DiscoverPaul Graham: il pifferaio magico dei nerdUn Progetto Personale // A Project of One’s Own
Un Progetto Personale // A Project of One’s Own

Un Progetto Personale // A Project of One’s Own

Update: 2025-03-18
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Traduzione e lettura in italiano di Elena Carmazzi dall’essay originale di Paul Graham "A Project of One’s Own" [Giugno 2021].

Qualche giorno fa, mentre tornavamo a casa da scuola, mio figlio di nove anni mi ha detto che non vedeva l'ora di arrivare per continuare a scrivere la storia su cui stava lavorando. Questa frase mi ha reso felice come poche altre cose che gli ho sentito dire — non solo perché era entusiasta della sua storia, ma perché aveva scoperto questo modo di lavorare. Lavorare su un proprio progetto è diverso dal lavoro ordinario, come pattinare è diverso dal camminare. È più divertente, e anche molto più produttivo.

Quanta parte del lavoro straordinario è stata realizzata da persone che stavano "pattinando" in questo senso? Se non tutta, sicuramente una gran parte.

C’è qualcosa di speciale nel lavoro su un proprio progetto, non direi esattamente che sei più felice, una parola più corretta sarebbe “eccitata” o “impegnata”. Sei felice quando le cose vanno bene, ma molto spesso non è così. Quando sto scrivendo un saggio, la maggior parte delle volte sono preoccupato e perplesso: preoccupato che il saggio venga male, e perplesso perché sto cercando un'idea che non riesco a vedere con sufficiente chiarezza. Sarò capace di metterla nero su bianco con parole mie? Alla fine di solito ci riesco, se ci metto un po’ di tempo, ma non ne sono mai sicuro perché i primi tentativi spesso falliscono.

Ci sono momenti di felicità quando le cose funzionano, ma non durano a lungo perché subito dopo si passa al problema successivo. Perché farlo allora? Perché, per le persone a cui piace lavorare in questo modo, nient'altro sembra così tanto giusto per loro stessi. È come sentirsi un animale nel suo habitat naturale, facendo ciò per cui si è nati — non sempre felici, forse, ma svegli e vivi.

Molti bambini sperimentano l’eccitazione di lavorare su un proprio progetto. La parte difficile è far sì che questa coincida con il lavoro che si svolge da adulti, e le nostre consuetudini lo rendono ancora più difficile. Consideriamo "il gioco" e gli "hobbies" come qualcosa di qualitativamente diversi dal "lavoro". Non è chiaro a un bambino che costruisce una casa sull'albero che esista un percorso diretto (anche se lungo) da quella casetta sull’albero all'architettura o all'ingegneria. E invece di mostrargli questo percorso, lo nascondiamo, trattando implicitamente ciò che fanno i bambini come qualcosa di diverso dal lavoro reale.

Invece di dire ai bambini che le loro case sugli alberi possono essere parte del percorso verso il lavoro che faranno da adulti, gli diciamo che il percorso passa dalla scuola. Purtroppo, però, il lavoro scolastico tende ad essere molto diverso dal lavorare su progetti propri. Di solito non è un progetto, e neppure qualcosa di personale. Così, man mano che la scuola diventa più impegnativa, lavorare su progetti personali diventa, nella migliore delle ipotesi, un filo sottile e marginale.

È abbastanza triste pensare a tutti quei ragazzi delle superiori che abbandonano la costruzione di case sugli alberi per sedersi in classe e studiare diligentemente Darwin o Newton per superare un esame. Quando il lavoro che ha reso famosi Darwin e Newton era in realtà molto più vicino, nello spirito, alla costruzione di case sugli alberi che allo studio per un test.

Se dovessi scegliere tra i miei figli che prendono ottimi voti a scuola e quelli che lavorano a progetti ambiziosi per conto loro, sceglierei i progetti. E non perché sia un genitore indulgente, ma perché ho visto l'altra faccia della medaglia e so quale dei due aspetti ha più valore predittivo. Quando selezionavo startup per Y Combinator i voti dei candidati non mi interessavano, ma se avevano lavorato a progetti propri, volevo saperne ogni dettaglio.

Potrebbe essere inevitabile che la strada sia la scuola, non sto dicendo che dovremmo ripensarla (anche se non sto dicendo che non dovremmo), sto solo dicendo che dovremmo comprendere cosa fa al nostro atteggiamento nei confronti del lavoro: ci indirizza verso un lavoro doveroso e lento, spesso usando la competizione come esca, e ci allontana dal pattinaggio.

Ci sono rari casi in cui un progetto scolastico diventa un progetto personale. Ogni volta che dovevo scrivere un paper, questo diventata un mio progetto personale - ad eccezione delle classi di inglese, ironia della sorte, perché le cose che si devono scrivere nei corsi di inglese sono fasulle. Quando sono arrivato all'università e ho iniziato a frequentare corsi di informatica, i programmi che dovevo scrivere sono diventati progetti miei. Ogni volta che scrivevo o programmavo, di solito pattinavo, e da allora è sempre stato così.

Quindi, dov’è esattamente il ponte per i propri progetti? Questa è una domanda interessante, in parte perché la risposta è davvero complicata e in parte perché la posta in gioco è molto alta. Il lavoro può essere proprio in due sensi: 1) il fatto che lo si faccia volontariamente, piuttosto che solo perché qualcuno ce lo ha detto, e 2) il fatto che lo si faccia da soli.

Il bordo del primo è piuttosto affilato: le persone che tengono molto al proprio lavoro sono solitamente molto sensibili alla differenza tra il tirare e l'essere spinti, e il lavoro tende a rientrare in una categoria o nell'altra. Ma il test non è semplicemente se vi viene detto di fare qualcosa: si può scegliere di fare qualcosa che ci viene detto di fare. Anzi, potete sentirla vostra molto più a fondo della persona che vi ha detto di farla.

Per esempio, i compiti a casa di matematica per la maggior parte delle persone corrispondono a qualcosa che gli è stato detto di fare, ma per mio padre - che era un matematico - non era così. La maggior parte di noi pensa ai problemi dei libri di matematica come un modo per testare o sviluppare la conoscenza del materiale spiegato in ogni sezione. Ma per mio padre i problemi erano erano la parte che contava, e il testo era solo una sorta di annotazione. Ogni volta che riceveva un nuovo libro di matematica, per lui era come ricevere un puzzle: c'era una nuova serie di problemi da risolvere e lui si metteva subito a risolverli tutti.

Il secondo aspetto del lavoro su un proprio progetto - lavorare da soli - ha un taglio molto più morbido in quanto sfuma gradualmente nella collaborazione, ed è interessante notare che la collaborazione si manifesta in due modi diversi. Un modo per collaborare è condividere un singolo progetto, per esempio quando due matematici collaborano a una prova che prende forma nel corso di una conversazione. L'altro modo è quando più persone lavorano su progetti separati che si incastrano come in un puzzle, ad esempio quando una persona scrive il testo di un libro e un'altra si occupa della progettazione grafica.

Ovviamente questi due percorsi di collaborazione possono essere combinati, ma nelle giuste condizioni, l'emozione di lavorare a un progetto proprio può essere conservata per un bel po', prima di disintegrarsi nel flusso turbolento del lavoro in una grande organizzazione. In effetti, la storia delle organizzazioni di successo è in parte la storia delle tecniche per preservare questo entusiasmo.

Il team che ha sviluppato il primo Macintosh è un esempio perfetto di questo fenomeno. Persone come Burrell Smith, Andy Hertzfeld, Bill Atkinson e Susan Kare non stavano solo eseguendo ordini. Non erano palline da tennis colpite da Steve Jobs, bensì razzi lanciati da Steve Jobs. C’era molta collaborazione tra di loro, anche se sembra che tutti abbiano provato singolarmente l'emozione di lavorare a un progetto proprio.

Nel libro di Andy Hertzfeld sul Macintosh, descrive come tornassero in ufficio dopo cena e lavorassero fino a tarda notte. Le persone che non hanno mai provato l’emozione di lavorare a un progetto che lo entusiasma non riesce a distinguere questo tipo di lavoro a lungo termine da quello che si svolge nelle fabbriche di sudore e nelle caldaie, ma sono gli estremi opposti dello spettro. Questo è il motivo per cui è sbagliato insistere ossessivamente sul work/life balance. In effetti, già solo l’espressione work/life balance contiene un errore: presuppone che lavoro e vita siano distinti. Per coloro per i quali la parola “lavoro” implica automaticamente l’imposizione di dover lavorare, lo sono. Ma per i pattinatori, il rapporto tra vita e lavoro sarebbe meglio rappresentato da un trattino piuttosto che da una barra. Non vorrei lavorare a qualcosa che non voglia occupare la mia vita.

Certo è che è facile raggiungere questo livello di motivazione quando stai costruendo qualcosa come il Macintosh, è facile per qualcosa di nuovo sembrare un nostro progetto personale. Questa è una delle ragioni della tendenza dei programmatori di riscrivere cose che non hanno bisogno di essere riscritte, e di riscrivere versioni di cose che esistono già. Questo a volte mette in allarme i manager e, in base al numero totale di caratteri digitati, raramente è una soluzione ottimale, ma non è sempre dettata semplicemente dall'arroganza o dall'ignoranza. Scrivere codice da zero è anche molto più gratificante, tanto che un buon programmatore può finire in netto vantaggio, nonostante lo scioccante spreco di caratteri. In effetti, uno dei vantaggi del capitalismo potrebbe essere quello di incoraggiare la riscrittura: un'azienda che ha bisogno di software per fare qualcosa non può usare il software già scritto per farlo da un'altra azienda, e quindi deve scriverne uno proprio, che spesso risulta essere migliore.

Il naturale allineamento tra pattinare e risolvere problemi nuovi è uno dei motivi per cui i profitti delle startup sono così alti: non solo il prezzo dei problemi irrisolti è più alto

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Elena Carmazzi