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Martini e Petrarca

Martini e Petrarca

Update: 2024-10-16
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A Siena, già dalla metà del XIII secolo, la prosperità economica, l’apertura verso i grandi mercati d’Oriente e d’Occidente, nonché la presenza di Nicola e Giovanni Pisano nei cantieri del Duomo avevano avviato fin dal Duecento la fioritura di una civiltà artistica che aveva trovato il suo più autorevole protagonista nel pittore Guido da Siena. Fu tuttavia nel Trecento, con Duccio, ideale antagonista di Giotto, che la pittura senese si propose come polo alternativo a quello fiorentino; il grande maestro e i suoi discepoli (soprattutto Simone Martini, Pietro e Ambrogio Lorenzetti), pittori di livello eccelso, fondarono in tal modo una sorta di “scuola” i cui caratteri distintivi, felicemente trapiantati in Europa, dalla Francia alla Sicilia, si mantennero pressoché invariati sino al Quattrocento inoltrato, opponendosi di fatto, sia pure senza successo, alla diffusione del nuovo linguaggio rinascimentale. Martini e Petrarca


Martini a Siena


Non è rimasto nulla della prima produzione di Simone Martini (1284-1344), per cui è difficile ricostruire la sua formazione; la frequentazione della bottega di Duccio, tuttavia, non viene messa in discussione. La prima opera certa dell’artista è la Maestà commissionatagli dal governo dei Nove, signori di Siena, e affrescata all’interno del Palazzo Pubblico fra il 1313 e il 1315, nonché ritoccata dallo stesso autore nel 1321. Il grande dipinto occupa tutta la parete d’onore della maggior sala, che un tempo si chiamava Sala del Consiglio o della Balestra e poi nota come Sala del Mappamondo.


Simone, all’epoca, era un artista trentenne già maturo, non condizionato dai legami con la tradizione bizantina e proiettato verso un linguaggio internazionale. Nonostante, o forse proprio in forza della sua adesione al Gotico europeo, appariva desideroso di competere con Giotto. La scelta da parte del governo senese di affidare la realizzazione di quest’opera proprio a lui, con Duccio ancora in vita, può spiegarsi solo ipotizzando che i maggiorenti della città avessero considerato il linguaggio del discepolo più aggiornato e moderno di quello del maestro. Nell’opera del Martini domina, infatti, una sublime eleganza, che avvicina l’opera al gusto d’Oltralpe, soprattutto francese. Martini e Petrarca


Simone conferì alla sua Maestà lo splendore cromatico di un’opera di oreficeria. Egli arricchì la superficie pittorica con vetri colorati, parti metalliche dipinte, foglie d’oro zecchino, rilievi a stucco, inserti di carta, che solo in parte si sono conservati. A un primo sguardo, le parti più antiche dell’affresco evidenziano la forte influenza della lezione duccesca. Nel contempo, un maggiore respiro spaziale testimonia che Martini aveva già elaborato uno stile del tutto personale, che contemplava anche una certa affinità con l’arte di Giotto.


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Ad Assisi


Nel 1312, il cardinale Gentile Partino da Montefiore, si recò a Siena dove incontrò Martini. In tale occasione, lo incaricò di affrescare la Cappella di San Martino, la prima a sinistra nella Basilica Inferiore di San Francesco ad Assisi, da lui voluta e fatta costruire. Il cardinale non fece in tempo a vedere i lavori ultimati perché morì prima, anche se l’artista portò ugualmente l’opera a termine. La decorazione della cappella avvenne in tre fasi, tra il 1313 e il 1318. In questo lasso di tempo, infatti, Simone fece la spola tra Assisi, Siena (dove stava dipingendo la Maestà) e Napoli, per seguire contemporaneamente diverse commissioni. Martini e Petrarca


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