti noi. Ne parliamo con Renato Mazzoncini, amministratore delegato di A2A.
Questa sera vi portiamo a BI-REX, il Competence Center di Bologna specializzato nei Big Data, il cui obiettivo è portare la piccola e media impresa italiana nell'era dell'Industria 5.0, rendendo accessibili le competenze, risorse e infrastrutture necessarie. Da pochi giorni, infatti, BI-REX ha presentato una nuova Linea Pilota, figlia di un investimento di 3,5 milioni di euro finanziato dal Mimit: un prototipo di linea di fabbricazione digitale, dotata dei sistemi di produzione più all’avanguardia, con un forte focus sulle soluzioni basate su robotica e AI. In particolare, visto anche il momento di eccezionale attenzione, la nuova linea pilota permette di sperimentare l’integrazione nei processi di fabbricazione della cosiddetta Intelligenza artificiale generativa, grazie alla quale diventa possibile dialogare coi macchinari e ricevere da essi informazioni in linguaggio naturale. Ce ne parla Stefano Cattorini, direttore generale di Bi-Rex.
Prendere una decisione in un contesto pieno di incertezze. Questo è il difficile lavoro cui sono chiamate le imprese di trasporto, impegnate a programmare il rinnovo della propria flotta di mezzi pesanti in un contesto che, da un lato, spinge per la transizione energetica e dall’altro offre poche soluzioni e ancora meno certezze su quali soluzioni si affermeranno (carburanti sintetici, biocarburanti, elettricità, idrogeno). Il “problema della sostituzione della flotta” è da tempo oggetto della ricerca matematica ed economica e, di recente, un gruppo di ricercatori della WHU – Otto Beisheim School of Management ha messo a punto un sofisticato algoritmo che promette di aiutare i fleet manager a decidere su quali tecnologie investire. Ne parliamo con Marialisa Nigro, professoressa di Trasporti all’Università degli Studi Roma Tre.
Siamo nel campo della conservazione dei beni culturali, in cui un team di ricercatori dell’Università Alma Mater di Bologna ha messo a punto un particolare tessuto-non-tessuto che, accoppiato con opportuni gel che agiscono come solventi, aiuta i restauratori a dare nuova vita a reperti e opere d’arte per mezzo di una efficace operazione che ricorda la depilazione con la ceretta. Una tecnica non solo efficace, ma anche in grado di mettere al riparo i restauratori da un’eccessiva esposizione agli agenti chimici usati nelle procedure di restauro. Ne parliamo con Silvia Prati, professoressa di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Bologna.
Messa a punto dall’Istituto di Scienze Applicate e Sistemi Intelligenti del CNR una nuova metodologia per rilevare la presenza di metalli pesanti nelle acque. Come è noto, questo tipo di inquinamento è quasi sempre causato da attività industriali ed è particolarmente problematico perché, risalendo la catena alimentare, i metalli pesanti finiscono prima o poi anche nel nostro piatto con conseguenze tutt’altro che desiderabili. Caratteristica distintiva del nuovo test è la capacità di quantificare la presenza di rame nell’acqua, basandosi su una tecnica che permette di valutare lo stato di salute di alcune particolari micro-alghe presenti un tutto il globo, sia nella acque dolci che salate. Ce ne parla Vittorio Bianco, primo ricercatore del Cnr-Isasi e autore della ricerca, i cui risultati sono stati descritti sulla rivista Scientific Reports.
Realizzare un fotovoltaico galleggiante sui bacini delle vecchie dighe, anziché costruire dighe nuove. Secondo uno studio pubblicato su Nature Energy, il continente africano avrebbe buone ragioni per seguire questa strada, che promette di offrire una soluzione alternativa alla fame di elettricità dell’Africa con un impatto molto minore non solo sugli ecosistemi, ma anche e soprattutto sulle comunità, poiché è ben noto che le grandi dighe provocano pesanti conseguenze sul territorio e sulla disponibilità di acqua della comunità a valle, che non di rado sfociano in conflitti veri e propri. Lo studio è il frutto del lavoro condotto dai ricercatori dell’Environmental Intelligence for Global Change Lab al Politecnico di Milano, il cui direttore Andrea Castelletti ce ne parla in questa puntata.
Questa sera partiamo da una notizia curiosa che arriva dalla Finlandia, paese campione mondiale di consumo di caffè con circa 12 kg a testa ogni anno, nella cui capitale una torrefazione artigianale ha introdotto una nuova miscela sviluppata da un’intelligenza artificiale. Un blending di varietà che, nel corso di un test alla cieca, ha incontrato l’approvazione degli esperti assaggiatori, i quali hanno ritenuto che non avesse bisogno di modifiche. Il risultato sorprende perché il sistema utilizzato tutto può avere tranne che il senso del gusto. Eppure funziona. Commentiamo questo studio con Davide Cassi, professore di Fisica della Materia presso l'Università di Parma.
La pelle di pesce, scarto abbondantissimo dell’industria ittica, può sostituire la pelle animale nella produzione di cuoio e pellami. A tal fine, negli ultimi anni, si è fatta molta ricerca con l’obiettivo di mettere a punto processi di concia adeguati e, possibilmente, più sostenibili. In questo filone si inserisce il lavoro di alcuni ricercatori dell’IIT, i quali hanno messo a punto un olio vegetale capace di conferire idrorepellenza alla pelle di salmone, uno dei pesci più adatti alla produzione di pelli, per le dimensione e per quantità. Ne parliamo con Giovanni Perotto, ricercatore responsabile dello studio pubblicato su Green Chemistry.
È possibile affidare a sistemi di intelligenza artificiale il compito di disegnare scenari climatici? Da alcuni anni l’IA è entrata prepotentemente in molti campi della ricerca, dove si effettuano simulazioni che richiedono grandi potenze di calcolo. Dalle simulazioni del cuore alle simulazioni del plasma incandescente della fusione nucleare, quel che si è visto è che spesso l’AI riesce a fare previsioni accurate, pur senza risolvere in senso fisico i problemi. Concretamente, questo significa effettuare calcoli analiticamente impossibili e risparmiare molto tempo. Il campo della meteorologia non fa eccezione: il Machine Learning ha dimostrato di funzionare in modo eccellente quando si tenta di passare da previsioni del tempo su grande scala a quelle su scala più locale, e nel fare predizioni di processi fisici che nessun modello numerico riesce a risolvere esplicitamente. E ora gli scienziati stanno cercando di estendere queste tecniche anche al caso, ancora più complicato, dello studio del Climate Change. Ce ne parla Antonio Navarra, presidente del Centro Euromediterraneo sui Cambiamenti Climatici e BIGEA Università di Bologna.
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Fiore 53

07,

Jun 6th
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