Malinconia di Munch e l’opera di Svevo
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«Che cos’è l’arte? L’arte emerge dalla gioia e dal dolore. Maggiormente dal dolore. Fiorisce dal vivere umano». Così scrisse, nei propri diari, il pittore norvegese Edvard Munch (1863-1944), esponente di spicco del Simbolismo europeo, riferimento essenziale della Secessione di Berlino e precursore dell’Espressionismo tedesco. «Io credo unicamente in un’arte che sia dettata dal bisogno umano di aprire il proprio cuore.
Un’opera d’arte sgorga direttamente dal più intimo essere dell’uomo». E cosa albergava nel cuore di questo artista? Paura, dolore, ansia esistenziale, un mal di vivere acuto e quasi paralizzante che tuttavia Munch riuscì a riversare nelle proprie opere, quasi con intento terapeutico, assecondando una febbrile esigenza di espressione.
<figure class="wp-block-image size-large"><figcaption class="wp-element-caption">Edvard Munch in un ritratto fotografico.</figcaption></figure>
L’arte come confessione
«Per me, dipingere è come essere ammalato o intossicato – una malattia dalla quale non vorrei mi si guarisse, un’intossicazione di cui non posso fare a meno». Per Munch, l’arte fu terapia e occasione di confessione pubblica. L’artista espresse con i suoi quadri il proprio sentimento tragico della vita. Nelle sue opere dai colori densi e spettrali, cariche di pessimismo e di erotismo, profondamente misogine, affrontò simbolicamente i temi della solitudine, della gelosia, della morte, del dolore, della difficoltà di vivere, della misantropia.
«La mia arte è un’autoconfessione. Per suo tramite io tento di far luce sul mio rapporto con il mondo. Si potrebbe anche considerare egoismo. Comunque sia, ho sempre pensato e sentito che la mia arte potrebbe aiutare gli altri a fare luce nella loro ricerca di verità». Un’arte «in grado di emozionare e commuovere. Un’arte che nasca dal sangue del cuore».
<figure class="wp-block-image size-large"><figcaption class="wp-element-caption">Edvard Munch, Malinconia, 1891. Pastello, colori a olio e matita su tela, 73 x 101 cm. Oslo, Munch Museum.</figcaption></figure>
Malinconia
Tutti i dipinti di Munch prodotti a partire dagli anni Novanta dell’Ottocento e ancora quelli novecenteschi (realizzati nella drammatica solitudine del suo ritiro norvegese) testimoniano l’angosciosa condizione di non-vita a cui l’artista sentiva di appartenere: una condizione nella quale egli si percepiva estraneo perfino a sé stesso, non sapendo realmente chi fosse e cosa volesse. Questo suo dolente stato d’animo è ben rappresentato in una serie di opere (5 tele e 2 xilografie) realizzate tra il 1891 e il 1902, intitolate Malinconia.
Sono tra i primi quadri esplicitamente simbolisti del pittore ed entrarono a far parte del suo Fregio della vita. Il soggetto è quello di un uomo solitario, triste e pensieroso, mostrato in primissimo piano seduto su una spiaggia, ripiegato su sé stesso, con il capo sorretto da una mano. In alcune delle opere, sullo sfondo, si intravede una coppia in procinto di imbarcarsi. La prima versione del dipinto, risalente al 1891, combina diverse tecniche pittoriche. Alcune parti della di tela non sono state dipinte. Le forme semplificate, la mancanza di prospettiva, l’accentuata bidimensionalità rimandano al sintetismo simbolista.
<figure class="wp-block-image size-large"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="686" src="https://www.artesvelata.it/wp-content/uploads/2024/03/Edvard-Munch-Malinconia-1892.-Olio-su-tela-64-x-96-cm.-Oslo-Nasjonalmuseet-arte-svelata-1024x686.jpg" alt="" cla