Via Mazzini: Attentato Al Prete Custode Dei Segreti Di Raffaele Cutolo
Update: 2021-02-05
Description
Nella storia della cronaca nera italiana non era mai accaduto un agguato mortale a un uomo con la tonaca. Quell’uomo era Don Peppino Romano, sacerdote di Somma Vesuviana, rimasto gravemente ferito in un agguato da cui si salvò per miracolo, ma che morì poco dopo in ospedale, proprio quando sembrava ormai essere fuori pericolo.
Era la mattina del 5 gennaio 1086 e Don Peppino stava guidando la sua auto quando, all’altezza di via Mazzini, venne raggiunto dai suoi sicari che gli spararono mirando ad organi vitali. Il parroco sembrava essersi miracolosamente salvato ma fu proprio nel letto di ospedale che, quando sembrava stare avendo netti miglioramenti, morì all’improvviso suscitando lo stupore dei medici.
Era dunque evidente: qualcuno aveva ucciso Don Peppino. Per quanto riguardava il movente non fu difficile risalirvi: il parroco era rimasto uno degli ultimi custodi dei segreti di Raffaele Cutolo, forse il componente più autorevole di quella ristretta cerchia che conosceva vita, morte e miracoli degli uomini che componevano la NCO.
Don Peppino era infatti stato uno strettissimo conoscente del boss ricordato come “‘’O Professore”, che conosceva da quando Cutolo faceva il chierichetto in parrocchia e che aveva uno strettissimo legame con la sorella Rosetta.
Per i suoi legami con la camorra, inoltre, il prete venne anche arrestato, scontando un certo tempo in cella. Ma una volta uscito, assistette da libero cittadino alla progressiva demolizione del clan messo in piedi da Cutolo, spazzato via dalla Nuova Famiglia di Carmine Alfieri.
D’altronde Don Peppino non prese mai le distanze da quelle discutibili frequentazioni e benché avesse saldato il suo debito con la giustizia, aveva ancora qualche conto da regolare con la Nuova Famiglia di Alfieri nella cui lista di persone da eliminare vi era anche il prete amico di Cutolo.
I nomi dei sicari che uccisero Don Peppino rimangono ancora senza nome, il movente di quel delitto però resta chiaro: la colpa del prete fu quella di essere stato il “custode” dei segreti di Raffaele Cutolo.
Era la mattina del 5 gennaio 1086 e Don Peppino stava guidando la sua auto quando, all’altezza di via Mazzini, venne raggiunto dai suoi sicari che gli spararono mirando ad organi vitali. Il parroco sembrava essersi miracolosamente salvato ma fu proprio nel letto di ospedale che, quando sembrava stare avendo netti miglioramenti, morì all’improvviso suscitando lo stupore dei medici.
Era dunque evidente: qualcuno aveva ucciso Don Peppino. Per quanto riguardava il movente non fu difficile risalirvi: il parroco era rimasto uno degli ultimi custodi dei segreti di Raffaele Cutolo, forse il componente più autorevole di quella ristretta cerchia che conosceva vita, morte e miracoli degli uomini che componevano la NCO.
Don Peppino era infatti stato uno strettissimo conoscente del boss ricordato come “‘’O Professore”, che conosceva da quando Cutolo faceva il chierichetto in parrocchia e che aveva uno strettissimo legame con la sorella Rosetta.
Per i suoi legami con la camorra, inoltre, il prete venne anche arrestato, scontando un certo tempo in cella. Ma una volta uscito, assistette da libero cittadino alla progressiva demolizione del clan messo in piedi da Cutolo, spazzato via dalla Nuova Famiglia di Carmine Alfieri.
D’altronde Don Peppino non prese mai le distanze da quelle discutibili frequentazioni e benché avesse saldato il suo debito con la giustizia, aveva ancora qualche conto da regolare con la Nuova Famiglia di Alfieri nella cui lista di persone da eliminare vi era anche il prete amico di Cutolo.
I nomi dei sicari che uccisero Don Peppino rimangono ancora senza nome, il movente di quel delitto però resta chiaro: la colpa del prete fu quella di essere stato il “custode” dei segreti di Raffaele Cutolo.
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