Lectio degli Atti degli Apostoli di lunedì 10 novembre 2014
Update: 2014-11-11
Description
Commento a Atti 22, 22-30
Togli dalla terra costui!
Giustamente si dice che il Vangelo di Marco è un racconto della passione con una lunga introduzione. È dalla fine che si capisce il principio! Questo vale, in modi diversi, anche per gli altri Vangeli. Sono infatti nati attorno alla mensa eucaristica per farci conoscere quel Gesù che compie la sua missione con il dono della propria vita. Lui stesso è quel “corpo dato per noi”, che siamo invitati a “mangiare” e assimilare nella nostra vita quotidiana.
Questo vale anche per gli “Atti degli apostoli”, che raccontano come i discepoli continuano a fare e a dire ciò che il Maestro “cominciò a fare e a dire” per vivere di lui ed essere come lui.
Questi ultimi capitoli ci presentano come Paolo “incarna” Gesù, testimoniandolo nella sua passione. È immagine di tutti i discepoli che, con la loro vita, saranno suoi testimoni “fino all’estremità della terra”. In Paolo - erede diretto del protomartire Stefano! - vediamo il compimento della missione del discepolo diventato simile al suo Maestro.
Se i racconti della passione/risurrezione di Gesù hanno spazio adeguato nel periodo pasquale, il finale degli Atti è poco letto nella liturgia. Eppure è il culmine della rivelazione di Dio che, compiuta in Gesù, continua a compiersi nella storia dei suoi discepoli. La Chiesa, lungi dall’essere un apparato statico, è il cammino del Vivente che si rivela di continuo in ciò che succede a chi lo segue.
La storia del Crocifisso risorto non è passata una volta per sempre: apre ora e sempre il nostro presente al suo futuro. La storia del discepolo è un presente in cui il passato di Gesù giunge al compimento del futuro suo e di Dio stesso, che è “tutto in tutte le cose” (1Cor 15,28).
Questi capitoli degli Atti dovrebbero esserci cari come il mistero della morte e risurrezione del Signore. La Pasqua celebrata nell’eucaristia deve realizzarsi nella quotidianità della nostra vita, unico luogo in cui Dio va creando “cieli nuovi e terra nuova” (2Pt 5,13). Il vero culto spirituale infatti è il nostro corpo stesso che si trasfigura e rinnova a immagine di quello di Gesù (cf. Rm 12,1ss).
“È proprio nel prendere sul serio i piccoli fatti dell’esistenza che si consuma la vera passione di Paolo, così come, spesso, le nostre. Questo racconto che una volta letto sembra non aver più nulla da dire, in realtà è parola di Dio in cui sostare, così come per Paolo l’andare per tribunali e avvocati, il fare i conti con una burocrazia sciocca e con la corruzione e meschinità dei capi, il pagare cauzioni, e così via, è il modo per stare nella volontà di Dio, è il suo vero martirio. Le vicende di Paolo sono le stesse che leggiamo quotidianamente sui giornali. […] Il mondo va sempre allo stesso modo e non c’è niente di interessante, ma è lì che siamo chiamati a essere testimoni. Bisogna fare i conti con la noia, il vuoto, l’impotenza, lo stare “in gabbia”. Un uomo lanciato a livello internazionale come Paolo, che in pochi anni ha fatto migliaia di chilometri, per terra e per mare, è bloccato da un burocrate che non vuole prendere una decisione, perché ha i suoi piccoli interessi” (Paolo Bizzeti, Fino ai confini estremi. Meditazioni sugli Atti degli Apostoli, Bologna (EDB) 2008, pp. 355-356).
In 22,22-30 si prepara la lunga via crucis di Paolo. La folla, per la seconda volta nello stesso giorno, vuol linciarlo. Ma il tribuno interviene per mantenere la legalità. Vuole però torturarlo. La violenza sull’altro è il mezzo usuale per ottenere e mantenere il potere. Si maschera però sempre, travestendosi da mezzo per scoprire la verità. Ma appena il tribuno sa che Paolo è cittadino romano, è preso da paura. Come il Sinedrio consegnò il Maestro nelle mani dei romani, ora il tribuno romano consegna Paolo al Sinedrio.
Così comincia il suo cammino di prigioniero per Cristo. Come lo testimoniò a Giudei e Greci, ora lo testimonierà davanti al Sinedrio, poi al governatore romano Felice e al re Agrippa, per giungere infine a Roma davanti al tribunale di Cesare.
In 23,1-11 Paolo si autopresenta al Sinedrio come Giudeo fedele, della setta dei farisei. Il Cristianesimo da lui professato è una “religio licita”. Come tutti i farisei, Paolo crede nella risurrezione dai morti.
Questa è la speranza definitiva della promessa di Dio, che lui vede già realizzata in Cristo e anticipata nella vita nuova di chi lo segue (cf. ad esempio Rm 6,1ss.) Qui sta la continuità e la novità tra Cristianesimo e Giudaismo - fanatici a parte.
Il discorso di Paolo è un confronto tra cristianesimo e giudaismo, che tocca il centro della fede cristiana: la risurrezione di Gesù e nostra in lui. Le differenze tra cristiani e Giudei sono minori di quelli tra farisei e sadducei. Un fariseo coerente accetterebbe la visione di Paolo e quindi anche Cristo.
Per Paolo il rifiuto a priori di Gesù come Cristo è rifiuto anche della speranza d’Israele. Il vero Giudeo crede alla promessa da Ml 3,1-5, dove l’angelo del Signore viene a purificare il Tempio e i cuori per la venuta del Signore. Inoltre crede che lo Spirito farà risorgere il popolo, proprietà del Dio vivente (Ml 3, 17; cf. 1Re 8, 51; Sal 32, 12; Is 19, 25).
Paolo gioca la sua vita su questa che è la speranza d’Israele. Ma è disprezzato come tutti i profeti. Il Signore però lo approva: “Abbi coraggio! Come infatti testimoniasti le cose che mi riguardano a Gerusalemme, così ‘bisogna’ che tu anche in Roma testimoni”. Gesù in persona, come aveva predetto la propria passione, predice ora quella di Paolo: il discepolo ‘bisogna’ che sia aggregato al suo mistero di morte e risurrezione.
Come si vede, Paolo sa cosa gli accadrà. Ma non è passivo o schiacciato: tiene testa ai nemici a testa alta. Come il suo Maestro, sarà ucciso per la verità che afferma con la vita.
Paolo passerà buona parte del resto della sua vita in prigionia (anni 58-63) e infine subirà l’esecuzione capitale (anno 67), qui già invocata dalla folla. Sarà il periodo più fecondo del suo ministero. Gesù stesso compì tutto il suo ministero sotto l’ipoteca della condanna a morte, già profilatasi fin dall’inizio (cf. Mc 2,7: “costui bestemmia”) e decisa poco dopo da farisei ed erodiani ( Mc 3,6).
C’è stretta connessione tra il ministero della Parola e la passione di chi la annuncia. Leggi quanto scrive Paolo in 2Cor 11,1-12,10 ( cf anche Col 1,24: “Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” e 2Cor 4,12: “In noi opera la morte, ma in voi la vita”).
Anche Gesù non ci ha salvati con la sua azione, ma con la sua passione. È quanto afferma Matteo alla fine della sezione dei miracoli: “Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie ( Mt 8,17= Is 53,4).
DIVISIONE
a. vv. 22,22-24: reazione all’apologia di Paolo
b. vv. 25-29: Paolo cittadino romano si appella alla legalità
c. v. 30: Paolo è condotto davanti al Sinedrio
d. vv. 23,1-5: Paolo agisce in coscienza davanti a Dio: per questo è colpito come i profeti
e. vv. 6-10: l’apologia di Paolo, testimone della risurrezione, spacca in due il Sinedrio
f. v. 11: ‘bisogna’ che Paolo, come a Gerusalemme, testimoni anche Roma
Togli dalla terra costui!
Giustamente si dice che il Vangelo di Marco è un racconto della passione con una lunga introduzione. È dalla fine che si capisce il principio! Questo vale, in modi diversi, anche per gli altri Vangeli. Sono infatti nati attorno alla mensa eucaristica per farci conoscere quel Gesù che compie la sua missione con il dono della propria vita. Lui stesso è quel “corpo dato per noi”, che siamo invitati a “mangiare” e assimilare nella nostra vita quotidiana.
Questo vale anche per gli “Atti degli apostoli”, che raccontano come i discepoli continuano a fare e a dire ciò che il Maestro “cominciò a fare e a dire” per vivere di lui ed essere come lui.
Questi ultimi capitoli ci presentano come Paolo “incarna” Gesù, testimoniandolo nella sua passione. È immagine di tutti i discepoli che, con la loro vita, saranno suoi testimoni “fino all’estremità della terra”. In Paolo - erede diretto del protomartire Stefano! - vediamo il compimento della missione del discepolo diventato simile al suo Maestro.
Se i racconti della passione/risurrezione di Gesù hanno spazio adeguato nel periodo pasquale, il finale degli Atti è poco letto nella liturgia. Eppure è il culmine della rivelazione di Dio che, compiuta in Gesù, continua a compiersi nella storia dei suoi discepoli. La Chiesa, lungi dall’essere un apparato statico, è il cammino del Vivente che si rivela di continuo in ciò che succede a chi lo segue.
La storia del Crocifisso risorto non è passata una volta per sempre: apre ora e sempre il nostro presente al suo futuro. La storia del discepolo è un presente in cui il passato di Gesù giunge al compimento del futuro suo e di Dio stesso, che è “tutto in tutte le cose” (1Cor 15,28).
Questi capitoli degli Atti dovrebbero esserci cari come il mistero della morte e risurrezione del Signore. La Pasqua celebrata nell’eucaristia deve realizzarsi nella quotidianità della nostra vita, unico luogo in cui Dio va creando “cieli nuovi e terra nuova” (2Pt 5,13). Il vero culto spirituale infatti è il nostro corpo stesso che si trasfigura e rinnova a immagine di quello di Gesù (cf. Rm 12,1ss).
“È proprio nel prendere sul serio i piccoli fatti dell’esistenza che si consuma la vera passione di Paolo, così come, spesso, le nostre. Questo racconto che una volta letto sembra non aver più nulla da dire, in realtà è parola di Dio in cui sostare, così come per Paolo l’andare per tribunali e avvocati, il fare i conti con una burocrazia sciocca e con la corruzione e meschinità dei capi, il pagare cauzioni, e così via, è il modo per stare nella volontà di Dio, è il suo vero martirio. Le vicende di Paolo sono le stesse che leggiamo quotidianamente sui giornali. […] Il mondo va sempre allo stesso modo e non c’è niente di interessante, ma è lì che siamo chiamati a essere testimoni. Bisogna fare i conti con la noia, il vuoto, l’impotenza, lo stare “in gabbia”. Un uomo lanciato a livello internazionale come Paolo, che in pochi anni ha fatto migliaia di chilometri, per terra e per mare, è bloccato da un burocrate che non vuole prendere una decisione, perché ha i suoi piccoli interessi” (Paolo Bizzeti, Fino ai confini estremi. Meditazioni sugli Atti degli Apostoli, Bologna (EDB) 2008, pp. 355-356).
In 22,22-30 si prepara la lunga via crucis di Paolo. La folla, per la seconda volta nello stesso giorno, vuol linciarlo. Ma il tribuno interviene per mantenere la legalità. Vuole però torturarlo. La violenza sull’altro è il mezzo usuale per ottenere e mantenere il potere. Si maschera però sempre, travestendosi da mezzo per scoprire la verità. Ma appena il tribuno sa che Paolo è cittadino romano, è preso da paura. Come il Sinedrio consegnò il Maestro nelle mani dei romani, ora il tribuno romano consegna Paolo al Sinedrio.
Così comincia il suo cammino di prigioniero per Cristo. Come lo testimoniò a Giudei e Greci, ora lo testimonierà davanti al Sinedrio, poi al governatore romano Felice e al re Agrippa, per giungere infine a Roma davanti al tribunale di Cesare.
In 23,1-11 Paolo si autopresenta al Sinedrio come Giudeo fedele, della setta dei farisei. Il Cristianesimo da lui professato è una “religio licita”. Come tutti i farisei, Paolo crede nella risurrezione dai morti.
Questa è la speranza definitiva della promessa di Dio, che lui vede già realizzata in Cristo e anticipata nella vita nuova di chi lo segue (cf. ad esempio Rm 6,1ss.) Qui sta la continuità e la novità tra Cristianesimo e Giudaismo - fanatici a parte.
Il discorso di Paolo è un confronto tra cristianesimo e giudaismo, che tocca il centro della fede cristiana: la risurrezione di Gesù e nostra in lui. Le differenze tra cristiani e Giudei sono minori di quelli tra farisei e sadducei. Un fariseo coerente accetterebbe la visione di Paolo e quindi anche Cristo.
Per Paolo il rifiuto a priori di Gesù come Cristo è rifiuto anche della speranza d’Israele. Il vero Giudeo crede alla promessa da Ml 3,1-5, dove l’angelo del Signore viene a purificare il Tempio e i cuori per la venuta del Signore. Inoltre crede che lo Spirito farà risorgere il popolo, proprietà del Dio vivente (Ml 3, 17; cf. 1Re 8, 51; Sal 32, 12; Is 19, 25).
Paolo gioca la sua vita su questa che è la speranza d’Israele. Ma è disprezzato come tutti i profeti. Il Signore però lo approva: “Abbi coraggio! Come infatti testimoniasti le cose che mi riguardano a Gerusalemme, così ‘bisogna’ che tu anche in Roma testimoni”. Gesù in persona, come aveva predetto la propria passione, predice ora quella di Paolo: il discepolo ‘bisogna’ che sia aggregato al suo mistero di morte e risurrezione.
Come si vede, Paolo sa cosa gli accadrà. Ma non è passivo o schiacciato: tiene testa ai nemici a testa alta. Come il suo Maestro, sarà ucciso per la verità che afferma con la vita.
Paolo passerà buona parte del resto della sua vita in prigionia (anni 58-63) e infine subirà l’esecuzione capitale (anno 67), qui già invocata dalla folla. Sarà il periodo più fecondo del suo ministero. Gesù stesso compì tutto il suo ministero sotto l’ipoteca della condanna a morte, già profilatasi fin dall’inizio (cf. Mc 2,7: “costui bestemmia”) e decisa poco dopo da farisei ed erodiani ( Mc 3,6).
C’è stretta connessione tra il ministero della Parola e la passione di chi la annuncia. Leggi quanto scrive Paolo in 2Cor 11,1-12,10 ( cf anche Col 1,24: “Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” e 2Cor 4,12: “In noi opera la morte, ma in voi la vita”).
Anche Gesù non ci ha salvati con la sua azione, ma con la sua passione. È quanto afferma Matteo alla fine della sezione dei miracoli: “Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie ( Mt 8,17= Is 53,4).
DIVISIONE
a. vv. 22,22-24: reazione all’apologia di Paolo
b. vv. 25-29: Paolo cittadino romano si appella alla legalità
c. v. 30: Paolo è condotto davanti al Sinedrio
d. vv. 23,1-5: Paolo agisce in coscienza davanti a Dio: per questo è colpito come i profeti
e. vv. 6-10: l’apologia di Paolo, testimone della risurrezione, spacca in due il Sinedrio
f. v. 11: ‘bisogna’ che Paolo, come a Gerusalemme, testimoni anche Roma
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