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Schiele, Montale e il mal di vivere

Schiele, Montale e il mal di vivere

Update: 2024-06-21
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Una delle principali testimonianze del mal di vivere del primo Novecento fu la pittura di Egon Schiele (1890-1918), esponente dell’Espressionismo austriaco sviluppatosi nel contesto della Secessione viennese. Schiele, infatti, fu allievo di Klimt, che ancora agli inizi del Novecento era in attività e considerato da tutti un grande maestro e un modello da imitare.


Egon fu artista sensibilissimo e tormentato. La sua dolorosa condizione esistenziale fu espressa prima di tutto dai molti autoritratti. Il pittore si mostra completamente nudo. Il suo corpo magro sembra malato; non si tratta di una malattia fisica: l’artista intende mostrare la malattia della propria anima.


<figure id="attachment_9445" aria-describedby="caption-attachment-9445" style="width: 1200px" class="wp-caption alignnone site-typeface-body typo-size-xsmall"><figcaption id="caption-attachment-9445" class="wp-caption-text">Egon Schiele, Autoritratto nudo, 1910. Acquerello su carta, 37 x 56 cm. Vienna, Albertina.</figcaption></figure>
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Alberi e girasoli


Schiele amava osservare «il movimento corporeo delle montagne, dell’acqua, degli alberi e dei fiori. Dappertutto possiamo notare movimenti simili a quelli del corpo umano». «Interiormente, nel segreto del proprio essere e del proprio cuore, anche in piena estate si può vedere e sentire un albero autunnale. […] Tutto ciò che sta vivendo è già morto». Così scrisse, nell’agosto del 1912. Schiele, dunque, proiettò il proprio mal di vivere anche nei suoi splendidi paesaggi, segnati da alberi isolati e spogli e da fiori dalle evidenti qualità antropomorfe. La natura di Schiele ci pone in contatto diretto con la triste verità del vuoto dell’esistenza, esprime una visione sconfortata del mondo e della vita; è, dunque, puramente simbolica. I suoi alberi magri, i lunghi girasoli sfioriti ci parlano di tristezza e solitudine.


<figure id="attachment_12709" aria-describedby="caption-attachment-12709" style="width: 1974px" class="wp-caption alignnone site-typeface-body typo-size-xsmall"><figcaption id="caption-attachment-12709" class="wp-caption-text">Egon Schiele, Quattro alberi, 1917. Olio su tela, 111 × 140 cm. Vienna, Belvedere.</figcaption></figure>

Ad esempio, in Albero d’autunno, attraverso la rappresentazione della pianta secca e avvizzita, Schiele racconta l’esperienza angosciosa della precarietà. Quest’albero ritorto è, prima di tutto, l’immagine scarna ed essenziale di sé stesso e a un tempo la tragica prefigurazione della morte che lo attende.


<figure id="attachment_12710" aria-describedby="caption-attachment-12710" style="width: 848px" class="wp-caption alignnone site-typeface-body typo-size-xsmall"><figcaption id="caption-attachment-12710" class="wp-caption-text">Egon Schiele, Albero d’autunno, 1912. Olio su tela, 80 x 80,5 cm. Vienna, Leopold Museum.</figcaption></figure>
<figure id="attachment_12711" aria-describedby="caption-attachment-12711" style="width: 500px" class="wp-caption alignnone site-typeface-body typo-size-xsmall"><figcaption id="caption-attachment-12711" class="wp-caption-text">Egon Schiele accanto al suo Albero d’autunno, 1912. Fotografia.</figcaption></figure>

Altrettanto si può dire per la sua serie dei Girasoli, che richiama quella, ben più nota, di Van Gogh: con la differenza che il vitalismo dei fiori vangoghiani si è come spento, esaurito. I girasoli di Schiele sono riarsi, appassiti, rinsecchiti. Mentre, nel loro trionfo di giallo, i girasoli di Van Gogh rendevano omaggio alla vita ed esprimevano un anelito di speranza, quelli di Schiele testimoniano la presa d’atto della disillusione.


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