Lectio degli Atti degli Apostoli di lunedì 20 ottobre 2014
Update: 2014-10-27
Description
Commento a Atti 21, 37 - 22, 16
Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato
È la prima delle quattro apologie di Paolo. Questa è davanti alla folla e le altre tre rispettivamente davanti al sinedrio (22,30-23,11), a Felice ( 24,10-21) e al re Agrippa (26,2-23). È anche la prima volta negli Atti che Paolo racconta la sua esperienza di Damasco, già descritta in At 9,1-19. Paolo ha già ampiamente realizzato la sua missione di portare il nome di Gesù tra pagani e Giudei, preconizzata ad Anania in At 9,15. In questa apologia, rivoltai giudei che vogliono ucciderlo, Paolo parla di se stesso come persecutore di cristiani e convertito a Cristo. La sua esperienza è esemplare per chi lo ascolta: il popolo della promessa, che lo perseguita, è chiamato come Paolo a realizzare la sua missione di luce delle genti e accoglienza di tutti i popoli.
Si tratta di un’autodifesa. Astraendo dalle accuse mossegli, evidentemente false per il lettore, Luca è preoccupato di giustificare attraverso Paolo una Chiesa di expagani, che non osservano la Torah e le sacre istituzioni. “L’apostolo delle genti”, non ha tradito la fede di Israele. Anzi, era zelante, come e più di tutti per la legge. Ma ha ricevuto da Dio l’ordine di estendere a tutti la promessa fatta ad Abramo: “In te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gen 12,3).
L’Apostolo si trova innanzi a una folla di Giudei. Pieni di zelo per Dio, vogliono linciarlo. Si rispecchia in loro. Anche lui era presente al martirio di Stefano, custodendo i mantelli di chi lo lapidava. Ciò che vogliono fare a lui è proprio ciò che lui voleva fare a tutti i cristiani: mosso dal loro stesso zelo per Dio, voleva sterminarli tutti.
Questi Giudei, come Paolo, amano con grande zelo la legge, e in nome di Dio vogliono ammazzare. Qui affiora con chiarezza un iceberg contro il quale si incaglia ogni “religione” di ogni tipo. Il nome di questo iceberg è “l’amore della verità”. In suo nome si uccide l’uomo come si uccise il Figlio dell’uomo. Da qui scaturiscono roghi, condanne, esclusioni e stermini. “L’“ortodossia” di chi ama la verità richiama la fede dei demoni, che “credono e tremano”, dice Gc 2,19.
“La verità dell’amore” invece fa conoscere Dio e salva l’uomo. “Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1Gv 4,8). Solo l’amore genera comprensione, dono, perdono e apertura verso tutti.
Se “l’amore della verità” è sotto la sovranità di satana e della morte, “la verità dell’amore” è il regno del Dio della vita.
Il discorso di Paolo ai suoi “fratelli”trabocca di sapienza e tenerezza. Anche lui era un fervente Giudeo, nato a Tarso e cresciuto a Gerusalemme con il grande maestro Gamaliel, di cui la Mishna (Sot. 9,15) dice: “Da quando è morto Rabban Gamaliel il Vecchio, non c’è stata più venerazione per la legge, e purità e temperanza sono scomparse allo stesso tempo”.
Anche Saulo ha seguito la legge e le tradizioni dei padri in modo “irreprensibile” (Fil 3,6). Aveva la stessa purità del suo maestro, ma non la sua temperanza. Gamaliel infatti osò difendere i Dodici davanti al Sinedrio (At 5,34). Ma la folgorazione di Damasco gli aprì gli occhi: Gesù è il compimento delle promesse, luce per illuminare le genti e gloria del popolo di Israele (Lc 2,32; Is 42,6; 49,6; cf. Gen 12,3).
La sua vocazione a evangelizzare tutti gli uomini, predetta a Damasco al pio giudeo Anania, gli fu confermata dal Giusto, sofferente e glorificato. Infatti lo vide mentre era in estasi nel tempio, (v. 18 cf. 15,8) e ricevette da lui l’ordine: “Va’, perché io ti manderò lontano, tra i pagani” (v.31).
Ciò che fa problema ai Giudei è la convivenza con i pagani. È ciò che fece problema anche a Pietro e ai primi Giudei cristiani (cc.10-11).
La questione fu affrontata nel c. 15 a Gerusalemme. Si trovò una soluzione che permettesse a cristiani giudei e pagani di sedere alla stessa mensa. Il Giudeo non è tenuto a rinunciare alle sue tradizioni e il pagano non è tenuto ad osservarle – se non in ciò che è necessario per vivere da fratelli. Valore supremo è l’amore. Esso esige l’accettazione, non la soppressione dell’altro nella sua diversità, quand’anche erronea (cf 1 Cor 8,13). Il motivo di carità prevale nell’azione su quello di verità, pur affermando la verità. Chi agisce in nome della verità (che tra l’altro è la libertà dai principi della tradizione) non dimentichi mai 1Cor 8,1ss. Infatti la scienza gonfia,mentre la carità edifica (1Cor 8,2): ci fa passare dall’amore di sé a quello dell’altro.
Iniziato il suo “viaggio a Gerusalemme”, a partire da Mileto Paolo istruisce non tanto annunciando il Cristo, quanto “testimoniandolo”. Lui stesso è assimilato a Cristo e diventa testimonianza “non a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità” (1Gv 3,18).
Dall’alto dei gradini della prigione - “predellino” adeguato davanti alla scalinata che porta al Tempio - Paolo vuol convincere il popolo a fare il passo che anche lui ha fatto: riconoscere nel Giusto perseguitato la Gloria di Dio che salva il mondo.
Come dal martirio di Stefano è nato Paolo, Paolo spera che pure la sua testimonianza sia feconda. La trasformazione avvenuta in lui, cieco e ostinato persecutore in nome di Dio, può avvenire anche in chi perseguita lui.
Il cristianesimo non è contro il giudaismo. Ne è uno sviluppo legittimo. È addirittura il suo compimento. Era già prevista l’ora in cui “si dirà di Sion: ‘L’uno e l’altro è nato in essa e l’Altissimo la tiene salda’ ”. Allora tutti danzando canteranno : “Sono in te sono tutte le mie sorgenti”. ( Sal 87,5.7).
Paolo in questa apologia davanti a Giudei “zelanti” si mostra come un giudeo osservante che ha visto nel Giusto glorificato il compimento delle promesse. Lui non è infedele. Ha obbedito alla sua vocazione, scaturita nel tempio stesso. Non è una vocazione strana: è la vocazione stessa del Servo di Dio ad essere “luce delle genti” (Is 42,6; Lc 2,30-32) e portatore di salvezza da Israele fino agli estremità della terra (Is 49,6; At 1,8).
DIVISIONE
a. 21,37-39: Paolo, giudeo, chiede di parlare al popolo
b. 22,1-21: apologia di Paolo
I. vv.1-2: esordio
II. vv. 3-16: naratio con probatio:
i. vv. 3-5 Paolo zelante e persecutore di cristiani
ii. vv. 6-11: evento di Damasco
iii. vv. 12-16: Paolo testimone presso tutti gli uomini
III. vv. 17-21: refutatio/argomentatio
Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato
È la prima delle quattro apologie di Paolo. Questa è davanti alla folla e le altre tre rispettivamente davanti al sinedrio (22,30-23,11), a Felice ( 24,10-21) e al re Agrippa (26,2-23). È anche la prima volta negli Atti che Paolo racconta la sua esperienza di Damasco, già descritta in At 9,1-19. Paolo ha già ampiamente realizzato la sua missione di portare il nome di Gesù tra pagani e Giudei, preconizzata ad Anania in At 9,15. In questa apologia, rivoltai giudei che vogliono ucciderlo, Paolo parla di se stesso come persecutore di cristiani e convertito a Cristo. La sua esperienza è esemplare per chi lo ascolta: il popolo della promessa, che lo perseguita, è chiamato come Paolo a realizzare la sua missione di luce delle genti e accoglienza di tutti i popoli.
Si tratta di un’autodifesa. Astraendo dalle accuse mossegli, evidentemente false per il lettore, Luca è preoccupato di giustificare attraverso Paolo una Chiesa di expagani, che non osservano la Torah e le sacre istituzioni. “L’apostolo delle genti”, non ha tradito la fede di Israele. Anzi, era zelante, come e più di tutti per la legge. Ma ha ricevuto da Dio l’ordine di estendere a tutti la promessa fatta ad Abramo: “In te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gen 12,3).
L’Apostolo si trova innanzi a una folla di Giudei. Pieni di zelo per Dio, vogliono linciarlo. Si rispecchia in loro. Anche lui era presente al martirio di Stefano, custodendo i mantelli di chi lo lapidava. Ciò che vogliono fare a lui è proprio ciò che lui voleva fare a tutti i cristiani: mosso dal loro stesso zelo per Dio, voleva sterminarli tutti.
Questi Giudei, come Paolo, amano con grande zelo la legge, e in nome di Dio vogliono ammazzare. Qui affiora con chiarezza un iceberg contro il quale si incaglia ogni “religione” di ogni tipo. Il nome di questo iceberg è “l’amore della verità”. In suo nome si uccide l’uomo come si uccise il Figlio dell’uomo. Da qui scaturiscono roghi, condanne, esclusioni e stermini. “L’“ortodossia” di chi ama la verità richiama la fede dei demoni, che “credono e tremano”, dice Gc 2,19.
“La verità dell’amore” invece fa conoscere Dio e salva l’uomo. “Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1Gv 4,8). Solo l’amore genera comprensione, dono, perdono e apertura verso tutti.
Se “l’amore della verità” è sotto la sovranità di satana e della morte, “la verità dell’amore” è il regno del Dio della vita.
Il discorso di Paolo ai suoi “fratelli”trabocca di sapienza e tenerezza. Anche lui era un fervente Giudeo, nato a Tarso e cresciuto a Gerusalemme con il grande maestro Gamaliel, di cui la Mishna (Sot. 9,15) dice: “Da quando è morto Rabban Gamaliel il Vecchio, non c’è stata più venerazione per la legge, e purità e temperanza sono scomparse allo stesso tempo”.
Anche Saulo ha seguito la legge e le tradizioni dei padri in modo “irreprensibile” (Fil 3,6). Aveva la stessa purità del suo maestro, ma non la sua temperanza. Gamaliel infatti osò difendere i Dodici davanti al Sinedrio (At 5,34). Ma la folgorazione di Damasco gli aprì gli occhi: Gesù è il compimento delle promesse, luce per illuminare le genti e gloria del popolo di Israele (Lc 2,32; Is 42,6; 49,6; cf. Gen 12,3).
La sua vocazione a evangelizzare tutti gli uomini, predetta a Damasco al pio giudeo Anania, gli fu confermata dal Giusto, sofferente e glorificato. Infatti lo vide mentre era in estasi nel tempio, (v. 18 cf. 15,8) e ricevette da lui l’ordine: “Va’, perché io ti manderò lontano, tra i pagani” (v.31).
Ciò che fa problema ai Giudei è la convivenza con i pagani. È ciò che fece problema anche a Pietro e ai primi Giudei cristiani (cc.10-11).
La questione fu affrontata nel c. 15 a Gerusalemme. Si trovò una soluzione che permettesse a cristiani giudei e pagani di sedere alla stessa mensa. Il Giudeo non è tenuto a rinunciare alle sue tradizioni e il pagano non è tenuto ad osservarle – se non in ciò che è necessario per vivere da fratelli. Valore supremo è l’amore. Esso esige l’accettazione, non la soppressione dell’altro nella sua diversità, quand’anche erronea (cf 1 Cor 8,13). Il motivo di carità prevale nell’azione su quello di verità, pur affermando la verità. Chi agisce in nome della verità (che tra l’altro è la libertà dai principi della tradizione) non dimentichi mai 1Cor 8,1ss. Infatti la scienza gonfia,mentre la carità edifica (1Cor 8,2): ci fa passare dall’amore di sé a quello dell’altro.
Iniziato il suo “viaggio a Gerusalemme”, a partire da Mileto Paolo istruisce non tanto annunciando il Cristo, quanto “testimoniandolo”. Lui stesso è assimilato a Cristo e diventa testimonianza “non a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità” (1Gv 3,18).
Dall’alto dei gradini della prigione - “predellino” adeguato davanti alla scalinata che porta al Tempio - Paolo vuol convincere il popolo a fare il passo che anche lui ha fatto: riconoscere nel Giusto perseguitato la Gloria di Dio che salva il mondo.
Come dal martirio di Stefano è nato Paolo, Paolo spera che pure la sua testimonianza sia feconda. La trasformazione avvenuta in lui, cieco e ostinato persecutore in nome di Dio, può avvenire anche in chi perseguita lui.
Il cristianesimo non è contro il giudaismo. Ne è uno sviluppo legittimo. È addirittura il suo compimento. Era già prevista l’ora in cui “si dirà di Sion: ‘L’uno e l’altro è nato in essa e l’Altissimo la tiene salda’ ”. Allora tutti danzando canteranno : “Sono in te sono tutte le mie sorgenti”. ( Sal 87,5.7).
Paolo in questa apologia davanti a Giudei “zelanti” si mostra come un giudeo osservante che ha visto nel Giusto glorificato il compimento delle promesse. Lui non è infedele. Ha obbedito alla sua vocazione, scaturita nel tempio stesso. Non è una vocazione strana: è la vocazione stessa del Servo di Dio ad essere “luce delle genti” (Is 42,6; Lc 2,30-32) e portatore di salvezza da Israele fino agli estremità della terra (Is 49,6; At 1,8).
DIVISIONE
a. 21,37-39: Paolo, giudeo, chiede di parlare al popolo
b. 22,1-21: apologia di Paolo
I. vv.1-2: esordio
II. vv. 3-16: naratio con probatio:
i. vv. 3-5 Paolo zelante e persecutore di cristiani
ii. vv. 6-11: evento di Damasco
iii. vv. 12-16: Paolo testimone presso tutti gli uomini
III. vv. 17-21: refutatio/argomentatio
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