BOSNIA-ERZEGOVINA: DOPO 29 ANNI TROPPI FESTEGGIANO “LA LIBERAZIONE DI SREBRENICA”
Description

Riccorre oggi il ventinovesimo anniversario del massacro di Srebrenica. Iniziò infatti l’11 luglio del 1995, verso la fine della guerra che aveva portato alla dissoluzione della Jugoslavia, quella che viene considerata la peggiore mattanza in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. I fatti di Srebrenica vennero definiti crimini di genocidio dal Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia e dalla Corte Internazionale di Giustizia.
Oggi migliaia di persone di ritrovano a Srebrenica, come tutti gli anni, per commemorare l’uccisione di ottomila musulmani di Bosnia, ragazzi e uomini in maggioranza tra i 20 e i 40 anni. In questi giorni, ventinove anni fa, la mattanza dei militari serbi sui musulmani di Bosnia, avvenne in una zona che teoricamente doveva essere protetta dai caschi blu dell’ONU. Le cancellerie occidentali, da parte loro, restarono a guardare.
Il 23 maggio di quest’anno l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che dichiara l’11 luglio “Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio di Srebrenica del 1995”. Con l’istituzione di questa giornata della memoria, l’ONU chiede a tutti i paesi di impegnarsi in azioni per ricordare il genocidio e sensibilizzare la popolazione contro questo tipo di crimine.
La risoluzione non è però condivisa da tutte le nazioni, prima fra tutte la Serbia, che continua a minimizzare quanto accadde ventinove anni fa nel piccolo paesino della Bosnia orientale. Infatti lo scorso maggio, prima che venisse approvata la risoluzione, il presidente serbo Aleksandar Vučić, ha chiesto ai membri delle Nazioni Unite di votare contro, asserendo che la stessa potrebbe aprire un “vaso di Pandora di vecchie ferite” e creare un “caos politico”. Tra i paesi che hanno ascoltato le parole di Vučić, Russia, Cina e Ungheria, paesi vicini alla Serbia anche rispetto alla guerra in Ucraina. Anche i serbi della Repubblica Serba di Bosnia si sono schierati compattamente contro la risoluzione.
Continua così la campagna di revisionismo storico che viene costantemente fomentata dai politici della destra serba e da quelli serbo bosniaci, che usano una narrazione distorta anche per rimanere al potere; i politici fanno leva su una parte dell’elettorato e sono appoggiati dai gruppi ultra nazionalisti, attivi in diversi paesi della regione balcanica, che esprimono le idee negazioniste in occasione di festival, convegni o anche attraverso propaganda informatica o con murales. Infatti per le strade di Bosnia, Serbia e Montenegro, non è raro trovare scritte e disegni sui muri che inneggiano ai capi militari serbi. Tra questi Ratko Mladić, capo militare dei serbi e tra i responsabili del massacro, condannato nel 2021 dal Tribunale Internazionale dell’Aja; o Radovan Karadžić, ex presidente della Repubblica serba di Bosnia-Erzegovina, condannato nel 2016. Entrambi sono stati giudicati colpevoli di crimini contro l’umanità e genocidio.
Per troppe persone questi personaggi rimangono degli eroi, poiché avrebbero ripulito Srebrenica e il resto della Republica Srpska di Bosnia dai loro concittadini di fede musulmana. Lo ha messo nero su bianco anche il Srebrenica Memorial Center, che nel 2021 ha analizzato in un report gli episodi di negazionismo del genocidio: dal 1 maggio 2020 al 30 aprile 2021, si sono verificati centoquarantadue incidenti in Serbia, sessanta in Bosnia-Erzegovina, di cui cinquantasette nella Republika Srpska e diciannove in Montenegro.
Nel frattempo in Bosnia, continuano le identificazioni dei cadaveri del Podrinje identification project di Tuzla. Grazie a tecnologie d’avanguardia, negli anni sono state ritrovate circa ventitremila delle trentamila persone scomparse in Bosnia-Erzegovina durante la guerra, moltissime delle quali sono state ritrovate in fosse comuni. Oggi verranno sepolti i resti di altre quattordici vittime recentemente identificate, il più giovane di diciassette anni, il più anziano di sessantotto. Ad oggi, sono ancora moltissime le persone che risultano disperse.
L’intervista a Giorgio Fruscione, ricercatore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI). Ascolta o scarica




